Il privilegio della parola scritta. Gestione, conservazione e valorizzazione di carte e libri di persona
Sapienza Università di Roma, gianfranco.crupi@uniroma1.it
Abstract
Recensione di Gianfranco Crupi al libro curato da Giovanni Di Domenico e Fiammetta Saba, Il privilegio della parola scritta. Gestione, conservazione e valorizzazione di carte e libri di persona, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2020, 514 p.
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“Carte e libri di persona”: questa è la formula usata con intelligente cautela da Giovanni Di Domenico e Fiammetta Sabba per indicare l’oggetto (i fondi documentari personali) del convegno internazionale Il privilegio della parola scritta (Fisciano, 10-12 aprile 2019) e dei relativi atti, di cui sono stati i curatori scientifici. Una cautela giustificata dalla varietà di etichette e tassonomie, proposte a partire soprattutto dagli anni Novanta dello scorso secolo quando ha preso corpo in modo più deciso l’interesse scientifico e professionale per biblioteche e archivi di persona. La ricchezza delle connotazioni semantiche, su cui è stata richiamata l’attenzione da molti relatori al convegno, si spiega con la natura ibrida di queste speciali raccolte, composte da risorse e supporti di diversa natura: biblioteche e archivi innanzitutto, e poi carte, oggetti e documenti bibliografici di differenti tipologie (anche non librarie), contenenti a loro volta elementi mobili del paratesto, inserti, testimonianze di provenienza e altri marks in books, come le tracce di lettura e di possesso (Andrea De Pasquale, Digitalizzare la letteratura italiana del Novecento: i progetti della Biblioteca nazionale centrale di Roma per le biblioteche e gli archivi d’autore). La complessità dei fondi personali, trasversale rispetto alle discipline archivistiche, biblioteconomiche e museali, è tale da identificarli piuttosto come “complessi documentali” che riflettono le composite esperienze di vita (intellettuale, personale e di relazione) dei loro produttori, anche quando a seguito di scomposizioni, mutilazioni, operazioni di scarto (più o meno volontarie) o altri sventurati eventi, essi finiscono per divenire incompleti. Ciò nondimeno, anche in questi casi, essi non perdono quell’aura identitaria – verrebbe da dire – che qualifica in via esclusiva la natura di ogni corpus, sebbene non si possa dare per scontato in linea di principio il grado di fedeltà con il quale un archivio personale riflette la figura del suo produttore (Annantonia Martorano, L’archivio di Anna Banti: assenze e presenze documentarie). Questo carattere di singolarità è stato ampiamente documentato nel volume (e prima ancora nel convegno) dai numerosi contributi, che offrono una variegata e ragionata rassegna di studi su archivi e biblioteche, pubbliche e private, di donne e uomini variamente impegnati nella letteratura, nell’arte, nella vita politica e sociale. L’elenco delle studiose e degli studiosi, così nutrito da non consentire un dettagliato resoconto dei loro interventi, rispecchia la molteplicità degli interessi culturali e degli approcci scientifici e metodologici messi in campo: Elisabetta Angrisano, Anna Bilotta, Maria Senatore Polisetti, Loredana Chines, Concetta Damiani, Alessia Ricci, Laura Di Nicola, Pasquale Iaccio, Simona Inserra, Francesca Mambelli, Annantonia Martorano, Federica Rossi, Alina Wenzlawski, Vincenzo Trombetta, Loretta De Franceschi, Rosa Parlavecchia, Daniele Gambarara, Giuseppe Cosenza, Diana Rüesch. E tuttavia in questa ecletticità è possibile rinvenire una comune consapevolezza critica circa l’esigenza di elaborare e predisporre strumenti concettuali, in grado di rappresentare sul piano descrittivo la natura composita dei complessi documentali, in quanto strutture di conservazione e archiviazione delle memorie documentarie personali. Come ha efficacemente affermato Giovanni Di Domenico nel suo saggio introduttivo: “La letteratura archivistica e biblioteconomica ha consegnato a molte sue pagine la difesa del principio di integrità e unitarietà dei fondi personali e la necessità sia di ricostruire in sede descrittiva e catalografica i legami fra i documenti, anche se dispersi, sia di mantenere, nei limiti del possibile, il loro ordinamento originario o di salvarne almeno la testimonianza, che è testimonianza di un ambiente e di una personalità” (Giovanni Di Domenico, Le ragioni di un nuovo convegno su archivi e biblioteche personali). Una più attenta sensibilità rivolta alle tracce, anche le più minute, lasciate dal produttore del fondo personale, consiglia oggi di non tralasciare nella descrizione tutti quegli elementi che contribuiscono a delinearne la storia intellettuale e personale e, di conseguenza, a trattare tutte le parti costitutive del fondo nella loro univocità: dediche d’esemplare, che testimoniano la rete di rapporti personali, tracce di possesso e di lettura, ma anche inserti, finiti più o meno occasionalmente tra le carte e tra le pagine dei libri e che “contribuiscono in modo significativo allo studio del suo possessore, della sua attività, delle sue pratiche di lavoro e di lettura, della sua biografia, della storia della stratificazione e formazione della sua raccolta libraria” (Eleonora Cardinale, Le carte ritrovate: sugli inserti della biblioteca d’autore). Concetto, questo, ripreso anche da Anna Manfron che, nel suo intervento, ha richiamato con giusta enfasi al rispetto dell’unitarietà e dell’integrità dei fondi personali e alla cura nella restituzione del loro assetto originario, basato “sull’individuazione e il ripristino dei nessi che legano fra loro i documenti” e “sullo studio dell’autore e del contesto che hanno dato origine alla raccolta” (Anna Manfron, Fondi personali in biblioteca, il caso della Biblioteca dell’Archiginnasio). Il che significa, detto altrimenti, che il loro trattamento richiede attitudine filologica, oltre che una pluralità di competenze scientifiche e professionali, tanto da aver fatto ipotizzare a Lorenzo Baldacchini, di cui si riprende qui una sua intelligente e antica suggestione, la necessità di un’edizione critica delle raccolte. “Il fondo librario stesso, nel suo insieme, ha valenza di contesto rispetto alle singole unità bibliografiche e deve quindi trovare attenzione e opportune modalità descrittive e di trattamento, perché spiega le interrelazioni fra le unità che la compongono” (A. Manfron). Purtuttavia con la consapevolezza che il concetto di integrità originaria di una raccolta, come in filologia quello di testo definitivo, “appartiene unicamente alla religione o alla stanchezza” (Jorge Luis Borges). Come ha acutamente evidenziato Maria Guercio, “negli archivi personali, l’ordine originario, o meglio gli ordini originari presentano un alto grado di ‘imprecisione’ e lasciano al professionista ampi margini di interpretazione”. Infatti, al di là delle evidenze oggettive, è solo in via congetturale che è possibile ricreare il sistema di organizzazione di una memoria personale, come per congettura sono ricostruibili assenze e lacune documentarie, a meno che (caso più unico che raro) non ci si sia stata a monte la volontà di consegnare in forma congelata l’architettura logica di quel sistema o un suo simulacro. Basti pensare alla cassapanca in cui Goliarda Sapienza conservava carte e memorie sue personali e della famiglia (Simona Inserra, Le certezze del dubbio: riflessioni sulla raccolta di Goliarda Sapienza (1924-1996)): luogo ad alto valore simbolico, un po’ come la famosa “arca” in cui lo scrittore Fernando Pessoa aveva racchiuso e conservato le sue carte e i suoi manoscritti. È dunque “la forza del contesto”, come direbbe Andrea Carandini, a definire il vincolo archivistico interno, in cui ogni punto del sistema entra in rapporto con altri punti, “intrecciando saperi attraverso catene di citazioni che vanno a disegnare costellazioni, genealogie” semantiche (Laura Di Nicola, «Una biblioteca mia non riesco mai a tenerla assieme»: gli scaffali reali e ideali di Italo Calvino). Un po’ come avviene nella famosa biblioteca di Aby Warburg, in cui la disposizione dei libri obbedisce a un criterio associativo e tematico, spesso basato sul principio del “buon vicinato”.
Da più parti, nel corso del convegno, si è insistito sul carattere speciale dei fondi personali che richiedono metodologie descrittive e catalografiche fortemente integrate, in grado di rappresentare il vincolo interno che lega le sedimentazioni documentarie e di rendere esplicite le relazioni di contesto tra le parti e le loro diverse stratificazioni. Preoccupazioni e raccomandazioni, queste, al centro delle Linee guida sul trattamento dei fondi personali, elaborate dalla Commissione nazionale biblioteche speciali, archivi e biblioteche d’autore dell’AIB, presentate da Francesca Ghersetti che ne ha coordinato i lavori e che sono state al centro della tavola rotonda che ha chiuso il convegno e che ha visto protagonisti Alberto Petrucciani, Andrea Giorgi, Maria Guercio, Rosa Marisa Borraccini e Rosa Maiello. Altrettanto forte è stata la sollecitazione all’acquisizione e alla condivisione di una “visione unitaria e organica” e a “sviluppare il dialogo e il confronto d’esperienze, fra tradizioni diverse per origine, come sono la catalogazione di fondi antichi e quella di biblioteche d’autore, per lo più dell’età contemporanea” (Alberto Petrucciani). La varietà delle tipologie dei fondi personali, esemplificate nel racconto di alcune specifiche esperienze (Isabelle Aristide-Hastir, Alessandra Boccone, Remo Rivelli, Francesca Capetta), apre nuove prospettive nei progetti di valorizzazione, anche nell’ottica della Terza missione e del superamento delle tradizionali modalità di fruizione (Fiammetta Sabba, Lucia Sardo, I fondi personali e la Terza missione. Proposta di buone pratiche). Esemplare in tal senso il fortunato esperimento della Biblioteca nazionale centrale di Roma, che ha trasformato i fondi personali di autori della letteratura italiana contemporanea in uno spazio museale, al cui interno sono ricostruiti alcuni ambienti della loro vita e posizionati gli oggetti originali a essi appartenuti. Lo spazio espositivo diventa così tutt’uno con l’archivio e la biblioteca degli autori di cui si è provveduto a digitalizzare le carte e a renderle disponibili “con fini didattici e di promozione della letteratura e di educazione al patrimonio bibliografico e documentario” (A. De Pasquale). Altrettanto promettenti sono le prospettive offerte dal digitale a diversi livelli di applicazione, anche se esso “pone […] nuovi e complessi problemi, da un lato per ciò che tocca la sfera dei diritti e dei dati sensibili, dall’altro per la conservazione e l’archiviazione di lungo periodo delle memorie documentarie personali” (G. Di Domenico). E tuttavia è indubbio che le infrastrutture digitali per la descrizione, conservazione e fruizione dei contenuti comportino la pratica di originali modelli gestionali e richiedano strumenti descrittivi più raffinati e sensibili nel rappresentare la dinamica delle relazioni semantiche tra le risorse: cataloghi multilivello, ad esempio, come quelli illustrati da Klaus Kempf relativi al progetto di Digitalizzazione degli archivi personali nella Biblioteca di Stato bavarese (Bayerische Staatsbibliothek), ma anche ricomposizioni virtuali dell’unità della biblioteca e dell’archivio d’autore e delle intertestualità oggettuali e concettuali tra documenti. Opportunità, dunque, ma anche minacce se i processi non vengono correttamente governati, soprattutto per quel che riguarda la fragilità delle memorie personali born-digital e la loro conservazione (Stefano Allegrezza, Biblioteche e archivi personali in ambiente digitale: le sfide che si profilano all’orizzonte). Da ultimo, un richiamo etico sollevato acutamente da Maria José Rucio Zamorano (La visibilidad de lo intimo: la colección de archivos personales de la Biblioteca nacional de España): quando un intero fondo perviene a un archivio o a una biblioteca, senza che il suo autore o i suoi eredi abbiano provveduto a una selezione preventiva dei materiali, qual è il criterio distintivo che dovrebbe consigliare o sconsigliare la pubblicità di materiali che hanno a che fare con la sfera intima degli individui? “Nadie tiene derecho a asomarse a la intimidad de una persona por muy pública que ésta fuera y mucha curiosidad que suscite su vida” (Javier Marías): una sfida dunque alla dimensione etica dell’indagine storica, che coinvolge inevitabilmente l’attività di archivisti e bibliotecari chiamati a descrivere “carte e libri di persona” che appartengono alla vita degli altri.