Il reference come counselling bibliotecario nelle biblioteche accademiche
Bibliotecario di reference, antonio.sambiase93@gmail.com
Abstract
Il contributo affronta la figura del bibliotecario di riferimento, non solo come specialista dell'informazione ma anche come psicologo dell'utente, definendo il servizio di consultazione come consulenza bibliotecaria e paragonando il bibliotecario ad uno psicologo e il colloquio con l'utente ad una consulenza psicologica. Il bibliotecario deve saper sviluppare l’ascolto empatico, mettersi nei panni degli studenti, comprendere i loro bisogni inespressi e le loro richieste, al fine di fornire loro i mezzi necessari (alfabetizzazione informativa) per gestire, sia in termini qualitativi che quantitativi, la mole di informazioni (sovraccarico informativo) provenienti da canali di comunicazione sempre più diversificati.
English abstract
The paper deals with the figure of the reference librarian, not only as an information specialist but also as a user psychologist, defining the reference service as library counselling, and assimilating the librarian to a psychologist and the user interview to a psychological counselling. The librarian must know how to develop empathic listening, putting himself in the students’ place, understanding their unexpressed needs and their requests, in order to provide them with the necessary means (information literacy) to manage, both in quality and quantity, the amount of information (information overload) arriving from increasingly varied communication channels.
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L'importanza di un "ponte emotivo" con l'utenza
Nell’immaginario collettivo la biblioteca è spesso pensata come un luogo pieno di libri con degli utenti che studiano sui libri da loro posseduti o afferenti alla collezione della biblioteca. Poche volte si pensa al bibliotecario non in quanto tecnico dei servizi bibliotecari ma in quanto persona dotata sia di cultura e conoscenze ma anche, almeno si spera, di una forte umanità e propensione verso l’altro. Questo fattore è essenziale, soprattutto se la biblioteca a cui stiamo pensando è una biblioteca universitaria, la quale si popola di studenti ogni giorno. Studenti che, tuttavia, tranne in rari casi in cui proseguono la carriera universitaria sul fronte della ricerca, si ritrovano a vivere la biblioteca solo durante il loro percorso universitario, dunque per un tempo relativamente breve, se non addirittura solo in occasione della stesura della tesi di laurea. Gli studenti si ritrovano così in biblioteca non preparati a sapere gestire la mole di materiale presente, con scarsa dimestichezza nell’uso delle banche dati e spesso con timore nel doversi confrontare con il bibliotecario di sala. Al fine di migliorare la vita dello studente inesperto, e non solo, all’interno del contesto della biblioteca “il bibliotecario di reference deve avere requisiti professionali di altissimo profilo, ma la [sua] componente umana è ancora più essenziale”.
Il valore umano entra in gioco, quando il bibliotecario non si limita a un’intervista fatta di domanda e risposta ma cerca di cogliere la natura dei bisogni inespressi e prova a costruire un ponte emotivo con l’utente, senza travalicare la sua intimità. Per far ciò è richiesta un’apertura, in primis, da parte del bibliotecario e successivamente da parte dell’utente, il quale tenderà ad aprirsi immediatamente o con il tempo a seconda della propria predisposizione caratteriale. Nella creazione dell’immaginario ponte emotivo è dunque indispensabile connettere l’apertura emotiva con la disponibilità a saper cogliere una serie di segnali (corporei, gestuali, verbali ecc.) che aiutano a sistemare il tiro e dunque a facilitare la conversazione, la quale risulta alla base della trasmissione della conoscenza in un luogo di educazione non formale, quale è la biblioteca, favorendo così una participatory culture.
Molte biblioteche universitarie oggi sono ormai orientate allo spazio user centred, dunque al centro del lavoro operativo del bibliotecario c’è l’utente, il quale oggi sempre più si ritrova a vivere in un ambiente pieno di stimoli, di informazioni e di notizie tanto da non saperle gestire sia in quantità che in qualità. Infatti in questo flusso di information overload è centrale la presenza del bibliotecario, il quale in un’ottica di information literacy, può fornire all’utente i mezzi e le conoscenze necessarie per sapere gestire la mole di informazioni che giungono tramite la televisione, la radio, le pubblicità e soprattutto tramite i social media (Instagram, Facebook e Twitter) e internet, quest’ultimo ormai molto usato per la ricerca di fonti e spesso sostituito, erroneamente, al bibliotecario di reference.
Ponendo l’utente al centro del mondo della biblioteca si concentra l’attenzione sul concetto, introdotto da Bernard Vavrek negli anni Sessanta, del bisogno informativo dell’utente, da ciò si inizia a dare importanza all’aspetto psicologico legato al rapporto bibliotecario-utente. Diviene dunque importante il servizio di reference il quale, come afferma Solimine, non è “semplicemente uno dei servizi della biblioteca, ma lo stile di servizio che maggiormente caratterizza questo istituto”, è necessario dunque dar vita a una biblioteca in cui il bibliotecario si mette a disposizione dell’utente, sia sul versante specialistico-biblioteconomico ma anche su quello emotivo. Il bibliotecario deve essere consapevole che gli studenti di oggi sono bombardati da informazioni provenienti da più attori e mezzi di comunicazione e perciò deve favorire una conversazione più fluida possibile con l’utente, tramite la quale riuscire a capire a che punto è la ricerca dello studente (iniziale-intermedia-avanzata), che tipologia di informazioni ha trovato e da qui comprendere ciò di cui ha bisogno, andando ad analizzare sia il suo modus di operare nella ricerca sia le competenze acquisite, dando anche “ascolto” ai bisogni inespressi. Proprio quest’ultima azione è quella più complicata, se immaginiamo che già nella vita di tutti i giorni si ha spesso difficoltà a comprendere i bisogni di chi ci sta accanto o delle persone che incontriamo per caso e con cui non abbiamo un rapporto di amicizia, conoscenza ed empatia, si può bene immaginare come in un contesto istituzionale, per quanto più informale possibile, sia più difficile capire ciò che l’utente cerca. I problemi possono essere generati da vari motivi: l’utente vede spesso il bibliotecario come un “vaso di pandora” pieno di conoscenza e informazione, solo dopo un po’ di tempo passato in biblioteca si rende conto che la figura del bibliotecario è quella di un esperto della ricerca dell’informazione, a questo problema si aggiunge che molte volte il bibliotecario di sala è visto dall’utente come una figura di spessore e più grande di lui quindi si viene a creare un distacco dovuto alla timidezza ma anche alla reverenza verso certe figure professionali, altre volte il problema è legato alla figura del bibliotecario il quale si ritrova con una mole di lavoro da gestire o con un’affluenza massiva dell’utenza (si pensi al periodo della stesura delle tesi di laurea) e non riesce a dedicare il tempo necessario all’utente per arrivare a comprendere i meccanismi e le sue strategie di ricerca, non riuscendo così neanche a comprendere il vero bisogno dell’utente o il suo bisogno inespresso.
Il bibliotecario deve essere pensato come una figura mediana tra il documento e l’utente, figura che però non deve solo limitarsi a ricercare e a trovare i documenti di cui necessita l’utente, ma deve portarlo a diventare autonomo nella ricerca, nella scelta delle fonti più accreditate e dunque a sapersi districare nel mare magnum dell’informazione. A tal fine la figura del bibliotecario deve essere poliedrica sia nelle competenze professionali che nelle caratteristiche umane-relazionali. Le prime sono delle competenze che si acquisiscono durante il proprio percorso accademico, le seconde invece sono spesso dettate da una predisposizione naturale e da una lunga esperienza nel settore e nello svolgere l’attività di reference. Per rendere il rapporto utente-bibliotecario più efficace è essenziale che tra i due si venga a instaurare un rapporto di fiducia nel momento in cui si ha una prima conversazione. Sulle “buone maniere” che un bibliotecario deve avere nei confronti dell’utenza si è scritto e detto molto, vari paper e varie istituzioni tendono a delineare le pratiche ideali per acquisire dimestichezza nel contatto con l’utente della biblioteca accademica. Si tende a esaltare un comportamento che sia più cordiale possibile: il bibliotecario deve sorridere, annuire e interessarsi a ciò che l’utente gli sta raccontando e/o chiedendo, lasciando il giusto spazio alla richiesta, dando dunque vita a un ascolto attivo e partecipativo, non solo con il linguaggio, ma anche con la gestualità e dunque con un linguaggio non verbale che può essere fatto da gesti di incoraggiamento, mantenendo la giusta distanza fisica e una corretta postura. Il bibliotecario, ponendosi dunque come mediatore tra l’utente e le informazioni, deve saper impiegare le proprie competenze specifiche intrecciandole a una capacità empatica di instaurare una “relazione”, accettando così lo scambio di opinioni con l’utente, indagando sui suoi interessi e sulle sue passioni, cercando di capire i suoi punti di forza ma anche di debolezza, in modo da poter sviluppare in lui un interesse attivo e critico verso la ricerca di informazioni. Il bibliotecario deve aiutare l’utente a capire che anche nella vastità delle informazioni c’è sempre una possibilità di navigazione corretta, aiutandolo allo stesso tempo a comprendere che anche se a volte in questa ricerca ci si trova a cambiare rotta o si viene dirottati su nuove rive, si può sempre ritornare sulla rotta principale, portandosi però dietro anche un bagaglio che in un primo momento non era stato preso in considerazione.
Ci si trova spesso di fronte a studenti che arrivano in biblioteca solamente in prossimità della tesi di laurea o per un lavoro che il docente ha richiesto loro durante lo svolgimento del suo corso accademico, e così, appena si ritrovano costretti a mettere piede in biblioteca, si sentono fuori posto e in un luogo molto distante da loro; non sanno come comportarsi, a chi rivolgersi, come cercare ciò che gli serve, non sanno utilizzare il catalogo e le banche dati messe a disposizione dall’istituzione, si ritrovano dunque a imparare, quasi costretti, a vivere in un mondo nuovo. Compito del bibliotecario e di mettere in gioco le sue doti relazionali per far sì che lo studente prenda gradualmente confidenza con il nuovo ambiente, capisca piano piano i meccanismi della biblioteca e le risorse che fornisce. Il bibliotecario, dunque, deve saper comprendere gli stati d’animo, i bisogni degli studenti, i quali spesso arrivano in biblioteca senza conoscere neanche la differenza tra un periodico e una monografia, è dunque compito del bibliotecario istruirlo tecnicamente ma senza risultare saccente, annoiato e poco attento al carattere della persona che ha di fronte. C’è da aggiungere, tuttavia, che non è sempre facile perché non tutti gli utenti permettono che si interagisca in maniera relazionale con loro, ma trattano la biblioteca come un negozio e il bibliotecario come un commesso, il loro unico fine è ottenere ciò che cercano e uscire da quel nuovo mondo: dunque, è il bibliotecario che deve sapersi esporre a seconda dell’interlocutore con cui interagisce, capendo il tempo che ha a disposizione, il suo carattere e se ha voglia di conoscere il processo di arrivo alla risorsa per poter percorrere successivamente il percorso in autonomia.
Da qui si evince l’esigenza di trasformare l’intervista all’utente anche in una sorta di counselling del bibliotecario con l’utente, arrivando a intendere il reference come caratterizzato da una componente di natura psicologica dove l’operatore di biblioteca diviene una sorta di terapeuta che nella strada di orientamento ai servizi e alle risorse della biblioteca viene a delineare un rapporto relazionale che miri il più possibile alla comprensione dell’utente, dei suoi atteggiamenti, modi di fare e di dire, per metterlo a proprio agio e capire nel miglior modo possibile le sue richieste e dove si spinge il suo bisogno informativo. Ci si pone dunque l’obiettivo, come in un tipico caso di counselling psicologico, di promuovere un cambiamento orientato al miglioramento della sua vita in biblioteca e di riflesso della sua capacità di gestire il materiale di ricerca.
Al fine di dar vita a questa sorta di counselling bibliotecario diviene “necessaria una fase di conoscenza, che avviene attraverso una apertura reciproca [tra utente e bibliotecario], che consenta l’avviarsi di una efficace comunicazione”. Tale compito deve essere avviato dalla figura del bibliotecario, il quale deve avere la capacità di capire il linguaggio e gli atteggiamenti dello studente arrivando così a rompere i propri schemi mentali mettendosi al suo stesso livello e parlando una “lingua comune”. Ma la strada per arrivare a questa identificazione di linguaggio è difficile, il bibliotecario deve possedere un approccio empatico e saperlo orientare a seconda della conversazione e della tipologia d’utente con cui si interfaccia. Si sa bene infatti che l’utenza, in un contesto eterogeneo come quello di una biblioteca accademica, è molto diversa e richiede grande duttilità da parte del bibliotecario, che deve saper cambiare ruolo, linguaggio, metalinguaggio in base a come l’utente si pone nei suoi confronti. La casistica della tipologia di utenza è molto varia: si va dallo studente che arriva in biblioteca solamente per prendere il libro che ha trovato sul catalogo, o consigliato dal professore, all’utente che vuole solamente sapere come navigare all’interno di una specifica banca dati; dall’utente che pone delle semplici domande per sapersi orientare e autogestire in biblioteca all’utente difficile che presenta bisogni indefiniti e ostilità. Dunque, un bacino di utenza molto diversificato e non sempre facile da gestire. Da ciò si desume che le capacità del bibliotecario non sono solo legate alle conoscenze teoriche del suo lavoro o alla conoscenza del patrimonio presente nella biblioteca in cui si trova a operare, ma deve saper sviluppare un ascolto empatico che gli permetta di districarsi tra le varie tipologie caratteriali con cui entra in contatto e gli consenta di sapersi mettere nei panni dello studente e capirne i bisogni e le richieste, aiutandolo a sviluppare delle capacità ottimali per saper vivere la biblioteca e per saper gestire le risorse e il materiale da lui raccolto. In questa ottica di counselling bibliotecario, si può dunque definire l’operatore di biblioteca un esperto dell’informazione e uno psicologo dell’utenza con la capacità di saper mettere in azione le competenze professionali intrecciandole con una componente psicologica creata e accresciuta tramite la propria esperienza di vita, in biblioteca e non, che lo possa portare allo sviluppo di un ascolto attivo aiutando così l’utente a sapersi destreggiare tra gli scaffali della biblioteca, a saper gestire le informazioni da lui ritrovate e a saper dare voce ai suoi bisogni inespressi.