N.2 2022 - Biblioteche oggi | Marzo 2022

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Tra documenti e dati

Federico Meschini

Università della Tuscia fmeschini@unitus.it

Abstract

Questo articolo presenta una recensione e un'analisi approfondita del libro Le raccolte bibliotecarie digitali nella società dei dati di Rossana Morriello. Pubblicato nel 2020, questo volume evidenzia la rilevanza delle collezioni digitali nelle biblioteche accademiche. A causa della pandemia di Covid-19, l'importanza delle collezioni digitali è aumentata e si è estesa anche alle biblioteche pubbliche. I cinque capitoli del libro di Morriello esaminano la storia, le tipologie, le criticità e le opportunità delle collezioni digitali. Le osservazioni conclusive riguardano i bibliotecari, il loro ruolo e le loro competenze, e la necessità di evolversi per adattarsi a questo scenario estremamente complesso e mutevole.

English abstract

This article presents a review and in-depth analysis of the book Le raccolte bibliotecarie digitali nella società dei dati by Rossana Morriello. Published in 2020, this volume highlights the relevance of digital collections in academic libraries. Due to Covid-19 pandemic, the importance of digital collections has increased and extended to public libraries as well. The five chapters in Morriello’s book examine history, typologies, critical issues and opportunities of digital collections. Concluding remarks address librarians, their role and competences, and the necessity to evolve in order to adapt to this highly complex and changing scenario.

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L’evoluzione e il ruolo delle collezioni digitali nelle biblioteche

Questo articolo nasce come riflessione e analisi del volume Le raccolte bibliotecarie digitali nella società dei dati di Rossana Morriello, le cui tematiche sono quanto mai rilevanti nelle attuali discussioni sul ruolo e sulle funzionalità delle biblioteche. Proprio per questo motivo, un punto di partenza pressoché obbligato è una precedente opera dell’autrice: La gestione delle raccolte digitali in biblioteca, pubblicato nel 2008 sempre per i tipi dell’Editrice Bibliografica. La continuità è più che evidente, ma come sottolineato sia nelle prime pagine sia in altre sedi, l’intervallo di tempo trascorso tra le due opere comporta dei cambiamenti considerevoli – se non delle vere e proprie rivoluzioni – sia nello scenario informativo globale sia in quello più specifico delle biblioteche, e a maggior ragione di quelle accademiche, oggetto del volume. Inutile ricordare, inoltre, l’effetto di accelerazione delle trasformazioni in atto a causa della pandemia di Covid-19 – evidenziato sin dalle prime righe dell’introduzione –, in cui, soprattutto durante le prime fasi, le risorse digitali hanno assunto un ruolo centrale, mettendo inevitabilmente in evidenza le sperequazioni tra le varie situazioni locali e la mancanza di un coordinamento generale.

In ogni caso, se il titolo del 2008 poneva come contesto delle collezioni digitali la biblioteca, nel 2020 quest’ultima viene spostata al livello aggettivale e il ruolo dell’orizzonte di riferimento viene assunto dalla società dei dati. In questo modo viene sottolineato al tempo stesso il mutamento avvenuto, la necessità di analizzarlo e il ruolo fondamentale della comunicazione scientifica a livello globale, come dimostrato dai due anni appena trascorsi. Il volume si articola in cinque capitoli – oltre alla già citata introduzione –, ognuno dedicato a un aspetto specifico, ma con lo scopo di delineare un disegno d’insieme in grado di restituire la complessità dell’argomento affrontato. L’equilibrio dell’opera si situa infatti tra questi due estremi: da un lato sistematizzare uno scenario mutevole e in continua evoluzione, dall’altro fornire una descrizione accurata delle varie parti che lo compongono. Di conseguenza, la densità informativa del testo e i numerosi link di approfondimento possono a una prima lettura lasciare disorientati, ma ne costituiscono in realtà una parte essenziale.

Come già scritto in precedenza, l’introduzione contestualizza i capitoli che seguono alla luce della pandemia, ed è evidentemente stata scritta per ultima, come spesso accade in questi casi. Il primo capitolo ha altresì un ruolo introduttivo, in quanto definisce gli elementi di partenza di natura prettamente tecnologica, ma non solo su cui poi si innestano le varie relazioni e che mettono in moto processi di tipo socio-economico-culturale, alla base della complessità di cui sopra. Collegato alle risorse digitali è il tema della biblioteca digitale, di non semplice definizione, ma che per l’autrice è strettamente legato alla biblioteca in quanto struttura e organizzazione. La forza evocativa e la versatilità del termine biblioteca digitale – caratteristiche persino maggiori nel caso di digital library – hanno fatto sì che diventasse un termine ombrello, venendo utilizzato in diversi contesti, non tutti riconducibili a un àmbito strettamente biblioteconomico. Da un lato è difficile invertire questa tendenza, dall’altro però è possibile, se non necessario, ricordare continuamente l’importanza di questo àmbito in tutte le varie iniziative e progetti legati al tema della biblioteca digitale. Tornando al capitolo, dopo una veloce carrellata sui supporti hardware – includendo perciò anche le reti telematiche e i formati di file che si sono succeduti negli anni per concretizzare il concetto di documento digitale – si passa a quella che è la situazione attuale, restringendo il focus, per l’appunto, alle risorse digitali specifiche delle biblioteche. Si va quindi dai formati cosiddetti “tradizionali”, come gli articoli su rivista e i libri elettronici o le basi di dati, alle nuove modalità di comunicazione scientifica: oltre agli ormai noti blog, wiki e social network si parla di micropubblicazioni, dataset e data papers, insieme a una presenza sempre più incisiva del selfpublishing. In particolare, nel paragrafo sulle riviste elettroniche è presente uno schema riassuntivo delle varie fasi di vita del manoscritto di un articolo scientifico, dalla prima versione inviata dall’autore a quella pubblicata riveduta e corretta; tale schema è estremamente utile sia di per sé sia in quanto offre il destro all’autrice per approfondire il sempre maggiore ruolo dei preprint, collegato naturalmente al tema dell’Open Access. Un tratto distintivo della scrittura di Rossana Morriello che si evince già da questo primo capitolo – e che naturalmente si ritrova in tutta l’opera – è quello di far risaltare caratteristiche, opportunità e criticità di ognuno dei fenomeni descritti, ad esempio la maggiore diffusione del salami slicing – la suddivisione dei risultati di una ricerca nel maggior numero di pubblicazioni possibile –, conseguenza dei sempre più pressanti meccanismi del publish or perish.

Nel secondo capitolo, incentrato come scritto nel titolo sulla comunicazione scientifica nella società dei dati, si entra nel cuore della questione. È utile, inoltre, sottolineare proprio l’aspetto relativo ai dati, in quanto questi ultimi sono per Morriello sia un argomento sia una metodologia: l’autrice, infatti, si basa inizialmente sempre su delle informazioni quantitative, su cui poi effettua analisi e considerazioni. L’osservazione è quanto mai pertinente per questo capitolo: dopo una descrizione dell’attuale mercato dell’editoria scientifica, il paragrafo successivo è incentrato sulla valutazione della ricerca e in particolare sulla bibliometria, di cui vengono delineati la storia, gli usi (e abusi) e le recenti evoluzioni, soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo delle metriche alternative. Questo stesso paragrafo si conclude con il tema della peer review, la cui modalità aperta si è dimostrata estremamente compatibile con la necessità di pubblicare rapidamente articoli scientifici sul COVID-19, che fossero stati però valutati dai pari. Successivamente vengono affrontati i temi dell’Open Access e dell’Open Science, riassumendone le caratteristiche principali, dallo sviluppo dei repository e delle riviste ad accesso aperto alla pubblicazione dei dati secondo il paradigma linked data e i principi FAIR. Con gli argomenti successivi del capitolo ci si sposta verso il lato oscuro dell’editoria scientifica, ossia le riviste predatorie e le shadow libraries, che conducono all’importanza delle questioni etiche della ricerca. Successivamente i dati tornano anche nell’ultimo paragrafo del capitolo, sull’importanza della loro integrità e sul loro essere reperibili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili (i principi FAIR per l’appunto), e sulle infrastrutture necessarie affinché tutto ciò avvenga. La centralità del terzo capitolo è data sia dalla posizione nell’organizzazione del testo sia dall’argomento, in quanto è incentrato sulle raccolte bibliotecarie digitali. Il primo aspetto preso in esame riguarda proprio i cambiamenti relativi alla trasposizione del concetto di collezione, dalla dimensione analogica a quella digitale, che sposta il focus dal possesso all’accesso; in ciò va inquadrato il nuovo ruolo delle biblioteche, in quanto oltre a fornire l’accesso alle risorse, devono trovare anche il modo di valorizzarle presso i loro utenti. Al discorso dell’accesso è collegato quello delle piattaforme digitali, strettamente in mano agli editori commerciali, da cui traggono ulteriori vantaggi analizzando i comportamenti degli utenti, potendo così costruire servizi sui dati ottenuti. Questa tendenza è una risposta alla diffusione dell’accesso aperto che viene di nuovo esaminato dall’autrice, concentrandosi stavolta sui repository, sulla loro evoluzione passata, sui possibili sviluppi futuri, e sulle questioni che pongono per ciò che riguarda la validazione e la mediazione informativa, che, seppure con diversi limiti oramai ben noti, è invece presente negli editori commerciali. Subito prima però viene affrontato il tema delle OER, le risorse educative aperte, un collegamento interessante, dato che didattica e ricerca sono sempre più intrecciate nelle attività accademiche. Ne viene giustamente sottolineata l’importanza, ma al tempo stesso viene ricordato come – al contrario di ciò che sta progressivamente avvenendo per gli articoli – per le monografie e per i libri di testo non ci sia ancora un effettivo utilizzo delle potenzialità del digitale, nonostante il forte interesse e ormai diverse sperimentazioni. Questo paragrafo offre il destro per sottolineare la sempre maggiore disponibilità in rete di contenuti didattici di qualità; ciò non avviene più solo all’interno di progetti istituzionali, come ad esempio i MOOC ma, come direbbe Jenkins, in modalità grassroot, sulle varie piattaforme social, da YouTube a TikTok passando per Instagram. Sempre tenendo conto delle caratteristiche espressive intrinseche di ogni social, di tale disponibilità le biblioteche dovrebbero esserne consapevoli e iniziare a prendere in considerazione la possibilità di creare servizi a valore aggiunto su tali materiali. Ciò non vale solo per le biblioteche accademiche o scolastiche, ma anche per quelle pubbliche, nell’ottica di un loro sempre maggiore coinvolgimento nel lifelong learning. Questo aspetto si collega al penultimo paragrafo del capitolo, sullo sviluppo sostenibile, in cui viene analizzato il ruolo delle biblioteche e delle collezioni digitali, ponendo in quest’ultimo caso delle questioni interessanti e rilevanti sulla loro effettiva sostenibilità, insieme ad altri temi tra cui la bibliodiversità e la decolonizzazione. Un altro argomento estremamente attuale è quello dell’ultimo paragrafo, sulle applicazioni dell’intelligenza artificiale alle collezioni digitali, andando ad evidenziare anche in questo caso opportunità e criticità. Appare ormai evidente come l’autrice in ogni capitolo riesca a collegare sotto un unico macroargomento tematiche apparentemente eterogenee, e questa stessa metodologia si riscontra anche nei singoli paragrafi. Quello che viene fatto in questo volume è un lavoro di mappatura e al tempo stesso di creazione di un territorio, attraverso i collegamenti che vengono effettuati: va da sé come lavori di questo genere siano al tempo stesso punti di arrivo e di partenza, in quanto spingono il lettore a estendere e rivedere continuamente il disegno d’insieme proposto, per forza di cose suscettibile di modifiche e approfondimenti. Con un movimento di progressiva focalizzazione, il quarto capitolo, sullo sviluppo e la gestione delle raccolte bibliotecarie digitali, presenta una varietà tematica minore, bilanciata però da una maggiore densità informativa. C’è inoltre una sorta di circolarità: il capitolo inizia citando noti saggi sullo sviluppo delle collezioni analogiche, per finire con quelle che dovrebbero essere le caratteristiche e le criticità che deve affrontare una carta delle collezioni digitali, aggiungendo dei riferimenti a numerosi esempi di àmbito angloamericano. In questo sviluppo circolare vengono affrontati i temi della valutazione e dell’acquisizione delle risorse digitali, dell’utilizzo delle statistiche e della bibliometria fino ad arrivare alla network analysis e alla visualizzazione dei dati, insieme all’aspetto cruciale della conservazione. La valutazione delle collezioni è una componente fondamentale, soprattutto per ciò che riguarda le acquisizioni e la loro conseguente crescita. Se per le riviste elettroniche la modalità principale è il cosiddetto Big Deal – l’aggregazione dei singoli titoli in pacchetti –, per gli ebook sono presenti altre modalità, basate sulle richieste degli utenti oppure sui dati d’utilizzo. Una parte interessante di questo paragrafo si collega alla sostenibilità dell’Open Access e alle modalità di pubblicazione in cui sono gli autori a contribuire alle spese, denominate APC (Article Processing Charge) e BPC (Book Processing Charge). Anche se può sembrare una soluzione, le criticità non sono poche, in quanto si rischia di creare delle barriere alla pubblicazione oltre che all’accesso. Soprattutto, nulla vieta la continua crescita dei costi, così come per la sottoscrizione alle riviste; per questo motivo sono state sviluppate soluzioni come i cosiddetti transformative agreements, contratti studiati per evitare il doppio pagamento della pubblicazione e dell’abbonamento alla rivista stessa. La sezione centrale del capitolo si concentra sulle statistiche d’utilizzo delle collezioni, sugli standard sviluppati per la raccolta e la trasmissione dei dati e sui diversi fattori che influenzano l’analisi bibliometrica, per presentare infine un caso d’indagine relativo alle biblioteche accademiche italiane. Il paragrafo sulla network analysis – le modalità di analisi e visualizzazione dei dati basate sulla teoria dei grafi - oltre a essere interessante di per sé apre una porta sugli sviluppi futuri della bibliometria, e per estensione di chi se ne deve occupare, bibliotecarie e bibliotecari; un discorso analogo si può fare per il paragrafo successivo, sulla digital preservation. Come anticipato in precedenza, nella conclusione il capitolo si riallaccia all’inizio e al discorso sulla carta delle collezioni, potendo stavolta inserire tutti gli argomenti affrontanti in precedenza.

Il quinto e ultimo capitolo ha lo scopo di raccogliere i numerosi fili dispiegati lungo il testo e al tempo stesso di fornire una panoramica verso il futuro. Per questo motivo inizia affrontando sempre il tema delle collezioni e i possibili sviluppi che ci attendono; successivamente però si passa alle biblioteche come editori, ricollegandosi così all’Open Access e citando le numerose piattaforme disponibili per le pubblicazioni elettroniche. Oltre a quelle ben note – tra cui OJS per le riviste – va segnalata Fulcrum, supportata dalla Michigan University e dedicata espressamente alla realizzazione di monografie arricchite, coniugando perciò l’aspetto bibliografico e quello multicodicale. Un dualismo che sembra essere ricorrente nel testo è proprio quello tra documenti e dati digitali, latori rispettivamente di nuove modalità espressive e di analisi. Confermando questa ipotesi, il paragrafo successivo è sul coinvolgimento pubblico e sulla citizen science – che vede proprio nel rapporto tra fruizione e creazione di dati e documenti un principio cardine –, allargando così il discorso della terza missione, caratterizzante le biblioteche accademiche, anche a quelle pubbliche. Su questa stessa falsariga, il penultimo paragrafo sottolinea l’importanza di un approccio collaborativo e partecipativo alla biblioteconomia, sfruttando le nuove infrastrutture tecnologiche. Qua è necessario ricordare che la tecnologia non produce automaticamente un determinato scenario socioculturale: ne è solo uno specifico elemento, per quanto imprescindibile, che va messo a sistema con altri, così da ottenere un particolare risultato, o perlomeno avvicinarsi il più possibile. Va da sé come in questo discorso sistemico un ruolo altresì fondamentale sia quello del bibliotecario, non a caso argomento del paragrafo conclusivo di questo ultimo capitolo, e perciò strategicamente rilevante. Se finora nel testo questa figura poteva sembrare una sorta di convitato di pietra, Rossana Morriello ci spiega il perché di questa scelta: era prima necessario disporre sul tavolo tutti gli elementi necessari per poter affrontare questo argomento, tutt’altro che banale. Dopo un esame diacronico, basato su un’analisi linguistica, della figura del bibliotecario specializzato in risorse elettroniche – come venivano chiamate all’epoca –, si passa a quelle che sono le numerose caratteristiche necessarie nello scenario attuale; si va dalle competenze tecnologiche a quelle gestionali e comunicative: risulta evidente come il ruolo professionale delineato si debba muovere su diversi piani ed essere in grado, se non di giocare su più tavoli contemporaneamente, perlomeno di averne consapevolezza. Va segnalato l’aver recuperato una riflessione di Luigi Crocetti su questo stesso tema, definito come bibliothecarius technologicus, di ormai quasi venticinque anni fa, ma che andrebbe maggiormente ricordata e considerata nelle discussioni attuali. Sebbene in questa sede non sia possibile dare al saggio di Crocetti la giusta attenzione, alcuni aspetti non possono essere tralasciati. Va però sottolineato come molte delle critiche sui presunti cambiamenti nella professione bibliotecaria dovute all’utilizzo dell’informatica siano decisamente comprensibili, dato che viene preso, per motivi più che ragionevoli, come punto di riferimento l’orizzonte della dimensione tecnologica, che sembra ridurre il tutto a dei meri cambiamenti quantitativi. Come scritto in altre sedi, per poter cogliere appieno l’esatta portata di questo cambiamento paradigmatico – o perlomeno verificarne l’effettiva esistenza, così da giustificare la necessità di una nuova specie di bibliotecario – vanno presi in considerazione altri fattori, rispetto alla “semplice” applicazione della tecnologia. Tra questi si può partire dalle radici filosofiche, logiche e linguistiche dell’informatica, per passare all’algoritmica – nella sua versione divulgativa definita come Computational Thinking – e la modellazione concettuale, fino ad arrivare alle componenti ontologiche ed epistemologiche delle discipline computazionali. Al tempo stesso però, diversi elementi messi in campo da Crocetti offrono il destro per sviluppare proprio questo tipo di riflessioni. Il primo è il riferimento alla filologia: quest’ultima condivide con la biblioteconomia non solo “formazione culturale e gusto”, ma una radice comune che risale alla Biblioteca di Alessandria, luogo appartenente al tempo stesso al mito e alla storia delle biblioteche. In àmbito filologico, le riflessioni sul calcolatore come modello altro – e non semplice strumento – rispetto al libro tipografico si susseguono da più di quarant’anni. Nonostante la fisiologica suddivisione tra apocalittici e integrati, è innegabile il ruolo dell’edizione critica digitale – e di tutti gli strumenti e figure a essa collegati – in quanto nuovo paradigma nell’ecdotica. Certo, questo cambiamento non va a modificare le domande di base della disciplina, bensì la tipologia e la modalità delle risposte, con implicazioni teoriche, metodologiche e pratiche. Una metafora efficace utilizzata da Crocetti per descrivere la professione biblioteconomica è quella del bibliotecario come “cartografo dell’informazione”. La cartografia è stata ed è soggetta a innumerevoli cambiamenti, sia nei modelli – dal sistema tolemaico a quello copernicano –, sia nelle tecnologie – dalle pergamene ai GIS –, ma la sua funzione fondamentale, la rappresentazione grafico/spaziale delle informazioni, è rimasta sempre la stessa. Inoltre, in questo contesto risulta quanto mai adeguato il doppio livello presente, la sovrapposizione tra la rappresentazione del mondo tangibile e quello informativo intangibile. Ciò si può ricollegare a un’altra efficace espressione di Crocetti, che scrive (corsivo mio): “Quando i bibliotecari acquisivano (e acquisiscono) libri creavano (e creano) un’architettura conoscitiva intorno al lettore, fisicamente esplicitata.” Le riflessioni di Crocetti sono ben radicate, com’è giusto che sia, in una particolare visione e tradizione biblioteconomica, e vanno oltretutto contestualizzate in una fase in cui i cambiamenti erano appena agli inizi. Creare architetture conoscitive attorno a oggetti informativi è evidentemente la funzione principale di bibliotecarie e bibliotecari. A contare è perciò il ruolo, la funzione e l’efficacia di queste architetture, aspetti separati, per quanto influenzati, dalla loro natura ontologica e dalla tecnologia in cui sono declinate, dalla loro materialità o immaterialità. Non a caso, una delle frasi conclusive dell’articolo apre una porta proprio in questa direzione: “Dobbiamo essere sempre pronti a cambiarci, se cambierà il mondo”. Come scritto più volte, lo scenario descritto nel volume di Morriello è una prova non da poco di come sia cambiato il panorama informativo: sebbene l’argomento sia decisamente settoriale è collegato in maniera bidirezionale ai cambiamenti avvenuti ad un livello più generale.

Per concludere, chi scrive ha volutamente adottato la stessa metodologia dell’autrice di voler disporre tutti i vari elementi – insieme ai giudizi e alle riflessioni personali – così da poter coinvolgere il lettore nella formulazione di una propria valutazione. Senza ombra di dubbio, Le raccolte bibliotecarie digitali nella società dei dati è frutto di un lavoro impegnativo e si pone al centro di riflessioni quanto mai attuali e necessarie. In questa ottica, aspetti fondamentali come la vastità e l’eterogeneità informativa del testo possono essere considerati pregi o difetti, a seconda del punto di vista adottato. Ciò spinge a riflettere sulle modalità organizzative utilizzate, in particolare per ciò che riguarda la gestione della complessità; quest’ultima è, guarda caso, proprio uno degli argomenti principali, se non il principale, che l’autrice affronta. Una riflessione conclusiva è sul rapporto tra questa e la precedente monografia della Morriello, citata all’inizio della recensione. Il confronto tra i due testi permette infatti di comprendere maggiormente gli enormi mutamenti avvenuti nell’intervallo tra le due pubblicazioni. A causa della tipologia, del ruolo e delle implicazioni relative alle collezioni digitali, questi cambiamenti si riflettono inevitabilmente, se non sullo scopo, sulla natura e sulle pratiche delle biblioteche, e di conseguenza sulla disciplina che se ne occupa, la biblioteconomia.