N.3 2023 - Biblioteche oggi | Aprile 2023

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I libri d'artista che hanno fatto la storia

Cristina Moro

Università di Pisa; cristina.moro@unipi.it

Abstract

Recensione di Cristina Moro del libro di Giorgio Maffei, I libri d'artista che hanno fatto la storia, Milano, Editrice Bibliografica, 2022, 384 p.

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Il nome di Giorgio Maffei è ben noto a studiosi, collezionisti e appassionati – per riprendere la presentazione del suo studio bibliografico di Torino – di “libri rari sulle arti del Novecento”. Tuttavia, questa definizione non si riferisce solo ai libri d’arte, come potrebbe indurre a pensare un’interpretazione disattenta, bensì ai libri d’artista, di cui egli si è occupato con rigore e passione, intuendo la necessità di cogliere, con uguale scrupolo, gli elementi espressivi, comunicativi e editoriali, in quanto componenti inscindibili di un processo creativo.

Dice bene Ambrogio Borsani, cui si deve l’introduzione al volume (p. 7-9), che “i mercanti di libri hanno possibilità di approfondimento maggiori degli accademici” (p. 7): l’opportunità di avere tra le mani oggetti che non corrispondono necessariamente ai canoni di un collezionismo tradizionale, di individuare nuovi generi e filoni da proporre alla clientela, di approfondire le informazioni sui manufatti in modo da poterne valutare la rilevanza culturale, oltre che il valore commerciale, spaziando cronologicamente e territorialmente, sono solo alcuni degli elementi che rendono questo contesto professionale un osservatorio privilegiato dell’universo del libro. Nel caso di Maffei non bisogna, tra l’altro, dimenticare che era egli stesso un collezionista, particolare, questo, che certamente gli ha consentito di cogliere con sensibilità ancora maggiore le eccezionali potenzialità del libro d’artista novecentesco come testimonianza espressiva.

Opera d’arte in incognito, e al contempo prodotto editoriale anomalo, esso è stato a lungo, se non trascurato, certamente sottovalutato, complici il carattere spesso sperimentale dei manufatti e la sostanziale deviazione dai canoni espressivi, indotta dalle caratteristiche di un medium come il libro, solitamente destinato alla comunicazione testuale. Per secoli, infatti, esso era stato da un lato oggetto di rappresentazione nelle opere d’arte, e dall’altro era stato corredato da un apparato iconografico, funzionale a un testo, o alla diffusione di un messaggio, ma non era mai stato, esso stesso, opera d’arte.

Giorgio Maffei è stato il primo, in Italia, ad aver riconosciuto la rilevanza e l’originalità di questa forma creativa, che ha consentito non soltanto agli artisti di esprimersi reinterpretando un oggetto universalmente familiare e conosciuto, ma di cambiare profondamente, attraverso di esso, il tipo di comunicazione. Per sua natura, infatti, il libro, per essere fruito, deve essere toccato, tenuto fra le mani, sfogliato; esso non può essere solo oggetto di contemplazione passiva, e non è un caso che quando questo avviene esso perda, in parte, la sua efficacia espressiva. Quando l’opera d’arte viene trasposta in un prodotto editoriale, il processo creativo non si esaurisce con la fase ideativa e realizzativa, ma prosegue e si definisce anche nell’interazione con il pubblico. La necessità di manipolazione, inoltre, accorcia la distanza fra l’artista e l’osservatore, mettendoli sullo stesso piano, e potenziando così l’efficacia del messaggio.

Il presente volume propone al lettore la raccolta dei trentasette brevi saggi che Maffei scrisse per la rivista “Wuz”, nell’ambito di una rubrica fissa dedicata al libro d’artista. Il collezionista e mercante torinese aveva già al suo attivo importanti contributi su questo tema, che gli valsero la meritata fama di esperto in materia; la collaborazione con il periodico rappresentò, così, la possibilità di far conoscere questa particolare tipologia editoriale a un pubblico più ampio e diversificato.

L’esperienza editoriale di “Wuz. La rivista del collezionista di libri” – diretta dal sopra citato Ambrogio Borsani – è degna di nota, perché ha proposto, in discontinuità con la linea scelta da altre testate – focalizzate sugli aspetti culturali, letterari e di erudizione bibliografica – un approccio, per così dire, globale all’universo del collezionismo librario, in tutte le sue sfaccettature. I temi trattati, ben lontani dall’essere limitati ai soli aspetti commerciali, abbracciavano gli ambiti tradizionali, come quelli relativi, ad esempio, alle edizioni rare e di pregio, ma offrivano anche importanti spunti su aspetti pratici, quali il restauro e la rilegatura, e soprattutto intercettavano le tendenze – culturali e di mercato – più interessanti e originali.

Il ruolo di Maffei fu proprio quello di svelare la ricchezza e le potenzialità di un ambito collezionistico – ma anche scientifico – pochissimo conosciuto, per “fare chiarezza e tracciare un perimetro preciso del libro d’artista” (p. 7).

Sebbene si tratti di testi che, nella loro forma editoriale originaria, sono stati concepiti e pubblicati separati gli uni dagli altri, risultano essere molto omogenei non solo nella struttura, ma anche nell’idea di base: lo studioso e collezionista torinese, alla stregua di un pittore, con poche efficaci pennellate, ha rappresentato epoche, tendenze, correnti di pensiero, personaggi e soluzioni creative, mescolando sapientemente erudizione bibliografica, competenze storico artistiche, aneddoti e dati tecnici.

La scelta di riproporre questi brevi saggi in una raccolta organica rappresenta un’opportunità per ripercorrere non solo il lavoro di Maffei – che, ricordo, è scomparso nel 2016 – ma anche quello svolto dalla rivista “Wuz” durante i circa sei anni della sua attività editoriale (da febbraio 2002 a dicembre 2007).

Il risultato è un affascinante percorso che si articola attraverso l’analisi del lavoro di artisti, alcuni dei quali influenti e famosi, altri noti a un pubblico di nicchia, che sono stati attivi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XXI: nell’introduzione al volume, Borsani rievoca i criteri di scelta di Maffei, improntati a una lettura attenta e critica delle forme espressive declinate in forma di libro, e alla ricerca di testimonianze di orientamenti letterari e artistici innovativi, stimolanti e controversi.

Come ho accennato sopra, i contributi hanno una struttura interna ricorrente, che richiama quella dei cataloghi di vendita degli studi bibliografici: un’introduzione contenente un profilo dell’autore/artista, seguita da una sintetica contestualizzazione e ricostruzione del processo creativo, dalla segnalazione delle caratteristiche dell’edizione, delle note relative a tiratura e prezzo, che si concludono con la scheda descrittiva e i riferimenti bibliografici relativi alle opere.

L’ordine di presentazione al pubblico, invece, è stato stabilito in modo da creare una sequenza cronologicamente e tipologicamente varia, così da garantire visibilità e spazio sia per alcuni capisaldi del libro d’artista, sia per espressioni di movimenti sconosciuti ai più, in modo da offrire ai lettori diversi spunti di riflessione e da solleticarne la curiosità: uno dei punti di forza, non solo di questo volume, ma del contributo scientifico dato da Giorgio Maffei agli studi su questa tipologia editoriale, consiste nell’aver incluso anche prodotti più squisitamente letterari, nei quali emerge un nuovo rapporto con la forma del libro.

Non è un caso che il primo libro d’artista, Un coup des dés jamais n’abolira le hazard di Stephane Mallarmé (p. 173-181), pubblicato nel 1897, abbia suscitato, negli ambienti più tradizionalisti, non poche perplessità, e sia stato considerato una sorta di “stranezza tipografica” a causa dell’inedita composizione delle pagine, in cui gli ampi spazi bianchi e le variazioni del corpo dei caratteri non avevano una funzione decorativa, bensì espressiva.

Le trasformazioni del libro, in effetti, non potevano che iniziare da un sovvertimento degli usi tipografici, intervenendo prima sui testi, poi sulla mise en page e sul corredo illustrativo – a tale proposito, basterà ricordare le notissime esperienze dei futuristi – per giungere infine a “piegare” e modificare la materialità del prodotto editoriale convenzionale, per adattarlo alle proprie necessità espressive, trasfigurandolo in opera d’arte.

Come ho già osservato, la scelta di appropriarsi di un oggetto di uso comune, come il libro, la cui funzione era chiara e consolidata da secoli, per rimaneggiarlo e trasformarlo, ha lo scopo di scardinare le forme di comunicazione ordinarie dalla base e di diffondere le nuove tendenze culturali che via via si sviluppano nel Novecento.

Il saggio Avanguardie in fuga da Gutenberg (p. 367-376) che chiude questa raccolta, ripercorre, questa volta diacronicamente, questo percorso evolutivo, rilevando come questo sia stato reso difficoltoso dal radicato legame con la tradizione editoriale, improntata a forme grafiche e bibliografiche più che collaudate.

Sono note le parole astiose di Marinetti nei confronti del libro “fregiato di galee, minerve ed apolli, di iniziali rosse e ghirigori” per il quale Govoni, in una lettera proprio a quest’ultimo, suggerisce di “fare dei libri che si aprano come organetti macchine fotografiche ventagli” (p. 368).

Il modello da rimuovere è quello definito a partire dal libro rinascimentale, la cui forma era a lungo rimasta invariata: fogli, testo, immagini a corredo, legatura. Se inizialmente la trasformazione, come ho già avuto modo di osservare, riguarda l’ambito grafico e testuale, successivamente essa giunge a compiersi nel momento in cui gli stessi materiali che componevano i libri dell’ancien regime typographique – ad esempio legno, cuoio, metallo, tessuti e ricami – perdono la funzione pratica di contenimento o quella di status symbol e assumono un valore simbolico e sensoriale, che viene interpretato ed espresso dagli artisti nei modi più diversi.

È al tempo stesso straniante e affascinante imbattersi, ad esempio, in due opere quasi contemporanee come An Unreadable Quadrat-Print di Bruno Munari, pubblicato nel 1953 (p. 31-39) e Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau, pubblicato nel 1961 (p. 221-229). Carte bianche e rosse per il primo, tagliate in modo irregolare e totalmente prive di testo; sonetti costituiti da quattordici versi stampati su striscioline di carta orizzontali ricombinabili in modo tale da poter comporre – non è un numero iperbolico – centomila miliardi di testi poetici. Due approcci diversi, per certi versi “estremi”, che esprimono in modo efficace la tensione creativa e la necessità di comunicare e sollecitare il proprio pubblico.

Scorrendo i testi di questa raccolta, il libro d’artista – ma in questo caso si potrebbe parlare di un’articolata esperienza editoriale – cronologicamente più recente analizzato da Maffei, è rappresentato dalla collana Le point d’ironie, riconducibile alla casa di moda Agnès b. Si tratta di un progetto ambizioso che ha coinvolto, dal 1997 al 2006, nomi noti e influenti della scena artistica internazionale; in essa lo studioso ha individuato non soltanto il superamento, ormai acquisito, dei preconcetti su questa tipologia editoriale, ma anche quello delle dinamiche proprie del mondo del collezionismo e del commercio librario, tendenzialmente ristretto ed esclusivo, attraverso le altissime tirature e la distribuzione gratuita.

Chiude il volume la postfazione di Maura Picciau (p. 377-383), che attraverso alcuni ricordi personali traccia un profilo di Giorgio Maffei, mettendo in evidenza, oltre che alcuni tratti della sua personalità, un altro aspetto molto rilevante della sua attività di studioso, collezionista e mercante esperto: l’organizzazione di mostre allo scopo di far conoscere a un pubblico più ampio possibile quell’ambito di ricerca a cui egli ha dedicato tutta la vita.