La biblioteca e la sua reputazione
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Abstract
Recensione di Ferruccio Diozzi al libro di Maria Stella Rasetti, La biblioteca e la sua reputazione, Milano, Editrice Bibliografica, 2021.
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Lo sviluppo della dimensione gestionale della biblioteconomia è un dato di fatto estremamente rilevante di questi anni. Dapprima gradualmente, poi con sempre maggiore decisione, lo studio e l’applicazione di metodi gestionali, in grado di migliorare sempre di più le attività di biblioteche e bibliotecari, si sono consolidati facendo assumere alla disciplina italiana una posizione di assoluto rilievo nel panorama internazionale. Aderendo in pieno al forte tasso di innovatività che, malgrado le difficoltà di diverso genere, contraddistingue il settore delle biblioteche, la crescita dei profili gestionali della biblioteconomia aiuta la formulazione di sempre nuovi paradigmi interpretativi (con riferimento alla realtà in evoluzione delle biblioteche, ai cambiamenti più significativi della professione, all’interazione con il contesto economico sociale e culturale circostante), con una ricaduta importante negli approcci professionali e lavorativi.
Va inoltre notato come una caratteristica precipua di tale continuo arricchimento sia quella per cui nuove impostazioni e nuove formulazioni operative sono spesso confortati, per ogni tematica, da uno studio propedeutico e da un approfondimento del campo specifico in modo tale da renderne ancora più efficace l’operatività. È questo certamente il caso del recente volume di Maria Stella Rasetti, La biblioteca e la sua reputazione, in cui l’autrice introduce e sistematizza il concetto di “reputazione”, a partire dalla sua origine nella scienza organizzativa e lo colloca, brillantemente, nel contesto bibliotecario.
Qualità di ogni individuo e di ogni gruppo sociale, elemento assieme antico e modernissimo, la reputazione, è diventato un tratto specifico e caratterizzante di ogni metodo organizzativo, trovandosi spesso a fare i conti con sovrapposizioni e fraintendimenti che non aiutano. Per questo, in apertura, l’autrice si preoccupa di tracciare alcune fondamentali linee di demarcazione:
Al di là della sua mutevolezza, la reputazione deve essere distinta dai due concetti con cui entra sempre in relazione stretta: l’identità e l’immagine. Mentre l’identità (chi siamo veramente, quale è la nostra storia) è generata direttamente da noi, ci appartiene in tutto e per tutto ed è il frutto composito di ciò che abbiamo ereditato dall’ambiente e dalle scelte (o non-scelte) che abbiamo fatto, la reputazione non dipende da noi e non ci appartiene, anche se può essere influenzata dagli sforzi fatti per essere accettati ed apprezzati all’interno dei gruppi cui apparteniamo.
L’immagine (chi vogliamo apparire agli occhi degli altri), invece, è un prodotto secondario della nostra identità, che vive nel rapporto con gli altri, offrendo segni, insegne, simboli e tracce di come vogliamo essere percepiti. Operando sul piano della comunicazione, e non su quello della realtà, l’immagine si propone di giocare al meglio la carta dell’apparenza, mirando a sostenere quella identità desiderata a cui facciamo la guardia costantemente, prendendoci cura delle sue manifestazioni esterne con perizia e consapevolezza variabili.
Liberato il campo, per quanto possibile, da confusioni concettuali e terminologiche all’origine di inopportune sovrapposizioni, il libro si sviluppa dapprima come un’introduzione generale del concetto di reputazione illustrandone le caratteristiche specifiche con l’aiuto di puntuali rimandi ad autori e a correnti di pensiero particolarmente significativi. Bisogna infatti ricordare come un lavoro che si ponga l’obiettivo di comprendere, nel senso più pieno del termine, la reputazione e le sue dinamiche, debba tenerne in massimo conto le complesse ascendenze filosofiche. Da questo punto di vista è molto interessante il riferimento che Rasetti compie al concetto di “maschera” e alla contrapposizione sul tema tra il pensiero di Rousseau, in cui l’identità si crea solo nel corrotto stato sociale dell’uomo come conseguenza del bisogno narcisistico di essere percepiti, e quello del padre gesuita Baltasar Gracian per cui l’uomo, naturalmente malevolo nei confronti del suo prossimo, può sopravvivere solo impiegando l’arma della prudenza per difendere ed ampliare la sua reputazione.
Illustrati e discussi confini gnoseologici e culturali della reputazione, l’autrice si rivolge, naturalmente, al core della sua ricerca e quindi all’applicabilità del concetto e dei metodi della reputazione a biblioteche e sistemi bibliotecari:
I soggetti che operano al di fuori del mercato sono sottoposti a meccanismi competitivi sicuramente meno feroci di quelli che regolano la vita di aziende e imprese private: ma anch’essi hanno bisogno di farsi scegliere, essere apprezzati dai propri utilizzatori, essere riconosciuti utili alla società, essere selezionati come partner in progetti di sviluppo, essere percepiti in grado di impiegare le risorse economiche meglio di altri. Anche tra loro esistono forme di comparazione e confronto; anche per loro la reputazione è importante.
A partire da questa distinzione, con cui, alla maniera di Hegel, si vuole evitare la classica “notte in cui tutte le vacche sono nere” Rasetti traccia il percorso che anche la biblioteca, nel caso specifico della sua analisi la biblioteca pubblica di ente locale, deve effettuare per guadagnare una reputazione positiva all’interno del contesto di riferimento. Anche la biblioteca, infatti, sarà esposta ai giudizi di chi effettivamente la frequenta, di chi, decisore politico e amministrativo, ne determina i gradi di libertà con finanziamenti più o meno soddisfacenti, ma anche di chi non l’ha mai incontrata sul suo percorso di vita in un mix di esperienze vissute, di serie storiche, di idee (anche pre-costituite) e sensazioni.
Una strada lunga e aspra che, in particolare nel contesto italiano, ad un livello più ampio, deve tener conto della complessiva reputazione dell’amministrazione pubblica, su cui l’autrice, sostenuta da un’efficace conoscenza storica del fenomeno, scrive pagine acute. Soprattutto, dallo specifico punto di vista delle biblioteche, sono due le assunzioni che vengono portate avanti.
Da un lato il carattere del lavoro che, proprio perché riesce a tenere bene connessi la dimensione teorica e quella applicativa del fenomeno reputazione, lo caratterizza come un supporto indispensabile ai bibliotecari per mantenere forte il riferimento alla reputazione nella buona pratica quotidiana perché
[...] il risultato di ogni comunicazione non è ciò che abbiamo detto, ma ciò che è stato percepito; che ogni valutazione negativa manifestata nei confronti della nostra biblioteca merita di essere presa in carico per essere ridimensionata nella sua potenziale carica distruttiva.......che ogni problema manifestato da un utente, anche quando deriva da una sua difficoltà e non da un nostro errore, è un problema anche della biblioteca, perché attiva in lui un sentimento che può trovare sfogo in un giudizio negativo nei confronti dell’istituzione; che ogni momento della verità, (sia esso una mail in risposta a una richiesta di prolungamento prestiti o una riunione internazionale su Zoom) merita di essere gestito al meglio, perché offre l’opportunità di consolidare nel giudizio altrui un’opinione positiva a favore della biblioteca.
Dall’altro, stante l’eterogeneità del panorama delle biblioteche pubbliche in Italia, la necessità di articolare, nella determinazione della reputazione di questi organismi, diversi livelli di complessità in modo tale da garantire un’efficace ed equanime valutazione dei risultati prodotti, anche in termini di reputazione consolidata.
Così, sulla base di questi due assiomi, Rasetti accompagna il lettore sulla via della reputazione professionale con un approccio nuovo e forte. Un approccio che si basa su una compiuta conoscenza della tematica, a partire dalla sua dimensione cognitiva; un approccio che implica un’intelligente ed efficace applicazione delle tematiche della reputazione a biblioteche e a sistemi bibliotecari; un approccio che, in maniera circostanziata, rivendica la centralità del pubblico e richiede, soprattutto in questi campi, dopo l’evento epocale della pandemia da Covid-19, l’abbandono dei paradigmi “privatisti” e “aziendalisti”.
In conclusione, ci si trova di fronte un libro che avrà certamente grande influenza sull’approfondimento della dimensione gestionale della biblioteconomia, non solo italiana, segnalandosi, al tempo stesso, come un contributo importante nella letteratura organizzativa in generale. Da questo ultimo punto di vista l’auspicio è che ci si possa trovare più spesso a leggere e approfondire lavori come questo in grado di affrontare le tematiche organizzative, pubbliche o private, senza cadere nella maledizione dell’eterno presente, in cui le dimensioni storiche o filosofiche dell’accadere sociale sono sacrificate ad una banale empiria.