N.8 2022 - Biblioteche oggi | Novembre 2022

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Alcune osservazioni su storia e uso di cuoio, pergamena, carta

Carlo Pastena

capasten@alice.it

Abstract

Insieme al papiro e all'argilla, i due supporti di scrittura più antichi erano il cuoio e la pergamena ma non esiste un termine nelle lingue camito-semitiche per distinguere il cuoio dalla pergamena. Secondo gli egittologi, la pergamena era forse in uso in Egitto fin dalla VI dinastia (2323-2150 a.C.) ma quasi sicuramente alla fine della XVIII dinastia (1300-1200) come testimoniano alcune scene riprodotte in una tomba Saqqara. Un altro problema è l'origine della carta nei paesi arabi. Una ricerca recente ha confermato ciò che Karabacek aveva già ipotizzato alla fine del XIX secolo, cioè che la mappa era già conosciuta a Samarcanda qualche decennio prima della battaglia di Talas.

English abstract

Along with papyrus and clay, two of the oldest writing supports were leather and parchment, but there is no term in the Hamito-Semitic languages to distinguish leather from parchment. According to Egyptologists, the parchment was perhaps in use in Egypt since the 6th dynasty (2323-2150 BC) but almost certainly at the end of the 18th dynasty (1300-1200) as some scenes reproduced in a Saqqara tomb would show. Another problem is the origin of the paper in Arab countries. Recent research has confirmed what Karabacek had already hypothesized at the end of the 19th century, that the map was already known in Samarkand a few decades before the battle of Talas.

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Oltre il papiro presso gli egiziani e l’argilla presso i popoli mesopotamici, due tra i supporti antichi più utilizzati sono stati il cuoio e la pergamena. Molto spesso nei testi non si distingue tra cuoio e pergamena, perché la letteratura antica è spesso imprecisa e le immagini che mostrano un supporto flessibile utilizzato per scrivere non consentono di distinguere tra un supporto e l’altro.

Il cuoio

Le testimonianze dell’utilizzo del cuoio come supporto scrittorio sono presenti fin dal II millennio a.C. nelle fonti dell’antichità del Vicino Oriente antico, nell’antichità greco-latina, in India e presso le popolazioni dell’America precolombiana.

Mesopotamia

La concia della pelle è attestata fin dal II millennio a.C. nelle antiche leggi ittite (Saporetti 1998, p. 268-269, 278) e presso i Babilonesi nel Codice di Hammurabi (1792- 1750 a.C.) (Saporetti 1998, p. 193; Reed 1972, p. 87-89). Gli assiriologi utilizzano il termine generico di pelle per indicare sia il cuoio sia la pergamena, ma un’analisi terminologica consente di apprendere che il termine per indicare il cuoio/pergamena è presente in molte lingue antiche. In accadico nel primo millennio a.C. il rotolo di cuoio è detto magallatu (Charpin 2008, p. 102), mentre il termine babilonese è kuššipirtum o šipištum (scritto con il determinativo per pelle), che letteralmente significa lettera di pelle. Il termine sepīru è invece attestato dal periodo neobabilonese (626-539 a.C.). Dal II secolo a.C. è attestato uno specifico termine per indicare colui che scrive sulla pelle scritto con un unico logogramma, sumero KUŠ.SAR, accadico *kuššarru o *kuššarû (Driver 1976, p. 16-17) che letteralmente significa scrivere sulla pelle/pergamena, che ricalca il tradizionale logogramma ṭupšarru per DUB.SAR (colui che scrive le tavolette). Sul cuoio si scrivevano i documenti legali (kušgiṭṭu), i quali erano duplicati del documento originale scritto sulle tavolette d’argilla. Vi sono diverse ipotesi del perché i documenti legali fossero scritti sulla pelle, ma uno dei possibili motivi è che questi fossero redatti in una scrittura alfabetica (Clancier 2011, p. 764-766). Per il periodo più antico non ci sono pervenuti documenti scritti sulla pelle presso gli Assiri e i Babilonesi, data la naturale deperibilità del supporto. Il suo impiego è comunque attestato da una pittura parietale proveniente da Tell Ahmar, antica Til Barsip (Siria) dell’epoca neo-assira della prima metà del VIII secolo a.C. dove si vede uno scriba che utilizza un supporto flessibile, papiro o forse cuoio/pergamena (Pritchard 1969a, p. 74, fig. 235; Benoit 2011, p. 382, fig. 195). Questa immagine è stata variamente interpretata dagli studiosi per affermare un utilizzo della pelle o della pergamena, fin dal periodo assiro-babilonese. Sicuramente è attestato l’utilizzo del cuoio come supporto scrittorio presso i persiani, come confermato dal ritrovamento di un archivio del V secolo a.C., e come attestato da un passo di Erodoto (484-425 a.C.) mentre Diodoro Siculo (II.32.4) vissuto tra l’80 e il 20 a.C., a proposito di Ctesia, medico alla corte persiana tra il 415 e il 399 a.C. circa, scrive che si lusingava di avere avuto accesso alle pergamene reali (basilikōn diphtherōn). Questo passo ha suscitato numerose perplessità presso molti autori. Briant (1996, p. 14) ed Eck (2003, p. XXIII-XXIV) a esempio sollevano dei dubbi sull’esistenza di questi archivi reali scritti su pelli, ritenendo che il passo citato possa invece riferirsi a rotoli di papiro.

Egitto

La primitiva lavorazione del cuoio in Egitto risale all’epoca preistorica, come si può dedurre dai resti che sono stati trovati nelle necropoli predinastiche, nelle quali i cadaveri sono avvolti nelle pelli cucite con fini e serrate cuciture regolari. Va comunque precisato che questi primi tentativi rappresentano solo una pseudo-concia (Bravo 1933). La più antica attestazione dell’utilizzo del cuoio presso gli egiziani risale alla IV dinastia (2900- 2750 a.C.), mentre i più antichi documenti scritti su cuoio che ci sono pervenuti sono un rotolo della XII dinastia egiziana (1985-1773 a.C.) conservato a Berlino, un testo matematico del XVII secolo a.C. oggi al British Museum e gli annali di Thutmosis III (1481-1425 a.C.) i quali furono scritti su rotoli di cuoio e depositati nel tempio di Amūn a Karnak (Driver 1968, 1-2). Il cuoio era utilizzato anche per produrre diversi oggetti: scudi, fruste, lacci, corde, bisacce da sella da carro, faretre, caschi e berretti aderenti al capo portanti allunghe di cuoio discendenti fino al collo (Bravo 1933). Tutti i caschi da guerra erano di cuoio e quelli dei faraoni erano qualche volta tinti in azzurro (verosimilmente con l’indaco). Secondo Reed (1972, p. 86-87, table 1) la pratica della concia presso gli egiziani risale sicuramente a un periodo tra il 2000 e il 1570 a.C. In egiziano geroglifico con ‘rt (Wallis Budge 1978, v. 1, p. 129; Bonnamy and Sadek 2010, p. 113; Secco 2013, p. 77) o ẖnt (Secco 2013, p. 265) si indica indifferentemente sia il rotolo di cuoio sia quello di pergamena.

Ebrei palestinesi

Tra i manoscritti ebraici di Qumran (II sec. a.C.), sono presenti alcuni rotoli scritti su cuoio, attestando un diffuso utilizzo di questo supporto nell’Asia occidentale. Inoltre, nel Masseket sofferim (Trattato degli scribi) (Obadja Ben Ifa 1977, v. 1, p. 4, v. 3, p. 7), il primo capitolo è dedicato alle qualità che deve avere la pelle su cui possono essere scritti i testi sacri. Più in particolare per la trascrizione della Bibbia esistono regole molto precise contenute nel Sefer ha-Tōrāh, dove è scritto:

C’è una tradizione che rimonta a Mosè sul Monte Sinai per il quale il Sefer Torà è scritto su pelli di bestie pure che è cucito insieme con tendini di animali puri, e che è legato con i peli di animali puri. Dovrà essere scritto con l’inchiostro, secondo il versetto: “Io le scrivevo con l’inchiostro su questo libro”. [Geremia 36:18]

Giare che contenevano i manoscritti ebraici di Qumran.

India

Vi è un profondo contrasto tra il sub-continente indiano e le altre nazioni sull’uso del cuoio come supporto scrittorio. Questo, infatti, in India è molto raro, ma è molto comune nell’ovest dell’Asia. Il suo raro utilizzo come supporto scrittorio non è dovuto, come comunemente si ritiene, alla sacralità delle vacche, poiché il cuoio è impiegato nella manifattura di calzature, sedie e navi; al contrario il motivo è da ricercare alla sua scarsa disponibilità rispetto alle foglie di palma (Shivaganesha Murthy 1996, p. 44). L’uso del cuoio come supporto scrittorio è citato da Subandhu, un cortigiano del V secolo d.C. e da Satyendra, i quali riportano un passo del Devī-Purāna, dove è scritto che le fasce decorate di foglie di palma erano avvolte nella pelle per essere presentate ai dignitari. Un’altra citazione si trova nell’opera di Strabone (XV I, 73) dove, a proposito di alcuni ambasciatori indiani, scrive che le credenziali erano scritte sulla pelle (gr. diphthéra). Lo storico arabo dell’India, AlBīrunī, riferisce dell’esistenza di un documento scritto su un pezzo di cuoio; in alcuni siti dell’India centrale, inoltre, sono stati recentemente ritrovati alcuni documenti scritti su frammenti di pelle animale. Ulteriore testimonianza proviene da alcuni documenti vergati su pelle di antilope o di tigre, i quali sono stati utilizzati per scrivere alcuni testi della letteratura buddhista (Bühler 1962, p. 114; Shivaganesha Murthy 1996, p. 44-45).

Grecia

Diodoro Siculo (Hist. V, 58,3) ed Erodoto (V, 58) narrano che gli ioni chiamavano i libri pelli (gr. diphthérai) perché allora per la scarsità di papiro usavano pelli di capra e pecora e ancora ai loro giorni molti scrivevano su pelli. Documenti scritti sul cuoio si trovano per il periodo dell’era Seleucide (fine IV secolo - I secolo a.C.). Secondo Reed (1972, p. 90-91) i greci e i romani conciavano la pelle fin dal VI secolo a.C.

Roma

La lavorazione del cuoio è descritta da Plinio (Nat. XIII 113), da Teofrasto e da Dioscoride. Tutti e tre gli autori concordano sulla procedura, che si articolava in tre fasi:

  1. rimozione di pelo o lana; 
  2. rimozione dei resti di carne o di grasso ancora attaccati. La pelle era messa a bagno nella calce o nell’urina (entrambe con proprietà abrasive); 
  3. lavaggio e concia con l’utilizzo di tannino (estratto vegetale), che essendo un ottimo fissatore, impedisce la putrefazione, bloccando la decomposizione, pur mantenendo morbida la pelle.

Sud-est asiatico

Nel sud-est asiatico un’utile testimonianza sull’utilizzo della pelle come supporto scrittorio ci proviene dalle memorie di viaggio di Cheng Ho, il più famoso navigatore cinese. Durante il suo primo viaggio, compiuto negli anni 1405-1407, a proposito della città di Hsin-chou, l’odierna Qui Nhon, sulla costa del Vietnam, scrive:

Hanno una loro scrittura, ma non utilizzano carta e inchiostro, scrivono su pelle di pecora lavorata fino a divenire sottilissima; quindi, la fanno affumicare finché è completamente annerita e vi scrivono sopra con una punta di bambù acuminata. (Foccardi 1992, p. 111)

Maya

Presso i Maya è attestato l’utilizzo della pelle di cervo conciata, fatta a strisce e quindi incollata o cucita fino a ottenere un foglio della lunghezza desiderata.

La pergamena

Nella manualistica viene normalmente citato Plinio, che attribuisce l’utilizzo della pergamena alla scarsità di papiro, e attribuisce il merito di avere utilizzato per primo la pergamena al re di Pergamo nel II secolo a.C. In realtà non sappiamo quando si iniziò a utilizzare questo supporto, perché, come detto in precedenza, spesso le fonti antiche non distinguono tra cuoio e pergamena, ambedue di origine animale, ma con un trattamento differente della pelle. Se si confronta il testo in cui Plinio illustra la concia della pelle, si noterà come la procedura illustrata è identica nei primi due passaggi alla lavorazione della pergamena (rimozione della lana o del pelo e immersione nella calce per rimuovere i residui di carne o grasso), mentre differisce nella terza fase, cioè quella della concia assente nella pergamena. Certamente la sua produzione non è da attribuire al re di Pergamo Eumene II (197-159 a.C.) come racconta Plinio (Nat. XIII, 70).

Egitto 

Gli egittologici ritengono che presso gli egiziani fosse in uso la pergamena fin dai tempi antichi, come è dimostrato dai materiali e dagli equipaggiamenti necessari per la sua produzione riprodotti nelle pitture sui papiri e sui muri delle tombe (Reed 1972, p. 118-120). Nella tomba di Shedu a Deshasha, risalente alla tarda VI dinastia (2323-2150 a.C.), una pittura potrebbe attestare che la produzione della pergamena è molto antica (Driel-Murray 2002, p. 303). Inoltre una scena riprodotta in una tomba di Saqqâra della fine della XVIII inizio della XIX dinastia (1300-1200 a.C.) mostra una pelle stesa sul caratteristico telaio per la lavorazione della pergamena (Martin 1987, v. 1, p. 29, plate 23.68), che attesterebbe l’utilizzo della pergamena fin dal XIII secolo a.C. Bravo (1933) cita un’iscrizione rinvenuta nella tomba di Si, che si riferisce a un importante conciatore, Uta, che dirigeva i lavori di tutta l’industria ufficiale della lavorazione delle pelli, nella quale è scritto: “L’incaricato preposto agli operai della pergamena, che prepara i rotoli di pergamena per il capo delle cerimonie, con soddisfazione del suo padrone e secondo le regole”. In egiziano geroglifico con ‘rt (Wallis Budge 1978, v. 1, p. 129; Bonnamy and Sadek 2010, p. 113; Secco 2013, p. 77) o ẖnt (Secco 2013, p. 265) si indicava indifferentemente sia il rotolo di pergamena sia il rotolo di cuoio.

Mesopotamia

Nel II secolo a.C., in Mesopotamia, la pergamena era probabilmente utilizzata come supporto scrittorio. Nei testi nelle tavolette della Uruk ellenistica la pergamena è indicata dall’ideogramma kušgí.da. La traduzione accadica è kušgiṭṭu, forma simile a imgiṭṭu che indicava la tavoletta d’argilla, ma come osserva Clancier (2005, p. 90) non esiste un termine specifico per indicare la pergamena in accadico. Inoltre, si osserva che il sumerogramma kuš, “pelle”, si ritrova nella formazione della parola kuššipištu, “messaggio scritto su un supporto flessibile”, termine la cui struttura è simile a imšipištu, “messaggio su tavoletta d’argilla”. L’altro termine presente nelle tavolette di Uruk per indicare la pergamena, magallatu, è in realtà un termine di origine aramaica.

Figura 2 Calzolajo e conciatore di pelli, New York Public Library Digital Collections (1832-1844)

Grecia e Roma 

Non conosciamo quando comincia la produzione e l’utilizzo della pergamena presso i greci e i romani. Tra i manoscritti greci, latini e siriaci rinvenuti nel sito di Dura Europo è stato rinvenuto un documento greco su pergamena risalente al 195 a.C., il quale dimostrerebbe un uso generalizzato di questo supporto, che porta a ritenere una sua diffusione anche in Grecia. Il più antico documento conosciuto, scritto in latino su pergamena è il Fragmentum de bellis Macedonis, databile intorno all’anno 100 a.C. (CLA, II2 , 207).
A Roma la pergamena era chiamata tabellae o pugillares (che significa anche “tavoletta cerata”), poi membrana e infine pergamena. Era sicuramente conosciuta e impiegata nel I sec. a.C., come informa Orazio (Satire, II, 3, 1-2), che la chiama membrana, sebbene fosse usata per le minute come succedaneo delle tavolette cerate. Nel I sec. d.C. sappiamo che era usata anche per le copie letterarie, come attestato da Marziale (39 o 40-104 d.C.) che scrive: “Questo ingente Tito Livio, che la mia Biblioteca non può contenere per intero, eccolo qua, racchiuso in queste poche pelli” accennando a una edizione delle opere di Tito Livio. Una delle prime testimonianze sulla pergamena si ha in Plinio, quando scrive: (Nat. XIII, 70) “Quando poi a causa della rivalità fra i re Tolomeo [205-182 a.C.] ed Eumene a proposito delle loro biblioteche, Tolomeo impedì l’esportazione di carta [di papiro], sempre secondo Varrone, a Pergamo fu inventata la pergamena [membranas]”. Questa origine leggendaria è ripresa in un’epistola di san Girolamo (347-419) (Ep. 7, 2), nel quale il termine pergamena, riferito alla pelle animale, compare per la prima volta («Et si aliqui Ptolomaeus maria claisisset, tamen rex Attalus membranas e Pergao miserat, it penuria chartae pellibus pensaretur; unde pergamenarum nomen ad hanc diem tradente sibi invicem posteritate, servatum est»). Il termine pergamena è presente anche nell’opera di Plinio ma con altro significato, sia per indicare la città di Pergamo (Pergamum) (Nat. XIII, 70), sia per definire la giurisdizione del suo territorio (pergamena vocatura eius tractatus iurisditio) (Nat. V, 126). Un’ulteriore citazione si trova in Diogeniano, autore del II secolo d.C. di una raccolta di proverbi (Centuria III, 2), generalmente tradotto: “Dire cose più vecchie della pergamena”; il termine greco utilizzato è diphthéras che può significare sia pelle sia pergamena, non è quindi chiaro a cosa si riferisca. Il racconto tradizionale sull’origine della pergamena, così come riportato da Plinio e da san Girolamo, fu ripreso da Isidoro Siviglia (560-636), che lo arricchisce di particolari ed elenca anche i principali tipi di pergamena (Etym. VI, XI, 1-5):

I re di Pergamo, trovandosi sprovvisti di fogli di papiro, escogitarono per primi l’uso di membrane, donde il nome di pergamena conservatosi fino a oggi nella tradizione. La pergamena è anche chiamata membrana in quanto staccata dalle membra delle pecore. In un primo momento le pergamene si fabbricavano di colore giallastro, cioè color zafferano; in seguito invero a Roma, entrarono in uso membrane bianche, che si rivelarono però poco utili, sia perché facilmente soggette a macchie, sia perché fonte di fastidio per gli occhi del lettore: per questa stessa ragione, gli architetti di maggiore esperienza ritengono che non si debbano porre nelle biblioteche soffitti a cassettoni dorati o pavimenti che non siano di marmo di Caristo, in quanto il fulgore dell’oro offusca la vista, mentre il verde del marmo di Caristo la rinfranca. Anche coloro che praticano il mestiere di cambiavalute, a esempio, pongono panni color mirto sotto le monete e gli intagliatori di gemme guardano ripetutamente dorsi di scarabei, più verdi di qualunque altra cosa, e anche i pittori fanno la stessa cosa per ristorare con tela verde la vista affaticata. Le membrane possono essere bianche, giallastre o purpuree: le bianche sono tali di natura; le giallastre sono bicolori, in quanto una parte è tinta di color zafferano dal fabbricante. A proposito di quest’ultimo, Persio scrive: “È già pronto il libro e la membrana bicolore con i peli raschiati” [Persio, Satirae, III, 10]. Le membrane purpuree, invece, sono impregnate di porpora: su di esse l’oro e l’argento delle lettere, fondendosi con il colore del foglio, acquistano particolare rilievo.

Medioevo europeo

Fino all’introduzione della carta nel tardo XI secolo, la pergamena era il principale supporto scrittorio. In seguito alla diffusione del nuovo supporto, più economico, la pergamena fu gradualmente abbandonata, riservata alla scrittura dei codici di lusso. Un tentativo di porre un limite alla rapida diffusione della carta, materiale di scarsa resistenza e durata a vantaggio della pergamena, fu fatto dall’imperatore Federico II (1197-1250) con un decreto del 1231 (Constitutiones Regni Siciliae, lib. I, tit. 81) nel quale proibiva ai notai di scrivere gli instrumenta publica con charta papyri, riferendosi alla carta di cellulosa. Il nome di charta papyri, si trova anche in uno scritto del giurista Odofredo (morto nel 1265) che diceva ai suoi allievi: “Dovete sapere che i miei libri furono scritti in parte su carta di papiro, e in parte su pergamena”. Alla stessa maniera uno statuto di Padova del 1236 dichiarava nullo ogni documento scritto su carta. La diffusione della pergamena fu vastissima fino alla fine del medioevo, sostituendo il papiro e gli altri supporti scrittori, almeno fino al XVI secolo, quando è ancora possibile trovare opere stampate su pergamena e non su carta. Un suo uso nella stampa lo abbiamo anche nel XX secolo, nel caso di particolari edizioni d’arte dove oltre una tiratura stampata su carta, due o tre copie sono impresse su pergamena.

Paesi arabi

La pergamena è citata nel Corano (52:3) dove è utilizzato il termine raqq (Gacek 2001, p. 31), mentre il termine qirṭās può indicare sia il foglio o il rotolo di papiro (Gacek 2001, p. 61) sia la pergamena o la carta di stracci (Corano 6:7): “Anche se avessimo fatto scendere su di te un rotolo scritto su papiro/pergamena e con le mani loro lo avessero palpato, i kāfirūna avrebbero pur sempre bestemmiato: Questa è stregoneria accertata”. E ancora (Corano 6:91): “La scrivete su pergamena per farla vedere, ma ne celate una buona parte”. La pergamena è anche chiamata waraq (foglio) o waraq al-maṣāḥif (pergamena coranica) (Gacek 2012, s.v.). Nonostante l’antica supremazia dei codici in pergamena – supporto legato per lo più al libro sacro – le collezioni di manoscritti in scrittura araba non ne comprendono che pochi esemplari e questo fattore, oltre all’esiguità degli studi dedicati al suo impiego da parte dei copisti musulmani, spiega come sia attualmente difficile fornire un quadro completo dell’utilizzazione di questo supporto all’interno del mondo islamico (Pedersen 1984, p. 55-57). Le antiche fonti arabe non forniscono alcuna indicazione sulle specie animali impiegate nella produzione della pergamena; gli autori che hanno parlato di questo supporto si riferiscono alla pecora, alla capra e al vitello, ma sembra che la pelle di pecora fosse quella cui si ricorreva più comunemente. Nel Kitāb al-anwā (Calendario di Cordova) dello storico ispano-arabo ‘Arīb ibn Sa’d al-Qurṭubī (m. 976) è scritto: “La pergamena viene fatta con pelle di cerbiatto e di gazzella fino alla fine del mese di luglio”. Dal dizionario arabo di Dozy si apprende che raqq ġazāl (lett. pelle di gazzella) significa pergamena virginea, ottenuta con la pelle di piccoli capretti o di agnelli nati morti, definizione ripresa da Gacek (2001, p. 24) sotto la voce jild (raqq) al-ghazāl. Un freno alla diffusione della pergamena nei paesi arabi fu dato dal califfo di Baghdād, Harun ar-Rascid (786-809), il quale contrariamente a quanto disposto alcuni secoli dopo da Federico II, impose l’esclusivo impiego della carta negli atti cancellereschi, avendo scoperto che risultava difficile correggere con raschiature, senza lasciare traccia, su questo supporto.

Ebrei palestinesi

La pergamena era utilizzata dagli ebrei come supporto per la scrittura fino alla diffusione della carta, ma alcuni testi per uso liturgico dovevano e ancora oggi devono essere obbligatoriamente scritti su pelle, preparata secondo precise indicazioni come prescritto nel Masseket sofferim (Trattato degli scribi) (Obadja Ben Ifa 1977, v. 1, p. 4; v. 3, p. 7).
Esistono delle differenze tra la pergamena occidentale e quella orientale, attribuibile ai differenti processi di lavorazione, specialmente nel trattamento del lato pelo e ai diversi animali da cui è ricavata la pelle. Nella pergamena utilizzata in Oriente e specificatamente nello Yemen, fino alla fine del Medioevo i due lati, lato pelle e lato carne, sono facilmente distinguibili. La grana del lato pelo è rimossa e solo occasionalmente se ne possono trovare delle tracce, ma non è rasata o sfregata, così che vi è una differenza di colore tra i due lati. Nelle grandi bibbie orientali i due lati mostrano una differenza di colore: il lato pelo è più scuro del lato carne, il quale invece è più chiaro. Un colore bruno del lato pelo, indica un trattamento con tannino nella pergamena orientale, generalmente non presente in quella occidentale (Beit-Arie 1981, p. 21-26; Sirat 2002, p. 104-106).

India

In India la pergamena fu utilizzata come supporto scrittorio solo nella prima parte del medioevo indiano. AlBīrūnī nel suo Kitāb al-Hind (Sachau 1910, v. 1, p. 170- 171) scrive che le copie del Corano erano scritte su pelle di gazzella. F. Sferra (2006, p. 259) cita, tra i manoscritti della collezione Schøyen, frammenti manoscritti in sanscrito in grafia brāhmī, per lo più su foglie di palma, ma anche su corteccia di betulla e su pergamena, provenienti in gran parte da Bamiyan e risalenti al II-III secolo d.C. Documenti in scrittura indiana su pergamena sono oggi conservati a San Pietroburgo. Secondo S.K. Chatterji, le parole sanscrite pusta, pustaka, pustikā, che significano libro, sono forme sanscritizzate di post, termine pahlavi per pergamena (Shivaganesha Murthy 1996, p. 44-45).

Conclusione

Per quanto mostrato, il famoso passo di Plinio che attribuisce al re di Pergamo il primo utilizzo della pergamena, appare infondato, avendo tracce dell’uso della pergamena probabilmente fin dal periodo dell’Egitto faraonico. Certamente il ritrovamento di un testo scritto su pergamena nel sito di Dura Europo risalente al 195 a.C. attesterebbe un uso diffuso della pergamena nel Vicino Oriente anteriore al racconto di Plinio. Nonostante tutto ancora oggi sussistono molti dubbi sulla distinzione tra cuoio e pergamena, per l’uso indifferente del termine nelle lingue antiche, ma sicuramente il racconto di Plinio appare come una leggenda.

La carta

La nascita della carta è fatta risalire dalla tradizione al 105 d.C. a Cai Lun o Ts’ai Lun (pronunciato Tsaï Loun secondo la fonetica in vigore in Cina continentale dopo il 1958 e secondo il sistema di trascrizione pinyin), come è scritto nella Hou Han Shu (Libro degli Han posteriori) (Tschudin 2012, p. 77-78, nota 20). Se questa è la leggenda, gli scavi archeologici raccontano un’altra storia. I primi ritrovamenti di frammenti cartacei provengono dagli scavi condotti nel 1906-1907 da A. Stein, costituiti da tre frammenti con scrittura cinese rinvenuti nei pressi di Dunhuang, alle porte dell’Asia centrale: questi frammenti sono stati datati al II secolo d.C. Dopo di allora si sono succeduti numerosi altri ritrovamenti che hanno portato a riscrivere l’origine della carta, alimentando in Cina un vigoroso dibattito sulla sua datazione (Drège 1987, p. 643-644). I ritrovamenti effettuati sono stati oggetto di numerose analisi chimico-fisiche che hanno mostrato risultati contraddittori. La stessa datazione basata sui rilevamenti stratigrafici è stata messa in discussione, ma oggi è comunemente accettata un’origine della carta intorno al II secolo a.C., come confermato da numerose fonti letterarie. Il frammento più antico conosciuto è una mappa risalente al II secolo a.C. trovata nel 1986 a Gansu Fangmatan in una tomba del periodo degli Han occidentali (187-141 a.C.) prodotta con fibre di canapa (Wilkinson 2018, p. 1029; Yrong Ma 2010, p. 17). Importanti ritrovamenti sono stati fatti anche a Dunhuang, dove il frammento più antico di carta risale al 65 a.C., su cui appare parte di una lettera scritta (Wilkinson 2018, p. 1029).

La carta come supporto scrittorio

Il più antico frammento di carta che reca dei caratteri è stato trovato nel 2006 in una località a nord-ovest di Dunhuang ed è stato datato all’8 a.C. (Wilkinson 2018, p. 1029). Sui primi utilizzatori della carta come supporto scrittorio, alternativo alla seta, va ricordato Cui Yuan, morto nel 143 d.C., che volendo ricopiare un libro molto lungo sulla seta, non aveva abbastanza stoffa e decise di continuare la scrittura sulla carta; e ancora Yan Du, morto nel 167 d.C., il quale memorizzò l’intero testo delle cronache delle Primavere e Autunni, poiché non aveva abbastanza carta per trascrivere tutto il testo (Polastron 1999, p. 18). Da fonti letterarie apprendiamo che durante il regno di Hsüan Ti (25-36) la carta era in uso presso la corte, insieme al pennello e all’inchiostro e che la copia del Chhun Chhiu Tso Chuam scritto su carta, fu dato a coloro che studiavano i classici alla corte degli Han nel 76 d.C. Numerosi documenti di carta sono stati scoperti nel Turkestan cinese datati al III secolo d.C., mentre Hsün Hsü (231-289), custode della biblioteca imperiale della dinastia Qin, scrive che i libri di bambù scoperti nella tomba del regno di Wei furono copiati su carta e conservati in tre diverse collezioni. L’incremento dell’uso della carta come supporto scrittorio è attestato anche nelle registrazioni delle prime bibliografie storiche. Da questo si può concludere che la carta fu utilizzata per scrivere fin dal I secolo d.C. ma il suo utilizzo si diffuse solo dal II o III secolo d.C. (Tsien 1987, p. 86). Il più antico esempio di un libro scritto completamente su carta è probabilmente il Phi Yü Ching (Parabole sūtra), scritto nel 256 d.C.

Figura 3 Pila idraulica a magli multipli per la triturazione in acqua di vecchi stracci per la preparazione della pasta da carta per la produzione artigianale di fogli.

Collezione: Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano

La carta e gli Arabi

Sappiamo che dalla fine del VI secolo d.C. la carta fu importata dalla cancelleria Sassanide e utilizzata al posto della pergamena. Si narra che Cosroe II (570 circa - 628) re dei persi, infastidito dall’odore della pergamena, fece venire dall’Asia centrale una carta cinese tinta di giallo e profumata all’acqua di rose (Dupuigrenet-Desroussiles 1983, p. 192). Nel codice arabo n. 1734 della biblioteca del Monastero dell’Escorial è scritto che nell’anno 88E/706 un tal Josephus, conosciuto come Amru (forse il califfo Omar), fu il primo che portò la carta alla Mecca e che il persiano Ali Ben Mohamed (probabilmente Abū Ḥāmid Muḥammad ibn Muḥammad al-Ghazālī) autore di una Storia degli Arabi, assicura che a Samarcanda nell’anno 30H/651 si fabbricava la carta, la cui arte era stata appresa dai Cinesi. Come rileva lo stesso Valls i Subira (1978, p. 63) nel riportare la notizia, si tratta sicuramente di un errore, perché Samarcanda fu conquistata dagli arabi solo nel 712. Molti studiosi, a eccezione del Briquet, tendevano a far cominciare la produzione della carta a Samarcanda nel 751, anno dell’insurrezione del Turkestan contro la Cina. Oggi molti sono dell’opinione che già nel 651 o comunque all’inizio dell’VIII secolo a Samarcanda si producesse la carta, conoscenza acquisita dagli arabi dopo la conquista della città nel 712 (Valls i Subira 1978, p. 64). Queste informazioni provenienti da diverse fonti storiche contrastano però con le cronache arabe tradizionali, secondo le quali nel 751 il governatore generale del califfato di Baghdād durante la battaglia di Talas contro gli eserciti della Cina per il controllo dei territori dell’Asia centrale avrebbe catturato due fabbricanti di carta cinesi, i quali rivelarono il segreto della sua fabbricazione. A seguito di ciò a Samarcanda sarebbe stata creata la prima cartiera dei paesi islamici. Questa narrazione doveva essere molto diffusa nel mondo arabo se anche al-Bīrūnī la cita alcuni secoli dopo i fatti nel suo Kitāb al-Hind (Sachau 1910, v. 1 p. 171). Questa leggenda, di cui non si trova curiosamente traccia nelle cronache cinesi in genere molto precise nel registrare ogni evento, fu ritenuta infondata per primo da Karabacek (2001, p. 18) ed è ormai considerata una storia priva di fondamento, nonostante molti manuali, anche recenti, continuino a riportarla come autentica. Secondo Bloom (2001, p. 43-45) che ha dedicato un ampio studio alla storia della carta nei paesi arabi, la manifattura della carta a Samarcanda risalirebbe ad alcune decine di anni prima della battaglia di Talas. Tralasciando le numerose altre testimonianze, si può citare Ibn al-Nadīm (1970, p. 39-40) che nel suo Kitāb al-Fihrist scrive che la carta Khurasani (Warq al-Khurasani) fatta con le fibre del lino, secondo alcuni apparve durante il periodo di Banū Umayya nel VII secolo d.C., mentre secondo altri durante il regno Abbaside. Oggi la maggioranza degli studiosi ritiene infondata la leggenda che vorrebbe che il segreto della produzione della carta sia stato appreso dagli arabi, dopo la battaglia di Talas. Al contrario si ritiene che questa conoscenza sia stata acquisita nell’ambito di una diffusione in Asia di questa tecnica, in particolare attraverso la via della seta.

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