N.4 2022 - Biblioteche oggi | Maggio 2022

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La censura bibliotecaria nell’Italia fascista e nella Germania del Terzo Reich

Erika Baini

Collaboratrice esterna presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano erikabaini@libero.it

Abstract

Questo articolo vuole mostrare i diversi metodi di censura utilizzati nelle biblioteche dall'Italia fascista e dalla Germania nazista. Nell'Italia di Mussolini, la censura si concentrò soprattutto tra il 1938 e il 1942 e consistette nella stesura di una lista di autori e libri sgraditi alla politica del regime. Non fu un'operazione completamente rigorosa e severa, a differenza della Germania del Terzo Reich. In quest'ultimo, la politica di censura fu attuata in modo spietato da Goebbels, ministro della Propaganda, che organizzò diversi roghi dei libri non in linea con la religione politica del Reich. Il rogo nazista portava in sé un simbolismo che avrebbe portato oltre l'atto stesso dell'eliminazione fisica del libro: l'eliminazione dell'uomo.

English abstract

This article wants to show the different methods of censorship used in libraries by Fascist Italy and Nazi Germany. In Mussolini’s Italy, the censorship was mainly focused between 1938 and 1942, and consisted in drawing up a list of authors and books unwelcome by the regime’s politics. It wasn’t a completely rigorous and severe operation one unlike Germany Third Reich. In this last one, the censorship policy was ruthlessly implemented by Goebbels, Minister for Propaganda, who organized several burnings of the books that weren’t in line with the political religion of the Reich. The nazi book-burning carried within itself a symbolism that would have led beyond the very act of the physical elimination of the book: the elimination of man.

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Dagli elenchi degli autori non graditi ai roghi dei libri

La censura nell’Italia fascista

L’Italia fascista e la Germania del Terzo Reich hanno ricoperto un ruolo decisivo nell’ambito della censura all’interno delle biblioteche. Tuttavia, i metodi e le strategie volti ad attuarla furono differenti. La censura italiana intraprese una strada, attraverso tappe graduali, più istituzionale e meno rigida rispetto alla Germania di Hitler. Nell’Italia di Mussolini l’intervento censorio dal punto di vista bibliotecario, iniziato poco dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e inizialmente interessato alle biblioteche popolari di ispirazione socialista turatiana, si tradusse principalmente tra il 1938 e il 1942 nella compilazione di un elenco di autori e di testi “non graditi” (ebrei e non) alla politica di regime. Questo elenco sarebbe stato in seguito consegnato ai bibliotecari di tutte le biblioteche di pubblica lettura al fine di impedire l’acquisto di tali opere da parte delle biblioteche stesse e la loro circolazione. Tuttavia, la redazione di tale elenco non risultò un’operazione del tutto rigorosa e severa: esso, infatti, andò incontro più volte a rielaborazioni e rimaneggiamenti, non fu esente da errori, sviste, correzioni e rettifiche e l’eliminazione dei testi “non graditi” non avvenne mai stricto sensu, permettendo così ancora la loro consultazione a un pubblico “scelto”. 

Diverso, invece, è il caso che riguarda la Germania del Terzo Reich, in cui la politica censoria venne attuata dal ministro per l’Istruzione pubblica e la propaganda Paul Joseph Goebbels in maniera spietata, organizzando ovunque roghi di tutti quei libri che non risultavano in linea con la religione politica del Reich. La pratica del rogo per i nazisti raccoglieva in sé una simbologia e un senso che avrebbero condotto ben oltre l’atto stesso dell’eliminazione fisica del libro. La motivazione che emergeva, infatti, era la convinzione che il libro fosse l’alter ego dell’uomo, la cui identità sarebbe sopravvissuta fino a quando il libro stesso sarebbe rimasto integro. Nel 1821 Heinrich Heine, uno dei numerosi autori “dati alle fiamme”, aveva profeticamente affermato che “là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”.  Eliminare il libro, dunque, avrebbe significato eliminare l’Uomo, o addirittura il sentimento nazionale e religioso, fondamentali per la sopravvivenza dell’identità di un popolo. Da tali ceneri sarebbe sorta così una nuova identità, la quale – secondo il rinnovato spirito tedesco – avrebbe portato alla nascita dello Übermensch nazista. La distruzione dei libri fu il prologo dello sterminio che seguì. Citando Fernando Báez, “i roghi dei libri ispirarono i forni crematori”.

In Italia la tradizione del controllo delle biblioteche veniva da lontano, dal periodo liberale e, prima ancora, addirittura dal tempo degli antichi regimi. Con l’avvento del fascismo assistiamo a un programma di graduale smantellamento di quelle che erano le biblioteche popolari di ispirazione socialista-riformista, con la conseguente sostituzione dei loro dirigenti da parte di esponenti del regime e con la “bonifica” delle raccolte. L’opposizione fascista alle biblioteche popolari di derivazione socialista turatiana ha inizio subito dopo la marcia su Roma con diversi episodi di intimidazione squadrista contro strutture della Federazione italiana delle biblioteche popolari e con l’estromissione nel 1926 di Ettore Fabietti da essa. La linea tenuta dal suo sostituto Leo Pollini sarà soprattutto indirizzata all’obiettivo di “bonificare” le biblioteche popolari, espungendo dalle loro raccolte tutto ciò che apparisse ispirato più o meno direttamente a ideali socialisti di varia natura o non fosse comunque del tutto consono all’ideologia di regime. L’intervento si propagò ben presto anche nell’ambito delle biblioteche scolastiche. Nel 1929 il Comitato delle biblioteche delle scuole elementari del Regno, istituito nel 1903 da Clara Archivolti Cavalieri con l’intento di diffondere le biblioteche nelle scuole, assunse la denominazione di Associazione nazionale fascista per le biblioteche delle scuole italiane. Tale Associazione aveva come scopo il controllo e la fornitura di libri “rispondenti all’attuale momento politico e volti alla Fascistizzazione dei giovani e di dare gratuitamente biblioteche alle Scuole sprovviste di mezzi e lontane dai centri”.Il 24 settembre del 1932 la Federazione italiana biblioteche popolari e l’Associazione nazionale fascista per le biblioteche scolastiche – entità di ben diversa origine e di opposte ispirazioni iniziali – andranno a confluire nell’Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche (ENBPS) controllato dal Ministero dell’Educazione nazionale guidato da Giuseppe Bottai. Quello che nasce è dunque un ente di portata nazionale chiamato a sovraintendere a livello centrale all’attività delle biblioteche popolari e delle biblioteche scolastiche al quale si accompagna il tentativo di attuare e razionalizzare un circuito di produzione libraria ideologicamente controllato che trovasse nella politica dell’ente e nella rete delle biblioteche popolari e scolastiche uno strumento di educazione e un ambito di espansione. La realtà delle biblioteche popolari e delle biblioteche scolastiche si è tramutata ormai in una realtà unica e inscindibile incardinata sullo stesso binario. L’intervento attuato nei confronti delle biblioteche popolari e soprattutto nell’ambito delle biblioteche scolastiche rientrava infatti in un programma il cui punto fondamentale sarebbe stato quello della costituzione di un modello di educazione di tipo ideologico rivolto a un pubblico di giovani e giovanissimi con lo scopo di formare l’homo novus

L’attenzione nei confronti di coloro che sarebbero diventati i futuri uomini dell’Italia fascista fu resa manifesta da Mussolini sin dal primo momento, ovvero subito dopo la svolta interventista dell’autunno del 1914 – alla fondazione del Popolo d’Italia – quando egli stesso invitò i giovani e gli studenti alla mobilitazione. Si sarebbe così creata un’opinione pubblica, la quale avrebbe aiutato Mussolini a imporsi come leader. Infatti, all’adunata del 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano, giorno in cui vennero fondati i Fasci italiani di combattimento, vediamo presenti numerosi giovani provenienti da tutta Italia spinti dal mito dell’arditismo, i quali costituiranno l’ossatura su cui si ergerà il fascismo italiano. L’attenzione di Mussolini nei confronti delle nuove leve si sarebbe rivelata determinante per la creazione di un consenso che avrebbe portato alla nascita e al consolidamento dell’Italia fascista. 

Tutto, dunque, sarebbe dovuto partire dal “mito della giovinezza” e dalla sua educazione in linea con la dottrina fascista. L’attenzione agli strumenti scolastici e parascolastici per la formazione di base – ovviamente conformi alla politica di regime –, accompagnata al tentativo di elaborazione di una nuova “cultura popolare” che si legasse profondamente a un’idea nazionale traducibile in un’adesione politica e ideologica di massa, esprimeva infatti uno dei punti fondamentali del fascismo sia al momento che dopo il suo consolidamento come regime di governo. 

Nell’autunno del 1938 il Consiglio dei ministri approva le leggi per la difesa della razza attraverso le quali si stabiliva l’esistenza della razza italiana e la sua appartenenza al gruppo delle razze ariane. L’operazione di arianizzazione si diffuse in maniera capillare e in ambito bibliotecario ebbe luogo inizialmente nelle biblioteche dell’Ordine nazionale dopolavoro (OND), discretamente frequentate e che dipendevano dal Partito nazionale fascista (PNF) e dal suo segretario Achille Starace (1931- 1939). Gli ebrei vennero espulsi dal PNF a partire dal 6 ottobre 1938 e, come conseguenza, dal 12 ottobre il direttore generale dell’OND Corrado Puccetti li escluse a sua volta dal tesseramento dell’organizzazione. Dall’inizio di dicembre gli ebrei non ebbero più accesso a nessuna attività dell’OND venendo quindi esclusi anche dalle biblioteche. Da allora i lettori furono solo ariani. Dalla ricerca condotta da Giorgio Fabre nel suo saggio intitolato L’Elenco emerge che, per quanto riguarda i testi presenti in quegli organismi, la situazione risultava un po’ più complicata e le nostre conoscenze meno complete. Tuttavia, sappiamo che già dal luglio del 1938 l’ENBPS subì lo smacco di una segnalazione tedesca a proposito di alcuni libri di autori ebrei presenti in un suo Indicatore bibliografico. L’ente elaborò dunque un supplemento anteriore all’aprile del 1939 – di cui ne possediamo solo la traccia – in cui fu inserito un elenco di autori con relative opere non più messe a disposizione e che quindi le biblioteche non dovevano più acquistare: talune erano opere di autori ebrei, altre erano solo esaurite o superate. Non si trattava dunque di un’eliminazione, ma di un impedimento all’introduzione di nuove opere di autori ebrei. Infatti, l’ENBPS, controllato dal ministero di Bottai, aveva il compito di coordinare l’acquisto dei libri e la loro distribuzione in tutta la rete di biblioteche popolari, comprese quelle dell’OND, ma non aveva potere né sulla scelta dei libri né sulle richieste di epurazione. 

Il 14 dicembre del 1938, il direttore generale Corrado Puccetti distribuì alle organizzazioni dopolavoristiche un primo elenco di autori stranieri di razza ebraica. Erano autori drammatici francesi, romeni, ungheresi, jugoslavi e di essi veniva vietata ogni rappresentazione da parte delle filodrammatiche dell’OND. In subordine, le opere di quegli autori venivano anche eliminate dalle biblioteche. Una relazione per il 1938-1939 del dopolavoro della società Caproni di Milano ci fa sapere che dalla biblioteca, nel frattempo, erano stati eliminati “secondo indicazioni [...] tutti i libri di autori giudei o giudicati da apposita commissione non adatti per un centro di cultura fascista!”. Dai cataloghi di alcune di queste biblioteche risulta che avvennero pesanti eliminazioni, anche se qualche autore ebreo, in particolare straniero, rimase. Essendo tante le biblioteche dopolavoristiche i libri eliminati di autori ebrei dovettero essere quanto meno migliaia e molte furono le persone coinvolte nella ripulitura. Tuttavia, almeno una di queste biblioteche fu largamente risparmiata, ossia quella della sede centrale dell’OND a Roma. Il catalogo di questa raccolta di quasi quattromila libri e risalente al 1941 riporta un alto numero di titoli di autori ebrei italiani: da Dux di Margherita Sarfatti, all’Economia nazionale corporativa di Gino Arias, Politica fascista di Ettore Ovazza, e via via Anna Errera, Sabatino Lopez, Guido da Verona. Una biblioteca, dunque, che sembra aver goduto di un discreto privilegio. 

Il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai. Fotografia di Ghitta Carell conservata presso il Fondo fotografico Giuseppe Bottai, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.

Come anticipato, Giuseppe Bottai fu estraneo all’eliminazione dei lettori ebrei e dei libri di autori ebrei dalle biblioteche dopolavoristiche, dal momento che queste dipendevano dal PNF. Egli infatti per diverso tempo non ritenne di intervenire razzisticamente sui luoghi di pubblica lettura che dipendevano da lui. Ma il 15 gennaio 1941 il ministero di Bottai fece stampare e distribuì alcuni Elenchi di opere la cui pubblicazione, diffusione o ristampa nel Regno è stata vietata dal Ministero della Cultura Popolare.  Si trattava tuttavia di una imitazione italiana, o risposta politica, a un precedente avvenuto in Francia da parte tedesca nell’ottobre del 1940, con la differenza che la soluzione italiana fu ben più riservata di quella franco-tedesca. Mentre in Francia furono tirate quarantamila copie dell’elenco, il circuito italiano rimase limitato e semipubblico. La pubblicazione fu infatti inviata ai provveditori e ai prèsidi perché fosse mandata nelle scuole per ripulire le biblioteche scolastiche. Il primo marzo 1941 l’elenco fu fatto pervenire anche ad alcune biblioteche governative, ma non a tutte – alla Nazionale di Firenze fu spedito ad esempio solo il 19 settembre. Nell’aprile del 1942 il Ministero della Cultura popolare fece pervenire a Bottai un ulteriore elenco di “autori non graditi” al fine di distribuirlo prima alle principali case editrici – la comunicazione agli editori era avvenuta in via riservata – e in seguito, nel mese di maggio, a tutte le biblioteche. La distribuzione di questo elenco, rielaborato più volte, cadde in un momento di incrudelimento della persecuzione antiebraica. Bottai, in quei mesi, pubblicò sulla propria rivista “Primato” un editoriale anonimo intitolato Razza e Cultura in cui scrisse che “la razza non è l’unico elemento determinante e assorbente della vita statale e nazionale; ne è solo un ‘dato di fatto’, ineliminabile come tanti altri fattori naturali”. Nella lista di maggio distribuita alle biblioteche, la dicitura “autori non graditi” fu sostituita con “autori israeliti”. Era giunto il momento, dunque, di prendere misure di arianizzazione radicale. 

Tuttavia, non si trattava di un’eliminazione in senso stretto delle opere di “autori non graditi” (ebrei e non). I libri tolti dalla circolazione sarebbero stati conservati in reparti riservati e, caso per caso, i bibliotecari avrebbero dovuto valutare a chi darli in lettura. Ne forniscono una testimonianza la lettera della direttrice della Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma, Maria Ortiz, e di Roberto Paribeni, presidente dell’Istituto archeologico di Roma. La Ortiz, con una lettera del 3 giugno 1942, scrisse all’Educazione Nazionale

Scorrendo quest’elenco vedo che, se la maggior parte delle opere degli autori in questione possono, senza pregiudizio essenziale della cultura, essere tolte dalla circolazione, ve n’è qualcuna che rende buoni servigi agli studiosi, e che in certi sensi è insostituibile. [...]. Mi proporrei di contrassegnare (con applicazione di uno speciale cartellino, o di un timbro) le opere degli autori segnalati nell’elenco testé ricevuto; quando queste opere venissero chieste in lettura, il personale addetto alla distribuzione messo in guardia dal contrassegno, si rivolgerebbe alla Direzione per chiedere istruzioni; e la Direzione qualche volta permetterebbe di darle in lettura, tenuto conto della qualità del richiedente, e di tutte le altre circostanze concomitanti.

Anche Roberto Paribeni, in quanto presidente dell’Istituto di archeologia, come la Ortiz, avanzò rimostranze a Bottai “poiché alcuni di questi libri sono veramente indispensabili”. 

La decisione per l’Educazione nazionale non fu facile. Bottai infatti non si fidò ad agire da solo e chiese un parere ufficiale alla Presidenza del Consiglio. Ne seguì uno scambio epistolare che durò tre mesi e che, con dispiego di direttori generali, sottosegretari di stato e ministri, coinvolse ben tre organismi ministeriali: la Presidenza del Consiglio, il ministero della Cultura popolare e quello dell’Educazione nazionale. Il consenso definitivo alla possibilità di consultare i libri “non graditi” di autori ebrei e non fu dato infine dalla Cultura popolare, che a sua volta lo comunicò alla Presidenza del Consiglio: veniva così conferito ai direttori delle biblioteche il prudente compito di stabilire, volta per volta, se tali libri potevano essere dati o non dati in studio, “tenuto conto delle opere richieste in lettura o in prestito, della persona che le richiede e degli studi da essa coltivati” – tenendo presente che si trattava sempre di lettori pressoché rigorosamente ariani. Il ministero inoltre accolse, applicandola, anche l’idea della Ortiz del “segno sui testi”. 

Dell’elenco possediamo solo l’edizione del 1942, quando fu distribuito prima agli editori e poi alle biblioteche, ma grazie a essa possiamo risalire, almeno in parte, anche alle precedenti. Come detto in precedenza, esso raccoglieva nomi di autori “non graditi” al regime fascista, ebrei e non. Dal settembre del 1938 venne raccolto e steso un elenco di autori ebrei che tuttavia non erano ebrei identificati “razzialmente” a termine di legge, ma così individuati dagli editori e di conseguenza considerati tali dalla Direzione generale della stampa italiana. Via via poi furono aggiunti altri nomi. Prima del maggio 1939 fu aggiunta una lista di antifascisti, anch’essa poi perfezionata. Infine, prima del luglio 1939, fu inserita la lista Barduzzi, che rimase invece invariata. A quell’altezza, dunque, l’elenco era composto da questi tre gruppi di nomi. 

Per quanto riguarda la lista degli antifascisti, la ricerca condotta da Giorgio Fabre ne ha individuati settantaquattro (tra cui alcuni incerti). Si tratta di autori di libri o di opuscoli o pubblicisti la cui attività era nota alla polizia fascista. Solo per uno di essi, Mario Mariani, fu imposto, alla fine del 1939, un divieto pubblico per tutte le opere. Tra di essi fu poi aggiunto un numero di stranieri come Steinbeck, Dos Passos (il cui nome è inoltre sbagliato), Maugham. Tuttavia, l’aggiunta avvenne solo dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale: erano gli stranieri “nemici”. È da notare che non compaiono né Palmiro Togliatti, forse per un disguido (mentre sue opere erano presenti nelle liste tedesche), né Lenin e Stalin. Tutto questo lascia ipotizzare che la stesura dell’elenco ebbe un rallentamento o terminò prima del conflitto con l’URSS, e cioè nella prima metà del 1941. Altri nomi di antifascisti presenti nell’elenco erano Ugo Janni, pastore evangelico, già diffidato per aver diffuso “intensa propaganda” e per aver prodotto conversioni, il pornografo Virgilio Scattolini, il giurista Edoardo Ruffini, i professori universitari Giorgio Levi Della Vida e Fabio Luzzatto, che oltre a non aver prestato giuramento di fedeltà al regime fascista erano riconosciuti “di razza ebraica”. 

Nell’elenco del 1942 erano presenti in tutto novanta autori “ariani”, italiani e stranieri. Un’ulteriore ottantina di nomi non è identificabile con sicurezza come di ebrei, anche se è probabile che molti di essi lo fossero. Gli altri erano invece tutti autori ebrei o ritenuti tali. Questi ultimi si inquadravano in autori ebrei italiani e stranieri che avevano pubblicato presso editori italiani, i quali ne avevano fornito nomi e opere; settantasette ebrei tedeschi (o di area tedesca) tratti dalla lista Barduzzi, di cui alcuni confermati dalle case editrici italiane; un piccolo gruppo di ebrei ungheresi, di cui una parte il ministero non avrebbe potuto censire attraverso le case editrici semplicemente perché le loro opere non erano pubblicate in Italia. 

Dal punto di vista quantitativo, dunque, i nomi sono 912, ma a causa di varie ripetizioni dovute a rimaneggiamenti, il totale è di 893 autori differenti. Tuttavia, mancavano all’appello alcuni autori. La stragrande maggioranza dei nomi contenuti nelle varie edizioni dell’“elenco 1942” proveniva dal censimento 19230 e dai successivi controlli eseguiti presso le case editrici. E dunque, il fatto che un nome comparisse in elenco oppure no, dipendeva dalla segnalazione, in ultima analisi, delle case editrici. Si spiegano così, in primo luogo, alcune assenze abbastanza evidenti. Inoltre, bisogna tener conto che è probabile che qualche nome sia stato tralasciato nel corso delle trascrizioni che condussero all’elenco finale, ossia quello che conosciamo. Tra le varie assenze, la ricerca condotta da Giorgio Fabre ne segnala tre decisamente insolite in quanto si trattava di personaggi noti ed ebrei acclarati. I nomi sono quelli di Italo Svevo, Mario Fubini e Umberto Saba. Per quanto riguarda Svevo, sappiamo che nel maggio 1939 il prefetto di Trieste vietò un’opera su di lui, cioè l’opuscolo Italo Svevo. L’artista e l’opera di Ubaldo Scarpelli. Questo non significa che il nome fosse arrivato fino al ministero. Nel 1938 inoltre, all’epoca del censimento della circolare 19230, lo scrittore triestino era già morto da dieci anni. È certo dunque che nessuna casa editrice, trattandosi di un autore morto, lo avesse segnalato dopo la 19230, né che fosse arrivata una successiva segnalazione. Infatti, nel febbraio 1941 Svevo, con quattro titoli (Senilità, Una vita, La novella del buon vecchio e della bella fanciulla, La coscienza di Zeno), compariva nel listino Corbaccio. Quanto a Mario Fubini, fino a una certa data che non conosciamo, il suo nome era di sicuro in lista perché venne considerato ebreo “certo” dall’editore Gherardo Casini in una lettera a Laterza del marzo 1939. Invece nella lista “finale” del 1942 il suo nome non compare più. L’unica ipotesi è che forse si trattò di un errore materiale, forse un salto di nome dovuto alla confusione fra i vari Fubini presenti nell’elenco. Per quanto riguarda Saba invece è tutto abbastanza chiaro. Umberto Saba in origine si chiamava Umberto Poli, ma per Regio Decreto aveva sostituito lo pseudonimo al cognome vero. In realtà dal punto di vista anagrafico finì per avere due cognomi. Il 1° febbraio 1940 Casini chiese alla Garzanti se un “Saba U.” che compariva in un suo catalogo fosse “di razza ebraica”, ma purtroppo non conosciamo la risposta. Una nuova indagine partì da parte di Celso Luciano nel marzo 1942. In quell’anno all’anagrafe non compariva nessun Saba, mentre un “Poli Umberto” era stato iscritto alla comunità israelitica e, secondo un rabbino, i due nomi potevano riferirsi alla stessa persona. Lo pseudonimo però non era stato registrato all’anagrafe di Trieste e non lo si poteva identificare. La situazione anagrafica di Saba era dunque di difficile decifrazione a Trieste e tanto più a Roma. 

Ferdinando Mezzasoma, direttore generale della stampa italiana e Ministro della Cultura popolare nella RSI.

esempio di documento che mostra le conseguenze della circolare n. 19230 del 30 maggio 1939

Un ulteriore caso rilevante è quello di Rudolf Steiner, noto scrittore di antroposofia. L’assenza questa volta aveva una rilevanza internazionale, in particolare in relazione con una lista completa di autori presentata dai tedeschi agli italiani nel 1941. Steiner era infatti presente in quella lista, mentre non c’era in quella mandata alle case editrici e biblioteche italiane nel 1942. La complicata vicenda venne in parte ricostruita in una lettera inviata da Giovanni Laterza al Ministero della Cultura popolare il 4 maggio 1942. La lettera rispondeva ad altre due missive del ministero: nella prima, Casini dichiarava che Rudolf Steiner “risulta essere Autore non gradito in Germania”. Nella seconda, Mezzasoma (che aveva appena sostituito Casini) il 23 aprile non autorizzò la ristampa di alcuni volumi dello Steiner “perché l’Autore appartiene alla razza ebraica”. Prima di dare una risposta alla lettera del 23 aprile, Laterza interpellò Rinaldo Küfferle, rappresentante in Italia dei diritti di Steiner (morto da tempo). Egli spiegò che il 24 ottobre 1933 il Ministero dell’Interno del Reich aveva dichiarato che il suo autore era di razza ariana. L’affermazione venne pure ribadita in Italia: 

Nell’autunno 38 fu pure messa in dubbio l’arianità dello Steiner. In tale occasione io depositai personalmente al Ministero della C.P. un certificato notarile comprovante che né lo Steiner né i suoi ascendenti paterni o materni erano ebrei, bensì tutti cattolici e ariani, e annunciai di aver depositato tale documento in una lettera aperta al “Regime Fascista” che l’Ecc. Farinacci pubblicò ben volentieri. Con ciò parve dissipato ogni equivoco.

Quanto Küfferle sostenne nel 1942 in linea di massima era esatto. In effetti, nel 1938 la casa editrice Bocca di Milano, ricevuta la comunicazione di Küfferle sull’arianità di Steiner, l’aveva fatto sapere al ministero. Questi, il 17 dicembre 1938, a sua volta aveva chiesto al prefetto di Milano di controllare la veridicità delle affermazioni di Küfferle. La prefettura di Milano controllò e risultò che esisteva davvero un atto, rilasciato da un notaio di Basilea nel 1933, che testimoniava che Steiner era ariano. Su “Regime Fascista” era pure comparsa la lettera di Küfferle (che si dichiarava “ariano cattolico fascista”) in cui veniva asserita l’arianità “purissima” di Steiner. Così Steiner non fu inserito neanche nell’elenco elaborato dal ministero italiano. Ma, come anticipato in precedenza, egli veniva segnato nella lista tedesca “completa” del 1941 con lo pseudonimo “Früher Salomon” (che non risulta peraltro attribuito al nostro autore). Così il 7 agosto 1942 l’unica cosa che restò da fare al Ministero della Cultura popolare, per non generare scontri coi tedeschi, fu quella di vietare la ristampa – senza sequestro – delle sue opere: “A prescindere dall’appartenenza o meno alla razza ebraica dello scrittore Früher Salomon (pseudonimo di Rudolf Steiner) non si ritiene opportuno, nell’attuale momento, autorizzare la ristampa delle sue opere”.

L’“elenco 1942” conteneva anche nomi che non avrebbero dovuto esserci. Anche in questo caso si trattava di errori e la colpa era da attribuire all’origine imperfetta e segreta dell’elenco stilato con il contributo delle case editrici che potevano sapere chi era legalmente ebreo solo fino a un certo punto. Le presenze “in eccesso” furono rilevate quando l’elenco divenne semipubblico nel 1942, cioè quando fu prima distribuito alle case editrici (per quanto riguarda la produzione e il commercio) e poi alle biblioteche. A partire però dal 27 maggio 1942 alcuni di questi nomi inseriti a torto furono cancellati dall’elenco con comunicazione della Direzione generale della stampa italiana ai prefetti e con notifica agli editori: Agostino Donati, Walter Bigiavi, Umberto Carpi, Guido Finzi, Cesare Grassetti, Alessandro Volta, Mattia Moresco, Giorgio De Semo Pacifico e Fabio Conforto. Tolti questi autori dall’elenco, le loro opere tornavano quindi disponibili e disponibili anche per i tedeschi, ai quali il 4 luglio 1942 fu comunicato l’elenco, già contenente queste prime rettifiche. Tra settembre e novembre furono elaborate altre rettifiche per altri quattro autori: Melina Pinto Colombo, Euclide Carlo Milano, Cesare Nordio, Lorenza Aghito. Va peraltro segnalato che queste variazioni non furono però comunicate ai tedeschi. Tuttavia, per tre altri nomi presenti a torto in questo elenco non risultò alcuna rettifica. Il primo era quello di un’autrice Mondadori di discreto successo, Annie Vivanti. Additata da Alessandro Pavolini come ebrea all’inizio del 1942, morì e la sua identità razziale non fu mai determinata. Il secondo nome presente a torto era quello di Pierpaolo Luzzatto Fegiz. Professore universitario, non fu cacciato nel 1938 in quanto ritenuto “non ebreo”. Su di lui però fu aperta una successiva istruttoria razziale della Demorazza (Direzione generale per la demografia e la razza) ancora in piedi il 27 marzo 1942, dopo che l’elenco venne distribuito. In seguitò non risultò che Luzzatto Fegiz sia stato riconosciuto come ebreo. Il terzo è quello del giurista Ernst Heinitz, futuro rettore della Libera università di Berlino, allievo e collaboratore di Piero Calamandrei. L’“elenco 1942” in realtà contiene anche nomi di alcuni autori che sia prima che dopo il marzo 1942 poterono pubblicare qualcosa nonostante il divieto della loro lettura nelle biblioteche. 

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, il Gran consiglio del fascismo, attraverso l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, votò la sfiducia nei confronti di Benito Mussolini decretando così la caduta del regime. Quanto accadde dopo il 25 luglio, dunque, “fu solo la conseguenza estrema, in una situazione caotica, delle realizzazioni e delle strategie degli anni precedenti”. Inoltre, la documentazione sulla censura subita dagli autori ebrei dopo il 25 luglio 1943, e in particolare durante la Repubblica sociale italiana (RSI), è limitata, frammentata e dispersa. Si racconta infatti che dopo il 25 aprile 1945, sul terrazzo superiore della Villa Benoni a Toscolano Maderno (poco distante da Salò) – sede del Partito fascista repubblicano e delle Brigate nere con a capo Alessandro Pavolini –, i fascisti appiccarono fuoco a numerosi documenti che quindi andarono perduti. Le poche informazioni che possediamo, tuttavia, sono sufficienti a sostenere che il “problema”, anche nei momenti più critici e caotici della guerra, rimase in piedi conoscendo una nuova fase. Durante il governo Badoglio per le biblioteche nessuna norma doveva essere reintegrata. Ferdinando Mezzasoma, nuovo ministro della Cultura popolare durante l’RSI, fu molto attento nel mettersi all’opera: tra il 10 e l’11 ottobre 1943 la stampa annunciò il ripristino della normativa generale pre-25 luglio, nonché il varo di ulteriori provvedimenti. Il 3 novembre 1943 Mezzasoma inviò un telegramma ai questori con il quale chiese di “disporre l’immediato ritiro dalla circolazione dei libri di autori ebrei e di quelli che erano stati già vietati per ragioni politiche anteriormente al 25 luglio”. L’intervento di Mezzasoma aveva però anche uno scopo ulteriore, ossia quello di costruire un quadro censorio fornito di qualche certezza oltre a rimettere in funzione una lista di autori e libri proibiti su cui basarsi. Per questo motivo diverse furono le sue richieste ed esortazioni al fine di compiere un’epurazione con un criterio più organico. Ciò dimostrava che la RSI ebbe una nuova e specifica attenzione nei confronti del problema della censura libraria e degli autori ebrei. Tuttavia le strade che a quel punto vennero battute erano quelle che erano state tracciate nelle esperienze del decennio precedente e lo stesso Mezzasoma le conosceva bene, dal momento che era stato per più di un anno direttore generale della stampa italiana. Tali strade si fondavano sulla riservatezza, sull’uso di elenchi, sulla delega parziale agli organismi periferici, le prefetture, e infine sull’autocontrollo da parte delle case editrici. Per gli autori ebrei durante l’esperienza della Repubblica di Salò si trovarono cioè gli stessi sistemi adottati durante il fascismo monarchico ma, questa volta, con una forte intransigenza, la quale si dimostrò essere apparente e di facciata, data la situazione fortemente caotica. I ministeri erano stati trasferiti e dispersi in varie città da dove capitò di essere a sua volta ritrasferiti. Le comunicazioni erano diventate difficili. Talvolta anche diversi archivi andarono perduti: una parte consistente di quelli della Cultura popolare e dell’Educazione nazionale rimasero a Roma, che nel giugno del 1944 passò in mano alleata. Si decise dunque di riesumare la vecchia lista degli “autori non graditi in Italia”. Il 2 maggio 1944 questa lista fu di nuovo varata dalla direzione generale di Alfredo Cucco e inviata alla segreteria di Mussolini. Nomi nuovi non vi erano stati aggiunti. 

La stesura dell’“elenco 1942” dunque, come abbiamo potuto vedere, non fu un’operazione rigida e severa. Inoltre, vi erano presenti errori di genere diverso, correzioni e rettifiche. Il suo scarso rigore, dunque, non sembrò così preoccupante. Il rogo fascista era avvenuto senza fuoco e senza fiamme, al contrario di quello che sarebbe accaduto nella Germania del Terzo Reich. 

La censura nel Terzo Reich

La censura nazista, fin dalla salita al potere di Hitler, si era prodigata non solo nel sequestro di libri ebraici e delle popolazioni dei territori occupati, ma si impegnò in una vera e propria distruzione, attraverso i roghi, di qualsiasi pubblicazione non conforme alle idee del regime. Già nel 1644 John Milton scrisse nell’opera Aeropagitica che “uccidere un buon libro equivale a uccidere un essere umano; chi uccide un essere umano uccide una creatura ragionevole, l’immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione medesima”. Nella Tempesta di Shakespeare, il selvaggio Calibano, per privare Prospero dei suoi poteri e quindi della sua umanità, consiglia a Trìnculo e Stefano di bruciare i suoi libri: 

Ebbene, come ti ho detto, è suo costume Dormire il pomeriggio:
Puoi ammazzarlo, allora,
Dopo avergli prima preso i libri.

O spaccargli il cranio con un ceppo,
O squarciargli il ventre con un palo,
O tagliargli la gola col coltello.
Ma prima prenditi i suoi libri.
Senza di loro è uno sciocco qualsiasi, come me, E non può comandare a un solo spirito:

Tutti lo odiano quanto lo odio io. Brucia solo i suoi libri, però.

Non occorse però aspettare l’avvento della censura nazionalsocialista. Già prima della salita al potere di Hitler nel 1933 i militanti nazisti avevano iniziato a perseguitare gli intellettuali. Nel 1930 avevano inveito contro Thomas Mann mentre teneva un discorso, opere di Erich Maria Remarque erano state sottratte dalle librerie e distrutte; scritte minacciose erano comparse sulle abitazioni di alcuni scrittori e gli autori di ascendenza ebraica venivano pubblicamente offesi. 

Nel 1932 il “Völkischer Beobachter”, il giornale ufficiale del Partito nazista, pubblicò una lettera firmata da ventiquattro docenti che esprimevano il proprio sdegno nei confronti degli scrittori comunisti e invocavano la necessità di tornare alla purezza dei simboli culturali tedeschi. La richiesta di tornare alle origini della cultura germanica divenne un punto centrale della politica culturale del nazionalsocialismo una volta salito al potere. Basti considerare i due manifesti letti durante l’esecuzione dei roghi intitolati Dodici tesi contro lo spirito non tedesco e Oracoli del fuoco dai quali emergeva come Romanticismo, razzismo, nazionalismo, antimodernismo e darwinismo sociale costituissero i pilastri della politica culturale nazionalsocialista. Dal Romanticismo si attinse l’importanza della lingua, della letteratura e delle tradizioni: i nazisti erano infatti convinti che la cultura germanica potesse essere diffusa solo mediante l’utilizzo della lingua madre da parte di autori tedeschi e qualora uno scrittore ebreo avesse espresso il proprio pensiero in lingua tedesca, sarebbe stato considerato un impostore e traditore. Dal razzismo derivò il principio della superiorità tedesca, basata sulla razza ariana e sull’appartenenza al medesimo sangue. Al fine di purificare la società da elementi non tedeschi, i nazisti intendevano attuare politiche di eugenetica non solo sterminando coloro che non appartenevano alla cosiddetta “razza ariana”, ma anche effettuando quello che sarebbe stato il più grande bibliocausto della storia. Nell’agosto 1932 lo stesso giornale ufficiale del Partito aveva già iniziato anche a stilare il primo dei numerosi elenchi di autori, libri e idee da bandire – noti con il nome di “liste nere” – non appena il partito nazionalsocialista avesse conquistato il potere. La lista nera più rilevante fu quella redatta da Wolfgang Hermann, un bibliotecario ventinovenne membro del partito. Egli pubblicò una raccolta di manoscritti al cui interno si trovava una dichiarazione dattiloscritta non datata dal titolo Considerazioni essenziali ai fini dell’epurazione delle biblioteche con il quale si stabiliva il criterio per la predisposizione delle liste nere. Rientravano in tali elenchi tutti i libri che appartenevano alla categoria dei nemici del regime, in particolar modo la letteratura ebrea che Hitler considerava “letteratura d’asfalto”. I libri interdetti, inoltre, avrebbero avuto tre destini diversi: alcuni avrebbero dovuto trovare posto nell’armadio dei “veleni”, altri sarebbero andati incontro a un’attenta disamina, altri ancora, qualora non avessero “passato l’esame”, sarebbero stati destinati alla distruzione. A tale manoscritto fu aggiunta una lista di 131 autori e quattro antologie all’interno di cui ogni autore veniva diffamato o perché ebreo, o perché il contenuto dell’opera presentava elementi pornografici, o per la possibilità che contrastasse la “combattività spirituale” dei tedeschi, o perché l’autore veniva considerato un “bolscevico dell’arte”. L’elenco di Hermann fu presto integrato da altre liste redatte da Goebbels e dalla Lega di Combattimento per la cultura tedesca, capeggiata da Rosenberg. I libri da estirpare, oltre a quelli di autori ebrei, comunisti – il più importante di tutti era Bertolt Brecht – e romanzieri di sinistra, dovevano essere quelli che trattavano altre tematiche ostili al nazismo quali il razionalismo, il cosmopolitismo, il parlamentarismo, il pacifismo, l’antimilitarismo, il materialismo, l’egualitarismo, l’integrazionismo, l’ecumenismo, la tolleranza e il modernismo. Furono presi di mira anche autori di satire sulla borghesia, la religione e l’esercito, giornalisti avversi al regime come Theodor Wolff e Georg Bernhard, storici che insegnavano teorie incompatibili con la visione nazista sulla Prima guerra mondiale e sulla Repubblica di Weimar. Non furono risparmiati nemmeno Sigmund Freud e gli scienziati che proponevano una complessa visione del mondo, primo fra tutti Albert Einstein, spesso contestato dai nazisti per la sua “fisica giudaica”. 

L’iniziativa di bruciare i libri indesiderati fu presa nell’aprile del 1933, pochi mesi dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, dall’Unione degli studenti tedeschi, un’organizzazione di gruppi universitari nazionalisti, finanziata e coordinata dal Ministero della Propaganda con a capo Paul Joseph Goebbels. Con questa azione Goebbels avrebbe inaugurato la sua politica “artistica”. Dal primo aprile del 1933 infatti un grande fervore s’impadronì di studenti e intellettuali: a Wuppertal, cittadella della Vestfalia, si diede inizio a saccheggi e a roghi seguendo le indicazioni della lista nera redatta dal dottor Hermann. Un altro rogo seguì a Düsseldorf l’11 aprile, a partire dal 23 dello stesso mese la stampa cominciò a pubblicare i primi nomi di autori considerati inutili dal regime e l’Unione degli studenti tedeschi preannunciò il via all’azione “Contro lo spirito non tedesco”, elencando i luoghi dove sarebbero stati ammassati e distrutti i libri. Il 2 maggio un altro rogo dei libri avvenne al Gewerkschafthaus – la sede del sindacato operaio – di Lipsia mentre a Colonia il rogo ebbe luogo il 5 maggio, quando gli studenti dell’Università invasero la biblioteca sottraendo i libri degli autori ebrei e bruciandoli poche ore dopo. La mattina del 6 maggio il quotidiano “Berliner Lokalanzeiger” annunciò che nella stessa mattinata sarebbe iniziata l’opera di epurazione delle biblioteche della capitale del Reich, a partire da quella dell’Istituto per le ricerche sessuali (Institut für Sexualwissenschaft). Oltre a portare atti di vandalismo all’interno dell’Istituto, gli studenti sequestrarono periodici, libri, modelli anatomici, fotografie, un busto e un celebre arazzo raffiguranti il fondatore dell’Istituto Magnus Hirschfeld. A mezzogiorno il gruppo di studenti lasciò l’edificio intonando con giubilo canti nazionalsocialisti. Alle tre del pomeriggio ritornarono nella biblioteca seguiti dai soldati delle SA e insieme asportarono dalla biblioteca circa diecimila libri, i quali sarebbero stati bruciati pochi giorni dopo durante una fiaccolata organizzata dagli stessi studenti che avevano sfilato con il busto di Hirschfeld issato su un palo per poi buttarlo tra le fiamme. L’Istituto per le ricerche sulla sessualità, fondato nel 1918, infastidiva il regime poiché da tempo aveva chiesto una riforma del codice penale sulla sessualità e stava studiando l’omosessualità maschile e femminile, elemento deviante per l’Uomo del Terzo Reich. Per quattro giorni apposite vetture decorate con la scritta Contro lo spirito non tedesco trasportavano numerosi studenti presso le altre biblioteche di Berlino. Sempre con l’ausilio delle SA e della polizia, gli studenti sequestrarono tutti i libri e le stampe elencate nelle liste nere. Le biblioteche popolari furono le più colpite da queste devastazioni. L’8 maggio si verificarono disordini nella città di Friburgo con un rogo di libri al quale partecipò anche il rettore dell’università cittadina, il filosofo Martin Heidegger, che si era appena iscritto al partito nazionalsocialista. 

In marcia, preceduti da bande musicali, il corpo insegnante in toga, le corporazioni studentesche con le loro sciarpe colorate e i caratteristici cappelli, la Hitlerjugend con uniformi e bandiere, uomini delle SA (tra cui molti studenti), soldati delle SS, membri della Nationalsozialistische Betriebszellen-Organisation (NSBO, Organizzazione nazionalsocialista di cellule aziendali) e squadre dello Stahlhelm sfilarono per le strade fino al sito del rogo, dove i discorsi dei rappresentanti degli studenti, delle autorità municipali e delle università si alternarono agli inni.

Studenti organizzati dal partito nazista marciano di fronte all'edificio dell’Institut für Sexualwissenschaft di Berlino prima di saccheggiarlo, il 6 maggio 1933. Libri, periodici e fotografie furono in parte bruciati in piazza, il resto venduto all'estero, e il ricavato confiscato. L'Istituto era stato fondato da Magnus Hirschfeld, un medico ebreo omosessuale, come centro pioniere di studi sulla sessuologia. Fonte: National Archives and Records Administration, College Park.

L’evento organizzato da Goebbels presso la Bebelplatz berlinese mostrava una spettacolarità mai vista nei precedenti roghi: tutto era illuminato a giorno mediante i riflettori delle compagnie cinematografiche, ma presto oscurato dal fumo e dalla cenere portata dal vento. Lo scrittore Giuseppe Genna nel romanzo Hitler racconta la “cerimonia” in questo modo:

È la sera del 10 maggio 1933.
[...]
Ciò che sta accadendo è descritto in diretta da Radio Germania e da tutte le altre stazioni.
La cerimonia è ufficiale, quasi religiosa.

Joseph Goebbels si sporge dal palco, la sua voce squillante rastrella i lobi cerebrali. Chiama accanto a sé, uno per uno, gli esponenti dell’Associazione studentesca che gli hanno suggerito questa idea rivoluzionaria. Goebbels si è entusiasmato.

Ha allestito una coreografia spettacolare. I riflettori fendono il buio dall’alto.
È quasi mezzanotte. Inni sono stati diffusi ad arte.
Il mondo è boreale: è all’inizio.

I camion hanno scaricato i volumi e la benzina. Tutto è pronto per le pire.
Un corteo, dall’università, giunge al centro di Bebelplatz: professori togati in stola di ermellino, gli studenti che spalancano sorrisi fosforescenti nella notte. Seguono le SA e le SS. I libri sono stati requisiti in biblioteche, consegnati dagli studenti, uomini delle SA e delle SS hanno compiuto irruzioni in appartamenti di intellettuali, hanno stracciato intere librerie.

Eccoli, a terra, disanimate, queste orme d’anima: i libri. Joseph Goebbels, lo scrittore fallito, chiama accanto a sé il primo araldo studente, che recita la formula rituale: “Primo araldo: contro la lotta delle classi e il materialismo, per l’unità del popolo e per una concezione idealista della vita: getto alle fiamme gli scritti di Marx e Kautsky!”.

Ecco la fiamma sul cumulo di testi di Marx e di Kautsky. La pira eleva le sue lingue di fuoco. Il calore è una vampa violenta. I volti dei presenti, raccolti in circolo attorno al gigantesco rogo verticale, trasudano liquidi e orgoglio.

Gli araldi si susseguono.

Brucia Gorki.

Si incenerisce Proust.

Incarbonito Dos Passos.

Combusto Hemingway.

Evapora Einstein.

Ridotto a brace Freud.

Incendiato Gide.

Avvampa London.

Arde Schnitzler.

Si ustiona Mann.

È corroso Zola.

“Settimo araldo: contro il tradimento letterario nei confronti dei soldati della Grande Guerra, per l’educazione del popolo in uno spirito sano: getto alle fiamme gli scritti di Erich Maria Remarque!”.

Ventimila volumi.

Goebbels ridens.

10 maggio 1933, rogo pubblico di scritti e libri non tedeschi sulla Bebelplatz a Berlino, da parte degli studenti universitari. Fonte: Bundesarchiv, Bild 102-14597. Foto di Georg Pahl / CC-BY-SA 3.0

Militari e studenti si preparano per gettare nel falò i libri durante il rogo del 10 maggio 1933. Fonte: Bundesarchiv, Bild 102-14598. Foto di Georg Pahl / CC-BY-SA 3.0

La cerimonia di distruzione dei libri in effetti seguiva un rituale ben preciso che andava dal raduno degli studenti, alla distribuzione delle torce fino all’ordine di accendere il falò a mezzanotte. I libri erano collocati sopra una catasta di materiale infiammabile appoggiata su un’armatura di legno; tra le migliaia di testi buttati sulla catasta si potevano intravedere scritte di slogan di sinistra, fotografie di Lenin e bandiere della Repubblica di Weimar. Gli altoparlanti diffondevano le istruzioni per la buona riuscita dell’autodafé e ricordavano alle masse le parole d’ordine da pronunciare durante il rogo. I primi libri ad essere bruciati furono quelli degli autori considerati “i più perniciosi” dal regime, il cui nome nelle liste nere era contrassegnato da una croce. Gli studenti poi intonavano un inno, il Feuersprüche (Adagi di fuoco), realizzato appositamente per l’evento da Goebbels in persona, dove ad ogni finale di strofa venivano buttati sul rogo i libri degli autori menzionati nell’inno stesso: 

Contro la classe materialista e utilitarista, per una comunità del popolo e una forma ideale di vita: Marx, Kautsky.
Contro la decadenza morale, per la disciplina, per la decenza nella famiglia e nella proprietà: Heinrich Mann, Ernst Gläser, Erich Kästner.

Contro il pensiero privo di principi e la politica sleale. Per la dedizione al Popolo e allo Stato: F. W. Foerster. Contro la distruzione dell’anima e l’eccesso negli istinti sessuali. Per la nobiltà dell’animo umano: la scuola di Freud.

Contro la distorsione della nostra storia e lo svilimento delle grandi figure storiche. Per il rispetto del nostro passato: Emil Ludwig, Werner Hagemann.

Contro i giornalisti giudei democratici, nemici del popolo. Per una cooperazione responsabile e per la ri- costruzione della nazione: Theodor Wolff, Georg Ber- nhard.

Contro la slealtà letteraria perpetrata nei confronti dei soldati della Guerra Mondiale. Per l’educazione della nazione nello spirito del potere militare: Eric Maria Remarque.

Contro l’arroganza che rovina l’idioma tedesco. Per la conservazione del bene più prezioso del popolo: Alfred Kerr.
Contro l’impudicizia e la presunzione. Per il rispetto e la reverenza dovuta all’eterna mentalità tedesca: Tucholsky, Ossietzky.

Un membro delle SA (Sturmabteilung) getta nel fuoco le opere confiscate durante il rogo del 10 maggio 1933. Fonte: National Archives and Records Administration, College Park.

La pila di libri diventava sempre più alta, dal momento che ogni due minuti nuovi autori venivano urlati nella piazza, e le loro opere venivano gettate sul rogo. Dopo un solenne Heil! Goebbels dava inizio al suo discorso illustrando i motivi del rogo: 

L’epoca estremista dell’intellettualismo giudaico è giunta al termine e la rivoluzione tedesca ha spalancato le porte a un nuovo modo di vita che permetterà di raggiungere la vera essenza dell’essere tedesco. Questa rivoluzione non inizia dall’alto, ma dal basso, e sale verso la cima. Ed è per questa ragione, nel miglior senso della parola, l’espressione genuina della volontà del Popolo [...].

Durante i passati quattordici anni voi studenti avete dovuto sopportare in silenzio le umiliazioni della Repubblica di Novembre, e le vostre biblioteche sono state sommerse dalla lordura e dalla corruzione dei giudei. Mentre le scienze e la cultura erano isolate dalla vita reale, la gioventù tedesca ha ristabilito ora nuove condizioni nel nostro sistema legale e ha restituito la normalità alla nostra vita [...].

Le rivoluzioni genuine non si fermano davanti a nulla.

Nessuna area
deve ritenersi intoccabile [...].
Pertanto voi state facendo la cosa giusta consegnando al fuoco, a mezzanotte, lo spirito diabolico del passato [...].

Il passato perisce tra le fiamme; i tempi nuovi rinascono da queste fiamme che ardono nei nostri cuori [...].

Lo stesso giorno anche a Monaco avvenne il rogo di libri accompagnato dall’esecuzione di due brani musicali di Beethoven, le opere Egmont e La gloria di Dio è nella natura. Poi fu la volta di Dresda, dove, dopo una fiaccolata tenuta fino alla colonna Bismark, tutta la letteratura pornografica fu data alle fiamme. E così via a Bonn e nella cittadina di Breslavia dove, dopo una manifestazione che ebbe luogo nella piazza del castello, furono bruciati circa venti quintali di libri pornografici.
Visto il grande successo ottenuto il 10 maggio, Goebbels pensò di continuare con i roghi di libri fino alla fine di giugno. Il 12 maggio altri libri, dunque, vennero bruciati nella Schlossplatz di Erlangen e nell’Universitätplatz di Halle-Wittenberg. Il giorno seguente il rogo si tenne nella cittadina di Neustrlitz, mentre il 14 fu eseguito a Neustadt. Il 15 maggio alcuni membri del partito nazionalsocialista portarono dei libri proibiti sul Kaiser-Friedrich-Ufer di Amburgo e, dopo un discorso tenuto dinanzi a pochi spettatori, vi appiccarono il fuoco. I gerarchi nazisti si preoccuparono della scarsa affluenza, e decisero così di replicare l’evento. Il 17 maggio ad Heidelberg assistettero al rogo presso la Universitätplatz persino i bambini. Il successo di tale manifestazione convinse il ministro della Propaganda a organizzarne un altro un mese dopo nella Jubiläumplatz. Nello stesso giorno doveva essere eseguito un rogo dei libri anche a Colonia, ma la pioggia causò il rinvio dell’evento. Si sono conservati i bozzetti di quella che sarebbe stata la messa in scena, in cui gli accademici, al fine di colpire l’attenzione del pubblico, avevano stabilito le posizioni degli oratori e i punti in cui sarebbero state innalzate le pire per bruciare i volumi. Il 19 maggio due roghi furono appiccati rispettivamente al Fridericianum di Kassel e nella Messplatz di Mannheim. Il 21 giugno l’evento si ripeté nella Mercksplatz di Darmstadt, a Essen e nella città simbolica di Weimar. Sempre a giugno, in un convegno di librai scientifici, si appoggiò l’azione purificatrice della polizia invocando la soppressione dei testi ebraici e bolscevichi. L’ultimo rogo dei libri nazista in terra tedesca fu celebrato qualche anno dopo, il 30 aprile 1938, quando studenti e militari distrussero un gran numero di volumi messi all’indice nella Residenzplatz di Salisburgo. 

Al contrario di Joseph Goebbels, Alfred Rosenberg, allora direttore dell’Ufficio per la supervisione generale della cultura, l’educazione e l’istruzione del Partito nazista, preferì intraprendere una strada diversa. Nel 1940 Rosenberg aveva costituito la Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg (ERR), che sarebbe stata impiegata per confiscare beni culturali destinati all’Istituto di studi sulla questione ebraica. Nel luglio dello stesso anno venne emanato l’ordine di raccogliere testi per una progettata biblioteca nazista battezzata Hone Schule, che avrebbe avuto sede in Baviera a guerra terminata e che sarebbe stata suddivisa in sezioni specializzate tra le quali comparivano il giudaismo, la massoneria, la biologia razziale e il comunismo. Il 1° marzo del 1942 un decreto autorizzò la ERR a intraprendere una battaglia contro i nemici spirituali del nazismo: 

Giudei, massoni e altri avversari ideologici del Nazionalsocialismo sono gli istigatori dell’attuale guerra contro il Reich. La lotta intellettuale organizzata contro tali forze è una necessità vitale. Pertanto è benvenuta la decisione del Reichsleiter Rosenberg di destinare del personale operativo (Einsatzstäbe) in tutti i territori occupati con l’incarico di procurare il materiale necessario alle ricerche e ai progetti culturali dei sopra nominati circoli e portarli in Germania.

Targa commemorativa del rogo dei libri nazisti del 1933 sul terreno della piazza Römerberg di fronte al municipio di Francoforte. Foto di ArcCan / CC BY-SA 3.0

Tra le funzioni attribuite all’ERR c’era quella di visitare le zone occupate per esaminare biblioteche, archivi e musei. Il 12 giugno 1942 fu creato l’Ufficio confisca dei beni culturali nei territori occupati, che eseguì i propri compiti in modo piuttosto efficace. In totale furono passati in rassegna 402 musei, 531 istituti e 957 biblioteche. La stima di Hitler nei confronti di Goebbels non venne mai meno e gli perdonò sempre tutto. Il giorno del suo suicidio, nel 1945, lo nominò cancelliere del Reich. Goebbels accettò questo onore, anche se per poche ore. Dopo aver rifiutato la resa incondizionata richiesta dalle truppe sovietiche, si tolse la vita assieme alla moglie Magda e ai suoi figli. Decenni dopo in Russia riapparve il suo diario. Si seppe così che aveva lasciato al mondo 75.000 pagine per giustificare l’Olocausto, il Bibliocausto e discolpare Hitler da ogni accusa. Alfred Rosenberg fu arrestato e condannato a morte dai giudici di Norimberga. I libri della biblioteca personale di Hitler vennero scoperti in una miniera di sale vicino a Berchtesgaden da un gruppo di soldati americani. Di una collezione di oltre 16.000 titoli ne rimanevano solo 3.000, ma alcuni furono rubati e altri distrutti in ragione del loro contenuto; il resto, circa 1.200 volumi, fu trasferito alla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti nel gennaio del 1952, dove si trova tuttora. Questo ritrovamento ci ha permesso di sapere che il Führer era un lettore verace, un bibliofilo interessato alle edizioni antiche, a Schopenhauer, e con un’autentica devozione per Magie: Geschichte, Theorie, Praxix (1920) di Ernst Schertel, opera in cui si può ancora notare la sottolineatura di suo pugno della frase: “Chi non porta dentro di sé il seme del demoniaco non darà mai origine a un nuovo mondo”. 

Targa commemorativa del rogo dei libri nazisti del 1933 sul terreno della piazza Römerberg di fronte al municipio di Francoforte. Foto di ArcCan / CC BY-SA 3.0

Bibliografia e sitografia

Fernando Báez, Historia universal de la destrucción de libros. De las tabillas sumerias a la guerra de Irak, Barcelona, Ediciones Destino, 2004 (trad. it. Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Iraq, Roma, Viella, 2007). 

Stefania Bonamigo, Libri proibiti alla Biblioteca civica di Torino, “Biblioteche oggi”, 38 (2020), 7, p. 49-62. 

Hildegard Brenner, La politica culturale del nazismo, Bari, Editori Laterza, 1965. 

Giorgio Fabre, L’Elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Torino, Silvio Zamorani, 1998. 

Roberto Francavilla, Leggere la cenere. Saggi su Letteratura e Censura, Roma, Editoriale Artemide, 2009. 

Lucien X. Polastron, Livres en feu. Histoire de la destruction san fin des bibliothèques, Paris, Éditions Denoël, 2004 (trad. it. Libri al rogo, Milano, Sylvestre Bonnard, 2006). 

Lorenzo Sordo, Lo sterminio librario nazista. I roghi dei libri nella politica di allineamento del Terzo Reich, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 

Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’unità a oggi, Bologna, il Mulino, 2002. 

www.aspi.unimib.it (Percorso: Archivio Giulio Cesare Ferrari / Carteggio / Lettere a Ferrari / Archivolti Clara in Cavalieri)