Oltre il libro. Forme di testualità e digital humanities
Dipartimento di Studi storici, Università di Torino, maurizio.vivarelli@unito.it
Abstract
Recensione di Maurizio Vivarelli al libro di Federico Meschini, Oltre il libro. Forme di testualità e digital humanities, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, 304 p.
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L’obiettivo principale di questo li - bro di Federico Meschini è quello, come viene preannunciato nella Prefazione, di “individuare e analizzare […] alcune tra le forme più significative assunte dalla testualità […] nel passaggio dal libro al computer, prediligendo tutte quel - le pratiche e scenari centrali nelle digital humanities, in quanto applicazione dei modelli e delle tecnologie computazionali al patrimonio culturale” (p. 9). Successivamente, nell’Introduzione, dopo un ardimentoso parallelismo tra Ranganathan e Wittgenstein, l’autore mostra l’intenzione di voler declinare l’argomento tenendo conto delle sue relazioni con la cultura biblioteconomica, richiamata attraverso la figura testimoniale di uno dei suoi più celebri padri fondatori, approdando dunque alla individuazione del campo dei “sistemi di biblioteca digitale”, da differenziare rispetto alle caratteristiche fondative delle edizioni digitali elaborate nell’ambito delle digital humanities (p. 11-12), con la convinzione che sia possibile trovare una “collocazione fisiologica” di quelle attività nell’ambiente organizzativo della biblioteca e nelle culture discipli - nari specifiche ad esso correlate.
Il primo capitolo (Il libro e il Web. La rete come ambiente informativo), si apre riconducendo il libro della tradizione gutenberghiana e il web alle polarità riscontrabili tra ordine apollineo e disordine dionisiaco, riconosciute tuttavia come parziali e schematiche; e proprio qui si situa uno dei più interessanti scarti epistemologici, che individua nella cultura bibliografica, di cui viene intravisto il possibile e auspicabile ruolo di ambiente di elaborazione critica, proiettato lungo l’asse indefinito della lunga durata. In questo capitolo, inoltre, viene posto e discusso il grande tema della complessità, in cui si individua un elemento che, in filigrana, attraversa l’opera nella sua dimensione complessiva. Il secondo capitolo (La tecnologia del testo. L’edizione critica tra libri elettronici, archivi e biblioteche digitali) si confronta con il tema specifico del - le edizioni critiche digitali, cercando di capire se il livello di “confusione” a esse riferito con il passare del tempo si sia ridotto, oppure se al contrario sia aumentato, richiamando, tra le molte altre, le opinioni di studiosi come Susan Hockey, Patrick Sahle, Edward Vanhoutte. Meschini, in questa parte del libro, discute in particolare l’esigenza di differenziare chiaramente tra prodotto e processo, e dunque tra ambiente digitale, testo digitale, e strumenti utilizzati per realizzarlo; attività ed elementi che, tra di loro evidentemente collegati, entrano a far parte dell’ipertesto globale in cui l’insieme dei contenuti è immerso, in un intreccio labirintico di linguaggi, di programmazione e di marcatura, di dati, di protocolli di rete “in cui – come l’autore deve ammettere – districarsi spesso non è semplice neppure per gli specialisti del settore” (p. 111).
Il terzo capitolo (Tipografia computazionale. Pubblicare un’edizione critica digitale) discute in particolare il concetto di “modello” dell’edizione, mostrando le problematiche della rappresentazione della struttura prima in ambiente XML e poi nella configurazione della struttura dell’interfaccia, che diviene il punto di approdo, instabile e continuamente ricontestualizzato, dei dati e delle istruzioni a essa soggiacenti. Meschini sottolinea convintamente la “necessità di un modello” (p. 153 e ss.), e in questo senso viene efficacemente richiamato il dibattito riguardante la struttura gerarchica di XML e le caratteristiche strutturali di TEI - Text Encoding Initiative.
Il quarto capitolo (Dal documento all’ontologia. L’edizione elettronica del Nachlaß di Ludwig Wittgenstein) consiste sostanzialmente in una descrizione, analitica e molto attenta, dell’edizione critica digitale dei manoscritti di Ludwig Wittgenstein, consistenti in circa 20.000 pagine di unità documentarie, con moltissimi interventi di revisione che testimoniano il laboriosissimo processo di costituzione del testo, che evidentemente, trattandosi di Wittgenstein, “non [era] strettamente legato alla linearità della pagina” (p. 177).
Il quinto e conclusivo capitolo (Digital scholarship. Nuove forme e modelli della comunicazione scientifica), a partire da una sommaria valutazione etimologica del termine “scholarship” ne propone le molteplici e polisemiche definizioni, con riferimento particolare a quella proposta da Abby Smith Rumsey, che si caratterizza fortemente per pensare il digitale non solo nella sua dimensione tecnologica ma anche e soprattutto in quella epistemologica e metodologica. In questo senso, e proprio in conclusione dell’opera, Meschini sostiene che la digital scholarship, proprio per esser costituita, inscindibilmente, da elementi tecnologici, contenutistici e comunicativi possa essere interpretata come “un luogo d’incontro privilegiato e strategico nell’intero panorama scientifico e conoscitivo” (p. 263).
Questo volume di Federico Meschini propone una serie di interessanti considerazioni su un argomento di rilevante complessità: la riconfigurazione (o ri-mediazione) del concetto di “libro” e di “edizione” in ambiente digitale, rispetto al quale esiste una letteratura di riferimento non solo estremamente rilevante sul piano quantitativo (abbondantemente richiamata nella ampia bibliografia finale), ma anche molto diversificata e radicata nei canoni, argomentativi e retorici, delle specifiche tradizioni disciplinari, cui va necessariamente aggiunto il campo, a sua volta estremamente fluido e dinamico, delle digital humanities e della filologia digitale.
L’opera, sotto il profilo della sua genealogia concettuale, è correlata in particolare ad un nucleo di riferimenti e di esperienze di lettura chiaramente individuabili, modulati sulle opere di Roberto Casati, Gino Roncaglia, Peter Shillingsburg. L’autore, tuttavia, sia sotto il profilo bibliografico che metodologico, mette in evidenza una adeguata conoscenza degli ambiti transdisciplinari e transmediali entro i quali le argomentazioni elaborate e sviluppate si situano, che va dalla filologia alla logica, dalla epistemologia all’ontologia, dalla computer science alla teoria della letteratura, dalle scienze della comunicazione alla cultura bibliografica, dai cultural studies alle digital humanities; e, infine, mostra una approfondita capacità di analisi di numerose esperienze progettuali in corso, che consentono di esemplificare approfonditamente la questioni di volta in volta trattate. Tuttavia, in questa rete autenticamente rizomatica, si continua a non perdere di vista l’obiettivo della ricerca, che è quello di comprendere, o almeno comprendere meglio, la struttura, l’ordine, la forma del testo e del libro, riconfigurati in ambiente digitale, oscillanti tra le costrizioni del data base e la fluidità dello storytelling ipertestuale.
La soluzione, in senso metaforico omeopatica, suggerita da Meschini per non smarrirsi nelle moltissime forme della complessità (non solo testuale) contemporanea consiste dunque in primo luogo nell’immergersi in essa, condizione iniziale per riconoscerla, prenderne atto, e riuscire ad individuare nei diversi ambienti digitali realizzati e prodotti la modulazione e la pesatura degli elementi che ne entrano a far parte. Elementi che, come l’autore mette bene in evidenza, tutti fanno parte dello smisurato ipertesto del web, tenuti insieme, e auspicabilmente armonizzati, dalla interwingularity reimmaginata da Ted Nelson negli anni Sessanta del secolo scorso.
La mia impressione, finale e di sintesi, è che questo volume rappresenti una elaborazione importante e significativa del percorso dell’autore, che ormai da molti anni si confronta con la complessità di questi argomenti, e applica una lucida intelligenza alla analisi della inesauribile fluidità dei testi distribuiti nella rete planetaria del web. Un altro aspetto degno di nota è la volontà, in diversi punti dichiarata, di allargare ulteriormente la prospettiva della ricerca, ricercando le tracce e le forme del libro oltreché nei territori delle digital humanities anche nella tradizione storica ed epistemologica della cultura bibliografica. Una prospettiva coraggiosa, con il suo moto tendenzialmente retrogrado, che dall’“oltre” enunciato nel titolo comprende la necessità di approfondire le molte questioni che stanno prima della testualità digitale, e che riguardano in fondo le relazioni sia tra le culture digitali e le culture documentarie sia, con uno sguardo ancora più ampio, le metamorfosi della cultura umanistica in ambiente digitale. Intersezioni, queste, in cui i molti significati del termine e del concetto di “libro” trovano i propri più adeguati e pertinenti contesti.