N.7 2022 - Biblioteche oggi | Ottobre 2022

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Le bibbie dei valdesi

Mauro Guerrini

mauro.guerrini@unifi.it

Abstract

Catalogo della mostra di 112 Bibbie usate dai cristiani della Chiesa evangelica valdese da dal XV al XIX secolo; iniziativa promossa dalla Fondazione Centro Culturale Valdese e allestito nel Museo Valdese di Torre Pellice nel 2022, a cura di Marco Fratini, Lorenzo Di Leonardo e Stefania Villani. L'esposizione si inserisce in un percorso scientifico ampio e articolato progetto triennale avviato nel 2018 che ha previsto la catalogazione nell'OPAC SBN delle bibbie possedute dalle due principali biblioteche valdesi presenti in Italia: la Fondazione Torre Pellice e la Biblioteca dell' Facoltà Valdese di Teologia di Roma: circa 3.500 la prima e 1.500 la seconda.

English abstract

Catalog of the exhibition of 112 bibles used by Christians of the Waldensian Evangelical Church from the 15th to the 19th century; initiative promoted by the Waldensian Cultural Center Foundation and set up in the Waldensian Museum of Torre Pellice in 2022, edited by Marco Fratini, Lorenzo Di Lenardo and Stefania Villani. The exhibition is part of the scientific report of a large and articulated three-year project started in 2018 which included the cataloging in the SBN OPAC of the bibles owned by the two main Waldensian libraries in Italy: the Torre Pellice Foundation and the Library of the Waldensian Faculty of theology of Rome: about 3,500 the first and 1,500 the second.

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Le bibbie dei valdesi. Edizioni dal XV al XIX secolo è il catalogo della mostra che si è tenuta presso il Museo valdese di Torre Pellice dal 19 agosto al 13 novembre 2022 (Le bibbie dei valdesi. Edizioni dal XV al XIX secolo. Una mostra della Fondazione Centro culturale valdese, a cura di Marco Fratini, Lorenzo Di Lenardo e Stefania Villani, Torre Pellice, Centro culturale valdese, 2022). La mostra di 112 bibbie usate dai cristiani della Chiesa evangelica valdese dal XV al XIX secolo (l’edizione più antica risale al 1478) è stata promossa dalla Fondazione Centro culturale valdese e curata dagli stessi Marco Fratini, Lorenzo Di Lenardo e Stefania Villani. L’esposizione è stata insignita della Medaglia del Presidente della Repubblica come “premio di rappresentanza” per il suo valore culturale. La mostra si riallaccia culturalmente all’altrettanto lodevole iniziativa di cinque anni fa, curata anch’essa da Marco Fratini, allora insieme a Laura Venturi, Le cinquecentine del fondo Piero Guicciardini nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze (catalogo edito a Torre Pellice dal Centro culturale valdese, 2017), la valorizzazione di una raccolta di opere sulla Riforma e il movimento evangelico in Europa fino al XIX secolo, tra cui 132 esemplari della Bibbia. La mostra Le bibbie dei valdesi è parte del rendiconto scientifico di un ampio e articolato progetto triennale iniziato nel 2018 che prevedeva la catalogazione nell’OPAC di SBN delle bibbie (principalmente con testo in francese e in italiano) possedute dalle due principali biblioteche dei valdesi in Italia: la Fondazione di Torre Pellice e la Biblioteca della Facoltà valdese di Teologia di Roma: circa 3.500 la prima e 1.500 la seconda. Non è possibile ancora dichiarare l’entità precisa delle edizioni possedute, in quanto la Facoltà di Teologia (che con questo lavoro festeggia i suoi cento anni di attività) sta terminando l’inserimento dei dati in SBN. Le collezioni delle due biblioteche si completano e, insieme, costituiscono un unicum in Italia. A lavoro pressoché ultimato, le scoperte e le sorprese sono state numerose: alcune edizioni della Bibbia, infatti, sono state inserite per la prima volta in SBN poiché in Italia sono possedute solo dalle biblioteche dei valdesi. Scoperte ci sono state perfino all’interno della comunità, in quanto di alcune edizioni si era affievolita la memoria. Un lavoro prezioso, dunque, che colma una lacuna grave, considerata l’importanza religiosa e culturale dell’opera. I risultati della ricognizione e catalogazione convalidano il rapporto fra i valdesi e la Bibbia come testo di riferimento per la loro fede e come oggetto fisico, confermano il suo uso e la sua trasmissione in ambito familiare e comunitario, ricostruiscono una traccia considerevole della presenza evangelica nella cultura italiana e nei suoi rapporti con quella europea; in particolare, evidenziano il contributo dei valdesi alla circolazione della Bibbia in Italia e in Europa dal Cinquecento in poi. La mostra esalta proprio l’uso della Bibbia nella vita quotidiana: la Bibbia ricevuta in dono in occasione di confermazioni e matrimoni; la Bibbia di famiglia tramandata di generazione in generazione, che contiene annotata la registrazione di nascite, matrimoni e morti; la Bibbia che ha accompagnato un valdese nella prigionia; la Bibbia che da un missionario all’altro viaggia dalla Polinesia, al Lesotho fino a Torre Pellice. Nelle comunità valdesi, dunque, la Bibbia ha mantenuto traccia di un rapporto personale con il possessore: il ritrovamento di se stesso, il ruolo nella conversione propria o di altri. La stratificazione familiare e sociale ha trasformato nel tempo la Bibbia in una sorta di monumento. Verso la fine dell’Ottocento, la consuetudine mosse gli editori a predisporre alcune pagine prestampate per l’inserimento delle annotazioni, tipologia che, nelle chiese evangeliche, assunse non casualmente il nome di “Bibbia di famiglia”. 

Figura 1 Traduzione francese della Bibbia nella versione cosiddetta di Olivetano (Neuchâtel 1535), finanziata dai valdesi del Piemonte, con annotazioni seicentesche di possessori della Svizzera francese (Torre Pellice, Biblioteca della Fondazione Centro Culturale Valdese)
Figura 2 Bibbia francese stampata a Ginevra nel 1685, appartenuta a una famiglia valdese, di cui reca notizie di carattere annalistico famigliare fra Sette e Ottocento (Torre Pellice, Biblioteca della Fondazione Centro Culturale Valdese)

La mostra, scrive Fratini in “Riforma.it” (18 agosto 2022), inoltre, evidenzia la relazione fra l’uso delle bibbie – uno specchio del “patrimonio librario” delle famiglie valdesi – e la loro donazione alla biblioteca. Il dono alla biblioteca di una copia o il lascito di piccole collezioni compiuto da famiglie afferma, pertanto, il valore assunto dai singoli esemplari e il legame delle famiglie con la chiesa valdese e il territorio di attinenza. Due contributi del catalogo riguardano proprio questo tema. Altri saggi analizzano la lettura, il possesso, la trasmissione della Bibbia all’interno della società valdese delle Valli, in particolare fra Settecento e inizio Novecento, e il ruolo determinante della Biblioteca valdese nella loro conservazione e valorizzazione.
Nel catalogo della mostra la raccolta è contestualizzata storicamente e ciascun esemplare è commentato da scrupolose descrizioni bibliografiche che ne ricostruiscono il motivo e le dinamiche di acquisizione e le modalità di conservazione nella biblioteca di Torre Pellice. Le schede sono redatte da specialisti quali Edoardo Barbieri, Jan-Andrea Bernhard, Patrick Cabanel, Emidio Campi, Benedetta Cenni, Mario Cignoni, Lorenzo Di Lenardo, Max Engammare, Emanuele Fiume, Marco Fratini, Daniele Garrone, Geneviève Gross, Christian Herrmann, August Den Hollander, Andrea Marcon, Mara Mincione, Enrica Morra, Giorgio Tourn, Stefania Villani, Stefano Villani, Laura Venturi, Federico Zuliani. Un ampio e appropriato apparato iconografico di parti e di pagine significative delle edizioni della Bibbia arricchisce il catalogo e gli conferisce una funzione didattica. Molto importante è la sezione della mostra dedicata all’evoluzione tipografica, a partire dai primi esemplari a stampa a caratteri mobili che proseguono l’impaginazione del testo, tipica della mise en page dei manoscritti precedenti, con lo spazio per le note e i commenti. Nelle bibbie esposte non sono poche le cancellature di versetti, le annotazioni e le dediche che rendono unico ciascun esemplare. Fratini, nella sopra citata intervista a “Riforma.it”, specifica che il testo della Bibbia non è unico, immutabile e intoccabile, ma un cantiere sempre aperto, in evoluzione continua, con un contenuto tradotto e vissuto diacronicamente in modi diversi.
I “poveri di Lione”, i pauperes spiritu (Matteo, 5, 3) sono un movimento coevo al francescanesimo (Francesco d’Assisi, 1181-1226) e ad altre esperienze pauperistiche, come i fiorentini “sette santi fondatori” dei servi di Maria che si costituiscono intorno al 1233. I poveri nello spirito furono condannati come eretici a causa della loro pretesa (fra costoro alcune donne) di leggere e commentare la Bibbia. Il mercante di tessuti di Lione Valdo (Valdesius in latino, Valdés nell’idioma locale, 1140-1206), giunse alla convinzione di professare spontaneamente la povertà; lasciò i suoi beni immobili alla moglie e donò il suo denaro in parte ai poveri e alle vittime della sua usura e in parte alle due figlie destinate a vita conventuale. Poco dopo il 1170 chiese ad alcuni chierici di tradurre il Nuovo Testamento nel volgare “romance” (franco-provenzale). Egli non fece tradurre l’intero testo (come farà Lutero), ma solo parti dei due testamenti. All’antologia di ampi brani biblici aggiunse alcune verba patrum, estratti delle opere dei Padri della Chiesa, raccolti sotto il titolo di Sentenze. La composizione della Bibbia di Valdo è importante in quanto era più simile alle pratiche testuali della sua epoca che all’idea della Bibbia-libro che è una realtà post-gutenberghiana (e luterana). Con questo volume Valdo di Lione (che oltre due secoli più tardi fu denominato Pietro Valdo) fornì all’Europa la prima traduzione della Bibbia in una “lingua moderna” al di fuori del latino. Si ricordano, tuttavia, la traduzione in paleoslavo di Cirillo e Metodio (IX secolo) e quella, ancor più antica (IV secolo), in gotico di Wulfila, attestata dal bellissimo Codex argenteus di Uppsala confezionato, pare, nella Ravenna di Teodorico.

Figura 3 La lettura della Bibbia, fotografia di Pietro Santini, Pinerolo 1896-1899 (Torre Pellice, Archivio fotografico valdese)

Gli aderenti al movimento dei pauperes spiritu si diffusero con maggior consistenza nelle Alpi Cozie, in Provenza, in Calabria e in Germania meridionale. I loro predicatori itineranti erano detti barba (in dialetto piemontese zio, nel senso di persona di riguardo) da cui barbetti, appellativo popolare con cui, sino a tempi recenti, son stati designati in Piemonte. Gli aderenti, rimasti coerenti attraverso i secoli dal XII al XVI, centravano la loro testimonianza su due aspetti del messaggio cristiano: la fedeltà al Vangelo e la povertà della Chiesa. I successori dei “poveri di Lione” verranno chiamati valdesi solo oltre due secoli dopo. Ciò è rilevante perché, come osserva Roberto Alciati, permette anche ai non specialisti di comprendere come i valdesi non nascano “protestanti”, ma lo diventino dopo secoli di resistenza alla persecuzione cattolica. Nel 1532, infatti, il movimento aderisce in gran parte alla Riforma, nella corrente calvinista, incoraggiati dai rappresentanti delle chiese riformate dei territori svizzeri di lingua romance. Questa distinzione necessaria ha ripercussioni rilevanti sull’autocomprensione (e l’autobiografia) della comunità.
In ogni tempio evangelico una copia della Bibbia è collocata, aperta, su un tavolo, in un punto centrale dell’edificio immediatamente visibile a chi vi entra. Solo la Parola è la fonte d’ispirazione per i credenti. Ancor più la Parola ha una posizione centrale nel culto, a testimoniare il suo ruolo determinante nell’esperienza di fede e nella tradizione ecclesiale. La Bibbia è un messaggio attuale che Dio rivolge a tutti; viene letta sia da soli sia in gruppo, commentata in studi biblici; ne viene proclamato il messaggio al centro dell’assemblea cultuale e in altre occasioni pubbliche. Tramite la Scrittura, Dio parla alle donne e agli uomini; la scrittura è uno strumento vivo perché, mentre viene meditata, lo Spirito opera e sotto la sua guida il cristiano partecipa all’evento testimoniato dal testo, e, sempre sotto la guida dello Spirito, questo evento rischiara la vita vissuta nel presente. Ecco perché, per i credenti valdesi, la Bibbia è il riferimento esclusivo ed è solo su di essa che fondano la loro fede, la loro pietà e la loro morale. Ciò si riscontra nella Confessione di fede del 1655 che, dopo aver affermato nell’Articolo 1 l’unicità di Dio e l’essenza trinitaria, riguardo alla Bibbia nell’Articolo 2 recita: “Che quello Iddio s’è manifestato agli huomini nelle sue opere della Creazione e della Providenza, di più nella sua Parola rivelata dal principio con oracoli in diverse maniere, poi messa in iscritto ne’ libri chiamati la Scrittura Santa”. L’Articolo 3 inizia con le seguenti parole: “Che conviene ricevere, come riceviamo, questa Santa Scrittura per divina e canonica, ciò è per regola della nostra fede e vita; e ch’ella è pienamente contenuta ne’ libri del Vecchio e Nuovo Testamento”.
La fedeltà alla Bibbia è il filo rosso che segna le persecuzioni e gli stermini dei valdesi fino alla fine del Seicento, come le Pasque piemontesi, la strage di Guardia piemontese in Calabria ecc. Essa viene proposta e insegnata ai credenti con una formazione scrupolosa. Si legge nel sito web della Facoltà valdese di teologia:

L’esigenza di quella che oggi si chiama “formazione” venne avvertita nel movimento valdese fin dal suo sorgere nel Medioevo: i predicatori itineranti che percorrevano l’Europa per annunciare il Vangelo venivano istruiti dai colleghi più anziani, e uno dei primi centri di questo addestramento teologico era situato in una casa contadina nelle valli valdesi. In seguito all’adesione alla Riforma protestante, i valdesi strutturarono la loro chiesa secondo il modello riformato calvinista, e incrementarono il livello della preparazione teologica dei pastori.

Nella formazione della raccolta di bibbie di “ambito valdese”, fondamentale è stato il ruolo del collezionista pisano Tito Chiesi (1805-1886) notaio, procuratore al Tribunale di Pisa e alla Corte d’Appello di Lucca, convertito all’evangelismo, fondatore della Chiesa valdese di Pisa, che maturò l’idea di raccogliere le edizioni della Bibbia nelle diverse lingue, dai primordi della stampa a caratteri mobili fino ai suoi giorni. Egli, dalla metà dell’Ottocento, sostenne le comunità evangeliche toscane; in particolare favorì il transito dal porto di Livorno a Pisa di bibbie in volgare nella versione del ginevrino di famiglia lucchese Giovanni Diodati (1576-1649), pubblicate dalle società bibliche di varie nazioni d’Europa. La creazione della collezione personale di Chiesi richiese circa 25 anni di pazienti ricerche. Dopo il 1886 egli aveva collezionato oltre 900 edizioni diverse di bibbie, in un contesto religioso, culturale e politico avverso, che lo esponeva a perquisizioni e a sequestri dei libri da parte della polizia. Alla sua morte le bibbie furono vendute dagli eredi a un americano rimasto anonimo con l’accordo che le avrebbe cedute alla Scuola valdese di teologia di Firenze. Nel 1922 la Biblioteca biblica di Tito Chiesi seguì la Scuola nella nuova sede di Roma. Oltre al “fiume” Chiesi, un affluente che ha incrementato la collezione della biblioteca del Collegio di Torre Pellice è costituito da numerosi lasciti: dell’inglese William Stephen Gilly dal 1831 alla metà del secolo; di James Lenox, un americano di origine scozzese, nel 1859-1560; degli evangelici scozzesi per incrementare una collezione utile alla formazione dei pastori; di sostenitori svizzeri, francesi e tedeschi, nonché valdesi delle Valli, alla fine dell’Ottocento. Dall’inizio del Novecento, la Biblioteca del Centro è il luogo per eccellenza per la conservazione del patrimonio librario dei valdesi italiani con una raccolta considerevole, pressoché completa, di edizioni della Bibbia, di cui alcune rare.
Com’è noto, la cosiddetta Bibbia delle 42 linee è (o è convenzionalmente) il primo libro pubblicato a stampa a caratteri mobili da Johann Gutenberg. È un’edizione in caratteri gotici, in grande formato, edita a Magonza intorno al 1455; il testo presenta la traduzione latina di san Girolamo (Vulgata) definita nel XIII secolo dai teologi dell’Università di Parigi. L’Umanesimo biblico favorì importanti studi critici sul testo di san Girolamo confrontato con i codici manoscritti allora conosciuti. Un lavoro filologico basilare fu svolto da Erasmo da Rotterdam, che pubblicò l’edizione in greco e latino del Nuovo Testamento. Nel 1471 uscì a Venezia la prima edizione della Bibbia in italiano, la Bibbia Malermi, curata dal camaldolese veneziano Niccolò Malermi (1422-1481), revisione di traduzioni trecentesche della Vulgata, la quale fu riproposta in circa 30 edizioni successive fino al 1567. Nel Cinquecento vennero pubblicate nuove versioni latine in alternativa alla Vulgata, basate sulle lingue originali, come, per esempio, la versione letterale realizzata dal domenicano lucchese Sante Pagnini (1470-1541) nel 1528, che divenne un volume essenziale per la comprensione del testo ebraico, o quella del savoiardo Sebastiano Castellio (o Castellione, 1515-1563) che nel 1551 pubblicò a Basilea una traduzione in un’elegante prosa latina, molto apprezzata dai cultori delle humanae litterae. In questo secolo, iniziarono a circolare in Italia varie traduzioni in volgare, come quella dell’umanista fiorentino Antonio Brucioli (1487-1566), edita a Venezia nel 1532, basata sui testi nelle lingue originali e su versioni latine cinquecentesche diverse dalla Vulgata; l’edizione fu messa all’Indice nel 1559 e Brucioli fu perseguitato come eretico dall’Inquisizione veneziana. La produzione e diffusione di bibbie in italiano venne interrotta proprio con la pubblicazione dell’Indice dei libri proibiti di Paolo IV (1559); da allora e fino alla seconda metà del Settecento le bibbie tradotte in lingue volgari vennero pubblicate solo all’estero. Il divieto di leggere la Bibbia in italiano fu abrogato il 13 giugno 1757 da Benedetto XIV.
Dagli anni Venti e fino alla metà del XVI secolo vi fu una fioritura di traduzioni nei paesi coinvolti dalla Riforma. Martin Lutero completò la traduzione del Nuovo Testamento nell’inverno 1521-1522 e dell’intera Bibbia nel 1534. Altre versioni comparvero a Zurigo e altrove in Europa.
Una delle prime iniziative, dopo l’adesione dei valdesi alla Riforma, nel settembre del 1532, fu la raccolta di 800 scudi per finanziare la traduzione della Bibbia in francese. Il lavoro fu affidato a Pierre Robert, detto Olivetano (1506-1538), cugino di Giovanni Calvino e membro del gruppo riformato di Neuchâtel, con cui i valdesi erano in stretto contatto. Stampata in circa 900 esemplari, è la prima versione francese della Bibbia a partire dalle lingue originali, ebraica e greca, scaturita dal confronto con le precedenti versioni e dall’ausilio di commentari dei Padri della Chiesa e dei Riformatori. L’edizione, che ebbe scarso successo per il costo elevato, costituisce uno dei contributi dei valdesi alla Riforma protestante del XVI secolo. È la Bibbia per eccellenza dei valdesi, ovvero il testo che è stato maggiormente utilizzato dalle comunità. La formulazione “Bibbia dei valdesi” va preferita a “Bibbia valdese”. Il motivo lo spiega Fratini nell’intervista citata in “Riforma.it”:

Qui incontriamo un dettaglio del titolo della mostra, apparentemente minimo ma determinante: perché dire “Bibbie dei valdesi” e non “Bibbie valdesi”? A parte quella di Olivetano, e alcune più recenti, non avremmo molto da esporre; dobbiamo quindi intendere le bibbie appartenute a valdesi, o a protestanti in generale, e confluite nel patrimonio della biblioteca valdese. Appartenenza (e lettura) che ha una connotazione attiva: significa studi e contatti con i paesi esteri, da un lato e confronto con la realtà cattolica, non solo in ottica polemica, dall’altro. Due casi esemplificativi: la presenza nella mostra di bibbie francesi gianseniste (corrente religiosa sviluppata nel Seicento all’interno del cattolicesimo) e della traduzione italiana di mons. Antonio Martini (1720-1809), arcivescovo di Firenze; la sua traduzione fu la più diffusa fino al XX secolo nella Chiesa cattolica, nonché la prima Bibbia in italiano dai tempi del Concilio di Trento, stampata anche dalla Claudiana «e utilizzata in alcune scuole, come mostra uno degli esemplari esposti, di inizio Ottocento, proveniente da Massello. Non era vista come “la Bibbia del nemico”, e questo ci fa capire che i confini non erano così netti, contrariamente a quanto si crede, e ci dà l’idea di un panorama più mosso. Con la stessa ottica dovremmo avvicinarci a questi libri, senza preconcetti: stiamo parlando di un fenomeno culturale, che ha coinvolto generazioni di persone in tutto il mondo. Ognuno di questi libri ha un mondo intorno, che abbiamo cercato di rievocare.

Nel 1588 un gruppo di teologi dell’Académie des Pasteurs di Ginevra produsse una nuova versione della Bibbia che diventò il testo usato dagli evangelici di lingua francese fino all’inizio del Settecento, insieme al salterio in versi tradotto da Théodore de Bèze e messo in musica da Clément Marot. Dalla metà del Seicento la versione fu aggiornata nel linguaggio, mentre apparvero alcune versioni innovative, come quella di Charles Le Cène o l’edizione francese della traduzione dell’esule Giovanni Diodati, pubblicata a Ginevra nel 1607, un testo considerato per quasi tre secoli la versione protestante per eccellenza. In Italia la versione di Diodati fu la più diffusa e letta in ambito valdese e protestante fino al 1924, anno della pubblicazione della versione “riveduta” curata da un comitato composto da membri di varie denominazioni evangeliche. All’inizio del Settecento ebbero molto successo le traduzioni di David Martin (1639-1721), esule nei Paesi Bassi, e di Jean-Frédéric Ostervald (1663-1747), pastore di Neuchâtel, fino alla traduzione ottocentesca del pastore ginevrino Louis Segond (1810-1885). Fra il XVIII e il XIX secolo la Bibbia, in italiano o in francese, viene assunta quale strumento per incrementare l’alfabetizzazione e alcune edizioni sono trasmesse da un insegnante all’altro della stessa scuola, per decenni. La Bibbia era il solo o uno dei pochi libri posseduti da chi aveva un’alfabetizzazione di base. In definitiva, un catalogo e una mostra che ricostruiscono con rigore un filone di esperienze di fede e di vita della variegata tradizione cristiana in Italia. Con questo prodotto, la comunità valdese da una parte corrobora la consapevolezza del ruolo storico e culturale che ha svolto in circa otto secoli di presenza e dall’altra fornisce un servizio alla comunità italiana arricchendo il catalogo di SBN con informazioni bibliografiche finora assenti e particolarmente preziose.