Intuire la bellezza complessa
Studioso di biblioteconomia francescobarone.fb@libero.it
Abstract
Si può davvero insegnare ad amare la lettura o la lettura è un sentimento spontaneo e improvviso come l'amore? In questo lavoro, molto più vicino alla riflessione che a un contributo scientifico, l'autore prova a porsi questa domanda dopo essere stato stimolato da una visita scolastica in biblioteca.
English abstract
Can reading really be taught to love, or is reading a spontaneous and sudden feeling like love? In this work, much closer to reflection than to a scientific contribution, he tries to ask himself this question after being stimulated by a school visit to the library.
Per scaricare l'articolo in pdf visita la sezione "Risorse" o clicca qui.
In margine a una visita scolastica in biblioteca
Al termine della vostra corsa sgangherata da undicenni, così insolita per l’ora e il luogo che la accoglie, mi chiedo cosa abbiate visto – inesperti e frettolosi – tra gli scaffali ormai alle spalle.
Per molti di voi, il posto è totalmente scollato da ciò che siete abituati a vivere ogni giorno; la semantica degli oggetti è diversa, e questo un po’ vi disorienta, un po’ vi affascina. Ad esempio, qui mancano le lavagne, le cartine politiche alle pareti, i quaderni, e qualsiasi altro particolare che renda riconoscibile la sintassi confortante del vostro solito inoltrarvi nello spazio e nel tempo. Adesso siamo seduti in cerchio nell’angolo morbido con me a chiudere l’anello. Per ora non dico nulla, e come accade spesso in situazioni simili, gli sguardi mi perquisiscono in cerca di quel posto dove potrei aver nascosto tutte le parole che ancora trattengo. La quiete che ostento non occulta propositi di raccoglimento; il suo mestiere è diverso dal selezionare e mettere in fila lettere al solo scopo di soffiarvi contro dottrine rivelatrici, certezze serbate in epidittici di cui non sapreste che farvene e che, ad ogni modo, nemmeno conosco.
In compenso, i miei occhi discutono a lungo con le sagome disallineate e perplesse. Tra di esse mi è familiare quella di un bambino; lo stesso che pochi minuti fa, sulla soglia della porta, ha ritenuto un buon affare dirmi subito della sua dislessia. Anche in quel caso ho scelto il silenzio, ma adesso mi domando se nella cartella lì al suo fianco conservi una diagnosi scritta del suo disturbo. Scelgo di galleggiare nel sospetto, e taccio.
Taccio perché prima voglio ammirare i colori delle diverse aspettative che vanno via via affrescandosi nella stanza. Seppur snervata di drammaticità, avverto l’urgenza di ciascuno di voi – colleghi e insegnanti compre- si – di correre ad aprire la scatola che nascondo tra i polmoni e il pensiero. Dai vostri sguardi in sospensione, presumo che voi ragazze e ragazzi vi attendiate un gioco, o tuttalpiù parole che vi calzino bene, mentre gli adulti forse sperano in qualche mio tocco prodigioso in grado di coadiuvare il loro importante lavoro e magari di trasformare i bambini in lettori compulsivi. Tuttavia, a breve dovrò scontentare tutti, e questo perché ho la consapevolezza di non essere né un buon intrattenitore, né tanto meno un dispensatore di incantamenti. Se avessi la bravura di un catechista nel far filtrare concetti sublimi avvalendomi di un codice semplice ed efficace, magari riuscirei a trasmettervi la febbre del leggere, ma non trovo questa qualità nella mia faretra, e a dirla tutta, nemmeno macero nel desiderio di lanciarmi in un intento così ardimentoso a cui mi aggancio talaltro con il giusto scetticismo. Da questo punto di vista, sono piuttosto disaffezionato all’idea di considerare la lettura alla stregua di una disciplina, o ancor peggio, a una bella e utile consuetudine da incoraggiare e perseverare. Se stessero così le cose, allora leggere significherebbe soltanto rianimare un muscolo assopito, vivacizzare l’elasticità di un tessuto, riconoscendo di fatto al suo interno una meccanica comune a qualsiasi aggeggio. Con ciò, non intendo depotenziare l’impegno costante di lettori, insegnanti, genitori, educatori e bibliotecari (per citare solo alcune categorie) che con il loro incredibile lavoro quotidiano si battono per ottenere risultati evidenti, dico soltanto che esistono realtà che nascono nella mente, e altre che nascono e basta. Le prime sono istruite e architettate per durare, ma la loro sopravvivenza è dipesa dalla rigida osservazione delle incurvabili regole dell’esercizio e della pratica. Le altre, invece, hanno più a che fare con l’imprevedibilità; rompono la soglia dal non esserci all’esistere come a voler assecondare quel “la vita è tutto ciò che accade” di Wittgenstein, spuntando fuori senza una logica apparente ma non per questo in modo disordinato, proprio come le particelle elementari. Parafrasando le parole di Amleto: potrebbe sembrare follia, ma c’è un metodo in essa. Tuttavia, almeno dalla mia esperienza, ho imparato che ciò che germoglia nella mente è destinato a giacere lì per sempre, esposto prima o poi al lavorio impietoso dell’avvizzimento, oppure a insidiarsi come un fastidio sottinteso e infaticabile a cui non resta che rispondere con la sopportazione, il solo riparo all’idea del fallimento o della rinuncia. Le realtà generate senza alcuna autoconsapevolezza sono quelle che al contrario, storpie e sragionate, governano il sistema elettrico dei nostri giorni, fino al loro definitivo esaurimento. Mi sto riferendo in particolare a rivelazioni talmente potenti da non poter essere apprese, come accade per qualsiasi disciplina, passaggio dopo passaggio, né tanto meno addomesticate o trattate con pazienza.
Solo adesso però mi accorgo di aver commesso una leggerezza nel definirle realtà, perché se così fossero, allora avremmo in fondo l’opportunità di poterci parlare, stringere loro le mani, distinguere il colore degli occhi. Ma non lo sono, o meglio, non nella forma tangibile in cui ci riesce semplice squadrare il foglio della ragione. Eppure, hanno una consistenza ben precisa, perché pur non essendo nella facoltà di toccarci, esse ci spingono a immaginare, creare, costruire, e soprattutto a progettare. Entusiasmo, slancio, assillo, esaltazione, meraviglia, a volte perfino delirio: è in questo asterismo che, a parer mio, andrebbe intrappolata la lettura, a patto che si abbia il coraggio di autenticarla come un sentimento prodigioso, uno stato d’animo dirompente, o un talento ingenito. A patto che si possegga l’irriverenza necessaria a trattarla come un innamoramento istantaneo e inesauribile, lo stesso che non può indulgere alla rassegnazione di essere scelto per esclusione, tollerare l’attesa, o credere di poter essere spoglio di una sana avidità. Forse, in casi come questi, vale la pena essere esponenziali, concentrarsi sui colori accessi tralasciando le didascalie messe lì a spiegarli.
Mentre vi osservo, sto pensando a questo, ma preferisco non dichiararlo ad alta voce. Invece, passo a descrivervi le sale della biblioteca, la disposizione dei volumi, la morfologia del libro, e quanto altro di più aderente alla più classica delle visite scolastiche. Nonostante questo, mentre procedo di assioma in assioma, mi rendo conto dell’aritmia delle mie riflessioni rispetto a ciò che vi sto mostrando adesso. Ad esempio, mi vengono in mente le esclamazioni che ho ascoltato poc’anzi durante il vostro girovagare brado, molte delle quali riferibili alla parola bellezza e alle sue varianti.
Mi soffermo su questo termine e decido addentrarmici, interrogandomi se nell’atto di pronunciarla più volte abbiate avuto davanti agli occhi soltanto l’intonaco e la telatura di questo posto, oppure se vi siate spinti più in là, nella sua opera invisibile e straordinaria a cui si accede esclusivamente con l’intuito. Mi chiedo, senza per forza essere affetti da apofenìa, se abbiate visto l’attraversamento dei particolari filamentosi, le fibre e le trame, la simpatia che tiene unite le sue parti più nascoste. Provo a capire, insomma, se ne abbiate colta la bellissima complessità, se come Feynman in risposta al suo amico poeta, siate riusciti a percepire la bellezza di un fiore a cominciare dalle sue bande microscopiche e a stento percettibili. Infine, vorrei davvero sapere se abbiate almeno avuto sentore di quanto quella bellezza vi appartenga, e di come voi siate per essa note indispensabili alla sua accordatura perfetta.
Per questo, intanto che mi soffermo a spiegarvi cosa sia un frontespizio o un foglio di guardia, auguro a voi e a me stesso d’aver intuito ad esempio, nel breve passaggio febbrile, la signora dal viso malinconico seduta al tavolo in fondo. Lei, come tante altre persone, ha scelto la biblioteca per sbiadire i tratti marcati delle sue mancanze, e ogni giorno regala ai libri che sfoglia, e a chi le sta intorno, bolle delle sue mancanze narrate nel silenzio. Mi domando se abbiate avvertito la presenza di quel signore dal naso grosso mentre, a fatica, prova a voltare le pagine di un settimanale cercando di non avvilirsi davanti alle dita doloranti e deformate dall’artrite reumatoide. In lui vive tutta la resistenza di un vecchio gallo segnavento di campagna che non intende cedere alla ruggine di piogge sempre nuove. E poi c’è quel ragazzo ben più grande di voi, intento a mordicchiare il tappo di una biro. Se ne sta lì in ebollizione a pensare a quanto possa mostrarsi crudele il secondo principio della termodinamica, questo perché nulla, nemmeno il ghiaccio, almeno per come la vede lui, dovrebbe subire un processo irreversibile. Il dentifricio potrebbe risalire su nel tubetto, ad esempio, la pioggia precipitata riormeggiarsi al cielo, le parole sbagliate, le sue in particolare, ripiegare di nuovo in quel momento in cui erano conservate soltanto nell’intenzionalità di una perifrastica attiva mai esplosa.
Ma non basta. Se avete avuto la pazienza di spingervi oltre il corridoio, oltrepassare le finestre che lo scortano e chiazzano in tutta la sua lunghezza, e proseguire dritti fino alla sala della saggistica, con ogni probabilità vi sarete accorti anche di una giovane donna con lo sguardo inchiodato al monitor di un PC. Il suo compito è quello di sistemarci il mondo con parole per noi più intellegibili, risarcendoci in questo modo di alcune delle sue incomprensibilità. E lo fa, poi, lasciando che una nuova opera si componga tra le sue dita affaccendate così da consegnare ai nostri occhi una grammatica sensata della bellezza. Spero vi siate fermati a guardarla più di quanto sia permesso a un passaggio distratto e che abbiate sentito la stessa soddisfazione provata dai primi uomini nell’istante in cui scoprirono di poter controllare il fuoco.
Al netto di tutti i libri che hanno scortato discreti la vostra esplorazione, la biblioteca vi ha dato anche questo, e voi in un modo inconsapevole le avete restituito il favore. A dispetto di Zenone, il vostro camminare ha unito punti, costruito geometrie, disegnato nuovi frattali che, su scala diversa, rintraccerete varie volte nello spazio lì fuori: negli oggetti che toccherete, nelle persone con cui parlerete, nelle scelte e nelle azioni che compirete. In una nota intervista, uno dei più grandi e sinceri scrittori americani del Novecento, David Foster Wallace, si domandava cosa in effetti avremmo avuto da offrire noi lettori ai libri, e non solo il contrario. La risposta non è affatto semplice, e forse nemmeno esiste, o perlomeno io non la conosco. So per certo, però, che a prescindere se oggi o un giorno diventerete divoratori di letteratura oppure no, addentrandovi in questo luogo, stanza per stanza, sappiate d’aver rilasciato la vostra presenza nell’aria, e probabilmente, senza nemmeno accorgervene, siete stati abili nel ritoccare il normale andamento degli eventi e dei pensieri di chi a malapena vi ha notato. Proprio come lo scienziato che, con la sola osservazione delle particelle erranti nell’universo dell’infinita- mente piccolo, ne modifica per uno strano paradosso la loro natura di onda o corpuscolo.
Ma al pari delle più classiche simbiosi mutualistiche, qualcosa durante il breve percorso è rimasto incastrato anche sotto le vostre scarpe. Che sia solo polvere o sedimenti di un amore improvviso non sta a me dirlo. Tuttavia, sospetto che appena avremmo terminato qui, andrete via scorniciati da questo posto con nuove tracce di consapevolezza, e con quelle inizierete involontariamente a impollinare il mondo, consegnandogli una nuova calligrafia in addizione a tutte quelle che già sono e che servono ad autenticare la complessità della sua bellezza.