N.8 2021 - Biblioteche oggi | Novembre 2021

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Progettare l'innovazione

Ferruccio Diozzi

ferruccio.diozzi@gmail.com

Abstract

Oggi l'attitudine a progettare e definire l'innovazione tecnologica, organizzativa e sociale è un elemento chiave nel settore pubblico e privato. L'innovazione deve essere progettata e praticata con approcci strutturati e con una forte capacità di valorizzarla: dando il giusto peso alle conoscenze e alle competenze sviluppate dalle persone all'interno delle organizzazioni, valorizzando i cosiddetti "asset intangibili", termine che indica risorse non incorporate in asset fisici o finanziari e che presenta ancora diversi problemi di riconoscimento. Un contributo significativo alla gestione dell'innovazione e alla relativa valorizzazione della conoscenza viene dalla pratica delle biblioteche, che dimostrano un crescente interesse e una diffusa attitudine a sperimentare in questi ambiti. Ciò è dovuto sia al profilo della loro missione, incentrata sull'accesso e sulla gestione dell'informazione, sia ai processi innovativi. Questo articolo si propone di fare un inquadramento generale della nozione di innovazione, indagandone l'origine storico-culturale e le successive evoluzioni; approfondendo gli approcci e le metodologie attuali che la supportano; illustrando casi particolari e la loro valorizzazione nelle biblioteche e sull'intero settore dell'accesso all'informazione.

English abstract

Nowadays the aptitude to design and define technological, organizational and social innovation is a key element in the public and private sector. Innovation must be designed and practiced with structured approaches and strong ability to enhance it: giving the right weight to knowledge and skills developed by people within organizations, enhancing the so called “intangible assets”, a term that indicates resources not incorporated in physical or financial assets and which still presents various problems of recognition. A significant contribution to the management of innovation and the related enhancement of knowledge comes from the practice of libraries that demonstrate a growing interest and widespread aptitude for experimenting in these fields. This is due both to their mission profile, focused on access and information management, and to innovative processes. This article aims to make a general framework of the notion of innovation, investigating its historical-cultural origin and subsequent evolutions; examining in depth current approaches and methodologies that support it; illustrating particular cases and their enhancement in libraries and on the whole sector of access to information.

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Un’introduzione e alcune suggestioni per le biblioteche

Presentazione

La capacità di progettare e definire l’innovazione, tecnologica, organizzativa e sociale, è oggi una tematica di frontiera: nella scienza organizzativa, nell’analisi della società, nell’agire politico. Promuovere l’innovazione è un elemento chiave per enti pubblici e privati. Per essere attuata l’innovazione va progettata e praticata con approcci e metodi strutturati e con forti capacità di sua valorizzazione. Il che avviene attribuendo il giusto peso alle conoscenze e alle competenze sviluppate dalle persone all’interno delle organizzazioni, valorizzando quelli che vengono chiamati “asset intangibili”, termine che indica risorse e patrimonio non incorporati in beni fisici o in attività finanziarie e che presentano ancora diversi problemi di riconoscibilità, formale e sostanziale. 

Un contributo significativo alla gestione dell’innovazione e alla connessa valorizzazione delle conoscenze può venire dalla prassi delle biblioteche che dimostrano un crescente interesse e un’attitudine diffusa a sperimentare in questi campi. Ciò sia per il loro profilo di missione, incentrato sull’accesso e la gestione dell’informazione, che per le capacità che hanno dimostrato o stanno dimostrando nell’attuare processi innovativi. 

Quest’articolo si propone di effettuare un inquadramento generale della nozione dell’innovazione, ricostruendone l’origine storico-culturale e le successive evoluzioni; approfondire approcci e metodologie correnti che la supportano; illustrarne casi specifici e loro valorizzazione nel settore delle biblioteche e dell’accesso all’informazione. 

I concetti

Che cosa è l'innovazione

Nel Vocabolario online Treccani l’innovazione è

a. L’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione e simili: la nostra società richiede una profonda innovazione, o, al plurale, profonde innovazioni politiche, sociali, economiche. b. In senso concreto, ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica, ecc.

In accordo a questa definizione, in un ambiente industriale un prodotto dell’innovazione è dunque quello che deriva da un processo di lavorazione meno impattante sull’ambiente; in ambito biomedicale lo è la definizione di una tecnica diagnostica più efficace; in una struttura di servizi un flusso di lavoro diverso che ne migliora l’erogazione. L’estrema diversificazione dei significati di innovazione spinge a esaminarne le diverse tipologie, per individuare specificità e possibili aree di sovrapposizione, evidenziando come i singoli processi innovativi producano spesso impatti di carattere generale.

L'innovazione tecnologica

Nell’Enciclopedia della scienza e della tecnica Treccani l’innovazione tecnologica viene definita come:

[...] l’attività deliberata delle imprese e delle istituzioni tesa a introdurre nuovi prodotti e nuovi servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e usarli. Condizione necessaria per l’innovazione è che essa venga accettata dagli utilizzatori, siano essi i clienti che acquistano il nuovo bene o servizio sul mercato, o i fruitori di un servizio pubblico [...]

e, inoltre, “[...] non un fatto meramente scientifico-tecnico, ma un processo sociale di natura dinamica”. L’innovazione tecnologica, fenomeno i cui confini più volte sono stati negli ultimi anni risistemati, prevede inoltre importanti specificazioni. La prima è quella proposta in letteratura da Joseph Schumpeter e costituita dalla differenza tra l’innovazione di prodotto e di processo. Con la prima ci si riferisce all’introduzione di un nuovo bene o un nuovo servizio, con la seconda l’attenzione viene posta sui nuovi metodi di produzione o di distribuzione. È da notare che, pur riguardando due fenomeni sostanzialmente differenti, più volte sul loro significato si è generato un dibattito politico-culturale molto animato in cui gli autori più critici nei confronti dell’economia di mercato hanno evidenziato una tendenza del capitalismo a privilegiare l’innovazione di processo, in funzione di un’ottimizzazione sempre crescente delle risorse impegnate, mettendo in discussione la stessa tendenza evolutiva del sistema. 

In accordo alla definizione generale sopra presentata, con l’innovazione tecnologica non si prendono in carico progressi meramente tecnici, soprattutto se si guarda a un’altra specificazione, quella concernente innovazioni incrementali e innovazioni radicali. Le prime consistono in un miglioramento o adattamento di una tecnologia già esistente: la disponibilità di una nuova versione di un software con funzionalità potenziate, come è nel classico esempio delle successive release della suite di Windows. In tal modo si prolunga il ciclo di vita del prodotto. Le innovazioni radicali sono invece quelle che comportano una netta frattura con la tecnologia e soprattutto con le logiche già disponibili come è avvenuto con la nascita del World wide web e con le applicazioni da esso derivate. In questo caso l’innovazione tecnologica risulta essere il risultato diretto di una sequenza di stadi: la ricerca, lo sviluppo, la progettazione, che conducono alla realizzazione di un prodotto del tutto nuovo. 

Da ciascuna di queste definizioni risulta evidente la complessità del fenomeno e si comprende come sia opportuno rivolgere più di uno sguardo attento alle altre declinazioni con cui l’innovazione viene oggi rappresentata. 

L'innovazione sociale

La nozione di innovazione sociale è basata su di una visione olistica dello sviluppo, produttivo e culturale, con riferimento alle organizzazioni pubbliche e a quelle private e, tra queste, alle imprese sociali come a quelle profit. In questa visione le esigenze private e pubbliche coesistono e, assieme, collaborano a creare risposte a problemi sociali esistenti, individuando soluzioni nuove in quanto più efficaci, più efficienti, più sostenibili nei confronti delle pratiche preesistenti. Ciò con particolare, ma non esclusivo, riferimento ad alcuni processi chiave quali l’istruzione e la formazione, l’alternativa all’inquinamento, la cultura e la sua valorizzazione, la cosiddetta economia circolare. Ci si riferisce dunque non a un metodo standard, ma a una pluralità di approcci che riguardano il mondo economico nel suo insieme, a partire dal presupposto che il valore creato dai processi innovativi debba essere attribuito alla società nel suo insieme piuttosto che a uno o più soggetti privati. 

Lo statuto dell’innovazione sociale è quindi quello di un processo caratterizzato fortemente dalle capacità operative che rispondono e soddisfano esigenze collettive. Un processo che può essere praticato da attori diversi, pubblici e privati, locali e globali, e deve poggiarsi su una forte capacità di analisi del contesto in cui opera. Tra le sue caratteristiche più interessanti vi è certamente quella di contribuire a definire nuove relazioni tra i diversi attori, economici e sociali. E tra le conseguenze vi sono quelle associabili all’impiego delle tecnologie in senso lato, al miglior uso delle risorse disponibili, ai cambiamenti strutturali che si determinano. Pare opportuno evidenziare come l’innovazione sociale non sia una caratteristica propria delle realtà pubbliche o private no profit, le quali non generano automaticamente tali processi, ma che attori privati possono promuovere e/o sostenere la definizione di nuovi protocolli economici, come quelli rappresentati dall’economia circolare o dalla sharing economy, e aiutare la definizione di nuove relazioni tra attori economici e sociali in vista della creazione di modelli di partnership come quelli tipici dei processi di fundraising o crowdfunding.

L’open innovation

La coppia innovazione tecnologica-innovazione sociale consente un’utile rappresentazione dei diversi caratteri dell’innovazione che la caratterizzano nella società contemporanea. Proviamo ora a prendere in esame alcune, ulteriori specificazioni a partire da quella dell’open innovation. Secondo una definizione ormai classica l’open innovation, in italiano innovazione aperta, è un metodo che molte aziende hanno utilizzato negli ultimi vent’anni per cambiare e migliorare processi e prodotti. Per praticarla si può, ed è anzi fortemente consigliabile, andare oltre i propri confini interni e cercare idee e spunti per il miglioramento al proprio esterno. Lo sviluppo di questo paradigma avviene all’inizio del nuovo millennio quando comincia ad essere evidente che le accelerazioni imposte dalla dimensione globale dell’economia rendono meno efficaci o addirittura ininfluenti gli investimenti in ricerca e sviluppo praticati all’interno di una singola azienda anche di grandi dimensioni. In questo scenario cresce la necessità di andare a cercare l’innovazione all’esterno dei propri confini organizzativi, rendendosi più aperti ad un maggiore interscambio. Sono molte oggi le realtà aziendali, internazionali e italiane, che alimentano processi di innovazione aperta, integrando il proprio know-how interno con idee, soluzioni, strumenti e competenze esterne. In questa metodologia vengono coinvolti soggetti diversi, a partire dalle università e dai centri di ricerca, ma anche singoli inventori, aziende startup, gli stessi fornitori dell’azienda che hanno presentato metodi o prodotti più moderni e più efficaci anche al di là di quello che è stato loro richiesto. Un caso molto attuale su cui la metodologia dell’innovazione aperta può risultare estremamente efficace è quello della cybersicurezza. In questo ambito le sfide che vengono oggi poste dalla necessità di garantire la sicurezza informatica, fronteggiando attacchi diversi e massicci, non potrebbero essere affrontate con le competenze interne di una sola organizzazione.

Comunemente i processi open si avvalgono di una pluralità di strumenti: le classiche call for ideas, per cui la risoluzione di un determinato problema viene affidata ai risultati di un concorso di idee da parte di vari soggetti e alla corresponsione di premi alle soluzioni giudicate più efficaci; i cosiddetti hackathon, vere e proprie gare di programmazione da svolgersi in un arco di tempo circoscritto; la formulazione di accordi di collaborazione tra soggetti diversi; la creazione di veri e propri incubatori di imprese; le acquisizioni, da parte di organismi più grandi, di realtà dimensionalmente minori ma titolari di soluzioni e di competenze particolarmente interessanti. 

Allo stesso tempo questo particolare approccio all’innovazione implica una profonda revisione dei processi aziendali e delle procedure interne all’organizzazione per evitare che le novità provenienti dall’esterno siano non solo non apprezzate ma rigettate. 

La disruptive innovation

Infine, con il termine disruptive innovation si indicano quei cambiamenti repentini che portano a modi differenti, rispetto al passato, di fare, pensare o interpretare ciò che ci circonda. Nella scienza dell’organizzazione la disruptive innovation può derivare dagli effetti di nuove tecnologie o dall’introduzione di nuovi “modelli di business”, che modificano completamente la logica fino a quel momento dominante con innovazioni che ridefiniscono gli scenari e il modo in cui utenti e clienti sono abituati a utilizzare prodotti e servizi.

I mutamenti disruptive spesso non sono complessi dal punto di vista tecnologico ma possiedono caratteristiche nuove rispetto a ciò che il quadro esistente, pubblico o privato, di servizi e di prodotti, offre. Tali innovazioni non sono sempre guidate dal mercato ma costituiscono un modo nuovo di intendere prodotti e servizi. Il fenomeno non è, quindi, una caratteristica o un’esclusività di realtà orientate al profitto. Proprio nel settore delle biblioteche e dell’accesso all’informazione alcuni casi, non solo recenti, possono anche mostrare dei caratteri disruptive: fu un caso di disruptive innovation quello attraversato dalla storica biblioteca aziendale Montedison che, negli anni Ottanta del secolo scorso, affrontò il cambiamento e cominciò una nuova vita trasformandosi in un centro per l’accesso all’informazione che detenne la leadership nel proprio settore per diversi anni. In tempi più vicini assai significativa è l’esperienza londinese di Idea Store caratterizzata da elementi quali una nuova concezione del servizio di pubblica lettura, con il raggiungimento di nuove fasce di pubblico, e da investimenti in tecnologia limitati. Molti segmenti del sistema bibliotecario hanno dunque rilevanti potenzialità anche rispetto ad altre realtà pubbliche o ad aziende private. Ciò proprio a partire da una capacità di leggere la realtà, essendo in grado di subire meno i condizionamenti del “già detto” o del “già fatto”. Promuovere e gestire l’innovazione significa però possedere strumenti adatti, in particolare per valorizzare la conoscenza generata nei processi di lavoro su cui occorre soffermarsi in dettaglio. 

I metodi

Il governo dell'innovazione

Le diverse caratteristiche dell’innovazione che toccano, assieme, una pluralità di aspetti, economici, sociali e in senso ampio culturali, presuppongono politiche e metodi strutturati con specificità proprie e che, pena la loro ininfluenza, devono essere iscritti in un governo complessivo dell’innovazione in grado di favorire l’efficacia dei processi e il diffondersi di pratiche virtuose. Di seguito una breve rassegna di alcuni concetti chiave di cui occorre tener conto.

Il capitale intellettuale e gli asset intangibili

L’insieme delle conoscenze detenute da ciascuna organizzazione, pubblica o privata, si definisce capitale intellettuale e si può scindere in tre componenti: il capitale umano, costituito dalle conoscenze individuali divenute competenze e che permette di individuare le abilità, l’esperienza, le conoscenze presenti all’interno dell’organizzazione; il capitale relazionale, che rappresenta il sistema relazionale dell’organizzazione, l’insieme dei rapporti con l’ambiente esterno e con tutti i soggetti che possono avere interesse all’attività dell’organizzazione; il capitale strutturale che consiste nei meccanismi, nei processi e nelle procedure che permettono il passaggio del sapere dalla sfera individuale alla sfera organizzativa. 

L’interazione tra i tre elementi consente la valorizzazione di ciascuna componente del capitale intellettuale, permettendo all’organizzazione di incrementare il suo valore. Nello scenario contemporaneo, in cui ci si è abituati a considerare l’organizzazione, pubblica o privata, come un sistema di conoscenze, la valenza strategica del patrimonio intangibile ai fini della creazione di valore è centrale ma non ancora completamente tracciata. In ambito privatistico, nelle società di capitali ma anche nelle differenti organizzazioni “ibride”, molto diffuse al giorno d’oggi (fondazioni, enti e centri di ricerca con scopi pubblici, imprese sociali), gli asset intangibili, escludendo alcuni elementi “tradizionali” di formalizzazione delle conoscenze come i brevetti, non trovano ancora completa ed adeguata sistematizzazione nelle voci di bilancio, costituendo quello che viene definito il “differenziale fantasma” tra valore contabile e valore economico del capitale d’azienda. Anche più complessa la situazione in ambito pubblico, considerando, in particolare, i settori dell’alta formazione e della ricerca in cui riconoscimento, valorizzazione, conservazione delle conoscenze sviluppate, che in questi contesti sono il vero prodotto finale delle organizzazioni, seguono percorsi ancora in salita. 

I metodi di valorizzazione

Come recuperare tutto il valore presente in un’organizzazione è quindi un problema, non solo italiano, del settore pubblico e del settore privato. Per approcciarlo nella maniera più efficace e tracciare soluzioni occorre lavorare su diversi terreni, da quello normativo a quello organizzativo, da quello metodologico a quello culturale. 

Dal punto di vista degli assetti normativi, e limitatamente alla situazione italiana, un primo problema deriva dall’attuale formulazione presente nel Codice civile che, nei criteri alla base della costruzione del bilancio societario, per le cosiddette “immobilizzazioni immateriali” prevede voci come costi di impianto e di ampliamento, costi di sviluppo, diritti di brevetto industriale ma ancora nulla che sia in grado di fotografare la conoscenza prodotta. Nel campo delle problematiche organizzative occorre sottolineare che le strutture, che hanno da sempre un ruolo centrale nei processi di innovazione, possono sostenere due ruoli, assolutamente opposti: essere grandi facilitatori ma anche avere pericolosi effetti bloccanti. Nel primo caso una cultura organizzativa aperta può facilitare l’introduzione di metodi di misura non convenzionali in grado di fissare il valore della struttura in cui si opera. Nel secondo caso, quando prevale la cultura conservatrice del “già fatto”, le conseguenze possono anche essere catastrofiche. Dal punto di vista dei metodi lo stato delle cose presenta ancora un alto tasso di instabilità, tanto che in una fonte qualificata è possibile leggere un’affermazione come la seguente: “There is no standard method to measure intellectual capital, and standards for measurement vary across organizations”. Per questo, in conclusione, il problema è culturale nel senso più pieno del termine e due filoni emergono come decisivi nell’immediato futuro: da un lato la necessità di risolvere le problematiche già illustrate con un approccio complessivo; dall’altro la capacità di pensare a nuovi modelli di sviluppo socio-economico caratterizzati dalla coesistenza di azioni socialmente innovative, per le organizzazioni ma anche per le persone, quindi nuovi modelli di governance aziendali, nuove forme di partenariato pubblico-privato ma anche percorsi di self-innovation con cui i singoli in grado di ampliare il proprio bagaglio di conoscenze e competenze. 

Settori e casi

Biblioteche nelle città

Nel contesto post-pandemico una visione positiva del futuro prossimo spinge a sottolineare le forti opportunità che dall’attuazione di politiche innovative possono derivare ai contesti urbani. I programmi che si stanno definendo, in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono caratterizzati da importanti sviluppi innovativi nella definizione di infrastrutture, nell’impiego delle fonti di energia, nella rimodulazione dei contesti urbani, sia per le grandi metropoli che per i piccoli centri. 

Uno scenario che può essere diverso da quello degli ultimi decenni quando con il ritiro della mano pubblica dai territori dell’economia e il consolidarsi del neoliberismo, lo sviluppo delle città era stato di fatto devoluto al solo mercato e organizzazioni come le biblioteche avevano perso in peso specifico. Ora che la ripresa post pandemica si basa sull’efficace utilizzo delle risorse finanziarie rese disponibili, almeno in contesti come quelli della Unione europea e degli Stati Uniti d’America, la rilevanza della qualità dell’investimento è centrale. Questo porta a considerare ancora di più la dimensione innovativa di ciò che si mette in campo, tenendo ben presente una raccomandazione che, formulata per il settore delle biblioteche, può essere peraltro applicata a molti altri contesti. Non si tratta tanto di quando riaprire le biblioteche (o, in altri casi, di quando ricominciare a produrre, o quando erogare servizi di altro genere) ma come farlo.

Le biblioteche saranno leve per lo sviluppo e l’innovazione perché rendono accessibile il bene primario dell’informazione; sostengono i processi di valorizzazione delle conoscenze; possono ampliare gli spazi di confronto tra diversi punti di vista. Queste potenzialità si dimostreranno strategiche per le città italiane, grandi e piccole, soprattutto se verranno impiegate nel rapporto critico centro-periferie. Occorre avere la capacità di vedere le città come un insieme integrato in cui le diverse aree urbane hanno, ciascuna, la propria dignità. Fattori strutturali come la modernizzazione dei trasporti e il progresso del trasporto su ferro, possono consentire l’abbattimento di molte barriere “spaziali”. Le biblioteche possono aiutare a rimuovere le barriere “mentali”. Coniugare innovazioni tecnologiche e organizzative, enfatizzare le capacità professionali esistenti, adottare come riferimento le migliori esperienze, italiane e internazionali, tutto ciò le biblioteche possono farlo, perseguendo un modello di innovazione sociale che garantisce l’accesso all’informazione a migliaia di cittadini, migliora la qualità dell’ambiente urbano, realizza servizi innovativi. E questo modello può essere replicato su una serie di tematiche inerenti alle attività culturali. Cambiare dunque nella continuità, spesso rispondendo alle sollecitazioni, dirette e indirette, del contesto esterno e non tradendo la missione originale inserendo nuovi obiettivi, incidendo in maniera sistematica sull’innovazione e sul miglioramento della qualità della vita urbana.

Biblioteche e ricerca

Un caso significativo dell’evoluzione e dell’innovazione possibile è altresì riscontrabile nel sistema della ricerca e nel suo rapporto con le strutture bibliotecarie. Fino all’inizio degli anni Ottanta era forte la tendenza a considerare biblioteche e bibliotecari come semplici supporti del mondo della ricerca. Poi, gradualmente, i professionisti più impegnati cominciarono a rivendicare la propria specificità, volendo liberarsi da un semplice ruolo esecutivo. Cominciava ad affermarsi una visione più equilibrata delle cose. Dal punto di vista dell’analisi sociologica giocava un ruolo importante l’idea che entrambi i contesti fossero popolati di lavoratori della conoscenza. Va certo segnalato un elemento di fondo problematico per i bibliotecari e per gli attori della ricerca: entrambi hanno cominciato a invecchiare e hanno avuto solo un parziale ricambio. In generale, le risorse destinate al mondo della ricerca e a quello dell’accesso all’informazione, sono, finora, decrementate. 

Oggi abbiamo a che fare con un ceto professionale di bibliotecari molto ridotto rispetto a quello dei decenni passati e con comunità di ricerca, umanistiche e scientifiche in cui il ricambio è al minimo. Una tendenza talmente netta che, nel caso specifico, neppure le risorse provenienti dal PNRR potranno modificare nel breve periodo. In questo scenario il rischio assai elevato è quello di un ripiegamento psicologico di entrambe le comunità professionali che, in un circolo vizioso, confermando la tendenza alla sottovalutazione del proprio operato, renderà più difficile ogni prospettiva di valorizzazione. Ed è qui che i destini delle due comunità si incontrano: nessuna ripresa sarà possibile senza un elemento fondamentale, la capacità di entrambi i mondi di parlare al pubblico, superando, dove necessario, i propri linguaggi specialistici. È un terreno su cui si stanno conseguendo diversi obiettivi in questi ultimi anni ma su cui occorre ancora lavorare molto. È necessario comprendere l’unitarietà della ricerca (scientifica e umanistica, di base e industriale) e avere piena consapevolezza dei nessi con la missione delle biblioteche; sapere parlare ai “pubblici” con diversi livelli espositivi ed allontanare lo spettro dell’autoreferenzialità; identificare i possibili ambiti di incontro e di integrazione; fare in modo che i tre territori, ricerca scientifica, ricerca umanistica, gestione e accesso all’informazione, siano concepiti come parte di una cultura complessiva del Paese. È quanto si può realizzare anche con le attività di Terza missione che hanno uno stretto collegamento con la vita delle biblioteche accademiche, se si considerano le specifiche linee d’intervento su cui queste possono dare un efficace contributo: 

la valorizzazione dei beni pubblici, nello specifico dei beni culturali di ateneo, in collaborazione con gli archivi e i musei; il sostegno ai progetti di open science; le attività e i progetti di public engagement, ad esempio la partecipazione ai progetti di alternanza scuola-lavoro o agli eventi culturali e turistico-culturali che vengono realizzati a livello locale, la formazione.

Ed è questo profilo di attività, totalmente innovativo, che può garantire un ruolo alle biblioteche accademiche, favorendone un nuovo e diverso posizionamento nella catena del valore.

Biblioteche in azienda

Infine, un rapido sguardo alle possibilità e alle sfide che l’innovazione può porsi in ambiti aziendali. La vita di un’organizzazione bibliotecaria all’interno di un contesto come un’azienda, quindi in una società commerciale agente in regine di diritto privato, ha, non solo in Italia, alterne fortune. Spesso le biblioteche aziendali, pur essendo un elemento significativo e nascendo con un forte mandato dei vertici aziendali, in momenti di difficoltà sono state tra i primi elementi a essere sacrificati. È quanto è accaduto sia a biblioteche progettate e sviluppate in funzione degli obiettivi di produzione e di ricavi dell’impresa sia a organismi espressione di culture aziendali attente allo sviluppo dell’impresa all’interno di un più ampio contesto sociale. 

Nelle pagine precedenti si è accennato all’esperienza Montedison/Documont che, a partire da una grave crisi negli assetti dell’organismo preesistente, la biblioteca aziendale del gruppo, portò, attraverso un fenomeno evolutivo molto forte, alla costituzione di un servizio di informazione di grande rilevanza nel panorama italiano. Questa evoluzione, necessitata dalla crisi, non è però il solo esempio di innovazione italiana. Diversi sono stati i casi di crescita positiva di strutture analoghe tra cui, in particolare, si vuole citare l’esperienza professionale e aziendale del Centro documentazione del CIRA (Centro italiano ricerche aerospaziali), di cui peraltro, proprio recentemente e in questa sede, sono stati ricordati i caratteri distintivi. In conclusione, l’approccio che privilegia il cambiamento e l’innovazione, negli obiettivi, nei metodi, nelle buone pratiche, può rivelarsi decisivo anche per una nuova valorizzazione. Soprattutto oggi quando si stanno affermando valutazioni più equilibrate che, sulla base della strategicità di questo tipo di struttura per le aziende, riconoscono di nuovo alla biblioteca un ruolo importante. È una prospettiva che si potrebbe definire modernamente olivettiana in cui si opera una sintesi tra funzione di supporto delle attività produttive, supporto al welfare aziendale e veicolo d’integrazione sociale

Prima conclusione

Questo articolo si è proposto di effettuare una prima introduzione, culturale e metodologica, di un concetto che in molti settori della vita moderna merita una particolare attenzione. La connessione del tema “innovazione” con la biblioteconomia e la scienza dell’informazione è nelle cose. Qui si è cominciato a puntare l’attenzione su alcuni aspetti metodologici e a esaminare ambiti applicativi ma il lavoro si presenta lungo e complesso. Le possibilità offerte dal progetto dell’innovazione sono però tali e di tale qualità da meritare senz’altro ulteriori approfondimenti e sviluppi.