N.8 2021 - Biblioteche oggi | Novembre 2021

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Delle valutazioni e altri misteri della P.A

Claudia Boccciardi

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Che bello lavorare nella P.A. Ma come? Non vi siete mai soffermati a pensarci? Nonostante alle volte ci si senta un insignificante, piccolo bullone di un ingranaggio misterioso, bisognerebbe invece considerare la fortuna, e l’opportunità, di ritornare bambini che ci vengono offerte, almeno una volta all’anno. Già li me li figuro i vostri sguardi increduli. 

Massì, ve la ricordate la fatidica domanda, buttata lì, quasi a caso, al vostro vicino di banco, ai tempi della scuola? “E tu quanto hai preso? Sei stato promosso?” Se il compagno era d’accordo, vi permetteva di sbirciare la sua pagella e si godeva la vostra espressione facciale, qualora i suoi voti fossero più alti dei vostri. Oppure, in taluni casi, la nascondeva gelosamente e non vi faceva dare neppure un’occhiatina, lasciandovi lì con la curiosità e un senso d’impacciato smarrimento. (Come non ricordare anche certi muri eretti, fatti di diari, astucci e quaderni per impedire al compagno di copiare? Ma non divaghiamo). 

Nessuno di noi, allora, avrebbe mai pensato che in futuro, da grandi, adulti e vaccinati (oddio, non è detto), avremmo ancora avuto una pagella, una valutazione con tanto di punteggi legati a una premialità. Ci ho girato intorno e l’ho presa un po’ alla lunga, ma, insomma, l’avete capito: qui si tratta della valutazione della nostra performance lavorativa, la quale si traduce, in ultima analisi, in un incentivo economico, più o meno significativo, a seconda dei voti. 

Così, una volta all’anno, ritorniamo bambini e attendiamo con ansia e curiosità la pagellina, le valutazioni legate alle prestazioni e il conseguente premio economico. Dalla legge Brunetta in poi le amministrazioni hanno pensato di promuovere il merito, nonché la valutazione dei dipendenti per migliorare l’efficacia e l’efficienza degli enti. 

Quali meravigliosi, utopistici, intenti, vero? Lo so già: vi viene immediatamente voglia di strappare questa paginetta di rubrica, appallottolarla e buttarla dalla finestra. Qualcuno potrebbe perfino aver desiderio di infilarsela in bocca, masticarla e poi sputarla schifato. Anche il bibliotecario più incallito, quindi, diventa piccolo di fronte alla sua pagellina. 

Nell’ente locale, eccolo il famigerato punteggio PEG: gli obiettivi di struttura, la qualità del contributo assicurato dalla performance con il livello di collaborazione e flessibilità. Tutti paroloni per vagliare se avete fatto il vostro dovere, se siete stati abbastanza bravi a fare le nozze coi fichi secchi. Come se non lo si sapesse che il bibliotecario è flessibile per definizione. 

Poi c’è la disamina dei comportamenti professionali e organizzativi dimostrati: il riferimento ai rapporti con l’utenza, la capacità di adattamento ai cambiamenti organizzativi, l’iniziativa personale (che, per carità, ci sarebbe eh? Ma spesso si scontra contro il muro gerarchico e si affloscia regolarmente). 

E, infine, le competenze dimostrate, le famigerate skills: l’arricchimento professionale del dipendente e il valore aggiunto dato da questo rispetto al normale svolgimento dei compiti assegnati. (Come non ammettere che se il bibliotecario non ci pensa da sé – quasi sempre a spese proprie – l’aggiornamento sarebbe una vera chimera?). 

Alla fine, dopo le varie voci della pagellina, arrivano i voti che si traducono in punteggi, i quali, tradotti “in soldoni” (magari!) danno la misura dell’importo della premialità. 

Il risultato di tutto ciò, lo troverete nella busta paga del mese successivo. Inutile aggiungere che l’esito è spesso fonte di malumori e mugugni, anche nei gruppi di lavoro più affiatati. 

Lassù, dunque, qualcuno ci valuta, ci osserva nel nostro lavoro quotidiano, anche se non lo vediamo mai (Ma come farà? Boh!). Una specie di Grande OZ, molto temuto, che ha la facoltà di giudicarci attraverso imperscrutabili vie. 

Ed ecco finalmente il premio che attendevamo. Ed ecco riproporsi l’antica, fatidica, domanda al collega: “E tu quanto hai preso?”. 

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