N.4 2021 - Biblioteche oggi | Maggio 2021

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Nuovo glossario di biblioteconomia e scienza dell'informazione

Raffaele De Magistris

Milano, Editrice Bibliografica, 2021, 228 p.

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A chi si cimenta in imprese quali glossari o manuali sono richieste ampie conoscenze professionali, ma anche doti di equilibrio critico non comuni. Questo Nuovo glossario dimostra come Ferruccio Diozzi le possieda entrambe. Merito evidentemente degli studi e di una militanza professionale pluridecennali, nel corso dei quali Diozzi ha spaziato in una pluralità di ambiti lavorativi e disciplinari, dalla documentazione alla biblioteconomia, dal management alla sociologia della cultura, che gli hanno fornito il background indispensabile a costruire e sedimentare un’articolata “visione a 360 gradi” del nostro composito settore di riferimento. Il cui perimetro di competenze e conoscenze oggi si mostra, tra l’altro, in rapida e non sempre prevedibile evoluzione.
Un dato basterebbe ad esempio. Come sottolinea in sede di Presentazione lo stesso Ferruccio Diozzi, il Nuovo Glossario (che, ricordiamo, raccoglie oltre 850 lemmi!) viene ad aggiornare l’altro suo Glossario di Biblioteconomia pubblicato nel 2003, che a sua volta seguiva il Glossario di Biblioteconomia di Giuliano Vigini del 1985, a cui possiamo aggiungere quanto meno Biblioteconomia. Guida classificata, diretto da Mauro Guerrini, uscito nel 2007 (tutti per i tipi dell’Editrice Bibliografica), e BIB. Bibliografia italiana delle biblioteche, del libro e dell’informazione, curata da Alberto Petrucciani, Vittorio Ponzani e Giulia Visentin per l’AIB. Vale a dire che in trentacinque anni la comunità professionale ha sentito il bisogno di ri-leggere e aggiornare per almeno cinque volte il repertorio terminologico normalmente usato per descrivere la professione. Questa mi pare la dimostrazione più indicativa della velocità con cui in questi decenni sono mutati profondamente non solo lo scenario delle biblioteche e dei servizi, ma lo statuto stesso della professione, sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello, forse decisivo, dell’impatto sociale. Anzi – sottolinea Diozzi – alcune delle attività o figure professionali, e con esse i termini corrispondenti (si pensi all’information broker), che nel 1985 stavano appena nascendo o affermandosi, nel 2021 sono già diventati obsoleti, un retaggio del passato. Diozzi evidenzia, a p. 10 della Presentazione, nove “paradigmi concettuali, approcci e tematiche complesse” (tra cui, ad esempio: la libertà intellettuale e la privacy; la gestione della proprietà intellettuale; la disintermediazione e la convergenza dei media) che per noi sono cambiati, o appaiono totalmente inediti rispetto al Glossario del 2003. Ed è appunto su queste aree disciplinari che l’autore si è maggiormente concentrato, aggiungendo nuovi lemmi, o arricchendo e circostanziando meglio quelli già esistenti.
Il desiderio di aggiornare il linguaggio e i contenuti del dominio disciplinare sta dunque alla base di questa nuova fatica di Diozzi. Tuttavia non ne costituisce l’unica motivazione. In un contributo pubblicato di recente sul sito dell’Associazione dei documentalisti biomedici italiani, è il medesimo autore a illustrarci il contesto umano e professionale entro cui è maturata l’idea di rimetter mano al lavoro del 2003. Tra gli altri, spiega Diozzi, c’è l’intento di dare vita, a partire dai glossari precedenti, a “un libro in grado di essere pensato e scritto per la comunità professionale dei bibliotecari, dei documentalisti, degli archivisti, degli specialisti dell’informazione ma capace di rivolgersi anche ad altri segmenti di pubblico come i docenti, i ricercatori e gli studenti universitari; gli editori e i librai; le persone operanti nel settore delle tecnologie dell’informazione; i giornalisti e i comunicatori; naturalmente, gli utenti dei servizi di biblioteca e di informazione”. La prospettiva, dunque, è di intercettare una platea di utenti potenziali ben più ampia di quella tradizionale, anche se il mondo degli operatori delle biblioteche resta forse il nucleo privilegiato. D’altro canto proprio Diozzi, insieme a Sannino, Ponzani, Vitiello e Sebilla, è autore di un contributo molto stimolante del 2018 dove si sottolinea come negli ultimi venticinque anni si sia assistito a un avvicinamento e a un’integrazione tra la documentazione, la scienza dell’informazione e le discipline del libro (biblioteconomia, bibliografia, la più recente bibliometria), quando invece questi settori erano in precedenza convissuti a distanza tra loro, sviluppandosi in modo separato specie nella tradizione storica italiana.
Appunto questo tipo di approccio, a parere di chi scrive, serve a spiegare perché nel Nuovo glossario alle diverse voci non sia dedicato un identico grado di approfondimento. Alle voci infatti che fanno parte del corredo “ordinario” della biblioteconomia (fra i tanti possibili esempi, libro antico, ma anche document delivery, o le varie attribuzioni di documento: cartaceo, analogico, digitale ecc.) Diozzi riserva uno spazio relativamente contenuto e un’esposizione snella, con scarni riferimenti bibliografici. Al contrario, di trattazioni molto più analitiche e dialettiche beneficiano voci fino a oggi “estranee” o poco consuete nella nostra tradizione, o tutt’al più ritenute di confine: da document management e e-lending, “figlie” della cultura e della società moderne, fino a tutte le voci ascrivibili alla sfera della “Gestione e diffusione dell’informazione”, che nel suo insieme, ossia focalizzando la molteplicità di termini che contribuiscono a connotarne l’area di copertura concettuale, viene presentata in modo assolutamente innovativo. A questo riguardo mi limito a segnalare l’ampio rilievo assegnato a lemmi come business information o disseminazione selettiva dell’informazione, quasi a voler rimarcare l’importanza nevralgica che tali temi rivestono già oggi e rivestiranno in futuro; o ancora la presenza di voci come factchecking, più tipiche del giornalismo, ma divenute di cogente centralità in epoca di galoppanti fake news; alle quali possiamo aggiungere, per estensione dell’alone semantico, il termine disruption, che rimanda a una logica e a una prassi gestionali al momento pressoché tutte da esplorare nelle nostre istituzioni bibliotecarie.
Parecchie altre sarebbero le aree disciplinari su cui fermare l’attenzione: tiranno lo spazio, ci si limita a citarne solo due: la prima è quella che possiamo definire “Gestione del digitale”, navigando al cui interno riscontriamo voci quali web semantico o work flow, o ancora divario digitale, davvero di inusitata “apertura” se raffrontate alla nostre consuetudini mentali e di studi; la seconda, quella della “Formazione”, denota invece uno spazio d’azione come noto emergente nelle politiche delle biblioteche, con un reticolo di lemmi entro cui si rinvengono, tra gli altri, e-learning e FAD.
Voci di questo tipo costituiscono, a mio avviso, l’indizio più evidente di come Diozzi guardi alle attività bibliotecarie con occhio critico, senza mai considerarle un mero accumulo di nozioni e procedimenti tecnici. Emerge piuttosto inequivocabile l’idea che biblioteca sia, oggi più che mai, una componente determinante della “società dell’informazione”. E sono tante le voci che rimandano a una sua “dimensione sociale” tutt’altro che neutra. E che, verrebbe da dire, richiamano la biblioteca stessa a precise responsabilità e scelte di campo. Identicamente ci si interroga su quanto il “mestiere” del bibliotecario vada a impattare con le dinamiche della realtà che lo circonda e su come debba sostanziarsi di un’etica della professione.
Queste riflessioni ci introducono a un altro dei caratteri più significativi del Nuovo glossario. Il quale non rappresenta soltanto un sussidio e una guida di immediata utilità pratica, specie per i neofiti della materia, ma possiede anche una qualità non frequentissima in strumenti di questo genere. Dietro l’enunciazione dei lemmi e il classico ordinamento alfabetico si cela infatti un preciso orientamento concettuale, relativo volta per volta a questo o a quel modello di biblioteca o di servizio. Per scoprirlo basta non fermarsi a un uso superficiale e scontato del volume, cioè andando a controllare i singoli lemmi solo quando se ne abbia bisogno, bensì consultandolo secondo una “lettura a cluster” e ricomponendone, per così dire, l’unità e coerenza logica in base ai diversi “grappoli” di voci. Detto altrimenti, il Nuovo glossario può assumere, a certe condizioni, anche le funzioni di un Manuale, perché “dietro le quinte” dell’apparato di unità discrete (le singole voci), il lettore riesce facilmente a cogliere una visione e un discorso organici, a cui non sono estranee le convinzioni dell’autore. Se così è, la citazione in esergo dal Ditegli sempre di sì di De Filippo (“C’è la parola, perché non la dobbiamo usare? Parliamo con le parole appropriate”) costituisce, prima ancora che un felice “espediente teatrale”, un vero e proprio (e non saprei quanto voluto) “colpo di genio”, in quanto fornisce la chiave di lettura dell’intero volume. Nella scena in cui pronuncia quella frase, il protagonista Michele Murri appare tutt’altro che matto: “…ma erano soldi tuoi?” “…no…” “…allora li hai rubati! C’è la parola…”. Al contrario, per Michele, a seconda che si usi o meno la parola “adatta”, cambia radicalmente la visione della realtà; chiamare le cose col loro giusto nome non è affatto un atteggiamento maniacale, è un “mettere le cose a posto”; è una ricerca della verità.
Anche un Glossario può parlarci? Invitarci a ricostruire, partendo dai mattoncini della terminologia, la visione di fondo, la realtà che lo sottende, come accade con le “parole” del Michele di Eduardo? Certo è che le “parole” di un Glossario possono dirci molto, a saperle leggere: hanno un peso le parole presenti e la sequenza con cui sono allineate; contano lo spazio destinato ai vari lemmi e le correlazioni e i rinvii tra di loro; le stesse assenze sono rappresentative al pari delle presenze, e occorre chiedersi quando il silenzio “ci parla” o è frutto di una dimenticanza…
Questo tratto distintivo, la caratteristica di “saper parlare” agli addetti ai lavori l’ho riscontrata nel Nuovo glossario di Diozzi. E rappresenta, a mio avviso, la linfa della sua vitalità. C’è poi un orizzonte futuro, ovvero ciò che ci possiamo e dobbiamo attendere dal superamento di strumenti come il Nuovo glossario e dello stile di lavoro che li ha contraddistinti finora. L’approdo non può essere che la realizzazione di un Thesaurus di dominio aggiornato continuamente e basato su metodi di lavoro collaborativi tra attori diversi, comprese istituzioni, categorie professionali ed editori interessati ad adottarne lo sviluppo. Su prospettive di questo genere registriamo già numerose convergenze. Ma un tale progetto, semmai vedrà l’avvio in concreto, in termini di presupposti teorici, di pianificazione operativa, di scelte tecnologiche non potrà che essere, come avrebbe detto Michael Ende, tutta un’altra storia, e “si dovrà raccontare un’altra volta”.