Le ragioni della scrittura. Piccoli scritti di paleografia
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Abstract
Recensione di Alice Ducati al libro di Stefano Zamponi, Le ragioni della scrittura. Piccoli scritti di paleografia, a cura di Teresa De Robertis e Nicoletta Giovè Marchioli, Roma, Viella, 2021, 351 p.
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Le ragioni della scrittura. Piccoli scritti di paleografia è una raccolta di saggi di Stefano Zamponi, pubblicata in occasione del suo congedo dall’insegnamento accademico, avvenuto il 31 ottobre 2019.
Il volume, curato da Teresa De Robertis e Nicoletta Giovè Marchioli con la collaborazione dello stesso autore, raccoglie nove contributi editi (pubblicati nel corso di un trentennio esatto, tra il 1988 e il 2018), e tre contributi inediti. Per quanto riguarda questi ultimi, due rielaborano delle relazioni presentate in occasione di incontri di studio tenutisi nel 2007 e nel 2010, mentre il terzo rifonde e integra in modo originale i due capitoli scritti dall’autore per The Oxford Handbook of Latin Palaeography (edited by F.T. Coulson and R.G. Babcock, Oxford, Oxford University Press, 2020), dove compaiono nella traduzione inglese di Consuelo Dutschke.
Dopo una sintetica Premessa che spiega le motivazioni e il metodo con cui le due curatrici hanno progettato la raccolta di saggi (p. 7-8), il volume offre l’elenco delle pubblicazioni di Zamponi, 123 lavori apparsi a stampa a partire dal 1974 (p. 9-18).
I saggi selezionati per i Piccoli scritti si strutturano intorno a tre nuclei tematici: la littera textualis (tre saggi, p. 27-111), la scrittura umanistica (sette saggi, p. 113-208) e alcune questioni generali e di metodo (due saggi, p. 209-248). Lo stesso Zamponi nell’Introduzione (p. 19-25) racconta come si sia avvicinato a questi particolari temi fin dai primi anni della sua attività di ricerca accademica.
Chiudono il volume la bibliografia delle opere citate in nota in forma abbreviata (p. 249-276), 64 tavole in bianco e nero (p. 277-340), l’indice dei manoscritti (p. 341-349) e la Tabula gratulatoria (p. 351). Il saggio che apre la raccolta, Elisione e sovrapposizione nella «littera textualis» (pp. 27-55), del 1988, è notevole perché “rappresenta una delle prime ricerche nelle quali sono state utilizzate con finalità paleografiche le riproduzioni dei manoscritti datati” (p. 21, n. 7). Esso si segnala inoltre per la riscoperta della regola dell’elisione dei tratti di attacco formulata nel Luminario di Giovanbattista Verini, un trattato di scrittura cinquecentesco. Tale regola – con le altre due già note, formulate da Wilhelm Meyer, delle curve contrapposte e di r rotonda – è compiutamente valida per la littera textualis italiana altamente formale dei secoli XV-XVI, alla quale fa riferimento Verini (“una scrittura ormai morta”, p. 32), ma è operante – seppur meno sistematicamente – in varie realizzazioni europee della littera textualis, a partire dal periodo di transizione dalla minuscola carolina alla nuova scrittura, iniziato nel Nord della Francia, fino alla tarda fase di diversificazione ed esaurimento della gotica in forme assai corsive o, viceversa, stilizzate. Per esemplificare l’operatività della regola dell’elisione, vengono esaminati manoscritti francesi settentrionali dei secc. XI-XIII e manoscritti in rotunda italiana del periodo 1260- 1350.
Il secondo saggio, La scrittura del libro nel Duecento (p. 57-75), analizza le caratteristiche della rotunda italiana del sec. XIII e individua i tempi e i modi del passaggio a questa forma grafica nelle aree della Toscana, dell’Emilia e del Veneto padano, dove la rotunda può dirsi ormai stilizzata verso il 1230-1240. Secondo lo studioso, i molteplici fatti grafici che concorrono a caratterizzare la nuova scrittura sono da ricondurre, in ultima analisi, all’esigenza di individuare nella catena grafica la singola parola anziché le singole lettere, una considerazione valida in generale per la transizione europea alla littera textualis. Il saggio è significativo perché viene enunciata per la prima volta la quarta regola della concatenazione grafica testuale, ossia la chiusura sulla lettera successiva da parte delle lettere concave verso destra.
Il terzo e ultimo saggio della sezione riservata alla littera textualis è il primo dei tre inediti contenuti nella raccolta. Si tratta del già citato scritto che rifonde i capitoli 25 e 26 di The Oxford Handbook of Latin Palaeography. Dal punto di vista storico-metodologico, il lavoro presenta una ricostruzione personale e alternativa rispetto a quella di alcuni manuali (come espressamente indicato nei suggerimenti di lettura della versione inglese, a p. 439). Quattro secoli di «littera textualis» in Italia (p. 77-111) delinea una storia della littera textualis italiana a partire dal suo sviluppo dalla minuscola carolina fino alle sue ultime attestazioni quattro-cinquecentesche, rinvenibili nei caratteri tipografici delle prime stampe e nei manoscritti di fattura ormai calligrafica. Il saggio si concentra sulla storia, le caratteristiche distintive e le realizzazioni della rotunda di area veneto-padana, emiliana e toscana, quale “esito originale della cultura grafica nel basso Medioevo europeo, che si differenzia con chiarezza dalle litterae textuales dell’Europa settentrionale per una esteriore rotondità e sobrietà dei tratti” (p. 79), con la specificazione che la rotunda va intesa come “soltanto uno dei possibili aspetti” (p. 103) di “un fiorire di esperienze grafiche”, aspetto che “emerge per solidità e compattezza stilistica” (p. 95) con “la stabilità di un canone [fissatosi] sotto la penna di abili copisti di professione” (p. 103). Nel saggio viene inoltre dato spazio ad altre forme grafiche usate in Italia tra Due e Quattrocento come scritture librarie (forme di littera textualis non riconducibili al canone della rotunda, cancelleresca, mercantesca, littera antiqua e bastarde) e si fa qualche accenno anche alle forme di scrittura epigrafica. Si discute inoltre dell’opportunità di ulteriori classificazioni e distinguo terminologici, in particolare, in merito alla littera Bononiensis e alla semigotica. La sezione dedicata alla scrittura umanistica si apre con il saggio intitolato icasticamente La scrittura umanistica (p. 113-126), nel quale Zamponi, con incisiva brevità, delinea una storia della littera antiqua, evidenziando alcuni snodi critici rispetto ai lavori fondativi di Berthold Louis Ullman degli anni Sessanta. Se resta indubitabile che le origini di questa scrittura siano radicate nella Firenze di Poggio Bracciolini e di Niccolò Niccoli, gli studi successivi a Ullman hanno, infatti, chiarito l’importanza delle scritture all’antica di origine settentrionale di base corsiva, testuale e bastarda, che imitano e contaminano una molteplicità di modelli (dai manoscritti in minuscola carolina, alla capitale epigrafica classica, alla tradizione grafica greco-bizantina). In Iacopo Angeli copista per Salutati (p. 127-137), vengono attribuiti alla mano di Iacopo Angeli alcuni manoscritti copiati in una scrittura all’antica di base testuale, già assegnati a un anonimo copista (Ullman) e allo stesso Coluccio Salutati (Armando Petrucci e Albinia de la Mare). Viene inoltre ribadita l’inaccettabilità dell’ipotesi avanzata da Petrucci circa un “progressivo, continuo avvicinamento agli esiti propri della scrittura umanistica” (p. 129), dalla gotica, alla semigotica petrarchesca, alla pre-antiqua salutatiana, fino alla littera antiqua: la nuova scrittura, nel canone fiorentino affermatosi con Poggio, nasce all’insegna della discontinuità rispetto alla tradizione testuale trecentesca. Tale volontà di rottura, peraltro, non impedisce che la littera antiqua restaurata risenta sotto alcuni aspetti proprio della littera textualis, come viene dimostrato nel successivo saggio Aspetti della tradizione gotica nella «littera antiqua» (p. 139-152). La scrittura all’antica, non solo nelle sue sperimentazioni non canoniche e nelle sue più libere realizzazioni settentrionali, ma anche nei più canonici manufatti fiorentini, continua l’organizzazione della catena grafica tipica della littera textualis e, in molti casi rispetta, le quattro regole che determinano la concatenazione delle lettere all’interno della parola. Le metamorfosi dell’antico: la tradizione antiquaria veneta (p. 153-172) tratta soprattutto dell’affermarsi della maiuscola antiquaria derivata dai modelli epigrafici classici, in pittura, nell’epigrafia e nelle scritture librarie e documentarie. L’uso della capitale classica ha avuto la funzione di “paradigma normalizzatore” (p. 168) anche sulla minuscola all’antica che si è assestata nelle forme posate della littera antiqua tonda e nelle forme corsive nella cancelleresca italica.
Gli ultimi tre saggi della sezione umanistica affrontano argomenti più circoscritti. I primi due sviluppano dei casi esemplari trattati nei saggi più generali che li precedono, e sono entrambi incentrati su Felice Feliciano e la maiuscola antiquaria. In Il paradigma e la fine della scrittura: l’«Ercole Senofontio» del Feliciano (p. 173-187) sono descritte la storia e le caratteristiche di due manoscritti copiati interamente in maiuscola, incarnazioni estreme del riconoscimento della capitale quale unica vera scrittura dell’antichità (Padova, Biblioteca Civica, B.P. 1099 e Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1388); in Epigrafi di tradizione antiquaria nel Castello del Buonconsiglio di Trento (p. 189-198) si individua un corpus epigrafico che, commissionato dal vescovo Johannes Hinderbach verosimilmente per ispirazione di Feliciano, testimonia una precoce diffusione della maiuscola antiquaria veneta “ai margini della geografia culturale umanistica” (p. 163).
Il saggio che chiude la sezione umanistica, secondo contributo inedito della raccolta, «Virgulariter» e «inferius». Giovan Francesco Cresci e la disputa sulla corsiva (p. 199-208), esamina il trattato di scrittura di Cresci che nel 1560 descrive compiutamente la cancelleresca corsiva, una scrittura che costituisce “l’ultima trasformazione, in forme tecnicamente corsive, della cancelleresca italica, la scrittura di tradizione umanistica che domina tutta la prima metà del Cinquecento” (p. 24).
Per quanto riguarda la sezione di interesse più generale della raccolta, in Struttura, esecuzione, stile: ripensando il protocollo Mallon (p. 209-229) si ribadiscono alcune questioni di principio per la definizione di un protocollo di analisi paleografica. Sono elementi strutturali, utili a distinguere in diacronia i cambiamenti del sistema di scrittura, la morfologia e il ductus della singola lettera e la concatenazione grafica per mezzo di eventuali legature, nessi ed elisioni. Sono fatti esecutivi, utili a distinguere in sincronia mani di scriventi diversi, l’angolo di scrittura (o angolo di massimo spessore), il modulo, il peso e l’angolo di inclinazione. Lo stile si caratterizza come una selezione di fatti esecutivi applicati in modo riconoscibile, organizzato, omogeneo e costante, di fatto “una interpretazione del sistema che non ne modifica le strutture” (p. 226). Infine, Il mestiere di paleografo (p. 231-248), ultimo inedito della raccolta, è una riflessione, rivolta ai giovani studiosi, su cosa sia la paleografia, quali debbano essere gli oggetti di studio della disciplina e gli scopi della ricerca, quali siano le metodologie di indagine da applicare e le conoscenze e le competenze da affinare, in particolare per consentire un uso critico e fruttuoso degli strumenti e dei dati che le nuove tecnologie mettono a disposizione.
I Piccoli saggi hanno, a mio avviso, un doppio valore: possono infatti essere consultati come raccolta di singoli contributi, ma possono anche essere letti senza soluzione di continuità, come un manuale di paleografia che si concentra su alcune fasi della storia della scrittura. Sono pertanto una lettura valida e stimolante sia per lo specialista (che troverà raccolti in un’unica sede alcuni importanti lavori di un paleografo di lungo corso), sia per lo studente o per l’appassionato: in tal senso, ha valore didattico il fatto che i diversi contributi, apparsi a stampa per la prima volta in autonomia, in molti casi riprendano e ribadiscano i medesimi concetti fondamentali.