N.3 2023 - Biblioteche oggi | Aprile 2023

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Anatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri

Alessandra Annunzi

alessandra.annunzi@gmail.com

Abstract

Recensione di Alessandra Annunzi al libro di Marc Drogin, Anatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri, Milano, Ledizioni, 2022, 154 p.

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“Claustrum sine armario, quasi castrum sine armamentario”: la citazione, resa famosa da Umberto Eco che la fece pronunciare all’abate che si rivolgeva a Guglielmo da Baskerville nel popolarissimo romanzo Il nome della rosa, è attribuita a Geoffroy de Breteuil, priore del monastero di Santa Barbara in Normandia, e riportata nello studio dal titolo Être bibliothécaire en Chartreuse: la gestion des bibliothèques cartusiennes aux XV e XVI siècles, pubblicato in L’Historien face au manuscrit: du parchemin à la bibliothèque numérique a cura di Fabienne Henryot per Presses universitaires de Louvain nel 2012.

Il fortunato libro di Umberto Eco uscito nel 1980 e ancora di più la trasposizione cinematografica del 1986 per la regia di Jean-Jacques Annaud hanno contribuito a rendere familiare al grande pubblico – seppur in chiave romanzata – il mondo degli amanuensi, degli scriptoria e dei codici medievali, di cui il semiologo piemontese era appassionato collezionista.

Anche Marc Drogin, autore di Anatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri, è stato uno studioso di manoscritti, e grazie alla casa editrice milanese Ledizioni, a cinque anni dalla sua scomparsa esce la sua prima opera tradotta in italiano.

Ledizioni dedica, tra le tante in pubblicazione, una specifica collana a biblioteche e archivi e una all’editoria, che raccoglie studi sul mondo del libro nella quale compare anche il volume di Drogin.

Per la serie “Editoria” sono usciti anche altri titoli che – come questo – sono curati da Simona Inserra: professore associato di Archivistica, Bibliografia e Biblioteconomia presso l’Università di Catania, insegna tra le altre materie Archeologia del libro. Per citare solo alcune delle molteplici attività di ricerca di Inserra, si richiamano i progetti Incunaboli a Catania, Incunaboli ad Agrigento e Incunaboli a Monreale, che concernono la descrizione di primi volumi a stampa conservati nelle località siciliane e la pubblicazione dei relativi cataloghi. Attiva nell’ambito del Consorzio delle Biblioteche europee della Ricerca che collaborano al progetto Material Evidence in Incunabula dell’Università di Oxford, Simona Inserra ha partecipato attivamente a diversi programmi internazionali di cooperazione per lo studio del manoscritto e dell’editoria, come CODICIS - Fortalecimiento de capacidades para la Recuperación y Conservación del Patrimonio Documental y Bibliográfico en Latinoamérica in collaborazione con l’Università di Barcellona, e come consulente scientifico del Master internazionale in Conservation of Antique Photographs and Paper Heritage promosso dall’Università di Catania, l’Università Helwan (Il Cairo), l’Ambasciata d’Italia in Egitto e il Centro italo egiziano per la conservazione delle fotografie antiche e del patrimonio cartaceo (EICAP). Ha ricoperto il ruolo di presidente della Sezione Sicilia dell’Associazione italiana biblioteche ed è membro della Società italiana di Scienze bibliografiche e biblioteconomiche.

Il rigore scientifico garantito dalla prefazione e dalla cura del volume di Simona Inserra sistematizza l’approccio alla materia di Marc Drogin, giornalista, tipografo e calligrafo scomparso nel 2017, che si appassionò al mondo dei manoscritti medievali e divenne ricercatore indipendente. I suoi studi, mai strutturati in ambito accademico, hanno prodotto quattro pubblicazioni (Medieval Calligraphy, Its History and Technique del 1980, Yours truly, King Arthur del 1982 poi ristampato nel 1998 col titolo Calligraphy of the Middle Ages and How to Do It, Anathema! Medieval scribes and the history of book curses del 1983 e, infine, Biblioclasm: the mythical origins, magic powers, and perishability of the written word del 1989).

Gli ambiti geografici prediletti dalla ricerca di Marc Drogin si riflettono sul contenuto del volume, che riporta fonti quasi esclusivamente di area anglosassone, benché rappresentative di gran parte dell’Europa in un’epoca in cui i modelli organizzativi delle comunità religiose quali principali centri di copia, i testi dell’antichità classica e del cristianesimo, e la lingua latina erano universali. L’approccio al lavoro da appassionato e non da ricercatore universitario è apertamente confessato in prefazione dall’autore stesso: “Devo ricordarvi che io sono un ricercatore autonomo, non sono un accademico. Ho raccolto la verità così come l’ho trovata, assieme alle sue leggende, alle fiabe apocrife e a quegli aneddoti molto interessanti sì, ma affidabili solo fino a un certo punto: tutto fa parte dell’affascinante prospettiva che abbiamo sugli amanuensi e i loro libri”.

Il volume è organizzato in cinque capitoli: si ripercorrono sommariamente i processi di riproduzione del libro manoscritto che hanno consentito alla cultura greco-latina di giungere fino a noi, unitamente ai testi del primo cristianesimo. L’immensa mole di lavoro necessario a copiare un codice spinse gli amanuensi stessi, e a volte anche i Padri della Chiesa o i dignitari ecclesiastici a chiedere che i libri fossero trattati con la massima cura, per evitare che venissero danneggiati o compromessi da un utilizzo poco attento: in alcuni casi, queste raccomandazioni furono riportate nelle regole di alcune comunità religiose. Il valore dei libri è l’oggetto del terzo capitolo dell’opera, che illustra le condizioni economiche e di produzione che imponevano ai codici costi a volte esorbitanti, tali da renderli spesso veri e propri beni di lusso. Il costo del materiale di realizzazione era sicuramente la componente più onerosa, ma non va dimenticato che il valore finale dipendeva anche dal pregio della fattura del codice: miniature, qualità della pergamena e in generale della composizione potevano far lievitare il prezzo fino a quello di un tipico oggetto da collezione. Si legge nella disposizione contenuta in un testamento del XV secolo quanto segue: “che mia figlia […] abbia un libro d’oro, smaltato, che era di mia moglie, che lei ha sempre voluto indossare”. Il costo del libro si ridusse sensibilmente non con il primo avvento della stampa a caratteri mobili, ma solo nel momento in cui questa nuova tecnica che garantiva la serialità della produzione si diffuse tanto da ramificarsi in Europa, e da contare centri tipografici prosperi e ben avviati, grazie anche all’uso della carta al posto della pergamena e allo sviluppo del mercato librario.

Nel caso dei codici manoscritti invece si impose sin da subito l’esigenza di proteggere beni così preziosi da danneggiamenti più o meno accidentali, fornendo indicazioni generali per maneggiare e conservare i volumi formalizzate all’interno di veri e propri regolamenti, ma soprattutto per scoraggiare l’azione dei ladri. Metodi piuttosto comuni per dissuadere i malintenzionati erano sicuramente quelli garantiti da dispositivi di tipo meccanico: i libri erano riposti in stanze, casse o armadi chiusi a chiave, sotto la responsabilità diretta e personale di un bibliotecario, oppure, specie quando conservati in spazi condivisi e adibiti anche alla lettura, erano incatenati ai plutei della biblioteca, cosa che garantiva anche la corretta ricollocazione del volume dopo l’utilizzo, come avveniva ad esempio nel salone monumentale della Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze o della Biblioteca Malatestiana a Cesena.

Tuttavia, anche grazie alla pervasività della cultura cristiana, strumenti di dissuasione più incisivi furono probabilmente le maledizioni che gli amanuensi inserivano nelle ultime righe del codice che avevano appena copiato, trascrivendone la formula o inventandone di nuove per l’occasione: il catalogo delle tipologie di dannazione è ampio, e comprende l’impiccagione, la dispersione della stirpe, le malattie, l’inferno e, ovviamente, la scomunica. L’anatema era paragonabile alla pena capitale in quanto sanciva l’uscita dello scomunicato dalla società cristiana. Nelle ultime righe sul verso del foglio 96 del codice MS Typ 205 della Houghton Library presso la Harvard University datato al dodicesimo secolo che riporta il testo di un commento al Nuovo Testamento, si legge “Liber sacerdotis Walteri. Si quis ei abstulerit anathema sit. Amen. […]”.

Sin dai tempi più antichi, i principali fruitori della cultura scritta furono religiosi e dignitari pubblici e pertanto è spesso a loro che si rivolgono le minacce presenti nei libri: in alcuni casi esse sono di tipo giuridico, con sanzioni vere e proprie. Dal momento che spesso gli amanuensi si occupavano anche di copiare atti o testi di diritto, in alcune testimonianze l’esordio della maledizione è quello tipico della formula della sanctio dei documenti pubblici o privati (“Si quis autem…”).

Gli anatemi sopravvivono all’avvento della stampa, ma cambiano il loro contenuto: Drogin ricorda il caso delle bibbie autorizzate da Sisto V, che contenevano la condanna di tutte le versioni che non riportavano fedelmente il testo approvato dal papa.

A decretare forse la fine dell’uso degli anatemi fu più che altro il cambio di mentalità, la diffusione di forme di cultura sempre più laiche, che svilirono quindi progressivamente la forza dissuasiva della maledizione. Sempre più spesso a scongiurare il furto o la mancata restituzione del volume ottenuto in prestito restano sanzioni più moderne, in genere di natura economica.

L’indice dei nomi citati nel testo chiude il volume, che presenta anche una bibliografia curata da Simona Inserra piuttosto ampia, soprattutto se valutata in relazione alla modesta estensione del libro. Tra gli altri, appare di interesse per approfondire l’indagine di Drogin il recentissimo Contro i ladri di libri: maledizioni e anatemi di Lucio Coco, con una nota di Edoardo Barbieri pubblicato da Le Lettere nel 2020. Le note a piè di pagina documentano in molti casi l’esistenza di copie digitalizzate dei codici che riportano gli anatemi citati nel volume.

Simona Inserra nella premessa all’edizione italiana sistematizza il lavoro di ricerca di Marc Drogin e lo riconduce a un quadro strutturato e ordinato di analisi del fenomeno della riproduzione manoscritta dei codici medievali che solo l’approccio accademico può garantire, evidenziando regolarità relative alla posizione dell’anatema all’interno della struttura del libro, e suggerendo l’individuazione di formule ripetute nel tempo anche in località molto distanti, che testimoniano come queste espressioni di minaccia assunsero alla fine probabilmente un vero e proprio valore rituale.

Come specificato dalla curatrice, non sembra esistere a oggi un “censimento completo degli anatemi contenuti nei manoscritti medievali e nei primi libri a stampa”: pertanto il testo di Marc Drogin può senz’altro rappresentare un ottimo punto di partenza per avviare un’indagine sistematica di queste formule, anche nell’ambito delle ricerche condotte nei progetti di catalogazione di manoscritti datati o riconducibili a specifiche aree geografiche.

Il codice MS Typ 205 della Houghton Library, Harvard University: nelle ultime quattro righe al verso del foglio 96 è ben leggibile la formula di minaccia