La strana biblioteca di Murakami
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Nel 2005 lo scrittore giapponese Haruki Murakami ha pubblicato il racconto breve illustrato intitolato La strana biblioteca, che è stato tradotto dalla lingua originale solo molti anni dopo: nel 2013 in tedesco, nel 2014 in inglese e nel 2015 in italiano. L’edizione italiana è pubblicata da Einaudi1 ed è corredata dalle illustrazioni di Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, noto artista e fumettista romano. La scelta delle illustrazioni, come succede peraltro anche nell’edizione inglese, sposta di molto il tono del libro accentuandone i lati oscuri, e lo si può vedere subito confrontando la copertina con quella dell’edizione originale.
Il racconto potrebbe apparire come un’opera per ragazzi, anche perché il protagonista è un bambino, ma in realtà la densità di significati e lo stile onirico e opaco, in bilico tra luce e oscurità, tra fantasy e dark story, rendono evidente come si tratti di una riflessione generale sulla cultura e di una metafora del mondo. Murakami costruisce una trama criptica in cui è difficile distinguere i livelli narrativi che si intrecciano e conducono il lettore, tramite un percorso misterioso e surreale, a un finale enigmatico ma, a ben guardare, ci offre alcune chiavi per interpretarlo fin dalla prima scena, che si svolge in biblioteca.
La narrazione comincia nella strana biblioteca del titolo, descritta con il ricorso ad alcuni classici stereotipi usati nella letteratura, come il silenzio e la bibliotecaria che legge e non è molto cortese con l’utente. Ecco l’incipit del libro:
Nella biblioteca regnava un silenzio assoluto, più profondo del solito. Mentre avanzavo sul linoleum grigio del pavimento, le mie scarpe di cuoio nuove di zecca scricchiolavano in maniera strana, non mi parevano neanche le mie.
In realtà l’incipit contribuisce anche a creare fin da subito il senso di cupo mistero che accompagna tutta la storia. Nella biblioteca il silenzio è assoluto, il linoleum è grigio, le scarpe scricchiolano in maniera strana. Quest’ultimo è un dettaglio che ritornerà più avanti. Il protagonista si avvicina poi alla bibliotecaria per restituire dei libri:
Al banco dove si prendevano i libri in prestito era seduta una donna che non conoscevo, assorta nella lettura di un volume molto spesso. Spesso e largo. Dal movimento dei suoi occhi, sembrava che col sinistro leggesse la pagina di sinistra, col destro quella di destra.
Mi scusi, – dissi.
La donna mise giù il libro con un colpo secco, alzò il viso e mi guardò.
Sono venuto a restituire questi, – dissi posando i due libri sul banco.
Uno si intitolava Come costruire un sottomarino, l’altro Memorie di un guardiano di pecore.
La donna guardò dietro le copertine per controllare la data di consegna. L’avevo rispettata, naturalmente. Rispetto sempre le date di consegna. È quello che mi ha sempre raccomandato mia madre. La stessa cosa vale per i guardiani di pecore. Se non rispettano gli orari, le pecore finiscono con l’agitarsi. La donna appose il timbro “restituito” sulla scheda dei libri, e si rimise a leggere.
Vorrei prenderne in prestito altri, – le dissi.
Scendi la scala e vai a destra, - mi rispose lei senza nemmeno alzare il viso.
– Stanza 107, in fondo al corridoio.
Si chiude in questo modo il primo capitolo del racconto ma già in questo passaggio iniziale troviamo tutti gli indizi che serviranno a decifrare quello che accade successivamente. La figura femminile della bibliotecaria che il protagonista non conosce, pur essendo lui evidentemente un frequentatore della biblioteca, e che fin da subito viene affiancata alla figura della madre, che ritorna come un leitmotiv nella narrazione. I titoli dei libri restituiti non ininfluenti, in particolare il secondo. Uno dei personaggi che il protagonista incontrerà più avanti è difatti l’uomo-pecora, un uomo con “addosso una vera pelle di pecora che lo ricopriva tutto: lasciava soltanto un’apertura per la faccia, attraverso la quale si intravedevano un paio di occhi amichevoli”.
La pecora è uno dei segni dello zodiaco giapponese, cui è collegato uno specifico orario del giorno che va dalle 13 alle 15, ed è anche il nome di una pianta della specie delle ninfee. Nella cultura giapponese la pecora ha un ruolo molto importante ed è associata a caratteristiche positive. Tuttavia, rappresenta anche un elemento simbolico della modernità, poiché l’importazione di pecore dall’America cominciò in Giappone in parallelo con l’inizio della modernizzazione del paese, nella seconda metà del XIX secolo. Uno dei primi romanzi di Murakami si intitola proprio Nel segno della pecora (A Wild Sheep Chase, 1982) e tra i protagonisti ci sono l’uomo-pecora e il professor Pecora. Nel romanzo la storia dell’introduzione della pecora in Giappone e la sua valenza culturale sono centrali. La presenza di tale animale nelle opere di Murakami è stata oggetto di diverse interpretazioni, ma molte concordano sulla relazione con il processo di modernizzazione del Giappone e di trasformazione del paese in una società capitalistica e consumistica.
Nel racconto La strana biblioteca l’uomo-pecora è buono e gentile ma è dominato, anzi quasi schiavizzato a suon di frustate, da colui che dovrebbe essere il bibliotecario e che accoglie il protagonista nella stanza 107, il quale così viene descritto:
Aveva la faccia coperta di piccole macchie nere, come tanti moscerini. Era calvo e portava occhiali dalle lenti spesse. La sua calvizie non era uniforme. Tutt’intorno al cranio gli crescevano ciuffi di capelli bianchi ritorti, che facevano pensare a un bosco dopo un incendio.
Un vecchio burbero e strano che il bambino certo non si aspettava di trovare nei sotterranei labirintici della biblioteca, dei quali non era nemmeno a conoscenza, e che lo fa sentire a disagio. Lo strano bibliotecario gli porta i libri che stava cercando sull’argomento richiesto, ovvero tre volumi antichi sulla riscossione delle imposte nell’Impero ottomano, una curiosità che gli era venuta andando a scuola e che aveva cercato di soddisfare in biblioteca, spiegando che la madre fin da piccolo gli diceva “se vuoi sapere qualcosa, devi andare a cercarlo in biblioteca”. Una volta ricevuti i libri il protagonista scopre che non possono essere portati via, devono essere consultati in biblioteca e quando il bambino, intimorito, spiega che non sapeva non si potessero prendere ma dovrebbe proprio andarsene perché la biblioteca sta per chiudere e a casa sua madre lo attende per cena, il vecchio con tono minaccioso gli risponde:
Non importa quello che sapevi o non sapevi – ribatté. – Quando avevo la tua età, mi ritenevo già fortunato ad avere la possibilità di leggere. E tu te ne vieni con le tue idiozie di orario e di non fare tardi per la cena!
Alla biblioteca come porta di accesso alla conoscenza si aggiunge nel racconto il livello simbolico del labirinto, con l’immediato richiamo a Borges. Attraversando il labirinto il vecchio conduce il bambino nella sala di lettura, uno spazio completamente buio e “silenzioso come un cimitero di notte”, che poi diventa una cella in cui il bambino è costretto a stare chiuso finché non ha letto e imparato a memoria tutti e tre i libri sulla riscossione delle imposte nell’Impero ottomano ricevuti dal bibliotecario. Nonostante l’apparente richiamo a Fahrenheit 451, scopriamo dalle parole dell’uomo-pecora che invece l’obiettivo del vecchio è mangiare il suo cervello poiché “i cervelli pieni di conoscenze sono squisiti, ecco perché. Sono cremosi. E al tempo stesso granulosi”.
Alla reazione inorridita del bambino l’uomo-pecora risponde:
Sì ma è una cosa che succede in tutte le biblioteche. Più o meno. A questa notizia rimasi attonito. In tutte le biblioteche? – balbettai. Se si limitassero a prestare i libri gratuitamente, cosa ci guadagnerebbero? Be’, ma questo non dà loro il diritto di segare il cranio alla gente e mangiarne il cervello. Non pensa che sia veramente un po’ troppo?
In questo caso, “loro” non sono tanto i bibliotecari, ma la società moderna che ha il sopravvento sulla cultura e sulla tradizione conservate nei libri, trasformandole in un prodotto di consumo, relegando la sua fruizione genuina (non a caso di un bambino) in spazi sotterranei, chiusi e isolati. Inoltre, chi accumula conoscenza va “divorato” perché è sempre pericoloso: la conoscenza permette di evadere e vivere altre vite, di proiettarsi in altri mondi, e consente ai bambini e ragazzi di crescere e di formarsi criticamente. Rimasto solo nella cella, il protagonista, infatti, comincia a leggere i libri, memorizzando tutto con grande facilità e ritrovandosi subito nei mondi narrati di cui legge:
Presi Diario di un collettore delle tasse ottomano e iniziai a leggere. […] Man mano che giravo le pagine, diventavo il collettore delle tasse turco Ibn Armut Hasir, che camminava per le strade di Istanbul con una scimitarra al fianco per riscuotere i soldi delle tasse. Un odore di frutta e polli, tabacco e caffè era sospeso sulla città come un fiume stagnante. I venditori ambulanti erano accovacciati lungo le strade e gridavano vantando la loro merce […]
Poi ancora i livelli narrativi si intrecciano in maniera oscura: compare una ragazza a portargli del cibo, riaffiorano le paure del passato come il morso ricevuto da un cane da piccolo, e i sogni e gli incubi. Sogno e realtà si mescolano nella biblioteca. I libri possono svolgere molteplici funzioni e soprattutto a volte portare il lettore nella fantasia e lontano dalla realtà, quella realtà, spesso dolorosa, che irrompe alla fine del racconto e che gli fa rimpiangere persino le ore trascorse in quella strana biblioteca sotterranea.