"... ci vediamo a Studium!"
annarita.sebaste@unisalento.it
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Riflessioni di una bibliotecaria sugli effetti del Covid-19 sulla vita della biblioteca
Quanti cambiamenti in pochi mesi, cambiamenti che ti rivoluzionano la vita e che nel giro di pochissimo tempo ti mettono dinanzi a un capovolgimento delle tue abitudini e a una realtà inimmaginabile, nell’era della tecnologia e della soluzione facile e immediata a ogni problema.
La pandemia da Covid-19 ci ha rivoluzionato. Era la fine del mese di febbraio 2020 quando ancora si poteva pensare che essa non ci avrebbe toccato minimamente, troppo lontana per arrivare nel nostro magico sud, dove il mare e il clima sono un toccasana per la vita di ogni individuo che vive in Puglia, nello specifico nel Salento. Leggevamo, ascoltavamo, iniziavamo a capire, ma le nostre strutture erano affollate come sempre. Ma dovevamo fare i conti con una sottovalutazione del problema a livelli politici nazionali per ritrovarci, da un giorno all’altro, in casa, in telelavoro, smart working, come fuggiti dai nostri uffici, dai nostri cari ambienti lavorativi, dove abbiamo lasciato, come per un improvviso terremoto o un’ecatombe, carte, documenti, appunti, frammenti di vita...
Le restrizioni agli spostamenti e il blocco totale di tutte le attività, provvedimenti introdotti improvvisamente dal DPCM del 12 marzo 2020, hanno cambiato moltissime cose, grandi e piccole. E mentre ancora pensavamo a come contingentare gli ingressi in biblioteca, a se e dove posizionare il gel disinfettante mani, a come ripensare i servizi al pubblico, ecco che abbiamo dovuto reinventare l’intera biblioteca. Negli utenti, come in noi bibliotecari, la confusione regnava già sovrana, ovvio! Alla prima proposta del Rettore di dimezzare i posti, ci siamo guardati tutti in faccia: come distanziare gli studenti posizionati sui tre piani nella nostra biblioteca? Quante sedie togliere? Come controllare gli ingressi in una biblioteca che è, in normale periodo di funzionamento, un luogo fortemente sociale, di incontro, di infinite pause caffè, di posti occupati e lasciati tali anche per un’intera giornata, mentre si dimentica che si è andati a Studium per studiare, tra una sigaretta e l’altra, un espresso e un panino. Con quale autorità e autorevolezza chiedere ai ragazzi di separarsi? Al front office tirocinanti e collaboratori studenteschi ci guardavano preoccupati, non per il Covid-19, questo virus sconosciuto, ma per paura del blocco del loro tirocinio, della collaborazione, con il rischio di non vedere riconosciuti immediatamente i crediti. Scadenze, pagamento di tasse, borse di studio, carriera universitaria congelata... Ma ancora niente gel disinfettante, nessuna mascherina. Libri d’esame che passavano di mano in mano.
Poi... tutti a casa!
Senza alcuna soluzione di continuità è stata avviata un’enorme macchina organizzativa, ci siamo improvvisati anche tecnici informatici nell’allestire autonomamente e anche con il supporto del team tecnico dell’Università le nostre postazioni di lavoro a casa, siamo diventati esperti di problem solving e tutto è ripartito.
È stato fatto moltissimo per assistere gli utenti in ogni modo da remoto, lavorando a volte anche di sabato e di domenica, perché nel virtuale, nel telematico, nel digitale, non esistono luoghi fisici e, quindi, non si possono definire orari di chiusura. Mancava la presenza fisica, quel contatto diretto fra bibliotecario e utente, che è l’anima di una biblioteca, la sua ragione stessa di esistere. Ma si è colmata questa lacuna con tutti gli strumenti tecnologici oggi a disposizione, senza tralasciare il tradizionale telefono, per assistere l’utente nelle sue ricerche e aiutarlo a completarle, dato che non potevano avere un fermo!
Dai bisogni di docenti, dottorandi e tesisti, abituati a usare in modo massiccio le risorse digitali, bisognosi dell’aggiornamento continuo, di risorse recenti o recentissime; a quelle degli utenti meno avvezzi, delle matricole, che ancora, ahimè, confondono la biblioteca virtuale con la biblioteca cartacea e che, con un colpo di bacchetta magica e in un attimo, vorrebbero veder trasformare tutti i volumi della biblioteca in formato pdf! Ci sono state le richieste più assurde e strane, che però hanno aiutato noi bibliotecari a capire cosa non funziona nella comunicazione delle istituzioni nei confronti di un’utenza variegata, media, giovane, che va istruita, con pazienza, pazienza, e ancora pazienza. Abbiamo affiancato laureandi e dottorandi, con interventi continuativi di supporto anche personale. Anche se in alcune discipline il materiale cartaceo continua ad avere un suo valore, molti utenti si sono adattati alla nuova modalità di erogazione dei servizi, sono stati soddisfatti e ci hanno ringraziato per il supporto che è stato dato via mail, chat o Facebook, Meet ecc. e per le risorse messe a disposizione. I servizi erogati sono stati molteplici e di tipo avanzato.
Abbiamo attivato il Servizio civile in modalità telematica, i tirocini con la stessa modalità, abbiamo inventato lavori da remoto che forse non sarebbero mai venuti in mente in presenza. Sì, perché questo producono l’isolamento e il cambio repentino delle abitudini: aiutano a pensare di più, a mettere in moto aree del cervello che sarebbero rimaste ferme, forse, a vita. Alla base di tutto serietà e spirito di collaborazione, sia da parte degli studenti coinvolti in questa nuova modalità di lavoro che da parte nostra nel controllarli da remoto, basando tutto sulla fiducia e nel motivarli a operare quotidianamente, facendoli sentire pezzi importanti di un puzzle in fieri.
Durante il lockdown abbiamo comunque ordinato, acquistato, inventariato, catalogato e reso disponibili migliaia di documenti. Abbiamo potenziato l’offerta di ebook e articoli elettronici accessibili, grazie all’apertura di parte dei pacchetti offerti dagli editori a causa della situazione. Abbiamo attivato MLOL, rete di 6.500 biblioteche italiane per il prestito digitale di documenti e servizi.
Sono inoltre aumentati anche i nuovi utenti, cioè le persone che hanno cominciato a usare il servizio e i servizi bibliotecari in generale. Abbiamo seguito corsi di formazione online per migliorare le nostre competenze rispetto alle risorse digitali, un po’ come molti insegnanti hanno imparato a fare lezione a distanza, e partecipato a seminari di aggiornamento e a convegni, sempre in modalità telematica.
Dall’11 maggio 2020 abbiamo ripreso l’erogazione di prestiti per tutti gli utenti, aprendo le nostre care biblioteche per soli due giorni a settimana e solo su prenotazione (modalità che ancora permane). Anche questa è stata un’esperienza nuova, che ha portato ordine (parola nuova, direi) nella gestione del normale flusso delle richieste degli utenti in presenza. Abbiamo imparato da fonti nazionali e internazionali, esperte nel settore della biblioteconomia, dell’archivistica, della patologia del libro, che i libri dovevano anch’essi stare in quarantena per 10 giorni (attualmente 7). Solo allo scadere di questo periodo potevano essere toccati, lavorati, riposizionati nel loro luogo d’origine. Eravamo tutti spaventati all’inizio: guanti, mascherine e quant’altro, per muoversi da soli in biblioteca, per evadere le richieste degli utenti e preparare tutto su freddi e sterili carrelli, per posizionarli poi in un luogo privo di contatto diretto fra persone. Da bibliotecaria abituata al caos della Biblioteca interfacoltà “T. Pellegrino” e quindi di Studium (il plesso che la ospita), aggirarmi fra gli scaffali in solitaria, nel “silenzio rumoroso” o nel “rumore silenzioso” dei libri, che sembrava mi chiamassero, per essere afferrati dal palchetto, per assolvere alla loro funzione nelle mani dell’utente... (“I libri sono fatti per essere usati”; “Ad ogni lettore il suo libro”; “Ad ogni libro il suo lettore”, Le cinque leggi della biblioteconomia di Shiyali Ramamrita Ranganathan) è stato uno spettacolo, che non potrò dimenticare, a vita.
Nostro malgrado, però, nell’immaginario pubblico di molti utenti, soprattutto studenti, le biblioteche erano, e restano, sale lettura. Riuscire ad aprire al pubblico è stata la sfida più grande che si è riusciti a superare, fra rigidi protocolli di ateneo, giustissimi in questo momento, nella speranza di superare quanto prima questo momento critico. Quello che infatti chiedevano e chiedono gli studenti non è stata tanto la riapertura dei servizi bibliotecari, che sono più attivi che mai: ciò che si chiede sempre sono sale studio, luoghi fisici con grande valenza relazionale, luogo di incontro oltre che di studio, e che anche noi bibliotecari desideriamo, fosse anche e solo per risentire i ragazzi dire: “Ehi, ci vediamo a Studium!”. Significherebbe tornare alla normalità.
P.S. Non sono stati volutamente citati numeri e date dei vari DPCM, DR, regolamenti, normative, linee guida (troppe a parer mio), per rendere più fluida e piacevole la lettura.