Viaggio nei mondi impossibili
Università degli studi di Napoli Federico II claudio.forziati@unina.it
Abstract
Recensione di Claudio Forziati al libro di Stefania Fabri, Viaggio nei mondi impossibili, Milano, Editrice Bilbiografica, 2021, 174 p.
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Nel suo ultimo libro Stefania Fabri, già autrice nella collana “Conoscere la biblioteca” di altre tre interessanti pubblicazioni (Brividi e delitti in biblioteca, Proibito proibire e La riscoperta dei classici), presenta un percorso di lettura sulla narrativa fantascientifica attraverso alcuni testi emblematici e motivi ricorrenti. Il viaggio in cui ci porta l’autrice indaga i rapporti tra i temi trattati e il variegato apparato filosofico di cui la fantascienza si alimenta ed è una piacevole novità, perché orientato a restituire la varietà di un immaginario raramente raccontato al di fuori della saggistica specialistica o dei media studies. Il lettore non dovrà aspettarsi un’operazione di completezza storica, del resto impossibile in una pubblicazione così snella e funzionale; per questo potrebbe notare qualche assenza tra i classici e tra gli scrittori contemporanei, assenze che non incidono sulla qualità complessiva del libro, perfettamente aderente al suo scopo di tracciare dei percorsi per studenti e bibliotecari in una produzione narrativa vastissima.
Il libro è diviso in quattordici capitoli, oltre a una breve premessa e all’introduzione, nella quale, analizzando alcuni testi critici italiani (la raccolta di De Turris e Fusco Le meraviglie dell’impossibile, Filosofia della fantascienza curato da Andrea Tortoreto e Il futuro alla gola di Giuseppe Lippi), l’autrice chiarisce l’ambito di indagine e la complessità di definizione del genere. Fabri individua una cesura nella produzione narrativa, dall’esaltazione tecnologica e dai personaggi tipicamente positivi ed eroici della “Golden Age”, a una problematizzazione della tecnologia. Similmente Flavio Pintarelli, in un articolo dedicato ad Antonio Caronia, riferendosi alla “New Wave” e alla capacità di sperimentazione (tematica e formale) di autori come Moorcock, Delany e Le Guin, ha definito questa cesura “uno scarto di interesse dalle scienze ‘dure’ – fisica, astronomia – a quelle ‘molli’, sociali”. Spesso questo slittamento dell’immaginario è stato rappresentato attraverso il senso della catastrofe che si è progressivamente spostato verso la degradazione dell’ambiente in cui l’essere umano è immerso.
Come avverte Fabri, questa mutazione “rende gli scrittori di fantascienza abili a proiettare una visione non semplicemente apocalittica ma moralmente significativa”.
Il primo capitolo, I fondatori del genere fantascientifico, sottolinea l’importanza di due opere anticipatrici degli inizi del Novecento, La peste scarlatta di Jack London e La nube avvelenata di Arthur Conan Doyle. Inevitabile il riferimento alla collana “Urania” e alla direzione di Fruttero e Lucentini, dall’inizio degli anni Sessanta alla seconda metà degli anni Ottanta, oltre alla citazione dell’illustratore Karel Thole, copertinista a partire dal 1959. “Urania” è stata essenziale negli anni Cinquanta per la diffusione in Italia di autori classici come Clarke, Heinlein, Van Vogt, Simak, Sturgeon e tanti altri.
I capitoli seguenti sono dedicati all’esplorazione dello spazio e in particolare nel terzo il tema è l’esplorazione declinata attraverso i differenti modi di immaginare il concetto di infinito. Dalla teoria delle reti sociali nello spazio infinito di Isaac Asimov del “Ciclo delle fondazioni”, a “luogo dell’imprevedibile” in Crociera nell’infinito di Alfred Van Vogt; da Il vagabondo degli spazi di Poul Anderson dove l’infinito è una promessa salvifica raggiungibile attraverso la conoscenza scientifica, alla paradossale visione di Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams in cui la Terra è un insignificante ostacolo per la costruzione di un’infinita autostrada iperspaziale, fino all’infinito virtuale, radicalmente differente, delle reti informatiche in Neuromante di William Gibson.
Il quarto capitolo ci racconta di come gli scrittori di fantascienza hanno immaginato la presenza aliena sulla Terra, a partire dalla trama del romanzo di John Wyndham I figli dell’invasione, trasposto al cinema con il titolo Il villaggio dei dannati. Fabri fa notare in chiusura del capitolo come l’alieno, che sia antropomorfo o in forma di insetti mostruosi o molluschi telepatici, spesso diventi una metafora per l’aumento di precarietà della vita sul pianeta, tra sovrappopolamento e disastro ambientale.
Il quinto capitolo tratta delle peripezie dei terrestri nell’universo, da interpretare, avverte l’autrice, come “cammino nello spazio interiore di ciascuno, piuttosto che la scoperta di mondi esterni a noi”. Tra i romanzi citati spicca la visione critica verso l’espansionismo e l’evoluzione tecnologica illimitata di Barry Malzberg e di Alastair Reynolds. In Le signore della fantascienza l’autrice fa una rassegna appassionante a cui è difficile rendere giustizia perché sono incluse alcune delle voci più importanti in assoluto della fantascienza: Ursula K. Le Guin, Marion Zimmer Bradley, Pat Cadigan, senza dimenticare i romanzi fantascientifici di Doris Lessing. Fabri evidenzia quanto la società nordamericana si sia rispecchiata in negativo nella fantascienza fino alla fine degli anni Cinquanta, avendo come produttore e consumatore quasi esclusivamente maschi bianchi, senza che le diversità razziali o di genere venissero realmente raccontate. L’approccio cambia nettamente nei due decenni seguenti quando, all’esaltazione della scienza e della tecnologia come retorica dell’espansione si sostituisce l’opera di artiste straordinarie come Ursula K. Le Guin che ha trattato l’identità sessuale (La mano sinistra delle tenebre) e la possibilità di una diversa organizzazione sociale (I reietti dell’altro pianeta). Da ricordare anche Octavia Butler, autrice di Ultima genesi, recentemente ristampato in “Urania Collezione”, un romanzo centrato su personaggi, umani e alieni, le cui differenze culturali, di provenienza e fisiche, inconciliabili e repulsive, portano conflitto ma anche accettazione e aiuto reciproco. Tra le tante scrittrici italiane citate, merita una menzione speciale Nicoletta Vallorani, vincitrice del premio Urania nel 1992 per il romanzo cyber-punk Il cuore finto di DR. Franco Forte, editor di Urania e curatore del Millemondi pubblicato nell’estate 2020, dice di Vallorani e del suo romanzo: “Un libro che ha segnato un importante passo in avanti non solo per Nicoletta, ma per tutta la sf italiana, che da quel momento ha cominciato a relegare sempre più in secondo piano quel maschilismo imperante fino a metà degli anni Novanta”. L’ottavo capitolo è dedicato a robot e cyborg, tema problematico e affascinante che l’autrice analizza attraverso la narrativa e le evoluzioni interpretative. Cita, ad esempio, il saggio di De Matteo e Proietti Macchine come noi, contenuto in Filosofia della fantascienza del 2018, in cui, partendo dalla riflessione di Stefano Rodotà, gli autori sottolineano quanto il tema del corpo artificiale comporti la ridefinizione dei concetti di soggetto, persona e identità. Questo capitolo tratta un argomento molto attuale per la nostra epoca, in cui il rapporto tra l’umano e le tecnologie digitali si arricchisce del dibattito sull’impatto sociale dell’intelligenza artificiale e sulla visione antropocentrica delle macchine.
Il capitolo successivo riguarda il cyberpunk, un sottogenere che dall’inizio degli anni Ottanta ha rinnovato profondamente temi e forme della fantascienza, e di cui William Gibson, con il suo Neuromante, è generalmente considerato il fondatore. È importante sottolineare la novità radicale del “cyberspazio” di Gibson, una rete informatica globale, vissuta grazie a una stretta connessione tra computer e cervello e attraversata dai personaggi come spazio reale. Le narrazioni di questo sottogenere hanno la capacità di prefigurare scenari e criticità delle società tecnologiche avanzate, come nel romanzo Snow crash di Neal Stephenson, in cui il controllo e la pervasività delle grandi corporation nella vita degli esseri umani, tema caro anche a Gibson, è assoluta.
Dopo aver passato in rassegna le città del futuro, dalla capitale-mondo Trantor di Asimov alla Manhattan luogo di contagio di Judith Merrill, Fabri dedica l’undicesimo capitolo alle contaminazioni letterarie della fantascienza, sempre più comuni a partire dalla fine della Golden Age, come quella con il fantasy, citando Marion Zimmer Bradley, le ibridazioni con l’horror, il noir e persino il western come nella serie “La Torre Nera” di Stephen King. La fantascienza si è sempre prestata perfettamente a rappresentare scenari molto più complessi di quelli esclusivamente dominati dalla tecnologia, ad esempio raccontando ambienti estremi: negli anni Sessanta, la “Tetralogia degli elementi” di James Ballard, e in anni più recenti, la “Trilogia dell’Area X” di Jeff VanderMeer del 2014. Spesso i romanzi frutto di ibridazione tra generi differenti hanno dato vita a nuovi sottogeneri, tra i quali l’autrice cita il new weird di China Miéville e lo steampunk di Paul Di Filippo.
Il mondo che verrà è il suggestivo titolo del dodicesimo capitolo, in cui Fabri, partendo da George Orwell, afferma la predominanza delle narrazioni distopiche che partono spesso dall’affermazione di regimi totalitari o dalla devastazione ambientale. Sulla distopia tanto è stato scritto in questi ultimi anni, ma vale la pena segnalare il saggio molto approfondito Mappe della distopia: il fascino del peggiore dei mondi possibili di Carmine Treanni, presente nel già ricordato Millemondi dell’estate 2020. Oltre ai sottogeneri citati nel volume, da circa un decennio, si sta diffondendo un nuovo movimento culturale chiamato solarpunk, che si basa su una visione utopica del futuro legata principalmente alle speranze nello sviluppo di tecnologie sostenibili per il pianeta.
Fabri dedica un capitolo alla fantascienza per ragazzi ed è apprezzabile la citazione di Nick e il Glimmung di Philip K. Dick, una delle rare opere young adult del visionario scrittore, mentre è inevitabile quella della saga di successo “Hunger Games”. Nella gran varietà di opere citate dall’autrice, si sente la mancanza di Little brother di Cory Doctorow, per la sua carica critica e per il tema dell’attivismo sociale in una società repressiva che i protagonisti adolescenti si trovano a fronteggiare.
La chiusura è affidata al tema della fantascienza nel fumetto e nei videogiochi. L’autrice ci avverte immediatamente che per il fumetto la mole degli esempi possibili meriterebbe un libro a sé, ma non rinuncia a segnalare alcuni classici, da L’Eternauta di Oesterheld e Solano López a L’Incal di Jodorowsky e Moebius. Per quanto riguarda i videogiochi Fabri evidenzia il legame con la fantascienza, letteraria e cinematografica, già a partire dalle produzioni degli anni Settanta. Successivamente l’evolversi delle tecnologie e delle console di gioco ha determinato una parallela evoluzione nella costruzione narrativa dei giochi stessi, da trame scarne o tutt’al più aderenti alle narrazioni a cui si ispirano, alla creazione di avventure del tutto nuove o ampliate in differenti media, come nell’esempio di Assassin’s Creed.
In conclusione, uno degli aspetti più interessanti del libro di Stefania Fabri è la quantità di spunti offerti, che generano molteplici possibilità di tracciare nuovi percorsi a partire dalle suggestioni, non solo letterarie, che contiene. Nonostante alcuni degli argomenti trattati non siano di semplice interpretazione (uno su tutti, il tema del corpo artificiale), Viaggio nei mondi impossibili è un libro agile, essenziale e di facile lettura. Proprio per questo sprona il lettore, esperto o inesperto, a proseguire nella ricerca, potendo contare su un libro che è un veloce strumento di reference per esplorare quei mondi che diventano “possibili” grazie alle collezioni delle nostre biblioteche.