N.3 2021 - Biblioteche oggi | Aprile 2021

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Apprendimento basato sui giochi: il progetto NAVIGATE

Stefano Menon

Fondazione Politecnico di Milano, stefano.menon@polimi.it

Alessia Zanin-Yost

Health Sciences Librarian Bailey Library-Slippery Rock University

Anna Maria Tammaro

Università di Parma

Giulia Conti

Università di Parma

Stefano Menon

Fondazione Politecnico di Milano

Maria Joaquina Valero Gisbert

Università di Parma

Nicoletta Cabassi

Università di Parma

Elisabetta Longhi

Università di Parma

L’articolo propone i contenuti più significativi del workshop “Apprendimento basato sui giochi per l’obiettivo dello sviluppo sostenibile 4 (SDG4): colmare le lacune degli studenti sull’information literacy!” svoltosi a Milano il 16 settembre 2020 in occasione del Convegno “Biblioteche e sviluppo sostenibile”. L’evento è stato progettato come un workshop interattivo e il continuo riferimento ai giochi, in tutte le loro declinazioni, non poteva che portare a un forte impatto visivo per l’uso frequente di immagini e video. È stata cura degli autori cercare di sopperire, fin dove possibile, a questa lacuna. Tuttavia rimandiamo con piacere anche alle presentazioni usate durante quella attività, raggiungibili da questa pagina online: bit.ly/WorkshopFondazionePolitecnico.

Abstract

Il progetto Navigate nasce ufficialmente nel Settembre 2017, finanziato dal programma Erasmus+ di partenariato strategico a sostegno dell'innovazione. L'obiettivo principale del progetto Navigate è stato quello di identificare e creare le condizioni per un approccio più efficace alla competenza informativa da parte degli studenti universitari delle discipline umanistiche utilizzando i giochi. L'articolo ripropone i contenuti più significativi del workshop “Apprendimento ludico per l'obiettivo dello sviluppo sostenibile 4 (SDG4): riempire le lacune degli studenti riguardo alla competenza informativa!” tenutosi a Milano il 16 settembre 2020 in occasione del Convegno “Biblioteche e sviluppo sostenibile”. L'esperienza di co-creazione e applicazione dei giochi Navigate di tre professori dell'Università di Parma termina il contributo. 

English abstract

The Navigate project was officially born in September 2017, funded by the Erasmus + Strategic partnership program in support of innovation. The main objective of the Navigate project was to identify and create the conditions for a more effective approach to information literacy by university students in the humanities using games. The article proposes the most significant contents of the workshop “Game-based learning for the goal of sustainable development 4 (SDG4): filling the gaps of students on information literacy!” held in Milan on September 16, 2020 on the occasion of the Conference “Libraries and sustainable development”. The experience of co-creation and application of the Navigate games by three professors of the University of Parma concludes the paper.

Per consultare l'articolo completo in formato pdf visita la sezione "Risorse" oppure clicca qui.

"Information Literacy: A Game-based Learning Approach for Avoiding Fake Content": i risultati del progetto europeo NAVIGATE

Il progetto Navigate nasce ufficialmente nel settembre 2017, grazie a un finanziamento del programma Erasmus+ Strategic partnership a sostegno dell’innovazione. Il coordinatore, bulgaro, è l’Università degli studi bibliotecari e delle tecnologie dell’informazione di Sofia, accompagnata in quest’avventura da tre partner: la Fondazione Politecnico di Milano, l’Università di Parma e l’Università di Gävle, in Svezia. L’obiettivo principale del progetto è stato quello di identificare e creare le condizioni per un più efficace avvicinamento all’information literacy da parte degli studenti universitari in discipline umanistiche. Lo strumento individuato è stato il divertimento, veicolato attraverso la dimensione del gioco. L’edutainment, per riprendere una felice espressione anglofona.
Perché information literacy e gioco? O, meglio, perché il gioco? Forse perché il gioco riesce lì dove altre metodologie si fermano, forse perché il gioco è un fenomeno più pervasivo e istintivo di quanto non immaginiamo. Possiamo dire che il gioco sia essenzialmente ovunque, applicato e applicabile in qualsiasi contesto: alla raccolta differenziata, come è accaduto nella Bottle Bank Arcade alle biblioteche, o in occasione dell’International Games Day @ your library a cui nel 2018 hanno aderito 139 biblioteche italiane (Mapelli, Raimondi 2018).

Stefano Menon

Information literacy al tempo del Covid-19

Da information literacy a transliteracy per sviluppare un pensiero critico sull'informazione

L’information literacy non è una cosa nuova. Emersa alla fine degli anni Ottanta con l’avvento di internet, è stata usata dai bibliotecari per insegnare come identificare e usare l’informazione in linea. I bibliotecari, esperti di ricerca dell’informazione, sono stati i primi a capire il bisogno di aiutare le persone a diventare ricercatori di informazione in linea al di fuori della biblioteca fisica. La sovrabbondanza di informazione online ha stimolato la nascita di vari modelli, tra i quali Six Frames of Information Literacy sviluppato da Christine Bruce (Australia), Big6 creato da Eisenberg e Berkowitz (USA), il Competency Standards for Higher Education dell’ACRL (Association of College e Research Libraries USA) e lo SCONUL (Society of College, National and University Libraries Inghilterra).
In tutti questi modelli lo scopo è sempre stato per i bibliotecari quello di far acquisire alle persone lo sviluppo di competenze nel reperire, valutare, usare, creare e trasformare l’informazione per uno scopo preciso, quale che sia: in ambito privato (come localizzare indirizzi), lavorativo (come trovare statistiche) o scolastico (come cercare informazioni per un compito). Con il tempo, l’uso dell’informazione è cambiato, e con essa anche il tipo di informazione. Gli strumenti di comunicazione nuovi che hanno, e continuano, a creare diffusione di informazione falsa sono soprattutto i social media come Facebook, Blogs, Pinterest, Tik Tok, e YouTube.
Facili da usare, con la capacità di integrare informazione multimediale e creare un senso di comunità, i social media hanno cambiato il modo di comunicare. La ricerca sui social media dimostra che mentre Facebook è usato per il 69% da persone tra i 50 e 64 anni, Instagram e Snapchat sono preferiti dalla popolazione tra i 18 e 24 anni (Perrin e Anderson, 2019). Studi sull’uso dei social media e la diffusione di fake news dimostrano che soprattutto gli adolescenti sono vulnerabili e portati a credere a notizie false scambiate tra coetanei e a diffondere essi stessi notizie false (Eurobarometer, 2018; National Literacy Trust, 2018). Aiutare le persone a giudicare l’informazione, in qualsiasi supporto, in modo critico e autonomo è essenziale per creare una società che sia partecipe, attiva, e cosciente dei propri obblighi e doveri.

Information literacy ai tempi del Covid-19

Se si pensava che iniziative e progetti sull’information literacy degli ultimi dieci anni avrebbero potuto cambiare il modo di usare e cercare l’informazione, il Covid-19 e gli eventi del 2020 hanno dimostrato che i bibliotecari sono più importanti che mai. Inoltre, si è visto che c’è bisogno di educare le persone non tramite l’uso dei concetti dell’information literacy, ma tramite quelli della transliteracy.
La transliteracy si concentra sull’uso di tutti i tipi d’informazione, di come vengono usati assieme, e delle loro esigenze individuali. Anche se l’information literacy si è espansa all’informazione digitale, la tendenza dei bibliotecari è sempre stata quella di preferire l’informazione testuale a quella visiva, multimediale, sonora, e tattica. La transliteracy stimola gli utenti a pensare l’informazione come qualcosa di flessibile, che muta nell’infinitesima sezione di un secondo, che si usa tra un tipo e l’altro, che si trasforma secondo diversi scopi. Il ruolo del bibliotecario si allarga a includere tutte le forme di literacy, si appropria della tecnologia per fornire non solo informazione su fonti bibliografiche, ma anche per insegnare agli utenti come usare la tecnologia stessa (Zanin-Yost, 2018).
Nel caso del bibliotecario accademico, il suo ruolo si espande nella didattica universitaria tramite la collaborazione con docenti per fornire competenze di base agli studenti, in modo che apprendano a valutare tutte le fonti di informazione (non solo bibliografiche). Queste competenze potranno poi essere trasferite nel loro bagaglio culturale del futuro (Zanin-Yost, 2018). Ecco perché oggi è importante assumere un approccio all’informazione tramite il concetto di transliteracy.

Progetto NAVIGATE: il framework delle competenze per evitare contenuti fake

L’obiettivo del progetto NAVIGATE è stato appunto quello di sviluppare capacità critiche sull’informazione andando oltre la sola informazione contenuta in fonti testuali e bibliografiche.
Nella prima fase del progetto è stato condotto uno studio comparativo delle competenze di information literacy degli studenti nelle tre università di Parma, Sofia e Gävle (Encheva et al. 2020). Gli studenti universitari delle tre università partner (i nuovi millennial) iniziano la loro ricerca con Google e hanno poca capacità di valutare l’informazione che recuperano in linea, confermando studi fatti sui loro coetanei in Australia (Salisbury 2012) e USA (Stanford 2016). I millennial infatti si sopravvalutano e arrivano alle università con competenze di ricerca dell’informazione per lo più apprese dai loro amici. Tutti gli studenti delle tre università non conoscono quindi le fasi pre-liminari di identificazione delle risorse specialistiche e neppure l’importante fase di gestione delle informazioni. Alcune differenze sono tuttavia significative: solo gli studenti in Svezia riconoscono l’importanza di partire dalle banche dati appartenenti all’ambito disciplinare (30%), perché l’introduzione alle fonti informative delle discipline fa parte del loro curriculum disciplinare. Non è questo il caso degli studenti di Parma e Sofia, in cui solo al momento della tesi è previsto un corso di information literacy. Il team italiano ha inoltre condotto un workshop per comprendere meglio quali competenze i docenti vorrebbero che gli studenti imparassero, iniziando una stretta collaborazione con i docenti dell’area umanistica. Sulla base dei risultati dell’indagine è stato elaborato dal progetto NAVIGATE un framework per le competenze necessarie per evitare contenuti falsi in ambito accademico (Figura 1). 

Il framework elenca le competenze che gli studenti devono dimostrare in ciascuna delle fasi del ciclo della ricerca. Lo scopo è quello di orientare gli studenti e i loro istruttori a identificare il gap di competenze. L’obiettivo è quello di migliorare il loro apprendimento. Obiettivo sicuramente condiviso con i docenti: il framework è infatti indirizzato anche ai docenti, che potranno usarlo per integrarlo nel loro curriculum.
Il progetto NAVIGATE ha cercato di ottenere gli obiettivi desiderati tramite collaborazioni con bibliotecari e docenti nelle tre differenti università partner. La scelta del gioco come metodo didattico ha lo scopo di motivare gli studenti e anche quello di cambiare la didattica dell’information literacy di docenti e bibliotecari.

Alessia Zanin-Yost

Anna Maria Tammaro

Figura 1 Il framework NAVIGATE è fruibile attraverso un knowledge-tree dinamico

Riferimenti bibliografici

Encheva M., Tammaro A.M., Kumanova A. (2020), Games to Improve Students Information Literacy Skills, “International Information & Library Review”, 52, 2, p. 130-138. DOI: 10.1080/10572317.2020.1746024.

Eurobarometer. (2018), Flash Eurobarometer 464: Fake news and disinformation online, EU Open Data Portal, https://tinyurl.com/yxrz8qvn

Gee, J.P., What Video Games Have to Teach Us about Learning and Literacy, Palgrave MacMillan, New York, NY, USA, 2007.

National Literacy Trust (2018), Fake news and critical literacyhttps://tinyurl.com/y2pb8yxl

Perrin A., Anderson M. (2019), Share of U.S. adults using social media, including Facebook, is mostly unchanged since 2018, Pew Research Center. https://tinyurl.com/yya2afsf.

Salisbury F., Karasmanis S. (2012), Are they ready?, “Australian Academic and Research Libraries”, 42.

Stanford Study (2016), Evaluating Information: The Cornerstone of Civic Online Reasoning, https://stacks.stanford. edu/file/druid:fv751yt5934/SHEG%20Evaluating%20 Information%20Online.pdf.

Zanin-Yost, A. (2018), Transliteracy. Perché c’è bisogno di un’altra competenza, in La biblioteca {in}forma: digital reference, information literacy, e-learning, Atti del Convegno delle Stelline, Milano, Editrice Bibliografica.

I siti web citati in questo e negli altri contributi sono stati visitati per l’ultima volta il 10 gennaio 2020.

Ludendo docere: come il gioco può rappresentare un valido supporto all'apprendimento

Gioco e educazione. Divertimento e apprendimento. Concetti che spesso vengono considerati distinti, anche antitetici. Nonostante il divertimento sia la normale, biologica reazione all’apprendimento e nonostante le incredibili innovazioni apportate nel mondo della didattica negli ultimi decenni, ancora immaginiamo, da una parte, i luoghi adibiti all’educazione, alla formazione e all’apprendimento, e dall’altra, separati, gli ambiti del divertimento e del gioco. A dividerli il muro di un edificio architettonico, la scuola. Quando pensiamo all’ambiente scolastico, all’esperienza della classe, gli scenari che immediatamente ci vengono alla mente (nonostante le tante e lodevoli eccezioni) sono, ancora oggi, situazioni di imbarazzante immobilità (Bencivenga, 2013): bambini seduti in una piccola aula, discenti intenti a prendere appunti, studenti che ascoltano in silenzio una lezione impartita da un docente in cattedra. Ma non sono solo le immagini che colleghiamo all’apprendimento a essere statiche, quanto piuttosto è la nostra concezione stessa dell’apprendimento a esserlo. Le immagini ne sono una rappresentazione.
In questo senso, guardare al gioco e alle sue innumerevoli e versatili potenzialità educative e coinvolgenti significa abbracciare la via della sperimentazione e acquisire la consapevolezza che una didattica esperienziale, corroborata da metodologie learning by doing e game-based learning, può rivelarsi efficace nella didattica in presenza così come a distanza, sia per i più giovani che per discenti adulti.
Il gioco, in prima istanza, è di per sé un’esperienza educativa (non senza ragione parliamo di “imparare un gioco”), così come un processo conoscitivo ed esperienziale che implica una serie di contratti sociali che necessariamente vanno ad arricchire il nostro vissuto.
Nonostante il dibattito su cosa e dove la scuola possa apprendere dal mondo video-ludico sia aperto da tempo (Gee, 2007; Rivoltella, 2013), è utile riassumere qui qualche considerazione preliminare, necessaria a contrastare pregiudizi e preconcetti che, ancora oggi, permangono.

Giocare è una cosa da bambini

Semplicemente no, non lo è. Antropologi e storici, psicologi e sociologi sono concordi nel ritenere il giocare un’attività esperienziale, sociale, formativa e persino democratica, comune a tutte le culture e presente in ogni tempo della storia. Nonostante l’infanzia sia il regno indiscusso del gioco, anche nell’età adulta ci ritagliamo interstizi di tempo volti allo scopo di rilassarci, socializzare, divertirci. Pensiamo alle attività sportive, un videogame, alla “Settimana enigmistica”, a una partita a carte o un gioco di società durante le feste. L’attività ludica conserva una moltitudine di funzioni importanti anche nell’età adulta. Bisogna riconoscere, però, che il giocare in classe, soprattutto in età adulta, richieda un certo grado di fiducia, audacia e coraggio nei discenti, e un attento lavoro di pianificazione e facilitazione per i docenti. Giocare in contesti formali non è semplice e non va dato per scontato.
Un altro elemento che si dovrebbe tenere presente è che ognuno di noi mostra solitamente specifiche attitudini verso il gioco. Richard Bartle (1996) ha diviso i giocatori in quattro macro-tipologie: disposte su un piano cartesiano, suddivise lungo i continuum “Players-World” e “Interacting-Acting”, sono i socializers, gli explorers, i killers e gli achievers. Senza bisogno di entrare nel merito di ogni tipologia di giocatore, questa classificazione ci aiuta a comprendere quante variabili si possano considerare nella creazione di un gioco, in base a chi ipotizziamo di voler coinvolgere o, meglio, alle dinamiche che vogliamo scatenare. Un elemento interessante è che l’appartenenza a una tipologia piuttosto che a un’altra non è per forza stabile. Anzi, alcuni studi hanno evidenziato che l’attitudine alla competizione si modifica con il passare degli anni.

Con il gioco non si scherza

Giocare è una questione seria. Bambini (e adulti) quando giocano sono, spesso, seri, attenti, concentrati, determinati. Esattamente quello che ci auguriamo di vedere nelle nostre classi. Nonostante questo, si scorge ancora molta reticenza nel contaminare con il gioco la sacralità di ambienti quali l’istituzione educativa, quella museale e, talvolta, quella bibliotecaria. Anche se, come scrisse Johan Huizinga, “l’opposizione gioco-serietà non pare né conclusiva né stabile” (2013, p. 23), il pregiudizio è di difficile scardinamento.
Vi è però, forse, anche un’altra ragione: progettare un percorso (o un’attività) formativa in ottica game-based learning richiede competenze diverse da quelle necessarie a sviluppare un corso “canonico”. Le variabili “in gioco” crescono, così come cresce la necessità – spesso e volentieri – di doversi mettere “in gioco”.

Dal gioco non abbiamo nulla da imparare che non potremmo imparare altrimenti

Niente di più falso; il gioco, come paradigma cognitivo, ci insegna a errare, nella doppia accezione del termine di vagare e sbagliare. Come ha scritto Farné (2016) “ciò che il gioco insegna è a padroneggiare l’errore, a fare e disfare per poi rifare, persino a giocare con l’errore”, a esplorarlo. Sbagliare è un rischio calcolato e non un elemento di valutazione della propria performance (Gee 2013). Inoltre, l’avere un approccio erratico significa ammettere la fallibilità delle nostre conoscenze fattuali. Niente di più auspicabile nei contesti educativi.

I giochi "inebetiscono"

Quando ben fatti, sì.
Come felicemente teorizzato dallo studioso ungherese Mihaly Csikszentmihalyi (1975; 1990), giocare ci aiuta a entrare in uno stato definito “flusso” (o, in inglese, flow). Essere nel flow significa essere presi da quella corrente che trascina, coinvolge ed è capace di assorbire la concentrazione del singolo in modo totalizzante. Esattamente quello che si prova quando siamo estremamente concentrati su qualcosa, che sia un videogioco, una conversazione o un film. Questo auspicabile stato di attenzione è correlato con il livello di impegno richiesto dai compiti che siamo chiamati a svolgere e a quanto ci sentiamo adeguatamente competenti. È interessante ricordare come, in questo stadio, anche i compiti più impegnativi siano visti come appassionanti sfide in cui mettere tutti noi stessi, piuttosto che pendizi. Applicare questo tipo di leve motivazionali non può che portare a risultati interessanti.
Sotto il tema-ombrello di gioco in contesti educativi convergono una moltitudine di azioni, simili ma differenti, quali, ad esempio, gamification, game-based learning, serious games e playfulness.
Con gamification rimandiamo all’introduzione di espedienti e dinamiche proprie del gioco in contesti non ludici, al fine di divertire, motivare, coinvolgere (Kapp 2012, p. 10). Ad esempio, l’attribuzione di punti, badge, premi, l’utilizzo di meccaniche quali la competizione e la collaborazione sono tutti espedienti che possiamo inserire nel processo di ludicizzazione di un percorso didattico.
Il concetto sembra essere alquanto giovane, infatti si ritiene sia stato introdotto per la prima volta in pubblico nel 2010 dal game designer americano Jesse Schell in occasione della “Dice Conference” di Las Vegas (Petruzzi, 2015, p.17). Discostandosi dalla gamification, il game-based learning (GBL) è a tutti gli effetti una metodologia didattica volta a facilitare l’apprendimento attraverso l’introduzione di giochi a scopo educativo.
I giochi utilizzati possono essere comuni videogiochi (o giochi da tavolo) in cui docenti e educatori scorgono possibili elementi di interesse compatibili con gli obiettivi formativi, o giochi “seri”, progettati principalmente con scopi educativi e formativi.
Per citare solo alcuni tra gli esempi più felici e diffusi di giochi noti utilizzati con successo: prodotti come Minecraft, Assassin’s Creed, Pokémon Go, This war of mine, Bury me, my love sono stati e possono essere utilizzati come integratori didattici capaci di agganciare l’attenzione, coinvolgere i discenti, trasmettere conoscenza e veicolare un’esperienza.
Parallelamente a questi videogame, troviamo i serious games, giochi primariamente sviluppati a scopo educativo, con chiari ed evidenti learning objectives e aims. Bisogna ammettere che i serious games il più delle volte non nascono come giochi mainstream, non godono quindi di risorse “illimitate” o tecnologie all’avanguardia come i giochi digitali più famosi, tuttavia ve ne sono ormai davvero molti che sono ben fatti e soprattutto appassionanti.
Questi videogiochi educano spesso a competenze specifiche (come il caso NAVIGAME) e possono rappresentare un valido contributo alla pianificazione di unità didattiche. Soprattutto a distanza, visto come la pandemia di Covid-19 e la conseguente migrazione della didattica a distanza ha agito come un acceleratore di dinamiche già in atto. 
Il progetto NAVIGATE è stata l’occasione per mappare i serious games realizzati a supporto della diffusione delle competenze di information literacy. Il team del progetto NAVIGATE ha individuato oltre 60 giochi online. Giochi interessanti e spesso sfidanti, che permettono nel loro insieme di mettersi alla prova su svariate competenze. Tuttavia tra questi erano presenti anche giochi divenuti obsoleti, ad esempio perché collegati a pagine web esterne non più presenti. Altri invece risultavano essere molto simili tra di loro. Altri ancora sono stati realizzati per contesti talmente specifici da essere poi poco utilizzabili nei contesti di utilizzo pensati dal progetto NAVIGATE: università umanistiche e biblioteche in primis, ma potremmo allargare a tutto l’ambito dell’istruzione superiore europea.
Da qui l’idea di selezionare i giochi più significativi e di sottoporli a una doppia valutazione: da un lato la coerenza e la prossimità con le specifiche competenze di information literacy selezionate attraverso il framework del Navigate Knowledge Tree, dall’altro le caratteristiche intrinseche del gioco con l’ambizione di supportare i formatori nella scelta dei giochi da adottare rispetto ai propri obiettivi didattici e organizzativi. Sono circa una ventina di giochi. Le cartoline di presentazione offrono una visione generale per ognuno di questi giochi, segnalando – come detto – quali sono le competenze di information literacy più coperte e quali caratteristiche presenta ogni gioco in termini di: playability, lastability, engagement, user interface, storytelling (Figura 2). 

È poi sufficiente cliccare su uno qualsiasi di questi giochi per poter approfondire la ricerca e scoprire così quali sotto-categorie delle macro-competenze considerate sono meglio affrontate, oltre a qualche utile definizione dei parametri utilizzati.
Il lavoro di mappatura svolto è stato utile anche per un altro obiettivo del progetto, certamente più sfidante: la creazione di due nuovi giochi a supporto dell’information literacy che siano utilizzabili nei contesti per evitare contenuti fake, citati poco sopra. Pur sapendo che la scelta avrebbe generato molto più impegno, abbiamo deciso di creare due giochi molto differenti l’uno dall’altro, sia per obiettivi che per architettura, che ora siamo lieti di invitarvi a provare accedendo direttamente dalla piattaforma NAVIGATE. Si tratta dei giochi The Navigator e Information Trap Manager.
I giochi sono stati progettati e poi sviluppati in costante contatto con docenti e bibliotecari, proprio per poter avere un riscontro diretto da chi poi sarebbe diventato il destinatario principale di queste avventure di edutainment. Anche il workshop tenuto durante il Convegno Stelline è stata l’occasione per far provare i due giochi, allora ancora in versione beta, alle persone intervenute. Oltre agli input raccolti tramite specifiche griglie di valutazione, è significativo per noi annotare come l’interesse si sia sempre equamente suddiviso tra i due giochi, sebbene – o forse proprio perché – molto diversi uno dall’altro. Senza entrare nel merito di una descrizione dettagliata, il gioco The Navigator ha un’architettura molto semplice, basata sullo storytelling. Prendendo in prestito la vita di Cristoforo Colombo abbiamo creato un viaggio che, attraverso il CRAAP (Currency, Relevance, Authority, Accuracy, and Purpose), ci porta a scoprire aneddoti interessanti sulla sua vita, nonché a stabilire in maniera definitiva… le sue origini! (Figura 4).
Più complessa l’architettura del gioco Information Trap Manager: si presenta come un campus universitario, ogni edificio del campus rappresenta una specifica competenza di information literacy; ci sono poi altri ambienti che aiutano a rendere il gioco più vario. Mentre The Navigator si presta a essere giocato un paio di volte, Information Trap Manager può essere giocato diverse volte. Entrambi i giochi sono temporizzati per permettere un più facile utilizzo ai formatori dal punto di vista organizzativo (Figura 5).

Giulia Conti

Stefano Menon

Figura 2 Il NaviGAMESearcher permette un rapido colpo d’occhio sulle principali caratteristiche dei giochi valutati
Figura 3 Un dettaglio del NaviGAMESearcher: per ogni gioco è disponibile un’approfondita descrizione
Figura 4 Pagina di accesso al gioco The Navigator, sviluppato con Unity e tradotto anche in italiano
Figura 5 Il campo di gioco di Information Trap manager: gli edifici rappresentano i campus dove si affrontano sfide su specifiche competenze di information literacy

Riferimenti bibliografici

Bartle R. (1996), Hearts, clubs, diamonds, spades: Players who suit MUDs, “Journal of MUD Research”, 1/1.

Bencivenga E. (2013), Filosofia in gioco, Roma-Bari, Laterza.

Cambi F., Staccioli G. (a cura di), Il gioco in Occidente. Storia, teorie, pratiche, Roma, Armando Editore, 2007.

Csikszentmihalyi M. (1975), Beyond boredom and anxiety, San Francisco, Jossey-Bass.

Id. (1990), Flow: The Psychology of Optimal Experience, New York, Harper and Row. 

Farné R., For the Phenomenology of Play, Encyclopaideia, 20/45, 2016.

Ferretti E., Educazione in gioco, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2016.

Gee James P. (2013), Come un videogioco. Insegnare e apprendere nella scuola digitale, Milano, Raffaello Cortina.

Huizinga J. (1967), Homo Ludens, Milano, il Saggiatore.

Kapp K.M. (2012), The Gamification of Learning and Instruction. Game-Based Methods and Strategies For Training And Education, San Francisco, Pfeiffer.

Mapelli D., Raimondi A. (2018), Costruire alleanze: le biblioteche come mediatori di contenuti ludici, BRICKS, 5.

McGonigal J. (2011), La realtà in gioco, Milano, Apogeo.

Petruzzi V. (2015), Il potere della Gamification. Usare il gioco per creare cambiamenti nei comportamenti e nelle performance individuali, Milano, Franco Angeli.

Giochi seri per rinnovare la didattica dell'information literacy

Come già evidenziato, il progetto NAVIGATE ha cercato di dare una risposta a esigenze sorte sia in ambito accademico, sia nella società in senso lato. In ambito accademico, le iniziative di information literacy non erano una novità a Parma, dove già prima del progetto NAVIGATE si lavorava da tempo in quest’ambito. Per individuare i gap di competenze che ancora permanevano, sono stati realizzati due distinti sondaggi, quello già menzionato rivolto agli studenti e uno destinato a noi docenti, a cui è stato chiesto di formulare i nostri desiderata, ovvero le competenze da sviluppare attraverso giochi seri, partendo da una ricognizione delle debolezze degli studenti in termini di information literacy. Nelle nostre esperienze e impressioni abbiamo riscontrato molti punti in comune, trasversali alle singole discipline. È emerso che gli studenti non avevano particolari difficoltà nel reperimento delle informazioni, ma andava implementata la loro capacità di valutarle e di utilizzarle in maniera adeguata, per esempio all’interno di un’argomentazione ben strutturata quale dev’essere il lavoro di tesi. Proprio nel momento in cui gli studenti cominciano a redigere la tesi, vengono a galla eventuali lacune pregresse, dunque è molto importante che nel loro percorso universitario gli studenti imparino per tempo a produrre un elaborato che soddisfi i requisiti del lavoro accademico. In particolare, noi docenti che siamo state intervistate abbiamo condiviso l’urgenza di trasmettere agli studenti le competenze necessarie per stabilire una gerarchia delle informazioni e discernere tra fonti affidabili e non, per esempio tra i testi e i siti canonici di ciascuna disciplina e le fake news che circolano a vario livello, soprattutto in rete. Fra le abilità da implementare maggiormente, noi docenti abbiamo dunque sottolineato l’importanza del vaglio critico delle informazioni reperite e la necessità di saperle sintetizzare efficacemente per poter mettere a confronto le opinioni altrui e prendere posizione rispetto ad esse.
Come già detto, il progetto NAVIGATE non è stato però pensato solo per la comunità accademica, ma è nato anche per contrastare un fatto che si sta espandendo sempre più pericolosamente. Si tratta di un fenomeno che ormai viene denominato con il neologismo spagnolo infoxicación –termine nato dall’unione dei vocaboli información e intoxicación –, ovvero l’eccesso di informazione dovuta a una sovrabbondanza dei dati. Questa manifestazione è emersa attraverso lo sviluppo delle nuove tecnologie in relazione a uno degli elementi più salienti e caratterizzanti della società del momento, ovvero l’accesso all’informazione “qui, ora, adesso”. Questo aspetto dell’immediatezza nel reperire delle informazioni insieme alla possibilità di diffonderle senza riflessione, senza aver avuto la possibilità di accertare la veridicità o meno delle stesse, sono un cocktail molto pericoloso che permette che certe informazioni false vengano prese come vere. Essere in grado di valutare le informazioni che riceviamo costantemente non è un’attività scontata, ma richiede l’acquisizione di una competenza per la quale si rende necessaria un’attività di formazione. Se la scuola e l’università sono e devono essere il motore trainante del cambiamento verso un mondo migliore, è da queste istituzioni che l’information literacy deve partire per irradiarsi nell’intera società. Come sviluppare dunque giochi seri per diffondere l’information literacy in ambito accademico e anche in altri istituti di diverso ordine e grado?
Il training dell’Università di Gävle in Svezia al quale abbiamo partecipato è stato fondamentale per comprendere le diverse possibilità per far fronte a questa problematica. Il videogioco si rivela uno strumento prezioso che ci viene in aiuto.
In effetti, la componente ludica come strumento pedagogico è un aspetto che favorisce un apprendimento attivo, ed è altamente motivante, come già dimostrato da Labrador e Morote (2008). Di fatto, i videogiochi rappresentano un grande stimolo anche nel processo di apprendimento di una lingua (Andreu e García 2011; Lombardi 2013), che rappresenta il settore specifico in cui noi operiamo, essendo docenti di lingua e traduzione spagnola, russa e tedesca. Nella pratica didattica ciascuna di noi ha sperimentato situazioni in cui il gioco si è rivelato uno strumento di fronte al quale lo studente ha un atteggiamento attento, dinamico e, di conseguenza, produttivo.
Le diverse attività alle quali abbiamo preso parte a Gävle con i partner del progetto ci hanno permesso di mettere a fuoco questa necessità, sulla quale non avevamo mai riflettuto in maniera così approfondita. Ascoltare degli esperti del settore del videogioco, discutere e condividere con i colleghi delle idee circa le modalità da adottare e comprendere in che modo può essere affrontato l’argomento, sono state attività messe al centro per raggiungere l’obiettivo finale, ovvero quello di sviluppare la competenza summenzionata attraverso un coinvolgimento attivo e consapevole del nostro destinatario/utente/studente. Senz’altro, il videogioco emerge come uno strumento sempre più complesso in grado di attrarre, coinvolgere e stimolare lo studente per risvegliare la sua voglia di sapere, di conoscere. In questo ambito sono nate diverse associazioni e studi interdisciplinari (García-Carbonell y Watts 2007) che hanno come comune denominatore il gioco. Sul concetto di serious game si è occupato Lhuiller (2011) e Álvarez y Djaouti (2010) hanno avanzato una proposta tassonomica in base al destinatario e gli obiettivi da raggiungere (comunicare, informare ecc.).
Se si considera nel complesso la storia del videogioco, appare evidente che nei primi esperimenti venivano proposte delle attività in cui si ripetevano delle azioni e il cui obiettivo consisteva per lo più nel conseguire il punteggio più alto. Nella seconda metà del XX secolo viene creato un gioco con un obiettivo e un finale. Da lì c’è stato uno sviluppo sempre più sorprendente. Gli sviluppatori hanno cercato di comprendere il modo di coinvolgere il pubblico e si sono resi conto che era necessario fare delle proposte alla cui base ci fosse un filo conduttore. La ragione è semplice: il giocatore (utente) vuole sempre più sapere perché compie determinate azioni, le conseguenze che ne derivano e i risultati finali. Si tratta di un destinatario (il giocatore) che agisce (gioca) dentro la narrazione. Lo storytelling è entrato a far parte del mondo dei videogiochi. Dal punto di vista dell’insegnamento, viene capovolta la figura dello studente che, da soggetto con un comportamento passivo, diventa qualcuno che deve agire, compiere delle azioni, muoversi, insomma, essere attivo. Nell’ideare un gioco serio per i nostri studenti, noi abbiamo pensato a una storia basata sul controverso personaggio di Cristoforo Colombo, proprio per il fatto che è oggetto di dibattito già a partire dalle sue origini, infatti è realmente esistito e anche questo poteva essere un aspetto altamente rilevante dato l’obiettivo del progetto. Desideravamo fornire gli strumenti adeguati per sviluppare una competenza che permettesse all’utente (lo studente) di identificare – attraverso le fonti e la ricerca – e di decidere quali sono le informazioni vere, ovvero distinguerle dalle fake news. Un’ulteriore ragione per la scelta di questo personaggio sta nel fatto che su di lui si trovano informazioni in molte lingue e anche attraverso i secoli, quindi la ricerca/il gioco può essere proposta/o anche dalla prospettiva diacronica e multilingue. Non è sufficiente però avere una struttura narrativa che ci aiuti a destare l’interesse, ad accattivare, è necessario che a questo nostro soggetto intraprendente, quando sbaglia, si spieghi il perché: bisogna dargli un feedback in modo tale da poter correggere successivamente la sua risposta o ricerca. L’utente sarà motivato, stimolato a risolvere o rispondere alle domande per avere notizie certe. Per concludere, il videogioco persegue l’obiettivo di esaminare/analizzare nella pratica le fonti al fine di saper identificare quelle appropriate che ci condurranno ad avere notizie veritiere e a rifiutare quelle non serie di cui è infestata la rete. L’ambientazione della nostra storia è la corte di Isabel e Fernando di Castiglia (Reyes Católicos). I testi che abbiamo proposto sono due, uno su Cristoforo Colombo a proposito della sua nazionalità e un altro sull’arrivo di alimenti provenienti dall’America. Agli studenti viene chiesto di rispondere a domande sulla fonte, sull’autorità della fonte, sull’affidabilità della notizia ecc. Alcune parti del testo sono state modificate per introdurre elementi falsi, sia sulla figura di Cristoforo Colombo che sugli alimenti. Il lavoro dei nostri studenti è consistito nell’individuare queste notizie false: se ci riuscivano, significava che avevano acquisito quello spirito critico che era l’obiettivo stesso del gioco.
Il futuro del progetto crediamo offra molteplici prospettive di sviluppo e potrebbe espandersi in più contesti e crescere in diverse direzioni.
Sul piano della struttura del gioco, pur lasciandone inalterate la meccanica e la narrativa secondo una consuetudine (modding) assai diffusa sul terreno del gaming (A. Maestri, J. Sassoon, P. Polsinelli 2015: 79), si possono creare modifiche allo scopo di aggiornare e/o migliorare il gioco al fine di perfezionare il parametro della replayability (J. Krall 2012). Si potrebbero aggiungere altri snodi allo storytelling, dando un seguito su punti controversi della figura di Cristoforo Colombo: nell’ambito della cartografia infatti, si potrebbero indagare, per esempio, le mappe utilizzate da Colombo nelle sue rotte verso le Americhe, o ancora le leggende e i miti nati attorno a Colombo, o gli innumerevoli episodi legati alla scoperta del Nuovo Mondo. Rinvenire momenti ed episodi interessanti e divertenti della storia di Colombo potrebbe aumentare l’engagement dello studente e la playability del gioco (González-Sánchez J., Padilla-Zea N., Gutiérrez Vela F. 2009).
È auspicabile inoltre “l’espansione” del gioco in un’altra direzione, quella del fruitore, coinvolgendo lingue diverse e allargando la cerchia di utenti. Sfruttando il rapporto “simbiotico” che esiste tra gioco e apprendimento, si potrebbe stimolare il miglioramento nell’acquisizione delle lingue durante le esercitazioni pratiche dei lettorati tenuti da collaboratori linguistici o nei corsi di lingua dei docenti universitari. Qui possiamo pensare a esercitazioni sulla traduzione del gioco, oppure alla strutturazione di test e questionari di comprensione, di produzione, di analisi della lingua con esercizi correlati. Un’altra attività a esso connessa è quella di arricchire e ampliare le fonti su Colombo, proponendole nelle lingue originarie per un’analisi comparata e/o per studiarne le differenze e le ricezioni nei vari paesi.
Riguardo le applicazioni del game nell’apprendimento, un’altra potenzialità del gioco, orientata su particolari scopi di information literacy, utili per rivelare le capacità possedute dallo studente e per condurlo al pensiero critico, sarebbe la creazione di una tesina o di una presentazione come parte o prova del programma d’esame orale o scritto. Sarebbe questo un ottimo esercizio per apprendere a distinguere le fonti, per imparare a organizzarle e a sintetizzare le informazioni tratte da una eterogeneità di documenti e risorse. Come è noto, anche nel gaming richiedere la creazione di veri e propri contenuti può rendere più efficace l’interazione con il fruitore (A. Maestri, J. Sassoon, P. Polsinelli 2015: 102). Questo lavoro potrebbe andare a inserirsi all’interno della bibliopatente, cioè una delle attività di information literacy preliminari al lavoro di tesi del Corso di laurea in Lingue e civiltà straniere moderne.
Nell’ottica del gioco è fondamentale anche l’avvicinamento a una platea più ampia, diversa da quella universitaria: coinvolgendo altre fasce d’età, si accrescerebbe notevolmente la portata degli utenti, sollecitando la scuola secondaria di primo e secondo grado, specie nelle classi in cui si affronta il periodo di storia in cui compare Cristoforo Colombo (seconda media/terza superiore). Nella scuola secondaria di primo grado il gioco può anche aiutare ad accrescere le competenze nello svolgimento del saggio argomentativo: dopo la visione del gioco, si possono stimolare i ragazzi a produrre un breve componimento di tipo argomentativo su Colombo e le sue controverse vicende. Potrebbe rivelarsi di utilità in vista della preparazione delle prove dell’esame di terza media.
Nella scuola secondaria di secondo grado si potrebbe impiegare il game a partire dalla classe terza, con attività di alternanza scuola-lavoro (ora PCTO), organizzabili in momenti extrascolastici: l’inserimento del gioco in questa fascia di età a nostro parere dovrebbe infatti essere fatto in contesti non formali, per evitare le problematicità che emergono solitamente in circostanze caratterizzate dalla routine, con tempi rigidi e limitati come quelli scolastici (Nesti 2017: 36). Andrebbero inoltre approntate prove correlate al gioco (tesine, test di comprensione, discussioni, traduzioni), approfondimenti degli ambiti geo-storico, socio-economico, artistico e/o un’analisi critica delle fonti mettendo il focus sulla figura controversa di Cristoforo Colombo. La scelta delle strategie di valutazione va fatta nell’ottica del game-based learning. Occorrerebbe una valutazione (debriefing) condivisa con i giocatori, dove si possono usare per l’appunto forme di discussione, brainstorming, o questionari, per non far vivere agli studenti il gioco come l’ennesimo lavoro da svolgere, con una perdita conseguente del suo valore e delle sue potenzialità (Nesti 2017: 36).
Nell’ottica di sviluppare ricerche micro-orientate a obiettivi specifici, per esempio, analizzando gli effetti di un serious game di questo tipo in relazione a una precipua competenza e disciplina sarebbe auspicabile un approccio interdisciplinare sia a livello di scuola secondaria di primo e secondo grado che di università. In ambito universitario o anche scolastico, ad esempio, le vicende di Colombo e dell’esplorazione del Nuovo Mondo costituirebbero un’opportunità per parlare di revisionismo storico o essere esaminate secondo prospettive storiografiche diverse. Il coinvolgimento del Corso di Scienze della formazione, interessato allo studio dell’azione del videogioco nell’età evolutiva e in quella di giovani adulti, comporterebbe implicazioni molto proficue nei processi di studio di ludicizzazione di età specifiche. La pervasione del gaming “comunque e ovunque” (Nesti 2017: 19) con i suoi processi di ludificazione del sociale e i molti fenomeni ad esso intrecciati potrebbero essere oggetto di studio pure per gli ambiti della sociologia e psicologia. Parallelamente, occorrerebbe chiamare in causa anche il Corso di Comunicazione, per la disamina dei fenomeni legati all’informazione di massa e le sue possibili insidie e come strumento per creare consenso e unione sociale. Estremamente importante, in tutti questi ambiti, rimane il momento del debriefing post-gioco (Nesti 2017: 104).

Maria Joaquina Valerio Gisbert
Nicoletta Cabassi
Elisabetta Longhi

Riferimenti bibliografici

Álvarez J., Djaouti D. (2010), Introduction au Serious Game, Paris, Questions théoriques.

Andreu M.A., García M. (2011), Perceptions of Gaming as Experiential Learning by Engineering Students, “International Journal of Engineering Education”, 27, 4, p. 1-10.

García-Carbonell A., Watts F. (2007), Perspectiva histórica de la simulación y juego como estrategia docente: de la guerra al aula de lenguas, “Iberica”, 13, p. 65-84. Disponibile all’indirizzo http://www.aelfe.org/documents/04%20garcia%20carbonell.pdf.

González-Sánchez J., Padilla-Zea N., Gutiérrez Vela F. (2009), Playability: How to Identify the Player Experience in a Video Game, INTERACT, 12th IFIP TC 13 International Conference, Uppsala, Sweden, August 24-28, 2009, I, disponibile online all’indirizzo https://www.researchgate.net/publication/221054249_Playability_How_to_Identify_the_Player_Experience_in_a_Video_Game.

Krall J. (2012), Aspects of Replayability and Software Engineering: Towards a Methodology of Developing Games, “Journal of Software Engineering and Applications”, disponibile online all’indirizzo https://www.researchgate.net/publication/267857584_Aspects_of_Replayability_and_Software_Engineering_Towards_a_Methodology_of_ Developing_Game.

Labrador, M.J.; Morote P. (2008), El juego en la enseñanza de ELE, “Glosas Didácticas” 17, p. 71-84.

Lhuillier, B. (2011), Concevoir un Serious Games pour un dispositif de formation, Paris, FYP éditions.

Lombardi I. (2013), Motivare la classe di lingue. Tra psicolinguistica e game design, “EL.LE”, 2, 3, p. 653-670.

Maestri A., Sassoon J., Polsinelli P. (2015), Giochi da prendere sul serio, Milano, Franco Angeli.

Nesti R. (2017), Game-based learning. Gioco e progettazione ludica in educazione, Pisa, ETS.