La ricostruzione umana nella biblioteca
valenza.fabrizio@gmail.com
Abstract
Oggi la Biblioteca può svolgere appieno una funzione primaria per l'essere umano, quella della formazione integrale della persona, nella crescita della libertà interiore, nonostante la tendenza odierna ad affidare la narrazione alle major della comunicazione. Seguendo i suggerimenti di Zygmunt Bauman, per il quale la post-modernità è fatta di aperture e chiusure, nella continua ricerca di un senso di identità sempre più completo, e quelli del filosofo Paul Ricœur, basati sulla possibilità di riformulare l'identità personale a partire dalla narrazione, è possibile vivere il ruolo della Biblioteca come luogo in cui prendersi cura della propria verità interiore, nella continua riscoperta di nuovi orizzonti di senso.
English abstract
Today the Library can fully fulfill a primary function for the human being, that of the integral formation of the person, in increasing inner freedom, in spite of today’s trend of entrusting narration to communication majors. Following the suggestions of Zygmunt Bauman, for whom post-modernity consists of openings and closings, in the continuous search for an ever more complete sense of identity, and those of the philosopher Paul Ricœur, based on the possibility of reformulating personal identity starting from narration, it is possible to experience the role of the Library as a place in which to take care of one’s inner truth, in the continuous rediscovery of new horizons of meaning.
Per scaricare l'articolo in pdf visita la sezione "Risorse" o clicca qui.
Una proposta per recuperare un orizzonte di senso e di ricostruzione dell’identità
Una premessa: la biblioteca luogo libero
Nelle città di un mondo globalizzato, le proposte narrative rivolte all’anima dell’essere umano rischiano di essere sempre più affidate a major: che si tratti di case di produzione televisive e cinematografiche oppure di team di “narratori” a servizio delle propagande politiche o delle aziende commerciali che tendono a modificare l’identità collettiva per poter meglio piazzare i propri prodotti, la narrazione si rivela come il cuore della motivazione, personale e collettiva, sulla quale far leva per ottenere qualcosa. Anche l’istruzione scolastica non si sottrae a questa tendenza, sottoposta com’è alle necessità di Stati nazionali che rispondono a dinamiche sovranazionali, e che perciò imposta le sue programmazioni didattiche al principio di una irrinunciabile efficienza, che si traduce concretamente nel modellamento di studenti e persone pronti a venir impiegati nel mondo produttivo. Nelle prospettive di un’epoca post-pandemica, inoltre, risulta quanto mai necessario pensare a un modo di vivere gli spazi usuali e le attività consuete con modalità nuove e più consapevoli. La filosofia può, da questo punto di vista, offrire un aiuto importantissimo, soprattutto nel senso di quella cura dell’anima della quale essa parla fin dalla rivoluzione socratica. A quella cura, genuina, piena, profonda, rivoluzionaria, è necessario ritornare se si vuole davvero offrire uno spiraglio differente rispetto alle dinamiche interessate del passato.
È difficile immaginare, di conseguenza, un luogo più libero della biblioteca, propizio a una narrazione salvata da ogni funzionalità e dalle plurime strumentalizzazioni del mondo odierno. Nella biblioteca, il libro è ricondotto alla sua funzione originaria, che è quella di veicolare una conoscenza del mondo, sia essa “tecnica” o “umana”, ma sempre espressione dell’infinita ricchezza dell’esistenza, la quale ricchezza può essere attinta per il confronto, la demolizione, la costruzione e la ricostruzione dell’esperienza umana. La scrittura di finzione (narrativa) è, da questo punto di vista, conoscitiva tanto quanto lo è la saggistica: sia l’una che l’altra concorrono alla formazione della persona e delle sue personalità, all’aumento o alla riduzione degli spazi di libertà interiore, che agisce tutta nella dimensione simbolica di un’identità personale che rimanda a qualcosa di universale e, per così dire, divino.
Il bisogno di identità: confronto con Bauman
Sappiamo bene come, secondo il sociologo Zygmunt Bauman, l'uomo post-moderno sia definito sempre più in termini merceologici (o, se vogliamo, mercantili), e tenda così a esaurire il suo senso in una dinamica economica, che rischia di rinchiuderlo nell’ambito ristretto dei bisogni, un ambito, perciò, quasi sempre identificato con la sua condizione naturale. Le dinamiche economiche puntano a questo, a far sentire l’essere umano fin troppo umano e bisognoso, perfino creando i bisogni nella misura delle necessità aziendali. L’identità post-moderna che l’autore ha analizzato con tanta attenzione e perspicacia, trova nella logica di un puzzle mai del tutto completato e sempre modificabile il suo tratto più angosciante e, se vogliamo, inquietante.
La famosa identità liquida, puzzle mai del tutto completo e sempre riformulabile, mostra però un doppio volto. Se da un lato è fonte di angoscia per l’incompiutezza che sempre rivela all'essere umano nell’ambito del suo progetto personale, d’altro canto, tale incompiutezza costituisce anche lo spiraglio attraverso il quale l’essere umano ha la possibilità di far fruttare il “talento” che lo contraddistingue, mai rinchiudibile in una definizione identitaria precisa, e nel quale ha sempre la possibilità di riconoscersi, dal principio al termine della propria esistenza. Il testo Intervista sull'identità è il punto d'arrivo di una riflessione di Bauman sulla globalizzazione iniziata nel 1999 con Le sfide dell'etica e della quale anche Modernità liquida e Il disagio della postmodernità fanno parte: nel quadro complessivo che tali testi delineano, la globalizzazione è vista non soltanto da un punto di vista economico, ma per le sue conseguenze sugli aspetti sociali e personali del vivere quotidiano, consistenti in un mutamento considerato radicale e irreversibile.
Bauman sostiene che la prima difficoltà per chi cerca un'identità è quella di far quadrare il cerchio, in un continuo darsi da fare per comporre un quadro univoco nel quale muoversi senza mai riuscire, tuttavia, a segnarlo con precisione, perché l’obiettivo è “giungere a compimento nella pienezza dei tempi, all’infinito”. Oggi l’identità non va più scoperta, ma inventata, diventando il traguardo di uno sforzo, un obiettivo da costruire da zero. Il tentativo vive però una frustrazione continua, a causa del disagio generale che si prova nella società liquida, nella quale ogni soluzione trovata sembra destinata a non poter durare per molto tempo. L'identità risponde, infatti, anche a un bisogno sociale, non solo personale, e si può correre il rischio di vederla “fluttuare” nell'aria, o per libera scelta, o, più spesso, per spinta di coloro che ci stanno attorno, con la conseguente fatica di dover stare sempre all'erta affinché la volontà altrui non la fagociti.
Un aspetto che trovo molto significativo della riflessione di Bauman consiste nel suo essere dell'avviso che si possa
anche tirar fuori, dal proprio destino di non scelta, una vocazione, una missione, un destino scelto coscientemente: e farlo a maggior ragione per i benefici che una decisione del genere può portare a chi l'assume e la porta fino in fondo, e per i probabili benefici che può apportare agli altri intorno a sé.
In questa dinamica talvolta imprevedibile di creazione dal nulla, per così dire, l’amore e il sacro, ambiti esistenziali tra loro vicini e, contemporaneamente, sovrapponibili, costituiscono una spinta verso qualcosa che è posto al di fuori di questa condizione, spingendo l'individuo a modificare la propria identità in riferimento a qualcun altro, sia esso un “altro” sociale o un “Altro” divino.
Non si può fare a meno di parlare di identità e di riflettervi, sebbene la riflessione emerga soprattutto nel “tumulto della battaglia”. La questione identitaria tace non appena la stessa battaglia si plachi, pur continuando a rimanere nel pensiero di molti. Men che mai la si può “estromettere dalla pratica umana. L’‘identità’ è una lotta al tempo stesso contro la dissoluzione e contro la frammentazione; intenzione di divorare e allo stesso tempo risoluto rifiuto di essere divorati”.
Relativamente all'amore e all'atto dell'amare, che possono essere considerati atti eminenti della necessità di una trascendenza orizzontale, Bauman sostiene quanto segue:
amare significa essere determinati a condividere e mescolare due biografie ognuna delle quali reca con sé un differente carico di esperienze e memoria e percorre un suo corso proprio; significa, nello stesso senso, accordarsi per un futuro che è una grande incognita. In altre parole, come osservato da Lucano due millenni fa, e come ripetuto da Francesco Bacone molti secoli dopo, significa darsi in ostaggio al destino. Significa anche rendersi dipendenti da un'altra persona, dotata di analoga libertà di scegliere e della volontà di seguire la scelta, e perciò piena di sorprese, imprevedibile.
E più avanti, continua:
Non è nella ricerca smaniosa di cose finite, complete, già pronte, che l'amore trova il suo significato, ma nell'impulso a partecipare e contribuire al divenire di tali cose. L'amore è affine alla trascendenza: è solo un altro nome per l'impulso creativo, ed è gravido di rischi come lo sono tutti i processi creativi di cui non si è mai certi di quale sarà l’esito.
In definitiva, sembra di poter dire che l'identità liquida consti di aperture e chiusure. Le aperture maggiori sono certamente costituite dal non accogliere passivamente valori e identità che non appartengono all'individuo che cerca di “far quadrare il cerchio”, ma piuttosto dal tentare di costruire immagini sempre differenti e appropriate alla condizione reale che si trova a vivere. Attraverso quest’apertura, l'uomo post-moderno può trarre giovamento dall'apporto di una libertà altra dalla propria, che riesca a conferire senso alla propria ricerca e alla propria quadratura, una libertà che sollecita una risposta e un'attenzione, obbligando l'individuo a uscire da sé per mettersi nuovamente in gioco. La trascendenza rappresenta la cerniera tra apertura e chiusura.
Forse già con quanto detto fino a questo punto, è possibile intuire quale possa essere l’apporto del lavoro sui libri e del confronto con i libri che è possibile agire in una biblioteca, e che cosa essa possa rappresentare a livello di significatività per la formazione identitaria dell’essere umano. Lasciamo, tuttavia, la riflessione esplicita per l’ultima parte di questo articolo.
La formazione dell’identità narrativa: confronto con Ricœur
A questo punto, torna utile porsi all’ascolto di un filosofo, il francese Paul Ricœur, attraverso i suoi testi dedicati alle configurazioni narrative in Tempo e Racconto. Lo scopo è quello di operare un avvicinamento a una risposta possibile circa l’interrogativo sull’identità, e comprendere, così, in che modo la biblioteca possa poi rivelarsi luogo e agente perfetto per un’azione utile alla plasmazione di un’identità più equilibrata e maggiormente libera. Per farlo, è necessario soffermarsi su quei rapporti fondamentali per l’essere umano costituiti dall’incontro triadico tra il 1) mondo dell'autore, 2) l’opera letteraria e 3) il mondo del lettore, per analizzare in modo più approfondito in che modo questi tre livelli di esperienza esistenziale si incrocino e divengano interdipendenti.
- Quando l'autore dà origine a una narrazione, non fa altro che prendere elementi significativi del proprio vissuto, rimodellandoli secondo schemi strutturali e retorici adatti a ottenere un racconto convincente, che sia un'efficace rappresentazione di sé. In una prima fase, l'autore scrive per se stesso, non volendo far altro che dar forma alla voce interiore costituita da endocetti ancora privi di una chiara destinazione concettuale. In un secondo momento, nella fase della correzione, l'autore definisce bene la struttura portante del racconto, precisandone i singoli elementi con il pensiero rivolto al lettore. Se nella prima fase importante era il mondo interiore dell'autore, nella seconda fase importante è la comprensibilità di questo mondo interiore per il lettore. Ed ecco che è qui che si forma l'opera, come un qualcosa che inizia a separarsi dal suo autore, per assumere forza vitale indipendente.
- L’opera concepita in questo modo contiene in sé un'apertura costitutiva all'altro, al lettore, che, come abbiamo visto, viene inglobato nel processo di definizione del racconto già dalla ridefinizione definitiva dell'opera stessa da parte dell'autore che vuole consegnarla al mondo.
- Per questo motivo, è solo il lettore a poter completare il processo di definizione dell'opera, raccogliendo quanto viene ceduto dall'autore e inserendolo nella propria vita fatta di pensiero e azione. Il lettore assume quanto legge nell'opera e gli conferisce l'importanza e il senso propri della sua personalità. Il materiale che, in questo modo, passa dall'opera (e quindi dall'autore) al lettore, può essere paragonato agli zuccheri e ai carboidrati, alle vitamine e alle sostanze del cibo che ingeriamo, laddove non si parla di elementi chimici o sostanze nutritive, bensì di motivazioni, idee, concetti e orizzonti di senso. Se tali elementi narrativi sono utili e necessari al lettore che si pone in ascolto del mondo dell’autore tramite l’opera, essi vanno a costruire un corpo-anima più robusto e sano. Se sono inutili e dannosi, come minimo vengono eliminati, ma in molti casi rischiano di trasformarsi in veleno e materia che porta, lentamente, alla morte. Fuor di metafora, il racconto offre degli elementi utili o dannosi alla costruzione dell'identità del lettore, grazie al fatto che non fa altro che trasmettere l'esperienza vissuta dall'autore nella sua vita, lontana da quella del lettore, ma l'utilità o la dannosità dipendono dall'atteggiamento del lettore e dalla sua realtà personale. Di per sé non esistono libri dannosi, ma solo lettori con un proprio vissuto, capace talvolta di invelenire ciò che viene letto. Appare determinante, in fin dei conti, la mediazione che il lettore – o un altro agente che lo affianca – può offrire per la comprensione del testo e dei suoi molteplici significati. E qui si delinea un altro aspetto che porremo in evidenza nel momento in cui affronteremo l’apporto concreto della biblioteca all’esperienza narrativa dell’identità personale.
Il rapporto tra autore e lettore, mediato dall'opera, può essere analizzato partendo da un estremo della catena oppure dall'altro. Da un lato, infatti, l'autore non fa altro che offrire qualcosa di utilizzabile per una costruzione identitaria a chiunque voglia assumersene il compito o sia alla ricerca di un'identità che lo soddisfi e che possa toglierlo dal disagio sociale. Il lettore, perciò diventa il destinatario normale dell'opera di definizione che, precedentemente, l'autore ha posto in essere su di sé tramite ciò che ha prodotto. Partendo dall'estremo opposto della catena, invece, si può dire che il lettore non fa altro che dare un senso a ciò che, essendo isolato e ormai indipendente dall'autore, ovvero l'opera, non ne ha ancora uno suo proprio e completo. Definendo se stesso nell'assumere gli elementi dell'opera (o nel rigettarli), definisce anche l'opera stessa tramite la sua rilettura, per offrirla nuovamente agli altri, tramite la sua vita e le azioni che ne vengono influenzate, dando vita a una catena di esperienze trasmesse. Gli elementi di valore di cui è eventualmente costituita l'opera, infatti, vanno a far parte del bagaglio di motivazioni dell'agente, secondo la logica dell'azione come progetto, così ben definita da Paul Ricœur. Secondo il filosofo, l'azione dell'individuo fa leva su motivazioni che non sono da identificare tramite la categoria di causa, come se a un'azione fosse riconducibile un motivo e sempre lo stesso, ma in quanto dotazione di senso mossa dal desiderio, un confine sempre in bilico tra naturale e culturale, dove la volizione è costituita da un sovrapporsi tra l'intenzione dell'azione e l'inizio dell'azione stessa. È chiaro che, quando il lettore si confronta con una narrazione, ciò che può far proprie non sono le motivazioni che hanno portato l'autore a redigere l'opera in quel modo, bensì le strutture che egli ha posto in essere, e che il lettore stesso ha nuovamente riempito di senso, in funzione della propria dinamica interiore.
A questo punto ci si può chiedere se il testo scritto possa offrire realmente delle novità nell'ordine delle motivazioni del lettore, o se il lettore sia comunque destinato a ripercorrere all'infinito, pur rimodulandole, le motivazioni che lo caratterizzano e lo hanno già qualificato come individuo. Anziché rispondere direttamente a questo interrogativo, mi permetto di spostare il problema, nel tentativo di svelare l'illusoria percezione che sia possibile definire numero e spazio delle motivazioni di un individuo. Se, infatti, si giungesse alla conclusione che un essere umano utilizza sempre e solo un determinato numero di motivazioni, sarebbe necessario affermare che tali motivazioni siano sempre esistite, fin dal principio di quell'essere umano, senza che esse siano nate e sviluppate nel corso del tempo. Se l'essere umano fosse una struttura chiusa, allora se ne dovrebbe concludere la completa inaccessibilità da parte dell'esterno, ammettendo che il corpo naturale sia anche il naturale confine della persona. Tuttavia, l'essere umano non è un corpo totalmente avulso dal contesto in cui è inserito, non è un ab-solutus, bensì natura mediata e collegata all'esterno tramite la pelle, i sensi e la mente, per fermarci a un livello meramente fisiologico. Se si compie un passo ulteriore, si può affermare che lo spirito dell'uomo sia addirittura ciò che dall'esterno caratterizza l'uomo nel senso più interiore, definendolo sempre come un mondo aperto su altri mondi, fondamentale capacità di mediazione tra ciò che esiste e ciò che è.
L'uomo si caratterizza come datore di senso a ciò che è solo struttura, e l'azione di completare la struttura di una narrazione, composta da qualcun altro, è quanto di più tipico si possa trovare nell'essere umano, motivo principale della possibilità di incisività di un’azione diretta da parte di chi agisce con le narrazione e sulle narrazioni. È infatti arrivato il momento di affrontare le possibilità formative della biblioteca per l’essere umano completo.
Il ruolo della biblioteca
Compiamo un ulteriore passo. Caratteristica fondamentale della post-modernità è l'esigenza di una verità che sia riconducibile da un lato alla storicità, e dall’altro alla propria individualità. Ciò che una volta si vedeva come verità da definire a livello verbale (e perciò stesso, una verità secondo la logica classica, fondata meramente sul principio di non contraddizione, inattaccabile da dubbi), oggi lo si cerca come verità che affondi le proprie radici anche nella propria personalità, e perciò non più evidente o valida per tutti. D’altronde, il concetto stesso di verità offre il fianco a una doppia modalità di comprensione, secondo due aspetti entrambi presenti nella cultura greca d’origine del concetto.
- Un primo modo, quello del senso aristotelico, è la “verità” da definizione, una verità che oggettiva ciò che definisce. Il rischio implicito a questa modalità, è di schiacciare la persona in un ambito impersonale, che la porta a sentirsene estranea fino al limite della finzione: non è più importante ciò che la persona è nel profondo dell’essere, ma l’opinione che di essa se ne può avere, perché condivisibile e spendibile a livello sociale. Si tratta di una “verità” che conduce al concepire le relazioni in senso economico.
- Poi c’è un altro significato, ancora più antico di quello dato da Aristotele, ed è il modo originario di pensare la verità. È quello di aletheia, cioè verità infinita che si svela rivelandosi, una verità che non è mai conoscibile una volta per tutte, perché mentre ti mostra una sua piccola parte, nasconde tutto il resto, e quando l’attenzione si ferma su un’altra parte, la zona prima rivelata torna a nascondersi. La verità che interessa a questo articolo e a chi scrive corrisponde a questo secondo modo.
La persona che si rapporta a un simile concetto di verità trova il senso della propria identità nell’incessante mettere in discussione le motivazioni che la portano all’azione, così da poter accogliere ciò che la verità di volta in volta illumina: la verità si svela in questo modo per la sua caratteristica relazionale. La verità è come una persona con cui entrare in dialogo, e in questo dialogo è esclusa ogni possibilità di giudizio definitivo, perché l’unico giudizio sensato per tale modo di considerare la verità, è un giudizio calato nella comprensione dell’altro e della sua esistenza.
In fin dei conti, coniugare oggettività e soggettività è ciò che più sta a cuore all'uomo post-moderno, non più disposto a negare alcunché di se stesso in nome di una verità che non sente come propria, e che, nel contempo, non gli consenta di riconoscersi in un orizzonte di valori in evoluzione, anche grazie a un progressivo disvelarsi di qualcosa che egli sente come reale e oggettivo. Quando perciò trattiamo con la delicata questione dell’identità, oggi abbiamo a che fare con un’esperienza particolare: le identità della società tradizionale da cui proveniamo sono giunte al limite delle opzioni esistenziali offerte dall'ambito in cui nascevano, che prevedeva solo una ristretta scelta di adeguamenti e di combinazioni. Successivamente all'incontro con quel particolare genere di trascendente costituito dalla società contemporanea, odierna, tali identità tradizionali si disgregano, riformulandosi sulla base di ciò che giunge dall’orizzonte di un altrove, sempre più percepito come ambito di nuove possibilità. Ancora una volta: un puzzle mai completo, ma aperto sulla possibilità di riformularsi in corrispondenza di una maggiore profondità accessibile.
Dicevamo che l'essere umano è datore di senso a ciò che è solo struttura, e che il dare un senso narrativo sia la sua azione più tipica. La necessità di testimoniare tramite la lettura, la scrittura e il racconto la propria definizione diventa la possibilità di mostrare in che modo sia stata ricostruita la propria vita. San Paolo perseguitava i seguaci di Cristo, e dopo che Cristo stesso gli si mostrò, sentì la necessità di narrare come avesse scoperto la debolezza della sua esistenza e come in quella debolezza gli si fosse mostrata la forza di Cristo. In questa stessa fonte paolina trova la sua energia Dostoevskij, che in ogni romanzo successivo alla grande svolta della condanna a morte (per fortuna, sua e nostra, scampata) racconta ciò che lo ha modificato nel profondo: non si tratta di altro che di una “rilettura”, una nuova scrittura della sua vita. Ciascuno ha la possibilità di trovare il senso della propria esistenza in un racconto altrui, come fece anche Agostino nella ricostruzione della propria biografia quale ricostruzione della presenza di Qualcun Altro nella propria storia personale, dando alla luce quel capolavoro autobiografico che è Le Confessioni. Traggo esempi dal sacro solo per esplicitare massimamente le potenzialità dell’umano, che conducono e indicano sempre a quel di più che tradizionalmente viene considerato appartenere alla sfera del sacro o, se vogliamo, del Divino.
Tramite l’offerta di letture condivise e partecipate dagli stessi utenti, la biblioteca si delinea come il luogo (sacro?) nel quale offrire la possibilità di una ricostruzione d’identità. La lettura, svolta a livello personale o effettuata secondo una proposta che espliciti una tematica specifica, porta alla luce del sole la possibilità del cambiamento per l’essere umano. Tale cambiamento non è qualcosa di esterno, qualcosa che giunge come un corpo estraneo a far parte di una vicenda personale, ma è una nuova chiave interpretativa che offre la possibilità di aprire cassetti o stanze d’intimità, fino a quel momento chiusi, seppur presenti fin dalla nascita.
Perché ciò accada, è ovviamente necessario che chi riceve la lettura si apra alla possibilità del racconto, e che si lasci inebriare dai suoi contenuti, se ne lasci irretire fino a divenire disponibile per una “messa in discussione” della propria storia. La proposta narrativa, perciò, può mostrare tutta la sua portata trasformante perché, eventualmente, è in grado di rispondere a un desiderio profondo di chi ascolta o legge. Non parliamo di bisogni, non si tratta di un “meccanismo” situato sul piano della causa e dell’effetto, ma di desideri (de sidera, senza stelle, con la volontà di raggiungerle), cioè del modo divino, totale, di guardare all’esperienza umana. La lettura si pone sul piano simbolico-narrativo ed è un altro modo di agire prima dell’azione pratica. Tramite la lettura, l’essere umano si apre al ventaglio di possibilità ulteriori che fanno parte del proprio essere, del proprio “sentire”, e raggiunge una nuova immagine – più completa – di quel puzzle che l’epoca post-moderna in cui viviamo ci obbliga a mantenere aperto.
Ecco che, allora, la biblioteca diviene davvero una delle migliori possibilità per ritrovare un orizzonte di senso sempre più smarrito, un senso costruito direttamente dalla persona e non più calato dall’alto. Un senso che coinvolge la pienezza dell’essere umano, verso un’apertura sempre maggiore alle possibilità che davvero rendono completa la persona.
Il contenuto simbolico delle esperienze individuali permette di trasformare la narrazione della propria vita in narrazione della propria conversione (metànoia) verso il meglio, soprattutto grazie al simbolo narrativo, sempre ricco di un ulteriore approfondimento, finestra sulla soglia tra ciò che è personale e ciò che è universale. È importante rilevare come, perché ciò accada, sia necessaria la lettura profonda di sé effettuata da se stessi successivamente alla lettura; non una lettura psico-analitica, ma una lettura simbolico-analitica, riscoprendo i simboli che ci caratterizzano. Ancora una volta, però, la biblioteca può venire in soccorso di una simile cura dell’anima, offrendo un ampio ventaglio di attività di riflessione, personali o di gruppo. Ecco alcune attività di massima, pensate secondo un’ottica generale, adattabile a ogni contesto bibliotecario.
- Progetti di gruppo: per imparare a collaborare in un’ottica sociale attraverso la discussione su grandi testi, capaci di unire l’orizzonte della profondità umana in grandi personaggi che affrontano la complessità dell’esistenza, soprattutto a livello sociale (e il tema della società complessa è, oggi, quanto mai all’ordine del giorno): le opere di Mark Twain, Charles Dickens, Fedor Dostoevskij, Lev Tolstoj, Victor Hugo sono solo alcuni esempi di testi che si prestano a discussione e confronti tramite incontri e analisi condivise.
- Progetti digitali: la digitalizzazione degli archivi può tradursi in una digitalizzazione dei contenuti tematici, spendibili all’interno di una ricerca che aiuti il singolo a costruire un percorso personale di crescita e di approfondimento, trasformando la biblioteca in una sorta di “ospedale da campo”, che segue la persona nel suo cammino di autoriflessione.
- Cura dell’anima: le riflessioni che una cura dell’anima/terapia riflessiva personale possono sviluppare nascono dalla collaborazione tra risorse bibliotecarie e counselor o consulenti filosofici, capaci di guidare la persona nella consapevolezza e nel piacere della propria profondità, in vista di un ritrovato equilibrio della propria interiorità, e della propria ricostruzione motivazionale.
Le esperienze degli scrittori, affidate alle loro narrazioni, possono, in questi e in molti altri modi, diventare il punto nodale delle biografie dei lettori, che colgono il senso delle testimonianze di persone considerate valide e le rapportano alla propria condizione. In questa dinamica gioca un ruolo fondamentale l’apertura basilare del simbolo dei simboli, cioè l’essere umano, al contenuto simbolico dei testi, un'apertura che si traduce sempre in una ristrutturazione del proprio essere e della propria mente. Nell'incontro con la testimonianza offerta dal racconto della vita dell’altro, contenuta in esso, l'individuo aperto ha la possibilità di riconoscere se stesso come il medesimo individuo di sempre, ma, al contempo, di ricostruirsi aumentando la profondità della propria esistenza. In questa dinamica plurale, la biblioteca può divenire luogo di importanza fondamentale per una società sempre più inclusiva e umana.