Se i bibliotecari facessero la rivoluzione
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Il "giallo" dello storico Paolo Gaspari suscita più di qualche riflessione sullo stato delle biblioteche italiane oggi e su come promuovere il loro sviluppo
Elena Malatesta e i delitti della rivoluzione bibliotecaria (Udine, Gaspari Editore, 2021) è il primo “giallo” scritto da uno storico, editore e libraio friulano, finora noto per i suoi saggi importanti su Caporetto e la storia militare della Prima guerra mondiale, e non solo. E questa inedita immersione letteraria, di un professionista affermato nel suo settore dopo una vita passata in archivio, è già di per sé un aspetto curioso, anche se non troppo raro a incontrarsi. Si annoverano ormai tanti storici tentati dal romanzo (storico, per lo più), per dare corpo a personaggi che i documenti d’archivio non avevano del tutto svelato, o per spingersi ad approfondire anche da un punto di vista psicologico i tratti intimi solo accennati dei protagonisti di quei saggi.
Il genere letterario prescelto dallo storico questa volta è però il giallo, più precisamente il sottogenere poliziesco, dove le due belle e atletiche protagoniste, le giovani commissarie capo Elena Malatesta e Ala di Falco, armate di tutto punto, combattono contro i nemici della “rivoluzione bibliotecaria”, alla fine piegandoli in uno scontro piuttosto cruento e non privo di colpi di scena degni di personaggi ardimentosi e acrobatici del calibro di Lara Croft. Ma non è certo sul realismo di certe situazioni estreme, dove Elena e Ala dimostrano tutto il loro straordinario coraggio, o sull’abilità investigativa nell’analizzare il mondo multiforme dei beni culturali in Italia, tra furti, valorizzazioni mancate e contemplazioni di bellezze artistiche rimaste per troppo tempo inesplorate, né la capacità di calarsi nelle logiche burocratiche e amministrative per svelare come nascono, all’opposto, certe illuminanti proposte di legge sulla valorizzazione turistica del nostro Bel Paese. È invece su quella “rivoluzione bibliotecaria” che la nostra attenzione, nel corso della lettura di questo trascinante romanzo di oltre 460 pagine, chiaramente si sofferma, per capire innanzitutto di che cosa si tratta e soprattutto quanto, di quella utopistica “rivoluzione”, possa avere un rapporto con l’oggi, una sua giustificazione, o ancora una sua possibile verità.
Proviamo a descrivere queste biblioteche che la riforma dovrebbe creare e rinnovare con le parole usate dall’autore, iniziando dall’idea stessa di biblioteca pubblica che si vorrebbe vedere realizzata in ogni comune e su tutto il territorio nazionale, ma in particolare nel Sud, dove la presenza di questi servizi è ben più rarefatta: “Strutture moderne, agili, [...] incubatrici di processi di inclusione e di coesione sociale in grado di attivare energie nella comunità ed essere anche luogo di aggregazione per le fasce più deboli della popolazione” nel segno di un’“utopia di un’Italia più larga e più civile”. E ancora: “Biblioteche intese come luoghi di scoperta, di socializzazione, cuori pulsanti della vita dei quartieri delle periferie delle grandi città e delle cittadine dell’Italia centro meridionale in cui socializzare”. Un’immagine – ripetutamente riproposta tra le pagine del romanzo – indubbiamente aggiornata di biblioteca pubblica, inclusiva e sociale, che si contrappone a un panorama desolato, in particolare nel meridione, con comuni dove infimi indici di lettura, carenza di libri e librerie, con sistemi bibliotecari inesistenti uniti a un montante analfabetismo di ritorno e un crescente abbandono scolastico, formano un nodo inestricabile di primati negativi. Ecco allora, per contrastare tutto ciò, la “rivoluzione bibliotecaria” che un gruppo sempre più numeroso di funzionari ministeriali frustrati – spettatori impotenti di rapine perpetrate al patrimonio culturale del nostro Paese, testimoni di improvvisi scostamenti di bilancio che azzerano ogni possibilità di riscatto delle aree più diseredate del Meridione italiano – inizia a organizzare in modi sempre più articolati e diffusi, grazie anche all’emanazione di una legge, alla fine approvata dal Parlamento dopo lunghe e logoranti battaglie, che consente l’immediato utilizzo dei beni sequestrati alle organizzazioni mafiose e nelle frodi al fisco per il potenziamento dei servizi turistici e culturali.
Ma come in tutte le organizzazioni di stampo rivoluzionario che nascondono abilmente i propri adepti, affiliati in organizzazioni non proprio trasparenti, si infiltrano al loro interno delle cellule per così dire “impazzite”, pronte a fare definitiva giustizia da sé anche in modi decisamente cruenti. Tra queste avventure mozzafiato, e tra le tante città e biblioteche italiane raggiunte dalle giovani ed empatiche protagoniste, improvvisamente spariscono potenti dirigenti o assessori dal dubbio passato o dall’ancor più torbido presente, che si erano opposti ai piani di potenziamento della rete bibliotecaria nazionale e quindi predestinati ad essere fisicamente eliminati. Non sveleremo chi, tra questo plotone scelto di servitori dello Stato, sarà l’“angelo vendicatore” dei nemici più nefandi e pericolosi, ma potremmo spingerci a delinearne le caratteristiche, così come le ricaviamo dalla lettura di alcune pagine del romanzo di Paolo Gaspari: senza dubbio un moralista, dotato di alcune abilità particolari che lo faranno eccellere nell’azione, ma soprattutto affascinato da questo piano perfetto architettato da funzionari integerrimi per sovvertire clientele e corruzione. Insomma, è proprio il caso di affermare che il fine giustifica i mezzi, e che tutte le pratiche, anche le più spietate, possono trovare un fondo di giustificazione. Già, perché non vi è, ci sembra, condanna morale di fronte a questi eccessi di violenza, perché non possono essere che necessari nello svolgimento dell’azione di un romanzo giallo, e l’ideale per cui si combatte non può che essere nobilissimo, al di sopra di qualsiasi ripensamento.
A un bibliotecario-lettore, un romanzo di tal fatta, fondato su questi principi che a sua volta animano i personaggi del libro, a prescindere dai suoi meriti formali, che qui non vogliamo valutare, non può che destare dapprima stupore, e poi un misto di soddisfazione e coinvolgimento identitario per una storia che, nel mondo reale, si era vista parzialmente combattere – certo con altri strumenti – alcuni decenni fa.
Si è detto stupore e soddisfazione: già, perché si rimane stupiti che – credo davvero per la prima volta – una vasta politica di sviluppo delle biblioteche, praticata da funzionari e dirigenti incorruttibili appartenenti a più ministeri e in accordo tra loro, entri in un romanzo poliziesco come valore prioritario da difendere anche a costo della propria vita. Davvero la biblioteca vale così tanto? Davvero fare della biblioteca pubblica lo strumento principale per risanare il tessuto culturale e sociale italiano, fino ad aumentarne il PIL, è considerata un’azione politica tanto importante e determinante da guadagnarsi la rabbiosa reazione omicida della Sacra corona unita? Tutto ciò non può che suscitare un sentimento di giusta soddisfazione da parte del bibliotecario, che se ha visto tramontare tante occasioni di sviluppo della propria biblioteca per la neghittosità dell’assessore di turno o del sindaco per cui lavora, ora può anche capire che altri, magari solo in un divertissement letterario, hanno osato di più e ce l’hanno fatta.
Questo piano di promozione bibliotecaria, un progetto di ampia portata che nella finzione romanzesca viene finanziato con denaro recuperato tra le infinite pieghe dei bilanci ministeriali e da proventi derivanti dalla vendita dei beni confiscati alla mafia, mi ricorda un altro piano ministeriale di oltre sessant’anni fa, quel “Servizio nazionale di lettura” promosso da Virginia Carini Dainotti in una battaglia epocale al fianco delle biblioteche. Un riferimento che trova concretezza se non altro per la regia ministeriale e centralistica che connota anche il piano di sviluppo immaginato nel romanzo. Un riferimento particolare, che non può che nobilitare ulteriormente il nostro romanzo, ma al tempo stesso non fa che rafforzare l’identità di una forte appartenenza, che dovrebbe riempirci di giusto orgoglio, un’appartenenza legata alla biblioteca e alla sua recente storia.
Ora, nel romanzo di Paolo Gaspari, la biblioteca non è, semplicemente, la quinta teatrale davanti alla quale si sviluppa una storia purchessia. Pur in un contesto trabocchevole di avventura, condito ad arte da feste, piatti e vini ricercati, lussuosi yacht ed esclusive escursioni in alta montagna, viaggi quotidiani a bordo di treni super veloci, – lo sviluppo auspicato delle biblioteche italiane è il movente principale che fa muovere i personaggi, li fa scontrare tra loro, è il sogno e l’utopia che un’Italia sana vorrebbe pienamente realizzare per salvare sé e i suoi cittadini, per arricchire il suo prodotto interno lordo, per dare un futuro ai più giovani in termini di lavoro sia nei beni culturali, sia nel turismo.
La carica simbolica che si porta dietro questa “rivoluzione bibliotecaria” è molto forte, e vale la pena di farsi emozionare da essa per non soccombere a una globalizzazione sempre più prevaricante, distante dal libro e dai luoghi deputati all’informazione e alla conoscenza.