La biblioteca che verrà. Pubblica, aperta, sociale
Biblioteche civiche torinesi, ceciliacogni@gmail.com
Abstract
Recensione di Cecilia Cognigni al libro di Luca Ferrieri, La biblioteca che verrà. Pubblica, aperta, sociale, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, 416 p.
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Scritto prima della crisi dovuta all’emergenza sanitaria che ha coinvolto anche le biblioteche pubbliche del nostro paese, il libro di Luca Ferrieri da un lato ci propone una sintesi del suo percorso professionale e di pensiero, dall’altro rappresenta indubbiamente una svolta nel dibattito sulla biblioteca pubblica in Italia.
L’intenzione più intima del volume è quella di sostenere e promuovere una visione militante del ruolo della biblioteca e dei bibliotecari. Chi è stato accompagnato nel proprio percorso formativo e professionale dalla lettura dei libri di Luca Ferrieri, da Il lettore a(r)mato: vademecum di autodifesa (Stampa alternativa, 1993) a Fra l’ultimo libro letto e il primo nuovo da aprire: letture e passioni che abitiamo (Olschki, 2013), è proprio in questa dimensione di convinta militanza che si sente a casa. E questa lettura ne è una conferma. La militanza che il libro sostiene è quella di una biblioteca che non solo si adopera per affrontare e risolvere i problemi, ma che piuttosto è impegnata nell’alimentarli, nella consapevolezza che la promozione di un pensiero divergente sia il modo migliore per sostenerne l’azione; una cifra costante nella scrittura di Luca Ferrieri, animato dalla convinzione che “la ricerca di senso e di significato” in quello che facciamo con e nelle biblioteche sia la chiave anche per le biblioteche e i bibliotecari che verranno.
Per questo il richiamo nell’introduzione alle dieci tesi del Congresso AIB di Viareggio del 1987 suona di grande attualità. Luca Ferrieri riscrive però la prima tesi: “Non c’è vera politica per le biblioteche, senza un’ipotesi culturale” diventa “Non c’è politica culturale senza un’ipotesi per le biblioteche”; un richiamo all’annosa questione della situazione delle biblioteche nel nostro paese, che resta un problema di natura culturale.
Innanzitutto, secondo Ferrieri “c’è il modo di concepire il lavoro della biblioteca, lontano da ogni sfumatura burocratica, da ogni spirito di corpo, sempre teso a far riflettere su quello che si fa, a collegare teoria e pratica, studio e lavoro, biblioteca e società, lettura e politica”; quanto di più lontano da quel concetto di neutralità, che la comunità bibliotecaria richiama spesso come punto di forza del ruolo della biblioteca, semplificandone complessità e significato.
Ho letto il libro durante il lockdown apprezzandone quella capacità di visione che sa andare oltre il tempo presente; Ferrieri parla soprattutto a noi, immersi oggi in un contesto che vede entrare in crisi tutti i sistemi, culturali, economici, sanitari e sociali.
Voglio soffermarmi su un passaggio che per me è fra i più significativi del libro. Nel capitolo Dilemmi e conflitti, Ferrieri propone un ragionamento intorno al rapporto fra eguaglianza ed equità. Al centro della vita della biblioteca, e ancora di più oggi, vi è il concetto di equità che contiene “un principio attivo di rimozione degli ostacoli che impediscono l’attuazione di un diritto”; è l’etica di don Lorenzo Milani, ma anche quella della Costituzione repubblicana applicata alla biblioteca, secondo cui non c’è nulla di più ingiusto che fare parti eguali fra diseguali. È la biblioteca di ognuno e non genericamente quella di tutti, quella che Luca Ferrieri propone. Non si tratta di sovvertire il concetto della biblioteca di tutti, ma di coglierne la natura pubblica più profonda sottraendola a facili generalizzazioni. Certo è un orizzonte di lavoro che va oltre la concretezza di alcune inevitabili mediazioni, ma è nello spirito del “come se” che diventa la leva giusta per produrre cambiamenti.
L’indice del volume disegna un percorso di ragionamento ricco di richiami, letture e sollecitazioni, dal primo capitolo dedicato al Crollo della Biblioteca centrale, che affronta appunto il tema dell’inevitabile e necessario superamento dei vincoli culturali del modello di Public library che si è consumato in questi anni, al capitolo dedicato alla censura – Contro la ce(n)sura tra libertario e sociale –, che affronta anche il tema della selezione dei documenti delle biblioteche ponendo l’accento sulla valenza positiva del termine selezione ancorato a “pratiche professionali che si basano su regole e criteri precisi, che possono o non possono essere una garanzia di qualità e di buon funzionamento del servizio”. Insomma, il percorso disegnato nel libro esprime una sua coerenza e tocca, con un crescendo di intensità e pregnanza, tutti i temi cari all’autore: la politica della lettura, le biblioteche come luoghi terzi e la biblioteconomia sociale, di cui sottolinea lo scopo di mettere al centro le persone e di promuovere politiche di welfare da parte delle biblioteche. Con lo stile che amiamo, denso ed evocativo che esplorando un sentiero ne apre e dissoda degli altri, il tracciato dell’argomentazione resta sempre coerente e mai pacifico e conciliante, anzi caratterizzato dalla volontà di evidenziare le contraddizioni del ragionamento, approfondendone le sfumature per restituirne le complessità.
Anche l’essere open della biblioteca, filo conduttore del ragionamento di Ferrieri, in un’epoca di emergenza sanitaria suona quasi come una provocazione, ma leggendo il libro diventa invece un nuovo orizzonte. Open vuol dire apertura a tutti i pubblici, ma anche capacità di vivere “nella tempesta”. La tempesta è una condizione di esistenza naturale per le biblioteche, “la cui storia è inquieta per definizione” “L’open library è la biblioteca che apre le sue porte alla tempesta proprio perché possiede gli anticorpi di navigazione”, non tanto e non solo quella prodotta dalla pervasività del digitale, ma dalla crisi del modello stesso di public library.
Nell’articolo pubblicato su “AIB studi” dal titolo Contro l’attendismo bibliotecario. Quadri di un’esposizione Luca Ferrieri confessa come amici e colleghi che avevano letto il libro durante il lockdown avessero colto nel testo una sorta di “presentimento del virus che di lì a poco avrebbe messo in ginocchio il mondo” e, fugando ogni forma di fede in una ingenua capacità di premonizione, ci rammenta come di fatto la crisi della biblioteca in realtà venga da lontano.
Era in realtà in fieri già prima del 9 marzo e aveva già investito proprio il modello stesso della public library, “idea ottocentesca per nascita, novecentesca per l’architrave ideologica”: per questo oggi stiamo vivendo “la frammentazione del modello, la crisi della modellistica stessa, la fine del progresso bibliotecario, la mutazione digitale, il fallimento dell’egualitarismo astratto e formale, quell’impasto di fabianesimo e fabiettismo che aveva infettato l’ideologia purista della public library, il risultato contraddittorio delle politiche di alfabetizzazione, l’esplosione di mille literacy”. Insomma, la pandemia ha solo accelerato una generale presa di coscienza della necessità di dover lavorare per favorire un cambio di paradigma nelle biblioteche.
Sempre nell’intervento su “AIB studi”, naturale sviluppo del discorso iniziato con il libro La biblioteca che verrà, Ferrieri mette in evidenza tutti gli aspetti positivi emersi in questi mesi: l’accelerazione digitale; la conversione dei palinsesti in versione remotizzata e online; le videoletture, ma anche la diversificazione dei pubblici e dell’offerta; l’idea di una biblioteca del fare e dei maker; come anche l’omogeneità delle risposte date da biblioteche di diversa tipologia, oggi più che mai riunite in una visione che risulta essere naturalmente più coesa.
Grazie alla lettura di questo libro, abbiamo la certezza che questo sia il tempo per ripensare le biblioteche, una sorta di grado zero, che richiede ai bibliotecari l’umiltà di farsi nuove domande per trovare risposte più efficaci, cambiando innanzitutto il punto di vista sui pubblici. Per questo stare dalla parte dei lettori, in questo momento, vuol dire imparare a interpretare i nuovi bisogni, utilizzando metodi nuovi di analisi e ricerca, iniziando a misurare l’impatto delle biblioteche per proporre una nuova narrazione e dare nuovi significati alla loro azione, che resta sempre radicata nella contemporaneità.
Per questo motivo per Luca Ferrieri i bibliotecari sono importanti, ma le biblioteche lo sono di più; ragione e fondamento che giustifica la professione. Leggere oggi La biblioteca che verrà spinge a progettare, nella consapevolezza che quel che verrà dipenderà da noi, da quello che faremo nel qui e ora, da quello che gli utenti fidelizzati oggi si aspettano da noi, come da quello che potremo fare per gli utenti che non ci conoscono ancora. Il libro di Luca Ferrieri si propone più come un vademecum che come un trattato; una bussola per il mare in tempesta che stiamo attraversando, una guida coerente e densa, utile e insidiosa.
La ricchezza di riferimenti bibliografici ci restituisce l’intensità del lavoro di ricerca che Luca Ferrieri ha svolto anche per questa pubblicazione, coniugando ricerca, riflessione biblioteconomica e militanza con sapienza e passione. Per questo motivo il volume assume un valore particolare proprio in questo momento. È del tutto irrilevante il fatto che sia stato scritto prima del 9 marzo; anzi direi di più che questo ne mette in evidenza la capacità di parlare ai bibliotecari e ai lettori del nostro tempo, con grande lucidità e una rara capacità di visione.
Si tratta di un libro personale, ma proprio questa è la sua forza, che attinge al connubio inscindibile di pratica e teoria, per citare il titolo di un libro di Carlo Revelli pubblicato da Editrice Bibliografica in occasione dei suoi ottant’anni, La biblioteca come teoria e come pratica (2006). Luca Ferrieri è un maestro in questa capacità di leggere la propria esperienza dandogli un senso che possa offrire percorsi possibili alle biblioteche e ai bibliotecari, sapendo parlare a tutti, al mondo della professione come a quello accademico, con una profondità che è tanto lontana da ogni facile slogan quanto vicina a un modo di procedere nel ragionamento che ponendo un tema lo sa leggere in positivo e in negativo, offrendo in questo modo una visione sulle cose che non è mai riconciliante, quanto piuttosto sempre fluida.
Certamente è un libro, come scrive Alberto Salarelli che fa emergere “la sensazione che nulla si sia voluto lasciare da parte, ma che tutto possa essere compreso in questo discorso di ampio respiro sul senso di una istituzione, di una professione, di una disciplina. Del resto, l’ambizione di poter dominare la vertigine della totalità è insita nel codice genetico delle discipline bibliografiche; tuttavia, oggi come oggi, in una fase storica caratterizzata dai repentini mutamenti che tutti conosciamo, ci vuole un bel coraggio nel proporre una visione d’insieme”. Personalmente leggo queste righe come espressione dell’intenzione di legare pratica e teoria, non tanto quindi nel senso di voler dominare la totalità, quanto piuttosto come un inevitabile bisogno di leggere la biblioteca come un insieme di significati e relazioni che si reggono fra loro, come un sistema, ma che resta sempre aperto; per chi lavora nelle biblioteche è un processo inevitabile. Anche questo rappresenta di nuovo un punto di forza del libro, che intende mettere in relazione la ricerca di in senso sempre a partire da ciò che si fa. Anche per questo Ferrieri quando scrive resta sempre dalla parte delle biblioteche. Non ci dice cosa fare, ma come ripensare l’agire della biblioteca, lasciandoci liberi di trovare strade nuove e diverse.
Per tutte queste ragioni è per me un libro fondamentale, destinato a durare nel tempo, per costruire il presente e il futuro delle biblioteche nel nostro paese.