Sulle tracce della Bibliografia
Dipartimento di Studi storici; Università di Torino; maurizio.vivarelli@unito.it
Considerazioni a partire da un recente libro di Attilio Mauro Caproni
Abstract
English abstract
The article proposes some considerations aroused by reading the book by Attilio Mauro Caproni La bibliografia culturale (ovvero non è facile parlare di sé): Attilio Mauro Caproni dialoga con Mauro Guerrini: con alcune domande di Alfredo Broletti, a cura di Massimo Gatta, Macerata, Biblio Haus, 2022. The work includes an interview with Caproni by Mauro Guerrini, some questions by Alfredo Broletti, the re-proposition in the appendix of relevant contributions by the author and a dense Postfazione by Anna Dolfi. Some significant features of Caproni’s idea of Bibliography are examined, referred particularly to the coraggio di sapere (sapere aude) which can be identified as its central element, and to other reflections connected to the concepts of library, private library, reading, which have characterized a passionate research activity spanning many decades. Starting from these topics, some considerations are proposed on the possible role of bibliographic culture as a tool for interpreting contemporary complexity.
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La struttura del libro
La Bibliografia culturale di Attilio Mauro Caproni è un libro complesso, anche per la particolarità della sua struttura editoriale, in cui si susseguono e si intrecciano la Prefazione e una ampia intervista, realizzate da Mauro Guerrini, alcune domande proposte da Alfredo Broletti, la riproposizione di alcuni contributi dell’autore. Conclude il volume una breve e densa Postfazione, scritta da Anna Dolfi, italianista dell’Università di Firenze, con l’emblematico titolo La Bibliografia “c’est moi” (per parafrasare Flaubert).
Vediamo dunque di procedere con ordine, cominciando con l’esplorare gli elementi paratestuali del volume. In tal senso va anzitutto segnalata la sede editoriale, Biblohaus, che da tempo si caratterizza per una fisionomia fortemente radicata nella cultura bibliofilica, bibliografica, collezionistica; la marcatura editoriale è resa evidente con l’immagine di copertina, un’opera grafica del 2018 di Miguel Aguirre dal titolo EL Nuestro Mi NeGocio, che fa parte di una serie, “Paroliberismo”, evidentemente ispirata all’opera di Filippo Tommaso Marinetti.
In esergo, o in epigrafe, come preferisce definirla nel suo classico Soglie Gerard Genette, è situata la citazione di una poesia di René Char (Ho cercato nel mio inchiostro ciò / che non poteva aver chiesto: la / macchia pura oltre la scrittura…, in Poesie, Torino, Einaudi, 2018), nella traduzione di Giorgio Caproni, padre dell’autore e voce poetica tra le più importanti del Novecento letterario italiano. La citazione in questa parte del libro ha funzioni molto importanti “delle quali nessuna esplicita”, come scrive Genette, “poiché epigrafare è sempre un gesto silenzioso la cui interpretazione rimane una responsabilità del lettore”. Certo è che la citazione aggiunge qualcosa al contenuto del titolo, o al testo nel suo insieme; e soprattutto costituisce un segnale che invita il lettore ad attivare una serie di connessioni tra il libro che sta iniziando a leggere e il contesto intellettuale e personale da cui l’opera ha tratto origine. Del paratesto, oltre gli elementi indicati in precedenza, fanno parte anche una immagine di Conrad Gesner, padre fondatore del campo disciplinare della cultura bibliografica, e la Prefazione di Guerrini, che discute sinteticamente i contenuti emersi nella intervista, mettendo in evidenza il profilo di Caproni in quanto studioso di teoria della Bibliografia, secondo uno stile giudicato “molto personale, risultato di confronti nazionali”, con Alfredo Serrai in primis, e internazionali, da Schneider a Totok, e soprattutto connotato “da una profonda dimensione culturale”.
Il testo dell’intervista, a partire da un inquadramento intellettuale e scientifico dell’autore, è scandito attraverso fasi che riguardano gli anni della formazione, il periodo che va dalla Biblioteca nazionale di Roma all’Università, per approdare alle attività di riflessione avviate dopo il pensionamento. Seguono, nella sezione Testi allegati, contributi connessi ai contenuti trattati nel corso dell’intervista: Il pantheon dei pensieri scritti (alcuni primari parametri per definire i fondamenti teorici della Bibliografia); L’opera bibliografica e l’incidenza della ricezione dei testi; La biblioteca (privata) come paradigma della Bibliografia; L’atto del leggere. Una grammatica della memoria del sapere (Lectio magistralis, Università di Roma “Tor Vergata”, 2 maggio 2013).
Il libro, dunque, si qualifica per essere una presentazione complessiva della personalità intellettuale di Caproni, che in larga misura coincide con la pratica della Bibliografia che nel libro viene presentata e descritta. In questo senso si ha l’impressione che, alla fine, venga prodotto un borgesiano libro circolare, il cui autore racconta di sé (la Bibliografia c’est moi, come scrive Anna Dolfi), e il cui Lettore Implicito condivide molti elementi della fisionomia dell’autore, fino quasi a coincidere con lui.
Le premesse e il contesto della Bibliografia culturale
Gli argomenti presi in esame sono molti, e dal momento che in questa sede non è possibile trattarli compiutamente, si cercheranno di individuare solo alcuni elementi, scelti tra tutti quelli cui sarebbe stato possibile dare rilievo.
Il primo motore del libro, e dell’esperienza della Bibliografia di Caproni, sembra essere il coraggio di sapere, il sapere aude nella sua specifica connotazione storica e interpretativa. Sapere aude, come è noto, enfatizzato dalla presenza di un punto esclamativo, è una espressione resa celebre da Immanuel Kant, nel suo scritto del 1784 Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo.
L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo”.
Le premesse epistemologiche del libro risultano dunque affidate alle capacità del “proprio intelletto”, rinunciando alla eterodirezione di altri, per uscire da un possibile e pernicioso stato di minorità. L’“intelletto” è dunque lo strumento con cui il percorso di affrancamento è praticabile, ed è elaborato e discusso da Kant nell’intera sua opera filosofica.
Sapere aude significa essere in grado avvalersi del proprio intelletto e di una facoltà in particolare, la ragione, per leggere consapevolmente e criticamente i contenuti della conoscenza impressi e concretizzati nei testi dei libri, nei quali si manifesta una sorta di fenomenologia dello spirito bibliografico, luogo di sintesi dell’universo dei testi, da un lato, e dell’intelletto del lettore dall’altro.
L’agire dello spirito bibliografico si manifesta dunque negli uomini, nelle loro creazioni letterarie, e viene infine colto, e auspicabilmente organizzato, attraverso il lavoro della Bibliografia culturale, che risulta essere il luogo metaforico della integrazione e della sintesi, in cui lo spirito bibliografico, o Historia Literaria, risolve se stesso, lasciandosi intravedere nelle mappe tracciate dalla Bibliografia e nei libri ordinati nelle biblioteche, attribuendo in tal modo una forma alle oscillazioni non ordinate che nei testi, nei libri, nelle informazioni si manifestano.
Se dunque il sapere aude è la sostanziale premessa metodologica, la Bibliografia culturale ne diviene la concretizzazione concettuale; la lettura (e in maniera specifica la lettura letteraria) il modo con cui la pratica bibliografica viene praticata; la biblioteca, e in particolare la biblioteca privata, la sedimentazione materiale dell’insieme del percorso effettuato, e in questo senso un autentico e fondamentale paradigma bibliografico:
D’altra parte, la biblioteca, in quanto elemento di riflessione di una parte della memoria intellettuale essa, anche nella sua dimensione di una collezione privata di testi, esprime il nesso che la medesima ha con il principio di ecumenicità del sapere.
Risulta incerto, tuttavia, il rapporto tra fisionomia della collezione privata, derivata dall’adozione di peculiari criteri di selezione prima, e di interpretazione poi, e la “ecumenicità del sapere”. Il che equivale a chiedersi, in altro modo, quale sia la relazione tra microcosmo della biblioteca privata e macrocosmo del sapere nella sua tendenziale e indeterminabile complessità. Ed è esattamente in questo punto che si situa il problema della scelta: quali libri includere nella memoria sovraindividuale della bibliotheca; e quali libri leggere, e includere, nella propria memoria individuale?
La biblioteca (privata e pubblica), in quanto collezione selettiva di libri, non può che essere il riflesso di un “sapere imperfetto” (p. 135); e tuttavia, controintuitivamente, proprio attraverso la irregolarità delle sue imperfezioni può riuscire a trasformarsi nella “memoria fedele” dei libri che sono stati letti, ordinati bibliograficamente, e infine lì custoditi.
La biblioteca diviene così la controparte dialettica di un itinerario di interpretazione, sia del suo possessore, quando c’è, sia di altre persone; e lungo questo itinerario nascono idee che da false possono forse, infine, diventare vere, guidate teleologicamente dall’astuzia metaforicamente hegeliana della ragione bibliografica, e sul piano individuale dalla “volontà di sapere” e dalla “volontà di verità” del lettore.
L’obiettivo finale di questo itinerario, a tratti iniziatico e sapienziale, sembra dunque essere la “macchia pura, oltre la scrittura” evocata all’inizio, tenacemente perseguita in tutto il libro, e che tuttavia sembra almeno a chi scrive collocarsi oltre l’orizzonte dell’intelligibile, in una sfera che si situa al di là dell’orizzonte della Bibliografia culturale, e che mostra un punto di contatto con la sfera noetica dell’“iperspazio di idee, di forme, di suoni” in cui, secondo Serrai, si originano i documenti, esistenti o in via di formazione, in potenza e in atto. Da questo enigmatico oltre deriva forse l’inquietudine che attraversa l’intera opera di Caproni, addolcita dalla varietà dei colori che ne marcano le diverse e numerose curiosità intellettuali.
Il coraggio di sapere e le culture digitali
Ma il sapere aude si sconta anche con un altro limite, che più volte anche in questo libro appare con molta evidenza: quello delle culture e delle tecnologie digitali, e dei fattori di cambiamento a esse collegati. Nella Bibliografia culturale di Caproni sono molti i riferimenti a questo argomento, in linea generale caratterizzati da una riconosciuta “diffidenza”, ritenuta “sana” per il fatto che i cosiddetti social network non organizzano la conoscenza, ma si limitano ad attività di natura comunicativa (p. 17), e anzi spesso nel frastuono certamente complesso del web sembrerebbe risiedere solo “ciarpame bibliografico” (p. 33), utilizzando una perentoria e apodittica espressione che Caproni riconduce direttamente ad Alfredo Serrai.
L’insieme delle questioni sollevate in questo ambito è gigantesco, e certamente non può essere discusso in questa sede. Mi sentirei tuttavia di suggerire, nel profondo rispetto delle opinioni personali, che questa rappresentazione dei confini del digitale, la “quarta rivoluzione” in atto, in cui “si passa dall’analogico (il libro tipografico) al digitale e al web semantico”, è proprio quella che potrebbe, e forse dovrebbe essere interpretata con lo sguardo, e con l’atteggiamento epistemologico, che deriva alla Bibliografia dalla sua complessiva tradizione culturale.
Nella fase di slittamento paradigmatico che stiamo attraversando, nelle molte anomalie che la caratterizzano, l’ultima delle quali è la straordinaria diffusione della ChatGPT, è necessario orientare il campo di interesse di una Bibliografia profondamente rinnovata anche su questi territori confusi e discordanti, con l’obiettivo di contribuire a coltivare i campi metaforici dei contenuti digitali che continueranno a essere incessantemente ed esponenzialmente prodotti, con ordini di grandezza nell’ordine degli zettabyte, nella attuale stagione dell’Iperstoria e del postumano. E, scusandomi per l’autocitazione, vorrei limitarmi a segnalare di aver fatto riferimento alla necessità di allestire, predisporre, e affinare le potenzialità euristiche di una metaforica “bussola bibliografica” per confrontarsi con la complessità contemporanea, anche e non solo nella sua dimensione digitale. Si tratta dunque di aggiornare una operazione concettuale simile a quella proposta da Donald McKenzie alcuni decenni fa, con la proposta di qualificare la bibliografia come sociologia dei testi, estendendo dunque il campo degli oggetti di interesse disciplinare ben oltre i confini della tradizione gutenberghiana.
In questo senso ritengo che possano essere di grande utilità i punti di vista di chi, come Edgar Morin, per fare solo un esempio, si confronta con la sfida della complessità, cercando di collegare e di riconoscere gli antagonismi tra ordine, disordine, organizzazione, nella rappresentazione della conoscenza e dunque nella determinazione, con indispensabili elementi transdisciplinari, dei confini delle discipline dalle quali i contenuti della conoscenza sono prodotti.
Di questo ciclopico disordine non ci si deve solo spaventare, per quanto esso tocchi direttamente quella propensione monodimensionale alla ricerca del nomos, del principio d’ordine e di ordinamento che caratterizza un elemento essenziale della tradizione documentaria nel suo insieme. Tuttavia lo stesso Caproni richiama, nella sua intervista, il celebre concetto di leggerezza proposto nelle Lezioni americane da Italo Calvino. La leggerezza di Calvino, proprio in relazione alla quarta rivoluzione, trova nel filosofo francese Michel Serres un appassionato sostenitore della possibilità di predisporre un metodo rinnovato per pensare e abitare il presente e il futuro di quello che, nel suo lessico, è definito il Grande Racconto dell’evoluzione vitale. Un metodo obliquo e consapevolmente zoppo, e tuttavia protetto dall’ala rassicurante di Hermes, riapparso sorprendentemente negli scenari della postmodernità, e ancora, come nel pensiero simbolico e mitico, “latore di messaggi, leggero, rapido, invisibile e furtivo come un angelo passeggero, figura di scambi, specie emergente, protettore dell’agitata massa di commercianti, traduttori e ladri, idolo, idea inattesa”.
Non sono certo, naturalmente, della giustezza delle tesi di Serres, e del suo tuttavia illuminante elogio del virtuale. Sono invece convinto che il sapere aude, da cui siamo kantianamente partiti, proprio per rimanere in linea con la sua istanza originaria e fondativa, debba abituarsi a percorrere i molti sentieri interrotti della complessità contemporanea, digitale e non digitale, e confrontarsi con le modalità secondo cui i contenuti della conoscenza acquistano forma nelle reti, seguendo le tracce dei link del web e della vita, come ha scritto con grande efficacia, per fare un altro esempio, il fisico Albert-László Barabási.
Il pensiero di Attilio Mauro Caproni, e la sua Bibliografia culturale, sono caratterizzati da un alto valore etico, dalla profondità dei livelli analitici indagati, dal loro essere radicati in una rilevante tradizione, simboleggiata nel libro dalla immagine totemica di Conrad Gesner; il pensiero di Caproni, dicevo, proprio per questi motivi può costituire uno strumento di notevole rilievo per proseguire il viaggio nel Grande Racconto di Serres, nella nuova realtà “virtuale” e “dolce” in cui tutti siamo immersi.
Ciò che sta accadendo in questa fase di oscillazioni paradigmatiche non sta solo uccidendo il vecchio, ma lo sta bensì trasformando, in un territorio complesso che è ora esplorato e percorso, come le foreste di una volta, da “mille briganti, sparpagliati, connessi, cospiranti, dispersi”, e in cui tuttavia stanno prendendo forma gli incunabuli di una nuova “materia di pensiero”. Ancora una volta, dunque, questo (il digitale) ucciderà quello (il libro), così come il libro, nelle parole dell’arcidiacono Frollo, minacciava di soppiantare la cattedrale.
Alcune parole chiave, per orientarsi nel labirinto bibliografico
Mi sono allontanato forse troppo dal libro di Caproni, dalla sua idea di Bibliografia culturale, e dall’analisi, certo sommaria, delle sue più immediate implicazioni. Vorrei dunque, in conclusione, limitarmi a mettere in evidenza in modo sintetico alcune parole chiave, o rudimentali termini indicali, utili per orientarsi nella varietà dei contenuti del libro.
La prima è valori, e rimanda alla necessità etica della esplorazione della conoscenza, che si pone come fine quello di ordinare il fenomeno del sapere racchiuso nei processi della memoria contenuti nei singoli testi. La seconda è colori o caleidoscopio della mente, e vuol connotare gli esiti testuali di attività intellettuali strenuamente e incessantemente praticate dall’autore, e relative alle modalità di ricezione dei testi. La terza è biblioteca, termine che designa il luogo, sacrale come nelle arcaiche e originarie teche, in cui il pensiero si sedimenta e si concretizza imprimendosi nelle pagine dei libri; e, in questo modo diventa il riflesso materializzato di un dinamismo psichico che non può, come l’Hermes richiamato in precedenza, disporre di alcuna forma visibile, proprio perché deve essere caratterizzato dalla possibilità di rivestirsi di tutte le forme. La quarta è lettura, con la esplicitazione della doppia memoria, relativa la prima al libro e la seconda – da questa generata – al lettore.
La quinta e onnicomprensiva parola è naturalmente Bibliografia, e fa riferimento al senso profondamente interiorizzato che qualifica l’orizzonte riflessivo e interpretativo di Caproni. Questa Bibliografia, come abbiamo visto, è qualificata come culturale, differenziandosi dunque dalle altre specie del genere Bibliografia (enumerativa, storica, analitica), e potrebbe essere la scienza, o quantomeno la prospettiva disciplinare, che continua, ostinatamente, a cercare di capire quali siano i testi che è necessario includere, appropriandosene, nella memoria transpersonale della bibliotheca, continuando a studiare, come scrive Caproni, “l’infinito fenomeno della conoscenza”.
La lettura della Bibliografia culturale di Attilio Mauro Caproni, come della generalità delle altre sue opere, è indubbiamente impegnativa, anche per le numerose peculiarità lessicali che ne caratterizzano la configurazione testuale. Tuttavia, l’impegno richiesto è ampiamente ripagato se il lettore saprà far propri gli insegnamenti e i consigli che nel testo sono presenti, e dunque utilizzare i contenuti di questo libro per far crescere la sua seconda memoria, alimentando il percorso che ognuno di noi necessariamente ha intrapreso tra i macrofenomeni della conoscenza e i microfenomeni della appropriazione individuale, andando in cerca di un delicato, incerto, e proprio per questo tendenzialmente armonico equilibrio.