N.3 2021 - Biblioteche oggi | Aprile 2021

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Come un Ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro

Elena Ranfa

Università degli Studi di Verona, elena.ranfa@gmail.com

Abstract

Recensione di Elena Rafa al libro Chiara Faggiolani, Come un Ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro, Firenze, Firenze University Press, 2020, 347 p.

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Un affascinante percorso nella vita e nei progetti culturali di Giulio Einaudi, quello raccontato da Chiara Faggiolani nel volume Come un Ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema libro, che concentra la sua attenzione nell’impegno profuso dall’editore torinese nella realizzazione della biblioteca civica di Dogliani dedicata alla figura del padre Luigi Einaudi. E da Dogliani, paese di poco più di 5.000 abitanti alle porte della Langhe, che accolse nel 1888 un giovane rimasto orfano di padre che poi sarebbe diventato nel 1948 il secondo Presidente della Repubblica italiana, si muove una storia, quella della biblioteca civica, che “nasceva sì come una realizzazione dettata da ragioni di cuore – onorare la memoria del padre – ma soprattutto come un esperimento, il prototipo di un modella di biblioteca pubblica moderna da esportare nel Paese con lo scopo di realizzare per l’Italia uno strumento di democrazia e di socializzazione della cultura” (p. 16-17).
Storia ricostruita attraverso un’attenta e precisa ricerca bibliografica e archivistico-documentaria, ma soprattutto anche grazie alla voce, alle testimonianze, ai racconti di quaranta testimoni intervistati dall’autrice, che hanno contribuito a rendere questa una ricostruzione vivida, appassionata e appassionante.
Il libro, che si apre con una puntuale prefazione di Paolo Traniello che, senza anticiparci nulla, con assoluta chiarezza ci presenta i temi del volume invitando a una riflessione sul significato di biblioteca pubblica in un contesto culturale innovativo e dirompente come è stato quello tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta del secolo scorso, si articola in cinque capitoli due dei quali (il terzo e il quarto per esattezza) corredati da copiose appendici che riportano gli interventi a convegni e iniziative dell’editore torinese.
Merita una particolare menzione l’introduzione dell’autrice che, oltre ad assolvere alla funzione di guidare il lettore all’interno delle pagine successive, molto ci suggerisce del suo approccio nel raccontare la storia di un personaggio non ordinario (“l’immagine che emerge nella coralità delle voci che lo hanno descritto e dalla letteratura che lo ha approfondito è certamente quella di un ossimoro”) (p. 1). Einaudi vive in un momento storico-politico e in un ambiente socio-culturale che vede nel cambiamento una costante e nel quale si innesta la sua scelta, per nulla scontata visti i settori produttivi che si stavano imponendo nel nord-ovest del Paese, di pensare al libro come fulcro di un meccanismo virtuoso che fa della casa editrice prima e della biblioteca di Dogliani poi, i modelli di un progetto culturale da diffondere.
Nel primo capitolo viene presentata l’elaborazione dell’idea della biblioteca civica di Dogliani, alla quale contribuirono, accanto a Giulio Einaudi, Paolo Terni, musicologo con un’esperienza importante nell’ambito della progettazione culturale, e Bruno Zevi, architetto che progettò la biblioteca rinunciando a una ricompensa, e al quale per questo l’altero editore rivolge un sentito ringraziamento in una lettera del 1963: “Mi accorgo di non averti ancora ringraziato per la tua rinuncia a essere compensato per il progetto di Dogliani. Lo faccio adesso, con la più affettuosa cordialità, perché vedo nel tuo gesto non solo un significato culturale e civile, ma una nuova prova d’amicizia” (p. 11). Questa lettera venne inviata qualche mese dopo l’inaugurazione della biblioteca, avvenuta il 29 settembre. Nello stresso anno Terni diede avvio a una ricerca su quarantaquattro comuni della provincia di Torino che coinvolse segretari comunali e incaricati delle biblioteche, per comprendere se le amministrazioni investissero, e in che misura, nei servizi di pubblica lettura e quali ne fossero le caratteristiche; un punto di partenza, questo studio, non solo per la realizzazione della Biblioteca a Dogliani, ma anche per un progetto più am-Un affascinante percorso nella vita e nei progetti culturali di Giulio Einaudi, quello raccontato da Chiara Faggiolani nel volume Come un Ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema libro, che concentra la sua attenzione nell’impegno profuso dall’editore torinese nella realizzazione della biblioteca civica di Dogliani dedicata alla figura del padre Luigi Einaudi. E da Dogliani, paese di poco più di 5.000 abitanti alle porte della Langhe, che accolse nel 1888 un giovane rimasto orfano di padre che poi sarebbe diventato nel 1948 il secondo Presidente della Repubblica italiana, si muove una storia, quella della biblioteca civica, che “nasceva sì come una realizzazione dettata da ragioni di cuore – onorare la memoria del padre – ma soprattutto come un esperimento, il prototipo di un modella di biblioteca pubblica moderna da esportare nel Paese con lo scopo di realizzare per l’Italia uno strumento di democrazia e di socializzazione della cultura” (p. 16-17). Storia ricostruita attraverso un’attenta e precisa ricerca bibliografica e archivistico-documentaria, ma soprattutto anche grazie alla voce, alle testimonianze, ai racconti di quaranta testimoni intervistati dall’autrice, che hanno contribuito a rendere questa una ricostruzione vivida, appassionata e appassionante. Il libro, che si apre con una puntuale prefazione di Paolo Traniello che, senza anticiparci nulla, con assoluta chiarezza ci presenta i temi del volume invitando a una riflessione sul significato di biblioteca pubblica in un contesto culturale innovativo e dirompente come è stato quello tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta del secolo scorso, si articola in cinque capitoli due dei quali (il terzo e il quarto per esattezza) corredati da copiose appendici che riportano gli interventi a convegni e iniziative dell’editore torinese. Merita una particolare menzione l’introduzione dell’autrice che, oltre ad assolvere alla funzione di guidare il lettore all’interno delle pagine successive, molto ci suggerisce del suo approccio nel raccontare la storia di un personaggio non ordinario (“l’immagine che emerge nella coralità delle voci che lo hanno descritto e dalla letteratura che lo ha approfondito è certamente quella di un ossimoro”) (p. 1). Einaudi vive in un momento storico-politico e in un ambiente socio-culturale che vede nel cambiamento una costante e nel quale si innesta la sua scelta, per nulla scontata visti i settori produttivi che si stavano imponendo nel nord-ovest del Paese, di pensare al libro come fulcro di un meccanismo virtuoso che fa della casa editrice prima e della biblioteca di Dogliani poi, i modelli di un progetto culturale da diffondere. Nel primo capitolo viene presentata l’elaborazione dell’idea della biblioteca civica di Dogliani, alla quale contribuirono, accanto a Giulio Einaudi, Paolo Terni, musicologo con un’esperienza importante nell’ambito della progettazione culturale, e Bruno Zevi, architetto che progettò la biblioteca rinunciando a una ricompensa, e al quale per questo l’altero editore rivolge un sentito ringraziamento in una lettera del 1963: “Mi accorgo di non averti ancora ringraziato per la tua rinuncia a essere compensato per il progetto di Dogliani. Lo faccio adesso, con la più affettuosa cordialità, perché vedo nel tuo gesto non solo un significato culturale e civile, ma una nuova prova d’amicizia” (p. 11). Questa lettera venne inviata qualche mese dopo l’inaugurazione della biblioteca, avvenuta il 29 settembre. Nello stresso anno Terni diede avvio a una ricerca su quarantaquattro comuni della provincia di Torino che coinvolse segretari comunali e incaricati delle biblioteche, per comprendere se le amministrazioni investissero, e in che misura, nei servizi di pubblica lettura e quali ne fossero le caratteristiche; un punto di partenza, questo studio, non solo per la realizzazione della Biblioteca a Dogliani, ma anche per un progetto più ambizioso (minuziosamente riportato in un corposo documento): riorganizzare e promuovere lo sviluppo di un servizio di pubblica lettura nella struttura provinciale, dove la sinergia tra scuola e biblioteche avrebbe contribuito a rispondere al “crescente bisogno di informazione, cultura, aggiornamento professionale e svago da parte di un pubblico sempre più scolarizzato e potenzialmente curioso” (p. 31). Oltre a gettare uno sguardo sul contesto nel quale si innesta l’esperienza e la progettualità di Giulio Einaudi, ovvero quello del miracolo economico, dell’industrializzazione, dei cambiamenti in merito alle scelte di consumo, dell’imporsi di nuovi mezzi di comunicazione (la televisione su tutti), delle rivoluzioni che avevano investito anche il mercato editoriale, l’autrice mette in luce anche i punti contatto tra l’idea di biblioteca di Einaudi e quella di Adriano Olivetti, due imprenditori che hanno saputo investire in progetti culturali per certi aspetti differenti, ma ugualmente animati dalla volontà di offrire diffusamente un’opportunità di crescita e di formazione alla comunità.
Un ampio spazio è poi dedicato alla descrizione del progetto architettonico della biblioteca, pensata in una struttura dedicata ad hoc e circondata dal verde e soprattutto un disegno ispirato al concetto di architettura organica, del quale Bruno Zevi è interprete, “rivolta al benessere delle persone, all’insegna del concetto di varietà, flessibilità, crescita, rispetto dell’individuo e delle sue esigenze” (p. 45), Una biblioteca che Paolo Terni nell’Esperienza di Dogliani, in Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata, descrive come “una passeggiata coperta, lungo la quale, oltre che leggere e prelevare libri in prestito, si può sostare per incontri culturali e per dibattiti di idee”. Accanto alla struttura, al contenitore, almeno due anni prima si era iniziato a pensare al suo contenuto, il catalogo, al quale contribuì un buon numero di editori con le loro donazioni e che fu frutto di una selezione realizzata attraverso due inchieste e la somministrazione di un questionario rivolto a esperti, scrittori, politici e uomini di cultura. L’ultimo aspetto, non meno significativo del progetto, è quello della condivisione e della partecipazione: “Un organismo che funziona collettivamente”, con un comitato permanente o direttivo e un comitato dei lettori che condividono una programmazione di quello che è a tutti gli effetti un centro culturale, guidato da Ferdinando Troni, primo bibliotecario-animatore culturale della biblioteca civica di Dogliani. Programmazione i cui risultati furono da subito apprezzabili: un successo inaspettato che fece della biblioteca Einaudi “la scuola per chi non aveva avuto modo di frequentarla” (p. 60).
Parole chiave del secondo capitolo sono la terra (simboleggiata da Dogliani) e i libri, che per la loro produttività (frutti e cultura) vanno considerati un vero e proprio investimento; un insegnamento questo che Giulio Einaudi eredita dal padre, con il quale condivide la passione per il libro inteso come manufatto.
Nel percorso di formazione dell’editore rivestirono un ruolo fondamentale gli anni trascorsi al liceo ginnasio Massimo D’Azeglio di Torino (città che con la sua vivacità culturale e il suo dinamismo costituisce l’humus ideale), dove non solo conosce tra gli altri Leone Ginzburg, Cesare Pavese e Norberto Bobbio, ma soprattutto ha la fortuna di avere come professore di italiano e latino Augusto Monti, che lo stesso Einaudi in Frammenti di memoria, descrive come colui che riuscì a fargli “toccare con mano il divario tra la cultura accademica e quella che chiamerei aderente alla vita […] Da nessuno ho mai sentito leggere la Divina Commedia come da lui: senza retorica, come cosa viva”. Vivacità e vitalità, ma soprattutto la condivisione di idee fiorita tra i banchi da scuola alla base del funzionamento di quel “cervello collettivo”, motore pulsante della casa editrice torinese e non solo. Il terzo capitolo si concentra sulla volontà e l’impegno di Giulio Einaudi per esportare il modello di biblioteca civica da Dogliani al resto del Paese. Il primo passo è quello di mettere a disposizione della Provincia di Torino il progetto di Zevi, con la sua unicità e visione inedita di biblioteca, che solo il Comune di Beinasco farà proprio (grazie tra l’altro alla determinazione dell’Assessore alla cultura Bartolomeo Colombo, collaboratore della casa editrice Einaudi), inaugurando il 29 settembre del 1968 la biblioteca sorella di Dogliani.
Ma è il secondo passo, quello verso lo Stato, al quale l’autrice dedica gran parte del capitolo; l’attività “politica” dell’editore torinese, l’impegno nella promozione di un programma per lo sviluppo della pubblica lettura e quindi per l’accrescimento culturale del Paese sono raccontati attraverso le parole che Giulio Einaudi pronunciò in varie occasioni, iniziative e convegni (dal 1962 al 1968), dove l’appello rivolto indistintamente alla politica, alle istituzioni culturali e non, agli editori così come ai librai, è quello di considerare il libro in tutta la sua complessità e allo stesso tempo strategica importanza. “La cultura infatti è per sua natura una e indivisibile; così è uno e indivisibile il problema del libro, questo strumento e veicolo primario della cultura, sia che si affronti tale problema sotto il profilo della diffusione libraria in Italia o all’estero, sia che lo si esamini nel quadro delle istituzioni politiche e civili, sia che lo si prospetti nell’ambito degli interessi particolari dell’editore, o dell’autore o del libraio” (Intervento al IX Convegno editoriale promosso dall’Unione editori cattolici italiani nel luglio del 1963, p. 180). Tra le figure più significative del dibattito biblioteconomico di quegli anni che in più di un’occasione ebbe modo di confrontarsi con Giulio Einaudi c’è Virginia Carini Dainotti. Anche lei fu allieva di Monti, ma soprattutto sostenitrice della biblioteca pubblica (su modello della public library americana) e impegnata nell’organizzazione del Servizio nazionale di lettura su base provinciale, articolato in biblioteche di conservazione, biblioteche di ricerca e biblioteche pubbliche o di cultura generale, oltre alle due biblioteche nazionali. Alla fine del 1962, al Convegno nazionale per le biblioteche indetto dal Comune di Firenze, dove intervenne anche Giulio Einaudi, Virginia Carini Dainotti evidenziò nel suo intervento tre azioni urgenti per il perseguimento degli obiettivi di cui sopra, ovvero la formazione dei nuovi bibliotecari, una trasformazione in senso moderno delle biblioteche e finanziamenti adeguati da parte dello Stato e delle amministrazioni locali per un servizio di interesse pubblico. Allo stesso convegno Einaudi, che sicuramente non poteva non condividere alcune suggestioni della Carini Dainotti, evidenziò l’importanza di pensare a un “sistema libro” nel suo complesso, presentando il progetto culturale della biblioteca civica di Dogliani. Malgrado l’affinità di visione tra i due progetti, nessun tentativo di integrazione venne mai realizzato, forse per la profonde differenze dei due interlocutori: “Una funzionaria dello Stato, cresciuta tra l’altro nell’amministrazione fascista” con “un atteggiamento caratterizzato da un dirigismo molto marcato” da una parte e dall’altra Giulio Einaudi, “quanto di più lontano potesse esserci da una mentalità statale, egli era intimamente e profondamente anti-convenzionale” (p. 127-128).
Perì di noi gran parte. Il silenzio dell’editore e la piantumazione degli edifici, è il titolo quanto mai significativo che l’autrice attribuisce al quarto capitolo, che si apre con il discorso scritto da Paolo Terni in occasione del cinquantesimo anniversario della “folle impresa” che è stata la biblioteca di Dogliani. Le parole di uno dei protagonisti del progetto evocano da una parte nostalgia per un’impresa ambiziosa, dall’altra rabbia per la lentezza del Paese, ma anche la speranza di riuscire a vedere realizzati altri possibili progetti ispirati dall’esperienza di Dogliani. L’autrice apre poi uno spaccato sul “Progetto Sardegna” sul quale aveva lavorato Paolo Terni (e che fu uno dei punti di partenza per il progetto dell’editore torinese) e sulla già citata Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata nelle due edizioni del 1969 e del 1981 poi (con le differenti reazioni che suscitarono).
Ampio spazio è poi dedicato all’analisi di due esperienze che prendono le mosse dal progetto di Dogliani come i Centri di servizi culturali (CSC) del Formez nel Mezzogiorno e le biblioteche di quartiere di Modena; viene raccontata anche l’esperienza della Lega per una editoria democratica (nata nel 1974), della quale Einaudi fu il primo presidente.
Il capitolo si chiude con le parole che l’editore pronunciò al convegno Problemi del libro in Italia: editoria, distribuzione, lettura organizzato dall’Associazione italiana editori, dall’Associazione dei librai e da TuttoLibri presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma nel 1977 (rompendo un silenzio che andava avanti dal 1969) rinnovando ancora una volta l’appello alle istituzioni e rimarcando “il rischio della mancanza di strutture dello stato, delle regioni, della scuola, delle biblioteche che consentano quindi una fruizione del libro ai fini di formazione del cittadino”.
Tornerà a parlare ai bibliotecari solo nel 1993 al Congresso AIB, dove affermerà che mai aveva avuto un contatto diretto con loro, e, sottolinea Faggiolani, questo può essere stato “il grande limite del suo progetto e la sua intrinseca debolezza” (p. 289).
Ma tra le motivazioni rintracciabili dietro il non decollo del progetto Dogliani (che, concordando con l’autrice, non può dirsi fallimento), va visto anche il non sempre lineare sviluppo del dibattito sulla biblioteca pubblica nell’Italia repubblicana. Negli anni Cinquanta con l’organizzazione del Servizio nazionale di lettura, la nascita delle reti di prestito, l’idea di favorire il rafforzamento di sistemi bibliotecari nel Paese (avendo ancora come riferimento le province), la biblioteca aveva vissuto un momento importante di ripensamento delle sue funzioni e della sua mission; questo aveva alimentato negli anni Sessanta un dibattito biblioteconomico che si era aperto a una serie di azioni e riflessioni su cosa dovesse essere e rappresentare per la collettività il servizio pubblico biblioteca e su come dovesse riorganizzarsi per dare risposte nuove in un contesto socio-culturale le cui prospettive e aspettative stavano rapidamente mutando (ed è su questo terreno fertile che nasce l’idea di Giulio Einaudi della Biblioteca civica a Dogliani). Nei primi anni Settanta, quando ancora il dibattito era vivo e vivace, con il trasferimento (1972) delle funzioni in materia di biblioteche locali dallo stato alle neonate regioni, quella che poteva essere l’opportunità di ripensare complessivamente, alla luce dei processi culturali, economici e sociali che il Paese stava vivendo, il sistema bibliotecario e svilupparlo in un quadro inedito di responsabilità, non viene colta.
Una mancata unitarietà di visione, l’incapacità di rileggere e mettere a sistema progettualità pensate e testate negli anni in un contesto politico rinnovato, credo possano essere tra le cause del “non decollo” del modello Dogliani, forse anche poco valorizzato dalla letteratura biblioteconomica successiva.
L’ultimo capitolo rappresenta le conclusioni dell’autrice, ma in qualche modo anche una premessa, una risposta al perché sia stata spinta a raccontare la storia di un uomo che poco più che ventenne aveva fondato una casa editrice e poi aveva con entusiasmo promosso il progetto di Dogliani, affrontando il tema delle biblioteche come un problema politico e spingendo le istituzioni a muoversi nella direzione di uno sviluppo culturale del Paese. “Ecco il perché di questa storia: le storie di impegno civile, di progettazione culturale, come questa, hanno bisogno di essere raccontate, nella speranza che se le parole insegnano siano gli esempi a trascinare” (p. 314), soprattutto i giovani.
In queste poche battute nelle quali ho cercato di presentare un volume di oltre trecento pagine, non sono di certo riportati tutti i dati, le informazioni, le suggestioni, le riflessioni che Chiara Faggiolani consegna al lettore, ma di sicuro scorrendo le pagine di questa “storia” non si può non comprendere l’importanza di raccontare quello che è stato un periodo affascinate e controverso, innovativo e contraddittorio, che ha avuto tra i suoi protagonisti Giulio Einaudi, che “pensava forse come un ministro per la cultura, ma non lo era” (p. 246), ma che dopo aver letto questo libro, con un po’ di nostalgia, avremmo voluto fosse stato.