La nota a piè di pagina. Una storia curiosa
Università degli studi di Palermo domenico.ciccarello@unipa.it
Abstract
Recensione di Domenico Ciccarello al libro di Anthony Grafton, La nota a piè di pagina. Una storia curiosa, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, 255 p.
Per scaricare l'articolo in pdf visita la sezione "Risorse" o clicca qui.
A quasi un quarto di secolo di distanza dalla pubblicazione originale (1997), Editrice Bibliografica ripropone al pubblico l’edizione italiana, non più ristampata dopo Sylvestre Bonnard (2000), di un importante saggio di uno studioso di rango internazionale, Anthony Grafton, docente alla Princeton University e già noto al lettore italiano per altre opere come Falsari e critici e Come il cristianesimo ha trasformato il libro. Può apparire strano che un’intera monografia sia stata dedicata a un singolo elemento strutturale dei testi scritti: la nota a piè di pagina. Ma se osserviamo più da vicino l’evoluzione di quel filone delle ricerche bibliografiche e storico-letterarie che si focalizza sul paratesto editoriale, noteremo come, in parallelo alla stagione di studi a carattere generale inaugurata da Seuils di Gérard Genette (1987), a livello internazionale siano già stati sviluppati numerosi altri saggi riguardanti specifiche componenti del peritesto: il frontespizio, la dedica, la prefazione, perfino la copertina editoriale e la sopracoperta.
La prospettiva qui seguita dall’autore è quella storico-culturale, da intendersi in senso ampio; e bisogna dire che la lezione di Grafton risulta molto istruttiva anche per le pratiche comunicative degli scholars contemporanei, fortemente influenzate da standard citazionali, bibliometria e criteri di valutazione della ricerca. Per secoli la libertà d’impiego delle note, che oggi le stringenti regole della comunicazione scientifica di matrice accademica tendono per certi versi a limitare, ha permesso agli autori di esprimere giudizi e umori, oltre che naturalmente precisare fonti e metodi seguiti, offrendo così al pubblico un luogo riservato che è, al tempo stesso, uno spazio aperto, utile a favorire esperienze di lettura critica; così le note a piè di pagina sono state terreno, a seconda dei casi, per la rivendicazione di credenziali scientifiche, per la giustificazione e ammissione di limiti, o perfino per l’invettiva ad personam.
Il libro di Grafton si propone dunque a una pluralità di potenziali lettori. Gli studiosi di manoscritti medievali e incunaboli troveranno esempi e osservazioni di loro interesse, non numerosi ma pur sempre stimolanti, soprattutto nella parte introduttiva (Note a piè di pagina. L’origine di una specie, p. 13-45). I diversi capitoli del libro costituiscono altrettanti “affondi” legati a episodi e personaggi emblematici nel trattamento delle footnotes, soprattutto nei secoli dal Settecento al Novecento, con deliziosi riferimenti alle pratiche di scrittura e al metodo comunicativo impiegati da letterati, filosofi, storici di diversi Paesi europei. Tra questi, lo storico tedesco Leopold von Ranke, assiduo frequentatore della Biblioteca Barberina e da Grafton considerato “il padre fondatore del mestiere dello storico moderno” (cap. 2-3) e i celebri inglesi Edward Gibbon e Alexander Pope (cap. 4). Grafton però sonda anche uno scrittore del tardo rinascimento come il francese Jacques-Auguste de Thou (cap. 5), osserva il metodo degli storici ecclesiastici e di eruditi antiquari come Athanasius Kircher (cap. 6), e infine rinviene quelle che chiama “le origini cartesiane della moderna nota a piè di pagina” (scevra da orpelli, con i contrassegni della precisione e della chiarezza, modello metodologico della scienza moderna, basata sulle fonti e sui documenti) nel tardo Seicento (cap. 7). In questo periodo operano intellettuali come il filosofo e giornalista francese Pierre Bayle, autore del celeberrimo Dictionnaire critique et historique nel 1697, il biblista Richard Simon, il teologo Jean Le Clerc, tutti impegnati a proporre nelle loro opere veri e propri sistemi di documentazione, ovvero modelli e convenzioni che fossero adeguati all’esposizione delle annotazioni al testo per comodità dei lettori. Tale elaborazione metodologica, originata nella Repubblica delle Lettere europea a cavallo tra l’età barocca e quella illuministica, secondo Grafton sarebbe stata alla base della moderna concezione degli apparati critici basati sulle citazioni bibliografiche e archivistiche.
Dispiace, in conclusione, dovere constatare la scarsa attenzione dell’autore per autori e testi della tradizione letteraria italiana, che pure – come sappiamo – hanno offerto un contributo non indifferente alle questioni erudite e storiografiche affrontate nel volume; una carenza che, se in assoluto non toglie valore all’opera di Grafton, comunque assottiglia lo spessore complessivo dei casi di studio esaminati e delle esemplificazioni proposte.