N.5 2022 - Biblioteche oggi | Luglio-Agosto 2022

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Sabina Magrini e la Biblioteca Medicea Laurenziana

Franca Arduini

franca.ardu@gmail.com

Abstract

Per undici anni della sua breve vita, Sabina Magrini (Roma, 28 luglio 1969 - Grosseto, 16 maggio 2022) ha lavorato alla Biblioteca Medicea Laurenziana come responsabile delle risorse informative. L'autrice ripercorre i progetti più significativi che ha realizzato per rendere disponibili le risorse della Biblioteca da remoto. In alcune lettere scritte tra il 2006 e il 2010 emerge una riflessione non banale che la porterà a scegliere la professione di manager nella consapevolezza di avere qualcosa da dare in tale veste.

English abstract

For eleven years of her short life, Sabina Magrini (Rome, July 28, 1969 - Grosseto, May 16, 2022) worked in the Biblioteca Medicea Laurenziana as Head of Information Resources. The author traces the most significant projects she carried out to make the Library’s resources available remotely. In some letters written between 2006 and 2010 emerges a non-trivial reflection that will lead her to choose the profession of manager in the awareness that she has something to give in that capacity.

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Quando nel 1996 fui incaricata della direzione della Medicea Laurenziana ebbi finalmente quella biblioteca che corrispondeva alle mie aspirazioni. Avevo tanto criticato la mancanza dei ruoli delle biblioteche statali, sempre più incongruenti e confusi e ora entravo non solo nell’Empireo di Teresa Lodi, ma in una delle poche biblioteche caratterizzate da una precisa fisionomia e da un ruolo conseguente. Dopo la mia lunga permanenza in Nazionale – dove la discussione sul tema fu sempre accesa e solo parzialmente risolta – avevo sperimentato sia la direzione dell’Universitaria di Bologna sia quella della Marucelliana, definita un tempo “avente particolari compiti e funzioni”. Ora potevo verificare se sarei stata in grado, conservando la specificità della Laurenziana, di aggiungere gli strumenti che si richiedono a una biblioteca di ricerca, con l’uso delle tecnologie che già allora erano disponibili e che si sarebbero certamente affinate. Il compito di conservare un tesoro librario e artistico di eccellenza era sempre stato assolto con dignità, ma non c’è dubbio che la selettività imposta a una libera ricerca scientifica non si limitava solo a un orario ridotto – come il direttore generale non si stancava di definire “postale”: dalle 08.00 alle 14.00 – ma addirittura poneva difficoltà fisiche all’ingresso. Introdursi attraverso il portoncino dello studio di un canonico, diviso in due ante, costringeva gli studiosi a inserire prima la propria borsa, per poi entrare in posizione laterale. A queste difficoltà si poté rimediare quasi subito, previa contrattazione sindacale, con il prolungamento progressivo degli orari fino al pomeriggio in alcuni giorni, poi in tutti, salvo il sabato e con l’intervento del nostro falegname Roberto Ferretti che unì i due battenti. 

Seguirono anche altri cambiamenti più complessi come l’informatizzazione delle procedure amministrative, l’adesione al polo fiorentino dell’SBN, il rifacimento della sala di studio adottando criteri idonei alla conservazione dei codici, ma anche alla comodità degli studiosi, grazie anche ai residui di bilancio e alle assegnazioni straordinarie. La lettura dei microfilm fu spostata in un piccolo locale attiguo alla Sala che si affaccia sulla Sagrestia vecchia della Basilica di San Lorenzo, restaurato e illuminato solo da un’antica finestra con vetri colorati. Nella convinzione che si lavora meglio se il contesto è bello, avevo fatto togliere dalla stanza della direzione i vecchi scaffali contenenti libri di consultazione e i duplicati dell’Archivio della biblioteca, convinta che c’era da scoprire ben altro oltre i putti volanti sulla volta dipinta di azzurro. Al ritorno dalle ferie trovai lo studio del canonico con il suo stemma, le pareti completamente affrescate da paesaggi settecenteschi, il mare sul quale si affacciava un falso balcone. Fino a qui la mia esperienza, la scelta oculata di ditte informatiche che mi accompagnarono poi per molti anni e l’aiuto dei colleghi della Soprintendenza che seguivano ogni intervento di carattere artistico erano stati sufficienti. Sapevo che per affrontare la condivisione in rete di strumenti di catalogazione gloriosi come il Bandini e il Del Furia o di schede manoscritte e dattiloscritte sempre cartacee frutto di un lavoro pregresso – e quindi di esclusiva consultazione in sede –, e partecipare a iniziative europee a cui la Medicea Laurenziana sarebbe stata chiamata non mi sarebbero bastate né la preparazione umanistica, né l’esperienza e nemmeno la fantasia anche se già nel 1998, proprio per questo, avevo costituito un gruppo di lavoro formato da esperti, poi coadiuvato da una società di consulenza. Ma si verificò un fatto insperabile: nel 1999 la Laurenziana ospitò la sessione orale del concorso per 18 posti di bibliotecario (VIII q.f.), di cui 6 andarono deserti. Da questo concorso, strutturato tradizionalmente con prove scritte e orali, speravo un aumento dell’organico della BML, che era piuttosto ridotto anche se competente e disponibile. L’unica vincitrice che scelse la Laurenziana fu Sabina Magrini. Il suo curriculum, che oltre alla Laurea conseguita con una tesi in Paleografia e diplomatica, il diploma di specializzazione biennale in Paleografia greca della Scuola di paleografia, diplomatica e archivistica della Vaticana, il Corso triennale di specializzazione per conservatori di beni archivistici e librari di Cassino, registrava tre anni di dottorato in Paleografia, la destinava all’Ufficio Manoscritti, a cui fu subito assegnata. Dopo poco tempo Sabina Magrini chiese di parlarmi e mi espose con franchezza la sua intenzione di occuparsi delle risorse informative relative allo studio e alla conoscenza dei manoscritti. Fu subito accontentata perché avevo intuito che la giovane bibliotecaria, già molto esperta di catalogazione (aveva collaborato al Censimento dei codici di Boezio, curato da Marina Passalacqua) pensava a un progetto articolato, possedendo anche una familiarità con le procedure informatiche, e per generazione e per suo interesse. Così, a posteriori, lei stessa avrebbe sintetizzato, in una relazione, il programma della biblioteca già avviato: 

Grazie al lavoro di qualche generazione di bibliotecari la biblioteca si è dotata negli anni di una serie di strumenti spesso solo manoscritti o dattiloscritti o destinati a una circolazione più limitata che indubbiamente hanno grandemente agevolato le ricerche di chi, a vario titolo, ne studia in loco le raccolte. Mettere a disposizione quest’insieme di risorse liberamente in rete e organizzate in un reticolo di collegamenti e di relazioni ha costituito un impegno che la biblioteca ha assunto da qualche anno nella piena convinzione che, nella temperie attuale, non potrebbe offrire nulla di meno al suo pubblico.

In qualità di responsabile delle risorse informative quasi tutte le attività che si svolgevano in biblioteca ebbero in lei una referente che, con il passare del tempo, fu ricercata, coinvolta, consultata, anche perché Sabina Magrini possedeva quella dote rara di chi si impone per la sua passione, per la sua competenza e per la sua simpatia. Quando sentivo il suo passo o la sua risata ero sicura cha la mia giornata sarebbe stata migliore. Come in altre biblioteche che ho diretto il ricambio generazionale era la carenza più grave che avvertivo, una carenza destinata a poco a poco a impoverire il sapere del bibliotecario e a rendere deserte le biblioteche. Molti anni dopo seppi da lei le ragioni della sua scelta di intraprendere la professione di bibliotecaria e di non aver tentato quella accademica, ragioni che tanto assomigliavano alle mie. Scriveva nel luglio del 2006:

In fondo, ho rinunciato a fare carriera universitaria – dopo aver preso servizio in Biblioteca ho anche rifiutato un posto di post dottorato forse preludio al posto di ricercatore – proprio per non dover sgomitare, portare le borse ad alcuno e dover dire sempre di sì al barone di turno; per non parlare poi della temporaneità e incertezza della sede.

Nonostante la professione di bibliotecaria non assicurasse alcuni dei requisiti desiderati, Sabina riuscì a non abbandonare mai la ricerca, né quella autonoma ritagliata dai suoi fitti impegni famigliari e lavorativi, né quella finalizzata al lavoro bibliotecario. Nel 1999 uno dei codici più spettacolari della Laurenziana – la Bibbia Amiatina datata ai sec. VII-VIII – era stato smontato e riprodotto per un’edizione facsimilare, che prevedeva la stampa di un’unica copia identica da donare all’Abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata, dove la Bibbia era stata conservata fino all’approdo in Laurenziana nel 1784, e la stampa di copie di dimensioni minori ma proporzionate da mettere in vendita. Il restauro e la rilegatura che sarebbero state realizzate nel Laboratorio di restauro della BML, previo confronto con l’allora ICPL e altri istituti di ricerca, si erano resi necessari per rafforzarne la struttura, che presentava, oltre allo stacco del piatto anteriore, quello del primo quaderno illustrato e non più rilegato anche per i dubbi del posizionamento delle carte. Sabina Magrini fu incaricata di accompagnare l’Amiatino a Roma con la scorta e di dirigere le operazioni di restauro e legatura. Nel suo primo contributo Laurenziano Magrini affrontò la spinosa questione dell’ordine delle carte che illustrano la pianta del Tabernacolo nel deserto e la figura di Esdra, rafforzando le ipotesi dei più grandi studiosi dell’Amiatino. E sempre a proposito di bibbie, di cui era una specialista, mi avrebbe scritto più tardi nel giugno 2009: 

Non ci sono grandi sviluppi al momento su nessun fronte [in Laurenziana]. L’unica cosa carina è che qualcuno ha letto il mio articolo sulle Bibbie dei ss. XIII-XIV uscito su “Manuscripta” e mi ha invitato a sue spese a parlarne in un convegno a Gand il prossimo anno organizzato in un progetto europeo sulla traduzione in lingua del testo sacro! Esiste qualcuno che legge quello che scrivo... incredibile!!!

Più tardi, in una sua lettera del 2010, affermava:

Studiare/ricercare mi dà troppa soddisfazione per rinunciarvi; scrivere poi in un certo senso mi è terapeutico: ho scritto l’articolo sull’Amiatino per non farmi prendere dalle ansie organizzative che generalmente pigliano chi si sta per sposare; ho scritto un articolo su un frammento di Boezio alla Capitolare di Vercelli lo scorso dicembre subito dopo aver perso il bambino per dare comunque forma a qualcosa che avevo dentro di me da tempo...

Era allora abbastanza naturale che quando una biblioteca manifestava una certa dinamicità richiamasse l’attenzione della Direzione generale. Nel caso della Laurenziana, ricordo ad esempio i radicali cambiamenti, non solo degli orari e del numero degli accessi; le esposizioni quasi annuali organizzate dai Comitati dei centenari e largamente supportate dalla Fondazione Cassa di risparmio che avrebbe poi finanziato il complesso restauro delle vetrate, anch’esso coordinato da Sabina Magrini; le mostre temporanee tematiche; la quantità di spesa per investimenti; la crescita delle entrate ex legge Ronchey. In particolare, la professionalità di Sabina Magrini, che univa le competenze paleografiche a quelle tecnologiche, non passò inosservata. Nell’ottobre del 2001 la Medicea Laurenziana fu individuata come coordinatrice delle Università di Bergamo, di Bologna, Ravenna e di Roma Tor Vergata, oltre che di altre biblioteche statali, per la parte italiana del Progetto europeo Rinascimento Virtuale. Iniziato in Germania nel 1997 con lo scopo di individuare e riprodurre testi manoscritti palinsesti, il progetto si concluse nel 2005: gli interventi mio, di Sabina Magrini e di Cesare Pasini furono pubblicati in questa rivista. Sabina illustrò il progetto anche in altre sedi scientifiche, non nascondendo le difficoltà di ordine burocratico incontrate. Incaricata della direzione del progetto per la sua competenza paleografica e nello stesso tempo per la familiarità con le applicazioni tecnologiche, gestì i rapporti fra i vari enti e istituzioni, di concerto con Cesare Pasini, allora prefetto dell’Ambrosiana, partecipando a numerosi incontri in Italia e all’estero. Il suo spiccato senso di responsabilità e al contempo l’affabilità con cui si presentava ai nostri colleghi a qualsiasi livello sono stati elementi determinanti per la conclusione del progetto europeo nei tempi e nei modi previsti, con un non scontato successo sul piano della cooperazione internazionale fra bibliotecari, studiosi e ricercatori, attraverso la condivisione di linee di ricerca e di modelli descrizione adottati. In un suo intervento, scritto con Simone Falteri, direttore di Ifnet,  illustrava il cammino “digitale” che la Laurenziana aveva intrapreso con molto ritardo rispetto ad altri istituti, ma notava che questo difetto paradossalmente aveva consentito di concepire in “un unico disegno organico e modulare, l’adeguamento tecnologico dei mezzi di comunicazione”. Far colloquiare le prime esperienze con le ultime, diverse le une dalle altre per il loro linguaggio, e rendere interattivi i singoli progetti di informatizzazione di cataloghi, della bibliografia dei manoscritti, degli schedoni, avviati da anni con diverse modalità, i percorsi virtuali delle mostre che lei seguiva costantemente, richiese un lavoro notevole i cui risultati sarebbero stati apprezzati dagli utenti della Biblioteca digitale della Laurenziana. 

Nel 2006 furono assegnati ingenti finanziamenti per la digitalizzazione del Fondo Plutei della Laurenziana, secondo un progetto concordato fra me e Claudio Leonardi (SISMEL) e approvato dal Comitato Guida della Biblioteca Digitale italiana, presieduto da Tullio Gregory. Non avrei osato tanto se non fossi stata sicura della partecipazione convinta della responsabile dell’Ufficio manoscritti Ida Giovanna Rao, della dedizione e competenza dell’“illuminata” ragioniera Carla Santi, coadiuvata dal mio ex collega Alessandro Fani, e della disponibilità e del senso di responsabilità di Sabina Magrini, che fu incaricata della direzione dei lavori una volta esperita la complessa gara europea con il suo strascico inevitabile di ricorsi. Il primo bilancio dell’immane lavoro che coinvolgeva 3.900 codici fu pubblicato in internet nel 2009 e illustrato poi da Sabina nei suoi risvolti scientifici e operativi.

Nel frattempo, la straordinaria esperienza che Sabina fece nei suoi primi undici anni di bibliotecaria la portò inevitabilmente a riflettere sul suo futuro e sulla possibilità di partecipare a un concorso per dirigenti, un argomento scottante di cui volutamente non abbiamo mai parlato, ma che ora vedo trattato da lei in alcune lettere. Le sue prime reazioni, nel luglio del 2006, erano quelle abbastanza consuete, un po’ spaventate e un po’ irrazionali: come cavarsela con sindacati, direttori generali, professori universitari alla riscossa e conciliare un lavoro senza orario con quelli della sua famiglia e dei suoi altri interessi di studio e di ricerca che, seppure tra mille difficoltà, era riuscita a conciliare. Soprattutto, lei sarebbe stata privata del contatto “fattivo” con i manoscritti. Concludeva: 

Non che sia scontenta di quel che faccio in BML sia chiaro, ma penso che se mai tra i buoni propositi di quando tornerò al lavoro ci starà proprio quello di trovare più tempo quando sono al lavoro per i manoscritti in sé e forse il lavoro su Bandini con tutte le sue assurdità potrebbe essere l’occasione buona, anzi una sfida per trasformare l’ennesimo mostro ministeriale in qualcosa di utile! Questo almeno sinora è il ‘Magrini pensiero’ sull’argomento. Spero tanto però che tu non rimanga troppo delusa!

Non rimasi affatto delusa, anche perché sapevo che pochi anni dopo molte cose sarebbero cambiate. Quindi, sia io che l’“illuminata” ragioniera Carla Santi facevamo voti perché lei rimanesse con noi, avendo dimostrato di sapere lavorare in sintonia con l’amministrazione, come volevo che facessero tutti i bibliotecari. Quasi ritornando sui suoi passi, nel settembre del 2006 Sabina, ammettendo che il bibliotecario erudito “se non proprio morto è piuttosto moribondo... e che il bibliotecario manager ha indubbiamente preso il sopravvento”, affermava: 

Io non nego di volere essere “manageriale” – credo che oggi sia l’unica strada percorribile – ma che almeno io possa essere una sotto manager in un contesto che sia legato alla mia formazione, che mi interessa e che mi offra comunque ampi spunti per studi ricerche etc. etc.!

Cominciava a intuire che l’equazione bibliotecaria = studiosa non era così scontata, ma intravedeva anche il pericolo di dovere svolgere il suo lavoro in condizioni diverse rispetto a quelle a cui era abituata. E dopo due anni, in una lunga lettera che presuppone un’ulteriore riflessione, il suo “Magrini pensiero” è cambiato. Riporto, seppure con alcuni tagli, quello che mi scrisse nel dicembre del 2008 qualche mese prima del mio pensionamento e che ho riletto solo ora dopo la sua improvvisa scomparsa. Sabina era una giovane donna con valori antichi come la fede, la famiglia, il rispetto per gli altri, il disinteresse per tutto quello che è di scarsa qualità e che io sintetizzavo genericamente nell’essere “una persona seria”. Emerge qui il suo modo di concepire la professione come un impegno verso gli altri e verso se stessa che, pur mimetizzato dalla sua simpatia contagiosa e generosa, ha conquistato il rispetto, la stima e l’ammirazione di molti colleghi di lavoro fuori e dentro le biblioteche. 

Cara Franca, grazie intanto per la lettera. Mi ha commossa – davvero – e mi ha anche fatto sorridere: sembra quasi che essere “persone serie” sia un difetto! Lo è sicuramente l’essere troppo seri, cioè incapaci di rilassarsi e di godersi la vita, ma non mi sembra il mio caso... Quanto invece all’essere semplicemente “seri” stai tranquilla non è colpa tua!!! Il senso della responsabilità dei doveri effettivamente l’ho sempre avuto. Probabilmente viene “geneticamente” dai miei genitori che sono “serissimi” ed in generale dall’educazione ricevuta. Chissà? E comunque non me ne lamento ci sono difetti peggiori... Quanto al concorso, beh sì effettivamente c’entri qualcosa... Ma solo qualcosina. L’ho fatto anche per altri motivi e in un certo senso ripensandoci – molti anche sbagliati: l’ho fatto per non avere rimpianti del tipo “Oh, se non ci fosse stata Silvia piccola, avrei potuto dare una svolta alla mia carriera” (insomma tutto quel genere di recriminazioni che ti avvelenano la vita quando sei più avanti negli anni); l’ho fatto per fugare dal mio io più profondo il sospetto che non volessi affrontare il concorso per la paura di far brutta figura; l’ho fatto per orgoglio, perché onestamente stare sotto un capo cretino mi scoccia e la fortuna di avere una capa intelligente mi è toccata già una volta (e tra l’altro se ne va anche un’altra illuminata come la Carla Santi)!!!. L’ho fatto anche però – e questo è l’unico motivo “giusto” – perché sono convinta di esserne capace e di avere qualcosa da dare in quella veste. In ogni caso non ti preoccupare: la mancata dirigenza la supero tranquillamente. 

La mia vita ha un fine e una fine: e né l’uno né l’altro sono minimamente toccati dall’essere o meno dirigente!!!
Un abbraccio e il mio migliore augurio per un 2009 davvero libero e speciale! 

Sabina 

Mentre io vivevo il mio anno “libero e speciale” Sabina risultava vincitrice del concorso di dirigente e affrontava la direzione della Biblioteca Stelio Crise di Trieste con la consueta serietà (“Ho già un quadernino pronto dove mi sono segnata i titoli delle letture triestine da fare”); seguì la Palatina di Parma, una sede prestigiosa che forse non avrebbe lasciato se quasi tutte le dirigenze non fossero state inopinatamente abolite. Dal Segretariato generale dell’Emilia-Romagna passò all’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi. Ritornò a Firenze alla Direzione dell’Archivio di Stato con l’interim della Soprintendenza. Sono gli anni del Covid, delle restrizioni e della constatazione dell’inadeguatezza delle sedi. Anche in questo caso Sabina ha rivelato le sue doti manageriali, programmando il servizio, formulando progetti e ottenendo risorse per rinnovare l’Archivio. Con la riapertura dei servizi, organizzò manifestazioni originali e di grande interesse culturale a cui partecipa- va anche in veste di relatrice. Credo che Sabina Magrini avesse individuato la sede in cui la manager e la studiosa avrebbero potuto convivere con sua soddisfazione, se una morte prematura non l’avesse sottratta all’affetto di quanti l’amavano e di quanti hanno avuto il privilegio della sua amicizia.