Comprendere le cause
giovanni.solimine@uniroma1.it
Abstract
Il Rapporto dell'Istat sul Benessere equo e sostenibile mostra dati molto preoccupanti sulle lacerazioni prodotte dalla pandemia, anche nel campo dell'istruzione e della cultura. La partecipazione culturale fuori casa è in forte calo e questo riguarda anche le biblioteche, il cui numero di visitatori si è dimezzato in due anni. È particolarmente sorprendente che nel 2021 la situazione sia molto peggiore rispetto al 2020 e che siano i giovani ad essersi allontanati, molto più degli adulti. Nel 2021, le persone e i giovani in particolare hanno risentito in modo più drammatico degli effetti della pandemia, come dimostra il calo di tutti gli indicatori di partecipazione sociale. Le misure di allontanamento hanno colpito soprattutto i giovani. Sono stati privati di due anni di relazioni con i loro coetanei e stanno attraversando un periodo di forte disagio psicologico: sono rintanati a casa, isolati nel loro mondo online. La risposta non può essere affidata solo alle politiche culturali, ma richiede interventi sistemici e non settoriali. Oggi più che mai le politiche per il benessere dei giovani devono essere politiche per il benessere del Paese nel suo complesso, basate su una programmazione adeguata alle sfide del presente. Anche le biblioteche possono svolgere un ruolo importante in questo senso.
English abstract
ISTAT's Report on Fair and Sustainable Welfare shows very worrying data on the lacerations pro- duced by the pandemic, including in the field of education and culture. Cultural participation outside home is falling sharply, and this also affects libraries, whose number of visitors has halved in two years. It is particularly striking that in 2021 things are much worse than in 2020 and that it is young people who have moved away, much more than adults. In 2021, people and youngs in particular felt the effects of the pandemic’s lingering effects most dramatically, as shown by the decline in all indicators of social participation. The distancing measures have hit young people hardest. They have been deprived of two years of relationships with their peers and are going through a period of severe psychological distress: they are holed up at home, isolated in their online world. The response cannot be entrusted to cultural policies alone, but requires systemic and not sectoral interventions. Today more than ever, policies for the well-being of young people must be policies for the well-being of the country as a whole, based on planning that is appropriate to the challenges of the present day. Libraries can also play an important role here.
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Felix qui potuit
rerum cognoscere causas
Virgilio
La London School of Economics and Political Science adotta come motto quel passo delle Georgiche in cui Virgilio definisce beato chi riesce a conoscere le cause delle cose. Abbandonando la traduzione letterale, potremmo forse dire meglio: beato chi può conoscere davvero le cose comprendendo le cause che le hanno generate.
Come Dante nella Commedia, simbolicamente lasciamoci guidare anche noi dalla sapienza di Virgilio nel tentativo di comprendere le cause profonde di ciò che sta accadendo ai servizi culturali e, in particolare, l’impatto che la pandemia ha prodotto nel rapporto fra le biblioteche italiane e i loro pubblici.
Il 21 aprile l’Istat ha pubblicato la nona edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile (BES), uno studio che analizza i diversi aspetti della società italiana fornendo dati e indicatori relativi a dodici domini: Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi.
Ognuno di questi aspetti contribuisce a descrivere la qualità della vita e lo “star bene” dei cittadini. L’edizione di quest’anno era particolarmente attesa, perché consente di mettere a fuoco quanto è accaduto nel corso del biennio 2020-2021 e ci aiuta quindi a comprendere quanto gravi e profonde siano le lacerazioni prodotte dalla pandemia da Coronavirus. Come era lecito aspettarsi, in termini quantitativi i due aspetti che maggiormente hanno condizionato gli ultimi due anni, con forti ripercussioni sul benessere degli individui, sono quelli relativi all’emergenza sanitaria e alle conseguenze economiche, con particolare riferimento all’occupazione.
Ma l’impatto è stato pesante anche sul piano individuale e al di là di quanto emerge dai dati statistici, perché in questi due anni sono cambiati tanti aspetti della vita quotidiana delle persone, delle famiglie, dell’organizzazione della società.
Nel commentare i dati, l’Istituto nazionale di statistica e molti osservatori hanno sottolineato l’importanza di alcuni segnali di ripresa economica che si sono manifestati a partire dalla seconda metà del 2021, ma oggi quella lettura appare forse eccessivamente ottimistica, perché frattanto stiamo cominciando a vedere le conseguenze della crisi ucraina, con gli effetti prodotti sul fronte dell’energia, dei costi delle materie prime e dell’inflazione (nel primo trimestre del 2022 il PIL italiano torna a essere negativo), oltre che, ovviamente, i drammi umani che ne sono derivati.
Ma proviamo a limitare queste riflessioni, restando su un terreno più vicino alle aree di interesse di questa rivista.
Se concentriamo la nostra attenzione sui comparti dell’istruzione e della cultura, emergono tanti motivi di preoccupazione:
- L’impatto del lockdown sulla scuola ha prodotto danni enormi, come una riduzione del numero di bambini che frequenta la scuola per la primissima infanzia; appare particolarmente critica la situazione per i bambini della scuola primaria, il 17,1% dei quali non ha mai fatto lezioni online con gli insegnanti nel periodo marzo-giugno 2020; peggiora nell’anno scolastico 2020-2121 il dato riguardante i ragazzi e le ragazze della classe terza della scuola secondaria di primo grado che non hanno raggiunto un livello di competenza alfabetiche e numeriche almeno sufficiente; in generale, il 65,8% degli studenti che hanno seguito le lezioni online riferisce di aver avuto difficoltà, o per problemi legati alla qualità della connessione o per difficoltà nella concentrazione e motivazione.
- Ancora alta, sebbene in calo, la quota di giovani tra 18 e 24 anni che sono usciti prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito soltanto il titolo di scuola secondaria di primo grado: nel 2021 sono il 12,7% (erano il 14,2% nel 2020).
- La quota di giovani di 15-29 anni che non studia né lavora (NEET) cala leggermente nel 2021 (23,1%), ma non torna al livello pre-pandemia (22,1% nel 2019).
- Nel 2021, mentre la lettura di almeno quattro libri l’anno è rimasta stabile rispetto al 2020 (22,9%), la lettura di quotidiani tre o più volte a settimana è diminuita (dal 24,8% al 23,2%), portando l’indicatore complessivo sulla lettura ad una riduzione (ora è al 36,6%, ma era al 38,2% nel 2020 e al 40% nel 2019).
- Nel 2020 i visitatori delle strutture museali sono calati del 72,3%. L’occupazione nel comparto delle attività culturali e creative è stata colpita dalla crisi da Covid-19 già nel 2020, e non mostra segni di ripresa nel 2021: alla fine del secondo anno di crisi pandemica gli occupati del settore sono 55 mila in meno, con una perdita relativa del 6,7% tra il 2019 e il 2021, più che doppia rispetto alla contrazione del complesso degli occupati (-2,4%).
- Con le restrizioni nell’accesso ai luoghi della cultura per contrastare la pandemia, la partecipazione culturale fuori casa nei 12 mesi precedenti l’intervista, tra il 2019 e il 2020 passa dal 35,1% al 29,8%, e tra il 2020 e il 2021 crolla all’8,3%.
Un primo dato su cui riflettere, e sul quale torneremo più avanti, riguarda la mancata ripresa nel 2021, anno in cui non c’è mai stato un lockdown totale e in cui molti presidi culturali hanno riaperto quasi del tutto i servizi al pubblico.
Vediamo che invece nel 2021 le cose non sono andate affatto meglio, anzi la crisi si è acuita. E questo fa pensare che non siamo in presenza di un problema contingente, superabile quando si chiuderà la parentesi Covid-19 apertasi tra febbraio e marzo 2020. Perché non è una parentesi.
Se proviamo a vedere cosa è accaduto in ambito bibliotecario, troviamo una triste conferma di questa tendenza. Nel 2021, soltanto il 7,4% delle persone di tre anni e più si sono recate in biblioteca almeno una volta nei dodici mesi precedenti l’intervista, confermando il calo iniziato nel 2020 a seguito delle limitazioni determinate dalla pandemia (passando dal 15,3% del 2019 al 12,2% del 2020): in due anni il numero dei frequentatori delle biblioteche si è praticamente dimezzato. E il vero crollo si è verificato nel 2021, pur in condizioni di parziale “normalità”.
Per comprendere le cause di questo fenomeno e per cercare di immaginarne l’evoluzione futura dovremo osservarlo ancora per qualche tempo, vedendo cosa accadrà quando finalmente saranno ripristinate le condizioni per una manifestazione regolare della vita sociale, di cui la partecipazione culturale è solo una delle componenti. Ma dobbiamo anche allargare lo sguardo e individuare la correlazione tra questi dati e altre questioni.
È evidente che il funzionamento altalenante della scuola può essere una delle cause del calo nell’uso delle biblioteche, così come le difficoltà nella mobilità urbana e il venire meno dei flussi turistici hanno inciso su quella gamma di attività che il BES include sotto la voce “partecipazione culturale fuori casa”.
Ma temo che sarebbe illusorio prevedere una ripresa quando si saranno modificate alcune di quelle che qui abbiamo ipotizzato essere le origini di questi fenomeni. Non tutto è come sembra o, per essere più precisi, a volte una spiegazione plausibile e parzialmente corretta può nasconderne un’altra, meno evidente ma più profondamente vera.
Per chiarire cosa intendo dire, mi aiuterò con un esempio. Consentitemi una divagazione storica, che credo sia utile, sia perché si tratta di storia recente, sia perché le analogie mi paiono palesi. Nel decennio passato è accaduto qualcosa nelle pratiche di lettura, che dovrebbe insegnarci a leggere i dati e in quale direzione volgere lo sguardo per analizzare, comprendere e contrastare il crollo nella domanda che ora le biblioteche stanno vivendo.
L’esempio a cui mi riferisco riguarda i dati sulla lettura in Italia nel periodo 2010-2016. Secondo l’Istat il 2010 segna con il 46,5% la punta massima nella percentuale dei lettori, poi comincia un netto declino: a partire dal 2011 si è registrato un calo notevole nella lettura e in soli tre anni sono spariti dai radar circa tre milioni di lettori. Nel periodo 2011-2016 il fatturato del comparto editoriale è sceso da circa 3,5 miliardi di euro a 2,7 e la percentuale dei lettori ha toccato con il 40,5% la punta più bassa. Un’interpretazione semplicistica di questo dato attribuì il fenomeno alla crisi economica mondiale innescata dal fallimento della Lehman Brothers nel 2008 e all’effetto domino che si manifestò a macchia d’olio, producendo nel giro di qualche anno un generalizzato calo dei consumi in tutti i Paesi. A ben guardare, però, possiamo notare che in quel periodo in Italia il livello dei consumi rallenta la sua crescita o cala debolmente, mentre quello dei libri crolla. Allora, dobbiamo andare alla ricerca di cause endogene per individuare l’origine di ciò che è accaduto: e così ci accorgiamo che a fronte di un calo complessivo di poco più di sei punti nella percentuale dei lettori nel periodo 2010-2016 tra le generazioni più giovani si è aperta una vera e propria voragine, raggiungendo addirittura uno scarto di oltre quattordici punti nella fascia 11-14 e di dodici punti nella fascia 15-17, di gran lunga più pesante di quanto non sia accaduto per le altre generazioni; infatti è da rilevare che, nello stesso periodo, tra gli over 60 la lettura ha tenuto o è addirittura cresciuta. Non è stato così dappertutto, e non nella stessa misura: come ho avuto modo di dire in un’altra occasione: il panorama internazionale ci dice che negli stessi anni le abitudini di lettura tra i giovani spagnoli sono cresciute e che, laddove c’è stata una tendenza di segno negativo, come in Germania e in Francia, l’entità del calo tra giovani e adolescenti è stata molto più contenuta, così come i dati assoluti e le quote percentuali restano comunque molto più elevate rispetto a quelle che si rilevano in Italia.
Quindi, ciò che è accaduto dal 2010 in poi può essere compreso solo analizzando i comportamenti dei giovani lettori di casa nostra: dobbiamo mettere in collegamento gli indici di lettura in quelle fasce d’età con la diffusione della connessione dati in mobilità a tariffe flat, che ha completamente cambiato il nostro rapporto con la rete e ha riempito quasi tutto il tempo delle nostre giornate (il primo smartphone è del 2007, il primo tablet del 2010). In quegli anni il web è diventato il primo e a volte l’unico canale per l’accesso all’informazione e alla conoscenza ed è esploso l’uso dei social network. Inutile sottolineare che questa vera e propria migrazione di massa verso la rete ha riguardato principalmente giovani e adolescenti e che il distacco dalla lettura di libri verificatasi nei ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 17 anni non si è diretto verso il libro digitale, ma è andato in direzione di altri canali di intrattenimento e di apprendimento, che risultano più attrattivi sul “mercato dell’attenzione”.
Per completare questo esempio, vale la pena di ricordare anche che uno specifico intervento, rivolto negli anni successivi in particolare a quella fascia d’età, ha prodotto risultati interessanti, anche se poco pubblicizzati. Dal 2016 il Governo mette infatti a disposizione di chi compie 18 anni un “bonus cultura”, erogato attraverso la cosiddetta App18 e utilizzabile anche per l’acquisto di libri. Siccome il calo maggiore si era verificato nella fascia d’età 15-17, che da lì a poco sarebbe stata destinataria del bonus, è interessante un’osservazione mirata sugli effetti di questo provvedimento: in quel periodo la quota dei lettori è calata dal 59,1% al 47,1%, che in cifre assolute equivale a 241.000 lettori in meno; negli anni successivi, nella fascia di età 18-21 anni (vale a dire tra i giovani che hanno usufruito del bonus) sono stati rilevati 183.000 lettori in più e la percentuale è passata dal 46,8% del 2016 al 53,4% del 2017, al 51,1% del 2018, e infine al 54% del 2019: si tratta in assoluto dell’unica fascia di età con un sensibile aumento nel periodo, e sembra abbastanza chiara la relazione fra questo aumento e il bonus per i diciottenni. Il recupero è meno accentuato e più altalenante nelle altre fasce di età del pubblico giovanile.
Tornando ai dati BES sull’uso delle biblioteche, mutatis mutandis, possiamo forse farci aiutare nella diagnosi e nella terapia da quanto appena esposto in merito al calo della lettura nel decennio passato. Anche in questo caso avremmo a portata di mano una risposta facile facile: gli utenti sono dimezzati per colpa della pandemia e delle chiusure prolungate che erano state imposte. Potremmo fermarci qui e non porci altre domande, in attesa che si chiuda la parentesi.
Ma il fatto che i dati del 2021 siano molto peggiori di quelli del 2020 dovrebbe indurci a non accontentarsi di questa spiegazione: infatti, come abbiamo già evidenziato, lo scorso anno erano cominciate le riaperture e alcune attività “confinanti” con le biblioteche, come la didattica scolastica e universitaria, non hanno subito interruzioni paragonabili a quelle dell’anno precedente, in cui quasi un intero trimestre era stato svolto in DAD (didattica a distanza).
È del tutto evidente che l’origine del problema va ricercato nella pandemia, ma dobbiamo approfondire l’analisi. Innanzitutto, possiamo cercare di capire quali utenti hanno abbandonato le biblioteche e poi chiederci perché. Sono i giovani ad aver smesso di frequentare le biblioteche. I dati ci dicono che quasi due terzi dei bambini, ragazzi e giovani che utilizzavano le biblioteche non lo fanno più: nella fascia d’età 6-10 siano passati dal 38,7% del 2019 all’11,8% del 2021; nella fascia 11-14 siamo passati dal 38,3% al 15,3%; nella fascia 15-19 si è passati dal 35,3% al 13,2%; nella fascia 20-24 si è passati dal 36% al 16,9%. Meno accentuato il calo nelle fasce d’età più elevate. Da sottolineare che i giovani frequentano le biblioteche molto più degli adulti (solo tra gli italiani di età compresa fra i 6 e i 24 anni gli utenti delle biblioteche erano superiori a un terzo dei pari età, fino al 2019) e che, quindi, in prospettiva il dato è molto preoccupante: se i giovani di oggi smettono di andare in biblioteca, come si comporteranno quando saranno diventati gli adulti di domani?
Cosa è accaduto? Un po’ di autocritica non guasta. Qualche responsabilità sicuramente possiamo darla anche alle biblioteche stesse, a chi ci lavora e a chi le amministra: in alcuni casi le riaperture sono state tardive e troppo timide, solo un terzo delle strutture ha avviato servizi online realmente sostituitivi delle attività in presenza, altre non hanno riaperto affatto. Perché? Per mancanza di risorse e di personale, per mancanza di progettualità, perché altri servizi pubblici sono stati ritenuti prioritari, perché di fronte a una domanda debole anche l’offerta è stata ridimensionata.
Ma ancora non basta. Ritengo che l’origine del fenomeno vada individuata in parte al di fuori delle biblioteche. Certo, un’offerta fiacca e con scarso appeal malgrado nell’ultimo biennio le biblioteche abbiano potuto “rinfrescare” le collezioni, grazie ai 30 milioni di euro stanziati ogni anno dal Ministero della Cultura e destinati all’acquisto di libri presso le librerie del territorio non è sufficiente a motivare il pubblico ad affrontare i rischi che si correvano uscendo di casa e viaggiando sui mezzi pubblici, o a superare le difficoltà dovute a orari di apertura ridotti e ad altri disagi legati alle diverse misure di contenimento adottate. Non solo, quindi, risulta difficile recuperare gli utenti perduti, ma si sta toccando con mano quanto sia complicato contrastare i cambiamenti di abitudine che si stanno consolidando a partire dall’inizio del 2020.
Sono i dati di contesto a essere allarmanti e a spiegarci perché, dopo una certa reattività al momento dello scoppio della pandemia, il 2021 mostra quanto la situazione si sia fatta pesante. Tutti gli indicatori di partecipazione sociale sono peggiorati e non deve stupire se anche l’uso delle biblioteche e di altri servizi culturali ne abbia risentito. Molte risposte possiamo trovarle, o quanto meno cercarle, nel capitolo che il rapporto dedica alle relazioni sociali, su cui la pandemia ha agito in modo devastante. In apertura del capitolo leggiamo:
La famiglia, le amicizie e più in generale le reti relazionali sono una componente essenziale del benessere individuale perché rappresentano una parte fondamentale del capitale sociale delle persone. All’interno delle reti si mobilitano le risorse umane e materiali che assicurano sostegno e protezione sia nella vita di tutti i giorni sia nei momenti critici e di difficoltà, supplendo anche alle carenze dei servizi pubblici. Nel 2021, le persone hanno risentito più drammaticamente del protrarsi degli effetti della crisi sanitaria e si evidenzia un peggioramento di molti degli indicatori del dominio, che nel 2020 erano rimasti stabili o erano migliorati. Nel primo anno della pandemia le reti familiari e amicali avevano confermato il loro ruolo centrale e protettivo contribuendo ad alleviare le difficoltà di una fase molto delicata e senza precedenti come quella del lockdown. Nel 2021, però, i livelli di soddisfazione verso le relazioni familiari e soprattutto verso quelle amicali, pur continuando a rimanere elevati, registrano una forte flessione.
I più colpiti sono stati i giovani, ai quali sono stati sottratti due anni di “fisicità” nelle relazioni con i coetanei, attraverso la condivisione di momenti come quelli solitamente vissuti a scuola, in pizzeria o in altri luoghi di ritrovo, o attraverso la pratica sportiva. Si è aperto un vuoto profondo, di cui troviamo conferma nel peggioramento degli indicatori che il Rapporto BES usa per misurare il benessere psicologico e il livello di soddisfazione per la propria vita. Non voglio entrare in questioni che non ho la competenza per affrontare, ma basti pensare ai fatti di cronaca riguardanti bullismo e violenza, ai dati sul consumo di alcol e altre dipendenze, agli episodi di autolesionismo temo che in alcuni casi sia giustificato l’allarme per la salute dei giovani: il rapporto afferma che gli adolescenti con un basso punteggio di salute mentale erano nel 2019 il 3,2% del totale e che nel 2021 tale percentuale è raddoppiata (6,2%).
Lo sfilacciamento delle relazioni sociali, il rintanarsi in casa, affidandosi alle certezze che ci vengono dalla bolla che abbiamo costruito intorno a noi e al cui interno c’è spazio soltanto per le serie tv, lo streaming, i social network e altre pratiche digitali: questo è l’ambiente quotidiano in cui ci si adagia. Il fenomeno è generalizzato ma assume connotati patologici di particolare gravità se pensiamo ai giovani, che fanno sempre più fatica a uscire dalla loro “cameretta” e preferiscono ritirarsi in sé nel mondo online. Si tratta di una sindrome già studiata da psicologi e psicoterapeuti, manifestatasi da tempo e che negli ultimi due anni ha trovato terreno fertile per fare altre vittime.
A furia di essere “distanziati”, si perde interesse per gli altri: si pensi che le attività di volontariato, che erano rimaste stabili durante la prima ondata della pandemia, nel 2021 fanno registrare una contrazione di quasi cinque punti tra i giovani di 14-19 anni.
Ovviamente, si sono anche aggravate le disuguaglianze, perché tutti questi fenomeni si manifestano in modo totalmente diverso e impattano in misura differente sulla nostra esistenza, se abitiamo in un appartamento di 200 mq o in spazi domestici angusti e inadatti allo svolgimento di una vita familiare serena e rispettosa delle esigenze di ciascun individuo, se viviamo in un ambiente urbano strutturalmente robusto o in un territorio fragile e in una periferia desertificata, se abbiamo sicurezze economiche oppure no, se disponiamo di una connessione a Internet più o meno stabile, e così via.
Non è un problema di biblioteche, quindi. E, in un certo senso, non è neppure un problema di disagio giovanile, o almeno non è solo questo. Siamo di fronte a una ferita profonda, difficile da ricucire ma che andrebbe curata bene e rapidamente in un’ottica di sistema.
Occorre che i giovani si rimettano in gioco: non possiamo permetterci di sprecare il potenziale che essi potrebbero esprimere.
Si tratta di “questioni generali”, che dovrebbero stimolare interventi non solo settoriali, fondati su una visione lucida del domani che vogliamo costruire. Il problema riguarda i giovani, nel senso che bisogna investire sul futuro, come lascia intendere il piano di rinascita messo a punto a livello europeo, non a caso etichettato Next Generation EU.
All’interno di questo disegno si collocano le politiche culturali e le politiche giovanili, che in un Paese che invecchia sono una priorità e richiedono risorse adeguate. “Fuori da ogni retorica come ha dichiarato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo nel presentare il report si può dire che le politiche per il benessere dei giovani siano, oggi più che mai, politiche per il benessere del paese tutto intero”. Blangiardo aggiunge che occorre “ricostruire le basi strutturali del benessere dei bambini e dei giovani, con un serio investimento nell’intero sistema scolastico e universitario, l’azione per sostenere e potenziare le reti di servizi territoriali per la cultura, lo sport e il tempo libero”.
Le biblioteche potranno esercitare una funzione all’interno di queste politiche se riusciranno a esprimere una progettualità adeguata alla gravità della disgrazia che ci ha colpito e alle sfide della contemporaneità.