N.1 2021 - Biblioteche oggi | Gennaio-febbraio 2021

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Una guida per amico

Massimo Belotti

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Il 23 novembre 2020, nel giorno del suo novantaquattresimo compleanno, ci ha lasciato Carlo Revelli, decano dei bibliotecari italiani.
La comunità professionale ha perso una delle sue figure più rappresentative. Per più di una generazione Revelli è stato un punto di riferimento, e per molti di noi un maestro. Per alcuni – tra essi chi su queste pagine lo ricorda con commozione – era anche un amico che non ci dimenticheremo.
Per “Biblioteche oggi” è stato a lungo fonte di ispirazione, prodigo di consigli e di raccomandazioni, capace di critiche penetranti quando servivano. Un collaboratore instancabile finché le condizioni di salute glielo hanno permesso.
In questo breve intervento mi ripropongo di fare affiorare alcuni ricordi del rapporto che lo legò alla nostra rivista, lasciando a Paolo Messina di tracciarne il profilo di bibliotecario e a Mauro Guerrini quello di studioso, due facce della stessa medaglia di una personalità che volle sempre interpretare il suo ruolo e quello della biblioteca ricercando i nessi “tra teoria e pratica” senza concessioni al dogmatismo o al pragmatismo.
Egli svolse un ruolo fondamentale nella vita di “Biblioteche oggi”, consulente e interlocutore prezioso, autore di saggi, recensioni acute, curatore dal 1993 di una rubrica straordinaria e unica nel suo genere, Osservatorio internazionale, che ha contribuito a dischiudere nuovi orizzonti e a sprovincializzare la stessa comunità professionale, proponendo ogni mese una rassegna tematica delle riviste di biblioteconomia più importanti del mondo. Luigi Crocetti, un’altra figura a cui dobbiamo molto, era solito dire che quella rubrica era la prima cosa che leggeva e non si capacitava di come Revelli facesse a curarla con tale puntualità e acribia, senza mai saltare un’uscita. Cosa gli ha permesso per tanti anni di consegnarci, esattamente ogni mese, le puntate della sua preziosa rubrica? Le risposte sono più di una: sicuramente una profonda conoscenza delle biblioteche e dei temi nuovi che esse si trovavano ad affrontare, ma anche e soprattutto una visione internazionale supportata dalla padronanza delle lingue (almeno quattro, oltre a un italiano perfetto), a cui si univano il grande desiderio di tenersi aggiornato e di aggiornare, un’attenzione all’attualità e al cambiamento che ne facevano, anche in età avanzata, un bibliotecario moderno.
Puntualità. Se le doti principali di Revelli risiedevano nella capacità di riflettere con lucidità intellettuale sul ruolo della biblioteca e nella riconosciuta attività come studioso nel campo della catalogazione, non c’è dubbio che alcuni tratti del suo stile erano proverbiali e parti integranti del suo insegnamento. La puntualità, a cui abbiamo fatto cenno poco prima, è uno di questi. Per una redazione poter contare su una rubrica che arriva puntualmente è motivo di sollievo e a volte, soprattutto se “abituati bene” dall’autore si diventa implacabili e non si bada più né all’età né al prestigio. Mi è capitato qualche volta, di fronte a un giorno di ritardo nella consegna del pezzo, di telefonargli per informarmi sulle motivazioni, per sentirmi rispondere ogni volta: “Negriero!”. Quell’epiteto, pronunciato con bonomia e affetto, mi è mancato negli ultimi anni perché la sua collaborazione si era diradata, anche se ha continuato a leggerci e a farci avere i suoi pareri.
Precisione. Per Carlo non era soltanto una predisposizione e non si trattava certo di pignoleria, ma di una vera e propria vocazione, parte integrante di uno stile inconfondibile e di un’attitudine a osservare con grande attenzione e spirito critico le cose, grandi e apparentemente piccole, che si traduceva in avversione per la superficialità e la sciatteria.
Quando usciva la rivista Carlo la leggeva da cima a fondo e poi, come mi aspettavo, squillava il telefono: “Nell’ultimo numero c’erano più refusi del solito, quell’articolo, pur interessante, doveva essere rivisto e scritto in un italiano migliore…”. Per lui la forma non era un optional. E poi il confronto si spostava sulla qualità e i contenuti degli articoli. E dal confronto c’era sempre da imparare. Quando c’era da fare una critica si rivolgeva a me, quando gli era piaciuto particolarmente un articolo, invece, è capitato più volte che decidesse di rivolgersi direttamente all’autore per esprimergli il suo apprezzamento. Carlo sapeva essere severo, ma le sue critiche erano sempre espresse con cortesia, un altro tratto del suo carattere.

Carlo Revelli durante una delle sue escursioni

Abbiamo accennato alla rubrica di cui era titolare per la sua unicità, ma Revelli ha voluto offrire a “Biblioteche oggi” un numero considerevole di altri contributi tra saggi e recensioni (ne ho contati più di 70, che si vanno ad aggiungere alle 178 puntate della sua rubrica). Mauro Guerrini nel suo articolo ne cita alcuni in cui si era occupato dei suoi filoni di ricerca preferiti: la catalogazione, la trasformazione del catalogo dal paradigma cartaceo a quello elettronico, la classificazione, la soggettazione, il “destino” professionale dei catalogatori.
Ma numerosi altri articoli avevano come oggetto l’identità della biblioteca pubblica e il suo ruolo in una società che cambia. Un’istituzione che per Carlo ha sempre rappresentato uno strumento della democrazia.
Nel giorno del suo novantesimo compleanno i bibliotecari torinesi lo invitarono alla biblioteca “Italo Calvino” per festeggiarlo e gli chiesero di tenere una lectio magistralis sul tema “La biblioteca pubblica tra tradizione e innovazione”. E chi più di lui! Pubblicammo il testo con il titolo concordato con lui: Cosa è la biblioteca oggi? Tra passato e futuro, le ragioni di un servizio (“Biblioteche oggi”, gennaio-febbraio 2017, p. 40-43). È stato l’ultimo contributo di Carlo Revelli apparso sulla nostra rivista e a esso rinvio per comprendere l’attualità della sua testimonianza.
I miei ricordi fanno riferimento principalmente agli anni in cui ho diretto, a partire dal 1993, la serie mensile di “Biblioteche oggi”, durante i quali Carlo ha fatto parte del Comitato editoriale nelle sue diverse denominazioni. Non possiamo tuttavia trascurare il contributo che Revelli diede alla rivista già da prima, a partire dalla fine degli anni Ottanta, quando affiancò nella direzione di “Biblioteche oggi”, allora bimestrale, Luigi Crocetti, Piero Innocenti e Paolo Traniello. Credo che Revelli avesse colto che il progetto editoriale della rivista rappresentava qualcosa di nuovo nel panorama italiano e vi aderì volentieri. Possiamo dunque dire che il suo apporto ha attraversato l’intera vicenda di “Biblioteche oggi” e di ciò gli siamo grati.