N.2 2022 - Biblioteche oggi | Marzo 2022

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Rilanciare l’alleanza biblioteca-scuola

Luca Mazzocchetti

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A proposito di PNRR e di “resilienza trasformativa”, riscoprendo Mario Lodi

Il 2021 è un anno complesso, ancora di difficile lettura, ma già caratterizzato da alcuni fatti che senza tema di smentita possono essere considerati più che positivi: tra questi va sicuramente messo in prima fila il cosiddetto PNRR (Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza), nato dai fondi stanziati per il piano Next Generation EU dell’Unione Europea; l’Italia avrà a disposizione la somma di 222,1 miliardi di euro, in diverse forme, per far ripartire il Paese, da tutti i punti di vista

A margine, ci si augura -come sempre- che coloro i quali saranno chiamati a gestire i fondi per la ripartenza lo facciano mantenendo una certa “austerità”, intesa però come «rigore, efficienza, serietà e […] giustizia», cioè nell’accezione data alla parola da Enrico Berlinguer, in un suo celebre discorso del 1977.

Nello specifico, per ciò che riguarda il nostro settore, se la pandemia da un lato ha visto un grande impegno dei bibliotecari per rimanere “vicini” alle comunità di riferimento e recuperare così una parte del ritardo accumulato negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda la digitalizzazione dei servizi; dall’altro ha inasprito le difficoltà, per ciò che concerne il dato economico e la situazione del personale. Il PNRR da questo punto di vista non pare contenere molto e sono state evidenziate ben prima della consegna del programma di spesa all’UE da parte del Governo le grandi e gravi carenze sia dal punto di vista strategico che finanziario,  senza però ottenere grandi risultati: nel piano italiano, di biblioteche si parla esplicitamente solo nella parte relativa alla gestione del patrimonio culturale, e in maniera abbastanza riduttiva, concentrandosi perlopiù sull’accessibilità del patrimonio, attraverso l’eliminazione delle «barriere fisiche, cognitive e sensoriali».  È ovviamente un buon punto di partenza, ma può essere questo l’unico aspetto su cui le biblioteche possono avere voce in capitolo, in un momento storico come questo?

La domanda suona retorica e si tratta infatti di un momento in cui bisognerebbe avere la forza, il coraggio (e anche un po’ di immaginazione), per disegnare percorsi basati sul concetto di “resilienza trasformativa” e così sfruttare al meglio il contesto di crisi e operare trasformazioni in grado di portare la società e quanto è al suo interno a livelli più alti rispetto al periodo pre-crisi.

Un recente articolo di Antonella Agnoli e Christian Raimo per Internazionale ci permette di riflettere (qualora ce ne fosse ancora bisogno) sulla necessità di disegnare biblioteche «aperte, inclusive, animate»; una delle suggestioni principali dei due autori è la considerazione della rilevanza della cooperazione strutturale tra biblioteche e scuole, e la loro centralità in qualsiasi pianificazione futura: «il tessuto culturale di un paese non solo comprende biblioteche e scuole, ma non si può nemmeno immaginare senza queste istituzioni».

Il suddetto binomio non è affatto una novità, ed esiste una vasta letteratura che ravvisa l’importanza della cooperazione e della valorizzazione del rapporto tra queste due istituzioni, soprattutto per quanto riguarda le biblioteche scolastiche.

Ma come potrebbero associarsi concretamente scuola e biblioteche alla luce di quanto scritto nel PNRR, disegnato dai governi “Conte 2” e Draghi? Va specificato che nel nostro discorso elemento basilare e ineludibile sono certamente gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, per la quale le biblioteche sono strumenti di enorme potenzialità. Il focus, nel nostro caso, si stringe sull’Obiettivo 4: Istruzione di qualità.

 La Missione 4 del PNRR è tutta dedicata al capitolo “Istruzione e ricerca”, con la finalità di: «colmare le carenze strutturali, quantitative e qualitative dell’offerta di servizi di istruzione […] in tutto il ciclo formativo»; si individuano poi tra le criticità «GAP nelle competenze di base, alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali».

Nella descrizione del piano, investimenti sulle biblioteche (anche scolastiche) per ridurre le distanze citate qui sopra – come già detto- non se ne vedono, e questo è indubitabilmente un grave vulnus e in lontananza purtroppo già si avverte il fastidioso odore delle occasioni sprecate, alla luce di quanto proposto nell’Agenda 2030. 

Nello specifico, facendo riferimento sempre al PNRR e provando a fare una proposta, il punto di investimento al quale potremmo agganciarci in questo discorso è il seguente: «Potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate, incremento delle ore di docenza e presenza di esperti per almeno 2000 scuole».

Provando a immaginare un’ eventuale pista di lavoro che parta da quello che appunto nella Missione 4 già c’è, e premesso che non ci si riferisce strettamente alle biblioteche scolastiche, si dovrebbe cominciare in primis dall’idea di scuola che abbiamo in mente e di come questa debba integrarsi nel tessuto sociale; da questo punto di vista anche per noi bibliotecari torna utile riferirci al pensiero e alle parole del grande maestro Mario Lodi che ne Il Paese sbagliato, ricorda come: «la libertà di pensiero e di parola, la democrazia, la partecipazione alla cosa pubblica non erano cose da imparare leggendole sui libri, ma momenti da vivere dentro la scuola». La scuola insomma come luogo di promozione dei valori costituzionali e umani. E poi anche alle osservazioni di un altro pedagogista e maestro di rilievo, Franco Lorenzoni, che qualche tempo fa proprio su Internazionale faceva presente la necessità che «la scuola [debba] continuare fuori dalla classe»

Scuola in conclusione capace di educare attraverso il “dentro” (rapporto docente-discente, insegnamenti, esperienze in aula) e il “fuori” (la biblioteca e la città, più in generale).

 Al di là dei possibili fraintendimenti, l’invito alla lettura degli scritti dei maestri di Vho e di Giove -del primo tra l’altro nel 2022 ricorre il centenario dalla nascita- nasce dalla convinzione che in essi è possibile provare a ricavare spunti importanti per un percorso di crescita, con le biblioteche (e i bibliotecari) protagoniste nelle attività volte all’abbattimento dei divari in ambito scolastico, nelle competenze di base e nei gap regionali, basate sull’offerta di un’istruzione di qualità, per tutti, e che produca come risultato uno sviluppo, che sarà più evidente soprattutto nei contesti di comunità locali. 

Va a questo punto però osservato che il presente contributo è ben lungi dall’essere una trattazione analitica di “come fare”, ma vuole essere una più semplice proposta di alcune linee generali, che possano guidare i rapporti futuri tra biblioteche e istituzione scolastica.

La scuola nell’insegnamento di Mario Lodi è un laboratorio di dialogo, che serve a «riportare alla normalità la vita del bambino scolaro», attraverso la collaborazione, la cooperazione, la solidarietà e la non violenza; le classi sono «classi aperte»: alla ricerca, all’esperienza e alla relazione.  

Biblioteche cittadine e scuole in sostanza, attraverso la visione di Lodi, potrebbero cooperare in un progetto che guardi all’organicità e all’armonia dei saperi e all’idea (mai banale), della conoscenza come prodotto prima di tutto dell’attività relazionale.  Proviamo a pensarne i passaggi fondamentali.

Il primo passaggio è derivante dal concetto di “classe aperta”: la biblioteca diviene luogo fisico e concettuale in cui gli studenti provano concretamente esperienze di relazione significative con l’Altro da sé (verticali e orizzontali, cioè coi libri e con le persone): gruppi di lettura, letture ad alta voce, giochi che vedano i libri come protagonisti principali, sono tutte attività che permettono  attraverso la lettura di allenare le cosiddette life skills, anche quelle cognitive. Inoltre, lo sfruttamento della biblioteca da parte di studenti e insegnanti permetterebbe di rendere più saldo anche il rapporto col contesto cittadino e addirittura essere d’impulso per un rinnovato interesse per la città come vero e proprio strumento didattico: «se il medium è il messaggio […], la città in sé può fornire conoscenza più e meglio di qualunque device»

Dal concetto di “classe aperta”, si potrebbe poi passare a quello di “classe in ascolto”: in questo secondo momento la biblioteca si fa mezzo di ricerca, coi libri e le persone coinvolte pronte a sollecitare le curiosità e la sete di sapere che sono -solitamente-connaturate nei ragazzi; un esempio pratico è ancora quello di Lodi, che decide assieme alla sua quinta elementare di “riscrivere il libro di storia”, perché gli alunni: «ricordando alcuni fatti raccontanti da nonno Agostino [riferiti alla prima guerra mondiale], e ragionando sulle affermazioni del libro, hanno dei dubbi»; nasce da qui una ricerca: «leggiamo e ascoltiamo i documenti per eliminare quelli di difficile comprensione. Sintetizziamo quelli troppo lunghi e diamo loro, seguendo la traccia del libro, un ordine cronologico. […] Questo lavoro viene eseguito dai gruppi». Si tratta di situazioni che sovente noi bibliotecari ci troviamo a vivere coi nostri utenti, nell’ambito delle attività di Information Literacy.

Terzo passaggio, verso una «classe ponte», capace di collegare e consolidare le proprie conoscenze e competenze con la vita quotidiana, grazie alle attività e alle esperienze di relazione svolte in biblioteca, con la conseguenza di vedere accresciuta la loro capacità di esercitare una cittadinanza attiva; a tal proposito va rimarcato come lo stesso Lodi osservi che il bambino si caratterizzi per una cultura di tipo globale, in contrasto con quella dei docenti, che è disciplinare: lavorare come provato ad abbozzare sopra, non farebbe altro quindi che riportarlo verso la forma di sapere che gli è più propria.

In conclusione va ribadito che alla base di queste brevi considerazioni (forse utopiche) c’è la connotazione della biblioteca come «soggetto relazionale», cioè di luogo ove: «le relazioni sociali vanno a costituire l’identità personale di chi è coinvolto». 

La linea di continuità tra l’azione pedagogica di maestri come appunto Mario Lodi e lo stesso Lorenzoni e l’idea di biblioteca come: «infrastruttura nodale [corsivo nel testo] di un tessuto sociale ripensato in un’ottica maggiormente sostenibile, basato sulla prossimità» con un’identità rinnovata o arricchita dalla partnership strutturale con la scuola parrebbe tenere; per questo sarebbe sempre più auspicabile una discussione sul ruolo che le biblioteche dopo la pandemia devono o possono avere nella scuola e con la scuola, senza “limitarsi” alle seppur preziose biblioteche scolastiche, ma allargandosi alle biblioteche pubbliche in generale; i fondi del PNRR sarebbero un buon incentivo per tentare un discorso in tal senso, e testarne le eventuali ricadute sul territorio, con la consapevolezza che comunque: «gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa».