N.1 2022 - Biblioteche oggi | Gennaio- febbraio 2022

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Dei terrazzi sgangherati e di altre malinconiche riflessioni

Claudia Bocciardi

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C’è un meme – probabilmente molti di voi l’avranno visto - che gira sulle chat di WhatsApp che rende così bene l’idea. Un’immagine che, pur essendo probabilmente un’evidente bufala, rappresenta, meglio di cento parole, lo stato d’animo che oggi mi pervade: un balcone sgangherato, sfasciato, divelto dal suo alloggiamento, sul quale compare, sghemba, l’ormai famosa scritta “andrà tutto bene”. Qualcuno ha definito questo slogan “un’illusione collettiva implicita che ha cercato di fronteggiare l’evento” ma che “ha rivelato tutta la sua infondatezza”.

Né stento a credere che un po’ tutti, in questi mesi invernali post-feste natalizie, ci sentiamo proprio come quel balcone.

Così, lasciate da parte le retoriche sorridenti e speranzose, l’esortazione è a sentirci liberi di lasciarci andare a un pizzico di stanchezza e di sconforto, senza per questo abdicare al nostro ruolo. Perché c’è della stanchezza, inutile negarlo: c’è.

Si respira nell’aria asfittica di certi pomeriggi silenziosi, nei quali, nelle nostre sale, le persone studiano assorte, solennemente imbavagliate nelle loro mascherine. Si percepisce nell’assenza di quel sano vocìo dei bambini che compaiono ora di rado, e che sono come perle, rari e preziosi, accompagnati dai genitori frettolosi; si avverte nei gesti sbrigativi dei cittadini che entrano e mostrano rassegnati la loro certificazione verde, prendono qualche libro a prestito ed escono quasi subito, senza scambiare le solite chiacchiere che un tempo facevano perdere la pazienza a tutto il front-office. Che nostalgia di quelle code ciarliere, eh? Di quei consigli di lettura dispensati così, su due piedi, anche in via confidenziale. Quanto mancano quei bisticci mattutini tra vecchi pensionati a disputarsi i quotidiani in sala riviste!

Eppure – ironia della sorte – i nostri espositori e gli scaffali non sono mai stati tanto pieni di meraviglie. Tutti i benedetti soldi del MIC occhieggiano in forma di dorsi e copertine, colorati e freschi. Mai stati così in pari con le classifiche di vendita, persino gli scaffali Dewey più obsoleti sono stati aggiornati con sorridente rigore e attendono, mogi, che qualcuno s’accorga del loro valore.

Ma chi leggerà, chi studierà tutto questo bendidio? Riusciremo a promuoverlo come dovremmo? Un ossimoro evidente: più libri, meno lettori. Eppure i dati statistici ci confortano, – ce lo siamo detti in tutte le salse – abbiamo dimostrato che le nostre biblioteche hanno retto lo scossone di questo malefico “cigno nero”. Siamo stati bravi a gestire il rapporto con le nostre comunità, anche quando eravamo chiusi del tutto. E allora? Cos’è questo spleen che ci avvelena l’anima? Questa accidia, questo malessere che ora ci prende? Probabilmente è l’effetto naturale di quando un evento imprevisto e catastrofico, dapprima affrontato di petto, nella rosea sicurezza che presto finirà, va oltre tutte le nostre aspettative, permane con i suoi velenosi effetti, perdura e non lascia intravedere in lontananza una via d’uscita.

Ogni giorno di questi mesi si è mangiato un pezzetto delle nostre salde certezze e proietta un’ombra sulle nostre giornate lavorative. Mandiamola al diavolo, per un momento, la santa resilienza! La compattezza, quasi senza tempo, delle nostre raccolte fisiche e digitali, proprio come Madre Natura, ci sfida a gestire l’ignoto. Ed è come se l’alea naturale che inconsapevolmente ospitiamo nelle nostre vite ci si parasse dinanzi, in maniera netta, precisa, evidente. 

Non resta che cercare nuove vie per aggiustarlo, quel balcone, rimetterlo in sesto, fare in modo che torni al suo posto e, per scaramanzia, cambiare la scritta: “Potrebbe andare meglio”.