N.3 2021 - Biblioteche oggi | Aprile 2021

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Web-scale discovery services. Principi, applicazioni e ipotesi di sviluppo

Antonella Iacono

Abstract

Recensione di Antonella Iacono al libro di Roberto Raieli, Web-scale discovery services. Principi, applicazioni e ipotesi di sviluppo, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2020, 289 p.

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L’analisi dello sviluppo dei sistemi di recupero delle informazioni non può prescindere da un’analisi del contesto e dello spazio nel quale la biblioteca esplica la sua mission, lo spazio dell’informazione e della conoscenza e dal presupposto che dal suo evolversi deriva un necessario mutamento degli strumenti di accesso, selezione, organizzazione della conoscenza attraverso i quali la biblioteca opera per promuovere il progresso culturale, l’apprendimento e la conoscenza.
Nella consapevolezza che l’ampliamento dello spazio della ricerca e della scoperta non è più confinato al solo universo documentario, ma esteso alla scoperta di “risorse” potenzialmente infinite e necessita di strumenti in grado di mediare con autorevolezza l’accesso a una molteplicità di fonti informative, è necessario che sia il bibliotecario sia l’utente siano in grado di comprendere le peculiarità dei diversi sistemi di ricerca disponibili.
Il volume esplora il tema dell’evoluzione di un particolare strumento, il discovery tool o Web scale discovery service (d’ora in poi WSDS), ormai diffusamente in uso in gran parte delle istituzioni accademiche, e lo declina sia in rapporto al ruolo dei tradizionali OPAC bibliotecari sia alla luce delle recenti tecnologie del Web semantico e del Web dei dati. I WSDS – come è noto – sono servizi che rendono interrogabili simultaneamente i cataloghi, le banche dati, i repositories e gli archivi open access attraverso un unico punto di accesso; sono facili da utilizzare e consentono di recuperare una vasta quantità di risorse informative; danno la percezione di una ricerca bibliografica esaustiva e per questo motivo gli utenti li preferiscono ad altri sistemi di ricerca, ma allo stesso tempo sono strumenti complessi, che presentano ancora limitazioni e che rispondono a logiche di sviluppo non sempre “trasparenti”. Essi richiedono ai bibliotecari (ma anche agli utenti che devono utilizzarli) una conoscenza approfondita delle dinamiche interne del loro funzionamento e una certa consapevolezza dei loro limiti per poterne garantire un corretto uso in biblioteca e valutare il loro utilizzo e il loro posizionamento rispetto agli altri strumenti per la ricerca bibliografica, primi fra tutti i tradizionali cataloghi.
Proprio dal confronto con i cataloghi prende avvio la prima parte della trattazione, in cui l’autore traccia efficacemente il quadro di rinnovamento che ha interessato gli OPAC bibliotecari nell’ultimo decennio e individua nello strumento del WSDS l’elemento su cui può fondarsi una valida argomentazione teorica tesa a far chiarezza sulle potenzialità del loro uso, tenendo conto che – avverte l’autore – essi operano e agiscono sempre entro un “docuverso”, cioè all’interno dello spazio bibliografico predisposto e mediato dalla biblioteca. Pertanto, i WSDS dovrebbero garantire prima di tutto coerenza e affidabilità.
Lo sguardo si rivolge al rapporto – ancora oggi talvolta conflittuale – con gli OPAC tradizionali e di nuova generazione (i cosiddetti Next generation OPAC) sviluppatisi in contemporanea con l’apparire dei primi WSDS. Il discovery tool è infatti oggi accolto acriticamente dagli utenti che lo preferiscono agli OPAC per immediatezza e semplicità d’uso, tuttavia, fin dalla sua comparsa sul mercato, il mondo bibliotecario ne ha saputo apprezzare le potenzialità e allo stesso tempo rilevare i difetti. L’intenso dibattito che vide protagonisti autorevoli esponenti della professione – sintetizzato nel capitolo – si concentrò sul rapporto con gli OPAC e con la biblioteca tout court: un rapporto controverso e non ancora del tutto pacifico, nel quale ai facili entusiasmi si è accompagnata una certa prudenza nella consapevolezza che i discovery potrebbero semmai configurarsi come strumenti “generali” di “scoperta”, senza sacrificare il catalogo o la biblioteca stessa alla logica dell’information discovery.
Il grande impulso che i WSDS hanno dato allo sviluppo degli OPAC è senz’altro la presa di coscienza che gli OPAC mancavano di funzionalità user friendly. Pertanto, furono sottoposti a una quantità di miglioramenti, finalizzati a migliorare l’esperienza utente in più direzioni, assumendo ora la forma degli OPAC arricchiti, dei next generation catalogs, ora quella degli “opac sociali”, che di fatto oggi li rendono più amichevoli e usabili. Tuttavia, i WSDS si sono imposti sul mercato soprattutto grazie alla tecnologia web-scale mutuata dai principali motori di ricerca generalisti, colmando un gap che i cataloghi tradizionali presentavano in quanto a funzionalità di ricerca e scoperta dell’informazione. Su questa questione si aprono varie discussioni riguardo la prospettiva che vede i discovery tool come possibile “punto unico” per realizzare un’efficace ricerca e il conseguente accesso a tutte le risorse gestite e mediate dalla biblioteca. Accanto ai punti di forza emergono anche le molte perplessità, anticipate da Riccardo Ridi già nell’utile introduzione al volume.
Nel capitolo successivo, prima di approdare a una ricca presentazione dei principali software oggi in commercio (EBSCO Discovery Service EDS, Primo, Summon, WorldCat Local) e delle loro funzionalità, si offre al lettore un’analisi approfondita delle principali caratteristiche dei WSDS prendendo le mosse dal celebre white paper di Marshall Breeding (2015), nel quale lo studioso statunitense analizza metodi e tecnologie per l’accesso alle risorse della conoscenza. Si prendono quindi in considerazione i WSDS quali strumenti inseriti nel consolidato ecosistema dell’editoria accademia e dei suoi servizi. Si analizzano le componenti fondamentali di un WSDS come l’interfaccia e le funzionalità avanzate di ricerca; l’indice centrale e la sua composizione in termini di contenuto e metadati (i quali – è sempre il caso di sottolinearlo – sono disponibili nei WSDS grazie a precisi accordi con gli editori in base a logiche di mercato non sempre così trasparenti per il bibliotecario); il funzionamento dell’indicizzazione fulltext e dei meccanismi di linking. Si affrontano poi diversi aspetti ancora problematici come l’integrazione nell’indice unico del discovery delle banche dati locali (il catalogo, i database di materiali descrittivi, di materiali archivistici e museali, le collezioni di biblioteche digitali, i repositories istituzionali e le collezioni speciali), i cui dati devono essere opportunamente reingegnerizzati per poter divenire recuperabili all’interno dell’indice unico del discovery, con probabile perdita in fase di harvesting di dettagli e proprietà e impoverimento dei metadati di partenza. Non meno importanti da conoscere sono le funzionalità di settaggio e controllo dei discovery a disposizione dei bibliotecari per personalizzare le loro funzionalità. Particolarmente rilevante – e non molto trattata in letteratura – è la questione dell’applicazione dei discovery alle biblioteche pubbliche nei confronti delle quali si rilevano altre problematiche applicative, come quelle relative all’implementazione e all’integrazione nelle piattaforme del servizio di prestito di ebook.
I WSDS trovano infine alcuni illustri concorrenti nelle piattaforme generaliste e gratuite come Google Scholar, Microsoft Academic e Wikidata, i quali forse servirebbero da spunto alla creazione di “open WSDS”, arricchiti cioè primariamente di risorse open access.
La trattazione dei sistemi di WSDS e delle loro funzionalità non manca di rilevare altre criticità da risolvere, quali la stretta interdipendenza tra discovery tool e ILS (Integrated library systems) che di fatto limita le possibilità di scelta delle biblioteche, come d’altro canto avviene già sul versante dell’interazione tra OPAC e ILS.
Vengono infine analizzati nel capitolo gli strumenti denominati Library service platforms (LSP), che sono oggi proposti in sostituzione degli ILS con integrati link resolvers ed ERMS per trattare e gestire il workflow delle collezioni digitali, mancando tuttavia di adeguati moduli di ricerca.
Nel terzo capitolo, Principi e Teorie, si analizza l’evoluzione futura di questi strumenti alla luce degli sviluppi del web rappresentati dal Web semantico e dai linked open data. Se il modello del discovery, in quanto dotato delle caratteristiche webscale, sembra dunque destinato a resistere nel tempo, questo dovrà adattarsi al mutamento dell’ecosistema generale dell’informazione, dando vita a nuovi e più aperti sistemi di ricerca basati sui linked data, accogliendo al loro interno una massa critica di dati aperti e collegati. Affinché questo processo evolutivo possa avverarsi, è però necessario un generale ripensamento non più delle sole interfacce, ma dei modi in cui i dati vengono creati e strutturati. Per rappresentare l’universo bibliografico – ma anche l’universo informativo collegato ai dati – occorrerà riconsiderare le metodologie della metadatazione nella direzione degli open bibliographic data, ossia strutture di dati descritte attraverso modelli applicativi che li rendano interoperabili e riutilizzabili, seguendo la direzione che nel versante bibliografico è rappresentata dall’elaborazione dei modelli descrittivi dei dati bibliografici RDA, BIBFRAME e IFLA LRM. Interoperabilità tecnologica e interoperabilità degli schemi descrittivi insieme sono indispensabili per far evolvere il Web of documents in un Web of data, mentre lo spazio del discovery collegato con il Web dei dati rimarrebbe un ambiente confinato e sicuro dal quale partire per orientarsi nella scoperta di un docuverso di risorse potenzialmente infinito. A tale riguardo, si analizzano i contributi teorici di Alberto Petrucciani, Fabio Metitieri e Maria Teresa Biagetti. In relazione all’ultimo degli articoli citati, emergono alcune importanti considerazioni sui sistemi di recupero dell’informazione: un discovery dovrà pur sempre ordinare i risultati delle ricerche per presentarli in maniera ordinata all’utente, così al posto dell’information retrieval in universo di dati bisognerà pensare a nuove e più evolute forme di recupero dell’informazione in grado di sostenere le necessità informative dell’utente.
Il relevance ranking allora si dovrà necessariamente evolvere verso nuove forme “trasparenti” e standardizzate, sostiene l’autore, ipotizzando un nuovo open relevance ranking algorithm, open source e costruito collaborativamente dalla comunità internazionale applicabile a database di diverso tipo.
Allo stesso tempo, con il passaggio dal “documento” alla “risorsa”, i concetti chiave di identità e valore del documento vanno rifondati dal punto di vista culturale. Riprendendo alcuni scritti di Paola Castellucci, Alberto Salarelli e Maurizio Vivarelli, Raieli sottolinea come vada precisato e riformulato il concetto stesso di “risorsa” dal punto di vista sia quantitativo (quale massa critica possa entrare a far parte di una risorsa) sia qualitativo (ridefinendo modi di produzione, validazione e valutazione e diffusione della risorsa), anche prevedendo le modalità per la conservazione nel tempo di risorse così suscettibili alla volatilità e alla dispersione. I linked open data come modalità di trattamento delle risorse informative con grandi potenzialità non risolvono ancora in modo efficace le problematiche della provenienza e dell’affidabilità dei dati.
Tutto da ripensare è, infine, lo spazio delle “collezioni” della biblioteca, inteso come luogo di azione confinato, attendibile e sicuro nel quale prendono forma le architetture informative dinamiche a servizio della comunità.
Information discovery e information literacy a favore della comunità di utenti sono dunque strettamente collegati, in quanto l’utilizzo di questi strumenti nelle biblioteche si dovrà necessariamente legare a una didattica rivolta agli utenti e collegata al tema più ampio della digital literacy.
In questo è indispensabile il ruolo di una rinnovata information literacy, e molto si deve investire sulle attività e i principi che la riguardano, nonché sul senso delle sue evoluzioni verso una più ampia digital literacy. Si tratta sempre di un’attività primaria, distintiva e qualificante della biblioteca, come metodo di educazione all’uso e alla valutazione di tutti gli strumenti di information retrieval e discovery, e soprattutto per l’educazione alla valutazione delle risorse da essi raggiunte, allo scopo di guidare le persone verso i vantaggi dei nuovi metodi e sistemi di ricerca e scoperta, nonché per educare al “pensiero critico” riguardo ai risultati ottenuti spesso con troppa facilità.
In definitiva, il volume offre al lettore uno studio senz’altro originale, sia dal punto di vista dell’argomento trattato (in quanto non si registrano nel nostro paese altre monografie interamente dedicate ai WSDS), sia da quello dell’aggiornamento e avanzamento della discussione rispetto al tema, in quanto la ricerca proposta è aggiornata agli sviluppi della teoria catalografica e si apre al confronto con le nuove tecnologie di rappresentazione dei dati. Di fatto si configura come una riflessione organica, molto attenta al dibattito internazionale e ai mutamenti in atto nello scenario internazionale. Merito del volume non è solo l’accurata analisi di un particolare strumento informativo – il discovery tool o WSDS – ma la proposta di efficaci spunti per un ripensamento complessivo dei termini in cui oggi si analizza la questione dello sviluppo degli strumenti di accesso, recupero e trattamento dell’informazione bibliografica, in quanto sarà sempre più determinante nella progettazione di sistemi di ricerca e scoperta delle risorse la capacità di conciliare l’approccio culturale con la dimensione tecnologica.