Playing Games in the School Library
davide.panceri@gmail.com
Abstract
Recensione di Davide Panceri al libro di Sarah Pavey, Playing Games in the School Library, London, Facet Publishing, 2021, 342 p.
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Probabilmente in Italia le biblioteche scolastiche non stanno benissimo, e ci sarebbe bisogno di rendere effettiva questa presenza prima di pensare a come giocarci, ma possiamo prendere come spunto questo Playing Games in the School Library di Sarah Pavey per lavorare e fare proposte a tutti i livelli in questo settore con maggiore consapevolezza. La realtà in cui nascono queste esperienze è abbastanza lontana dalla nostra, e non ci sono esempi di provenienza italiana, ma diverse proposte sono condivisibili e adattabili da parte di bibliotecari che lavorano con le scuole e di docenti che gestiscono biblioteche scolastiche.
Il testo, oltre ai numerosi risvolti pratici, si distingue per l’attenzione ai fondamenti pedagogici e teoretici del gioco, utile in abito educativo in quanto permette di mettersi alla prova in un ambiente protetto, svolgendo attività anche complesse per le quali una preparazione puramente teorica non basterebbe, e di commettere errori con conseguenze solitamente tollerabili (graceful failure).
Alle premesse teoriche è dedicato il primo dei dieci capitoli, che innanzitutto distingue gamification (molto in generale, dare incentivi a chi apprende) e game-based learning, l’apprendimento che avviene attraverso il gioco, il vero protagonista del libro, mentre la gamification o ludicizzazione è sostanzialmente deprecata in quanto produce motivazione estrinseca. Le sei teorie che servono da guida nella progettazione delle attività sono behaviorismo o comportamentismo, cognitivismo, costruttivismo sociale, teoria dell’apprendimento sociale, delle intelligenze multiple, e brain-based learning. La scelta delle attività è influenzata dal paradigma di riferimento: un quiz individuale è skinneriano, ma se è predisposto da un gruppo di pari forma nuova conoscenza in un quadro di costruttivismo sociale.
Con il secondo capitolo si passa alla pratica presentando alcuni casi individuali di studenti con caratteristiche e debolezze particolari (scarsa autostima, eccessiva competitività, tratti autistici, timidezza ecc.) e i rispettivi approcci personalizzati. Ciascuna situazione è sommariamente descritta anche nei suoi risvolti sociali, proponendo (o forse riportando) possibili interventi ludici e risultati che verosimilmente si potrebbero ottenere, facendo anche leva sulle risorse dell’ambiente e in particolare dei pari.
Con il terzo capitolo l’attenzione si sposta sul gioco e sulla sua struttura. I primi giochi proposti sono semplici e basati su slide, realizzate con software per presentazioni, chiari, accessibili e con pochi obiettivi ma non banali per non annoiare. Al termine è fondamentale il feedback: non basta contare i punti, premiare i vincitori e correggere chi sbaglia, bisogna commentare, condividere e discutere le esperienze vissute sottolineando i risultati di crescita personale, apprendimento e motivazione.
Gli esempi proposti partono da semplici immagini che appaiono e scompaiono – magari in base alle risposte di un quiz –, a proposte più complesse come percorsi o ambienti immaginari. Qui si raccomanda al bibliotecario una stretta collaborazione con i docenti per assicurarsi di lavorare su obiettivi di apprendimento condivisi, evitando di erogare insignificanti singole lezioni. Le tipologie di giochi esemplificate sono molte, promuovono atteggiamenti attivi e prefigurano quelle più complesse che seguiranno.
Argomento del quarto capitolo sono i giochi digitali: rispetto alle slide si usano tecnologie più complesse tra cui app per smart device o videogiochi commerciali, con opportuni accorgimenti e facendo attenzione ai potenziali rischi soprattutto in rete e in ambiente social.
La discussione sui videogiochi è ampia, e comprende gli effetti sulla lettura; sul piano pedagogico, il videogioco è sostanzialmente behaviorista, ma il paradigma cambia se lo producono gli studenti. Diversamente dai giochi con slide, questa attività non è banale, richiede tempo e studio e potrebbe animare un coding club gestito dalla biblioteca. Un’attività così impegnativa potrebbe portare a collaborazioni con i docenti di informatica, ma anche a imparare dagli studenti. Le segnalazioni utili su strumenti per la creazione di giochi non mancano; un po’ meno precise sono le indicazioni più tecniche sulla programmazione, e forse avvicinare gli alunni a Scratch, Python e JavaScript non è del tutto appropriato, anche se comprensibile in un manuale non specifico.
Altre segnalazioni di strumenti informatici si trovano nei capitoli 6 e 7, a livelli tassonomici più alti, mentre qui si candida a strumento di gioco lo stesso sistema di gestione della biblioteca, con o senza gamification.
La sezione dedicata ai social media si sofferma su criticità come l’età legale di fruizione ed eventuali blocchi nelle reti scolastiche; soluzioni almeno parziali possono offrirle fake book e Twister, che imitano alcuni social in un ambiente più sicuro.
Tra i numerosi suggerimenti o accenni, un saggio consiglio è chiedere a chi sa di più, anche per il reperimento di risorse e contenuti, tra le quali spiccano Google Arts & Culture o l’area 3D Digitalization Open Access del museo Smithsonian per gallerie e mostre virtuali.
Su applicazioni digitali come Kahoot, Socrative, Quizlet, Nearpod e Pear Dec, gratuite nelle versioni limitate, il consiglio è di lasciare più spazio agli alunni facendo produrre a loro, in collaborazione, i quiz, ottenendo da questa modalità attiva lo sviluppo di nuova conoscenza.
Le criticità dei giochi come restrizioni di accesso a scuola, requisiti hardware o motivazione scarsa rispetto alla complessità delle piattaforme possono portare all’uso di giochi fisici, argomento del quinto capitolo: qui usiamo (con cura) materiali concreti come carta e cartoncino, sfruttando come spazio di gioco la stessa biblioteca.
Questi giochi comportano interazione verbale, contatto oculare e uso del linguaggio corporeo, sviluppando importanti abilità sociali mentre si esplorano e apprendono discipline e contenuti. I giochi non verbali inoltre fanno lavorare insieme studenti di diversa madrelingua.
Le molte attività, proposte e segnalazioni andrebbero localizzate per area geografica e lingua: non tutti i giochi qui menzionati esistono da noi, serve quindi un supplemento d’indagine per integrare le informazioni.
Il sesto capitolo riguarda i giochi misti, che possono avere una componente elettronica o digitale accanto a quella concreta, come ad esempio un quiz musicale, realizzabile con vinile, CD, file mp3, Spotify, o magari piccoli registratori come i talking tiles; tutto questo sempre in una pedagogia attiva del gioco.
Il settimo capitolo riguarda il livello di gioco più alto sul piano cognitivo, nel quale vere e proprie sfide mettono alla prova l’uso della conoscenza integrando abilità di comunicazione e ricerca in un quadro di collaborazione ed empatia. I risultati attesi guardano oltre la scuola. Tra gli esempi, dal semplice al complesso: il Chinese Whispers, da noi telefono senza fili; poi l’unione di realtà e fantasia nella discussione di gruppo su cosa hanno fatto i giocattoli preferiti lasciati una notte in biblioteca; più avanti si arriva a dibattiti in cui si difendono posizioni dopo essersi informati su una tematica. Anche giochi di ruolo tipo Dungeons and Dragons o Warhammer potrebbero rientrare nei live game, e chi vuole può farsi organizzare una escape room a pagamento o, al contrario, scaricare un tamplate cercando di creare qualcosa di nuovo. Le opportunità sono molte così come gli esempi pratici proposti.
Il capitolo sulla gamification è ricco di spunti e riflessioni, soprattutto critici, verso questo approccio skinneriano premiante, efficace ma che non mette al centro dell’apprendimento la persona se non come fruitore; si può riadattare con opportune precauzioni che tengano conto delle sue caratteristiche, controindicazioni ed effetti distorsivi.
La gamification va maneggiata con cura e usata per poco in piccole dosi, anche perché potrebbe rivelarsi costosa per una biblioteca scolastica; creare dipendenza ed eclissare gli aspetti educativi delle attività per via del focus sui punteggi.
Il nono capitolo esamina l’impatto che possono avere gamification e apprendimento basato sul gioco sulla comunità: la biblioteca scolastica può diventare un hub sociale della scuola, dove si imparano abilità di vita attraverso la lettura e partecipando alle attività ludiche proposte, in sinergia con le biblioteche dipartimentali e facendo sistema con la scuola.
Per quanto riguarda la condivisione delle esperienze, bisogna stare attenti alla normativa sul diritto d’autore; le informazioni che troviamo andrebbero in parte approfondite e localizzate prima di mettere in rete materiale a rischio di violazione dei diritti.
Non è facile valutare le attività ludiche e i loro risultati; si potrebbero progettare strumenti adatti, magari basandosi proprio sugli stessi approcci, ma servirebbe parecchio lavoro. Non deve però mancare una comunicazione puntuale delle attività con dati significativi.
Il potenziale che le biblioteche scolastiche hanno come luoghi d’incontro e scambio potrebbe estendersi ai laboratori creativi che soprattutto in ambito informatico portano etichette esotiche e affascinanti come hackerlab, fablab o makerspace. Qui si progetta un po’ di tutto usando materiali eterogenei, dai ritagli di carta alle stampanti 3D. In Italia una prospettiva di sviluppo del genere potrebbe servire come proposta per futuri progetti innovativi, cercando di convincere chi amministra, in base a elementi concreti, che queste strutture sono un buon investimento per la società.
Questo concetto è ribadito nel decimo capitolo dedicato al lavoro sugli adulti con gli approcci ludici e gamification. Oltre a condividere obiettivi e metodi con le istituzioni in cui si lavora; serve stima reciproca, che cresce se il bibliotecario prepara ed eroga gli interventi con estrema cura. Il confronto con la dirigenza dev’essere rispettoso e cortesemente fermo nell’affrontare eventuali problemi, senza compromettere la relazione collaborativa. La partecipazione agli eventi a tema su argomenti spesso vicini alle specificità del servizio, come clima, letteratura o sicurezza serve a farsi conoscere e a coinvolgere anche i genitori e la comunità in senso più ampio, magari scendendo a compromessi con iniziative pop e anche un po’ di gamification.
La conclusione del libro è un invito a creare e sperimentare con fiducia; la lettura sequenziale o mirata per capitoli può aiutare i bibliotecari scolastici a intraprendere un cammino consapevole, raccogliendo suggerimenti e spunti da approfondire e adattare al proprio specifico contesto, e sempre ricordando di essere educatori consapevoli e non semplici intrattenitori.