N.4 2021 - Biblioteche oggi | Maggio 2021

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Biblioteca editrice di se stessa: traiettorie quotidiane e percorribili

Enrico Battaglia

Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, enrico.battaglia599@gmail.com

Veronica Bonino

Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, veronicabonino994@gmail.com

Erica Catalano

Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, catalanoerica7@gmail.com Studenti del corso di laurea magistrale in Scienze del libro e del documento, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Campus di Ravenna (coordinamento prof. Fiammetta Sabba).

Chiara Lucà

Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, kiara.luca@libero.it Studenti del corso di laurea magistrale in Scienze del libro e del documento, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Campus di Ravenna (coordinamento prof. Fiammetta Sabba).

Andrea Moroni

Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Campus di Ravenna, andrea.moroni4@unibo.it Studente del dottorato in Beni culturali e ambientali, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Campus di Ravenna

Abstract

Partendo da un workshop universitario, il saggio analizza la performance delle biblioteche sui principali social network, concentrandosi sui contenuti diffusi e sulle differenze emerse tra Facebook e Instagram nel modus pubblicandi. In una prospettiva comparativa, l'attenzione era rivolto ai musei, caratterizzati anche da un fitto piano editoriale. Lo studio, in conclusione, conferma l'importanza dei social media nelle strategie di comunicazione delle istituzioni culturali e evidenzia come l'uso che ne fanno gli utenti possa rappresentare la base di un importante processo esperienziale per stimolare incontri e relazioni con la biblioteca.

English abstract

Starting from a university workshop, the essay analyzes the performance of libraries on the main social networks, focusing on the content disseminated and the differences that emerged between Facebook and Instagram in the modus pubblicandi. In a comparative perspective, attention was paid to museums, which are also characterized by a dense editorial plan. The study, in conclusion, confirms the importance of social media in the communication strategies of cultural institutions and highlights how the use that users make of it can represent the basis of an important experiential process to stimulate encounters and relationships with the library.

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Spunti da un laboratorio di comunicazione digitale

Gli italiani presenti in rete sono circa 50 milioni: 41 milioni (il 68%) quelli che usano i social. Questi i risultati emersi nell’ultimo report annuale di We Are Social, stilato in collaborazione con Hootsuite, e che, tra l’altro, sanciscono l’indiscusso monopolio dei devices mobili per l’accesso alla rete. Come se la terribile pandemia che ci ha colpito non fosse bastata a mostrare quanto il confine tra la dimensione offline e online della nostra esistenza stia diventando via via sempre più labile. Dalle statistiche risulta che la piattaforma più utilizzata è YouTube (85,3% di utenti), seguita a ruota da WhatsApp (85,2%), Facebook (80,4%) e Instagram (67%). È evidente come questa massa di dati, che all’apparenza potrebbe sembrare un mero elenco di nomi e numeri, in realtà sia sintomatica dei mutamenti che intervengono a livello sociale e nelle abitudini quotidiane dei cittadini. Non è quindi vano ricordare come tali dinamiche interessino da vicino anche i luoghi della cultura e, nello specifico, le biblioteche, ormai stabilmente presenti in rete e sempre più attive sui canali social.
Lo spunto per queste nostre note parte dal Laboratorio di Comunicazione digitale seguito quest’anno insieme ad altri nostri colleghi. Le lezioni sono state un momento di confronto molto importante e hanno stimolato in noi diverse domande: i social vengono percepiti dagli istituti culturali come parte del lavoro quotidiano o rappresentano un passatempo accessorio? È davvero possibile ricorrervi per instaurare un rapporto con l’utenza anche fuori dagli spazi e dai contatti fisici? Quali le best practices a cui ispirarsi? Da questi interrogativi hanno avuto origine alcune riflessioni in merito alle presenze social delle biblioteche. Come studenti di Biblioteconomia, fruitori seriali del web e – si spera! – futuri bibliotecari, crediamo non sia scontato ripercorrere un tema di stringente attualità e che negli ultimi anni ha suscitato interesse nella letteratura e negli operatori del settore.
Abbiamo così avviato un’indagine sulla presenza social delle biblioteche analizzando alcuni casi specifici. Per prima cosa è stato individuato un campione di biblioteche di dimensioni medio-grandi, appartenenti a diverse istituzioni (comunali, universitarie, di fondazione privata) e con profili Facebook e Instagram attivi e aggiornati. Dopo la selezione è seguita un’indagine volta a far luce sul posizionamento web dei target prescelti: ciò ha visto l’impiego di strumenti come Google Trends e Semrush, i quali hanno fornito informazioni preziose sul modo in cui le persone cercano, scoprono o si avvicinano alle biblioteche. Sono state scelte delle tipologie di keywords immesse in Google, eventuali variazioni o correlazioni di termini e argomenti e, dopo aver determinato il peso che ciascuna realtà ha in termini di ricerche effettuate, si è indagato il flusso di traffico dell’utenza.
Il secondo passo ha riguardato l’analisi del brand. Gran parte delle biblioteche hanno scelto di esprimere la propria identità visiva tramite il logo istituzionale. Quest’ultimo rappresenta un elemento centrale nella divulgazione dei contenuti, non è mai assente ed è qualitativamente curato. Ma non si tratta solo di grafica e design: il brand può essere definito come “un desiderio condiviso ed un’idea esclusiva rappresentati in un prodotto, servizio, luogo o esperienza” come ci ricorda Jean-Noël Kapferer. In esso, la biblioteca rappresenta e comunica se stessa, i propri valori, la propria mission, indica qual è la posizione che ricopre all’interno del tessuto sociale.
La ricerca è proseguita attraverso l’osservazione autoptica delle performance social. Nel contesto di Facebook abbiamo lasciato che a guidarci fossero le nostre sensazioni ed esperienze quotidiane. Così l’attenzione è caduta su quegli elementi che catturano subito l’occhio dei visitatori: immagine profilo e/o copertina, numero di like e follower, informazioni di contatto come orario, e-mail e numero telefonico. Tra queste ultime vi rientra anche l’impressum, ovvero uno spazio di poche righe riservato alla descrizione della biblioteca e delle sue attività. Dalle analisi compiute sono emerse due tendenze principali: alcune biblioteche si affidano a una presentazione più istituzionale in cui si parla della storia dell’istituto o del patrimonio documentario; altre biblioteche, al contrario, hanno optato per un approccio più conciso, con citazioni o concetti che richiamassero l’identità e la mission della biblioteca. Certo, a giudicare un libro dalla copertina si rischia l’approssimazione, ma l’impressione emersa da questo primo rilevamento è che c’è attenzione nel curare quegli elementi di prima informazione che, in un social network, equivalgono a dei veri e propri biglietti da visita e dicono chi siamo e cosa facciamo. L’indagine diacronica ha rilevato elementi di ripetitività nei post pubblicati, sia per quanto riguarda la composizione delle foto, sia per quanto riguarda il tone of voice (di cui si dirà a breve). Tale aspetto è stato via via attenuato, attraverso l’adozione di strategie di pubblicazione diversificate. Quanto ai contenuti, sebbene riflettano le specificità di ciascun istituto, presentano alcuni denominatori comuni: consigli di lettura, nuovi arrivi, valorizzazione del patrimonio librario antico o degli spazi architettonici, post creati in correlazione a ricorrenze e festività, giochi e quiz letterari. Tra le proposte maggiormente apprezzate troviamo video di interviste e di letture o in cui si mostrano e raccontano le attività di back office. Le chiusure prolungate durante il lockdown hanno imposto un riadattamento e una riconversione dell’offerta di servizi messi a punto da bibliotecari e bibliotecarie. Uno sforzo enorme, che le biblioteche sono riuscite a compiere con grande energia, trovando negli spazi della socialità digitale degli incubatori molto importanti.
Naturalmente è importante anche saper raccontare se stessi e il proprio patrimonio. Il tone of voice mira a essere coerente e in linea con ciò che la biblioteca rappresenta. Formalismi e tecnicismi vari sono stati progressivamente ostracizzati – anche se non del tutto! – in favore di approcci più garbati e amichevoli, con sfumature ironiche e scherzose. La tendenza generale è quella di dar vita a situazioni cordiali e stimolanti, attraverso una narrazione che inviti all’incontro con l’utente e alla scoperta del patrimonio e delle offerte della biblioteca.
Con Instagram il discorso assume altre prospettive. Si tratta di un social di istantanee e contenuti immediati: la tipologia di post si differenzia da Facebook e si enfatizza una particolare cura all’aspetto del feed. Non tutte le biblioteche hanno deciso di approdarvi, e quelle presenti lo sono da pochi anni. Proprio per questo siamo riusciti a effettuare un’indagine complessivamente più ampia. Gran parte dei profili visitati sono molto colorati, con forti personalizzazioni e tratti distintivi, che catturano l’attenzione dell’utente e lo spingono all’interazione. Alcune “biografie” danno una descrizione essenziale sulla tipologia di biblioteca; altre inseriscono solo il link diretto al sito ufficiale. Le didascalie dei post, molto semplici e dirette, vedono l’uso di branded hashtag e hashtag univoci che ne permettono una rapida individuazione. Non sempre però vengono utilizzati tutti i tools che l’app mette a disposizione: le stories, ad esempio, sono dei contenuti extra che completano l’immagine sul social e sono utili per interagire direttamente con l’utente. Secondo SproutSocial oltre 400 milioni di persone nel mondo usano e vedono le stories giornalmente. Esse, dunque, costituiscono una via preferenziale per l’accesso al profilo principale. Recentissima (agosto 2020) l’aggiunta della funzione reel che rappresenta un nuovo modo di creare e scoprire brevi e divertenti video virali, che possono aiutare l’istituzione a catturare l’interesse dei visitatori.
Che si tratti di Facebook o Instagram, scorrendo le homepage dei rispettivi profili si avverte spesso (non in tutti i casi, come invece dovrebbe essere) la presenza di una strategia di comunicazione ideata e pianificata a monte. Strategia che dovrebbe essere calibrata e dosata. L’impressione è che l’intero ciclo di produzione di contenuti si stia evolvendo verso un lavoro d’équipe e non sia frutto del caso e di un singolo individuo. Osservando le bacheche si può percepire lo sforzo di progettazione di un programma elaborato in funzione della mission e della vision. Il piano editoriale (PED) deve sostenere quelle attività che puntano a far conoscere le collezioni della biblioteca e a promuoverne i servizi. In questo modo è possibile coltivare e rafforzare la relazione con gli utenti, creando sinergia. Un PED ben organizzato si alimenta di rubriche a cadenza settimanale o bisettimanale. La presenza delle rubriche è strategica e facilita la creazione di contenuti coinvolgenti, che devono essere curati nella forma e nella sostanza e comunicati mediante uno stile fresco e amichevole. In alcuni casi le strategie di programmazione tra i due social possono combaciare; in altri divergono e si sviluppano secondo percorsi differenti, più in linea con il target d’utenza specifico dell’una o dell’altra piattaforma. In un’ottica di confronto con altre realtà culturali si è deciso di analizzare scenari distinti da quello propriamente bibliotecario, e in particolare l’interesse si è spostato sui musei. Il target selezionato è stato scelto sia per la fisionomia e dimensioni della propria collezione, sia per l’ampio uso di canali social: Facebook, Instagram, YouTube e Twitter.
Le particolarità di ciascun social sono poste in risalto: così, mentre con Twitter si cerca di catturare l’attenzione di professionisti del settore anche a livello internazionale, tramite YouTube si diffondono video divulgativi o pensati per i più piccoli. Da Instagram, invece, emerge attenzione per la qualità grafica e si punta a sollecitare l’interesse di giovani e adolescenti. Queste tre direttrici trovano un punto di convergenza in Facebook, che rappresenta il social più generalista ed è utilizzato per “pubblicizzare iniziative, condividere immagini e contenuti, commentare, confrontarsi e coinvolgere la community”. La divulgazione social è condotta all’insegna della multimodalità: non solo foto e video, ma anche largo impiego di stories, podcast e filtri a realtà aumentata.
L’azione del museo è finalizzata a raggiungere il più ampio pubblico possibile; essa si intreccia con il territorio e gli stakeholders di riferimento, arrivando a rappresentare un hub centrale per la comunità. A questi obiettivi si cerca di pervenire attraverso una proposta editoriale molto fitta, in cui la valorizzazione del patrimonio culturale si lega con la promozione delle attività didattiche e di ricerca scientifica. Tuttavia, forse proprio l’eccessiva varietà delle proposte ha determinato difficoltà nella gestione del piano editoriale e ha visto l’abbandono improvviso di rubriche tematiche o la reiterata pubblicazione degli stessi materiali nelle quattro piattaforme.
Nonostante questi limiti, pur comprensibili, “l’approccio ai visitatori si è trasformato consentendo loro una maggiore dimensione partecipativa e la possibilità di compartecipare collaborando all’offerta museale tramite contenuti personali”. Insomma, così come esistono quei lettori forti che non abbandonerebbero le biblioteche, anche il museo può contare su dei propri aficionados. Il nocciolo della questione, però, sta nel raggiungere gli utenti meno motivati e meno spronati e che occasionalmente, o casualmente, finiscono in tali spazi.
Esperienze come quella appena descritta potrebbero offrire spunti anche a realtà culturali non allineate ai percorsi e alle logiche museali. Se la mission e i servizi approntati per soddisfarla differiscono, la vision è fondamentalmente la stessa: ergersi a realtà partecipative, democratiche, capaci di instillare nei cittadini una consapevolezza storica e culturale e dove poter crescere intellettualmente e umanamente.
In quest’ottica, la biblioteca diventa editrice di se stessa, riuscendo così a definire il proprio bacino di utenza e la strategia comunicativa più adatta. Quindi, essa si propone come un brand ricercato, in cui le iniziative organizzate hanno l’obiettivo di attrarre visitatori verso i suoi spazi digitali dove è possibile trovare contenuti così interessanti, da incentivare successive visite.
Parlando di librerie, nel 1927 Keynes scrisse che “una libreria non è come un’agenzia ferroviaria, dove si va sapendo cosa si vuole. Uno ci dovrebbe entrare incerto, vago, quasi come in un sogno, e permettere a ciò che vi trova di attrarlo liberamente, di influenzarne gli occhi. Camminare tra gli scaffali e i banconi della libreria, pescandovi come impone la curiosità”. Il comportamento del visitatore ispira quello degli utenti di oggi, che come moderni flâneur, scorrono gli spazi digitali come se fossero vetrine. Vetrine intese come spazio e superficie, in cui lo spazio è dato dai contenuti e la superficie dal modo di presentarli. L’unione tra questi è imprescindibile per far sì che chi ha scelto di seguirci viva esperienze autentiche, personali e di impatto emotivo. Per raggiungere questo scopo si coinvolge il pubblico in modo da renderlo parte di una narrazione efficace, perché esperienze migliori scaturiscono da migliori narrazioni. Le biblioteche, dunque, diventano protagoniste di una conversazione governata da tre parole chiave: semplicità, immersività e adattabilità.
Se da un lato si coltiva e rafforza la relazione tra biblioteca e utenti, dall’altro viene plasmato un rapporto tra dimensione narrativa (il miglior modo di raccontare) e comunicazione bibliotecaria (come la biblioteca racconta se stessa). I social sono il punto di partenza di un processo esperienziale, essi sono entrati nel DNA stesso delle biblioteche e costituiscono i reagenti di una strategia di comunicazione ben definita e organizzata. In poche parole, goal-oriented.
Quando si clicca su una pagina social della biblioteca è come se si varcasse fisicamente la sua soglia entrando, per citare McCloud, “in un mondo così reale da farci dimenticare quello in cui viviamo”. 

L’immagine è una elaborazione da Google Trend