Delle parole omesse e della stanchezza dei bibliotecari
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Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica.*
Se la prima ondata pandemica ci ha trovato reattivi, arditi, pronti all’azione, e ha contribuito a rafforzare lo storytelling (l’inglese qui ci sta bene, non ditemelo che lo so) di bibliotecari militanti (cit. Luca Ferrieri) e di istituzioni rimaste vicine alle loro comunità, la seconda ci ha colto stanchi e forse un po’ depressi. (E quando leggerete queste indecorose righe spero proprio che non saremo alle prese con una terza).
All’inizio ci siamo sentiti lucciole in mezzo a un blackout (come non citare la bellissima canzone Harakiri di Samuele Bersani, vero?). E poi: l’entusiasmo alle stelle, portato da tutti quei libri arrivati grazie al MiBACT! Qualcuno ha provato a sgombrare il nostro sguardo appannato dalle piccole/grandi soddisfazioni e ci ha spiegato, lucidamente, che, in quest’ultimo caso, abbiamo avuto la funzione di semplici “snodi di flussi di cassa” e che, in fondo, non sono stati i cittadini e le biblioteche “i veri destinatari del ristoro, ma la filiera del libro fatto di carta”.**
Tutto vero. Indubitabilmente. Come non dare ragione a quel qualcuno? Pensate per esempio ai vari DPCM, alle varie ordinanze regionali sulle aperture e le chiusure. Solo l’ultimo provvedimento del 2020, quello di Natale, bontà sua, ha nominato le biblioteche. Un contentino natalizio, appunto.
Teniamocelo stretto. Fino a ora non siamo mai esistiti. Neppure incidentalmente. Che crudeltà!
Siamo stati sempre ben nascosti nelle pieghe dell’articolo 101 del Codice dei Beni culturali (pensate davvero che il cittadino comune si sia dato la pena di andarselo a leggere?), persino le sale scommesse e le sale bingo sono state oggetto di maggiore interesse: sempre citate dopo i musei e le mostre (!).
Ecco allora arrivare la stanchezza, e mettiamoci pure anche un po’ di delusione. Forse, taluno azzarderebbe pure qualche sano esempio di turpiloquio.
Fanno tenerezza i gloriosi tentativi di tenere aperte le strutture almeno nel servizio di prestito.
Si è parlato di “libri da asporto”, di “take away” (quasi fossimo un cinese), si è cercato di tenere in vita – quanto faticosamente lo sappiamo – l’idea di un utente al centro della nostra attenzione. E siamo così riusciti nell’intento, sfiorando persino situazioni ad alto tasso di umorismo: penso per esempio a quelle biblioteche dove i bibliotecari si sono ingegnati a fare un buco nelle persiane delle finestre per la restituzione dei libri del prestito, stile bunker. Mitici!
Quasi quasi ci saremmo reinventati persino una catapulta medievale, pur di non lasciare i nostri cittadini senza libri, proprio come Bruno il Bibliotecario a Rocca Vibrissa.*** Per superare questo stato d’animo che, alla lunga, potrebbe averci logorato, non resta che ricorrere alla nostra magnifica e proverbiale creatività. Accanto ai FabLab, agli spazi per i makers, ai corsi di scacchi e di uncinetto, dedichiamo uno spazio, anche piccolo, al bingo: potrebbe veramente essere l’ultima frontiera del gaming in biblioteca. Qualcuno ci ha pensato?