N.6 2022 - Biblioteche oggi | Settembre 2022

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Sostenibilità: quali opportunità per la valutazione delle biblioteche?

Anna Bilotta

Sapienza Università di Roma; anna.bilotta@uniroma1.it

Questo contributo è il frutto del confronto proficuo e costante su questi temi che ho avuto il privilegio di coltivare in questi anni con il prof. Giovanni Di Domenico, i cui pioneristici e numerosi contributi su queste tematiche (non a caso più volte citati in queste pagine) rappresentano un punto di riferimento imprescindibile per la biblioteconomia nel nostro paese. I siti web citati sono stati consultati per l’ultima volta il 30 giugno 2022.

Abstract

Il contributo si apre con un breve excursus storico delle attività di misurazione e valutazione che hanno caratterizzato le biblioteche italiane negli ultimi trent'anni, per comprendere se queste siano ancora effettivamente sostenibili. In particolare, il contributo si concentra sui termini “valutazione” e “sostenibilità”, analizzandone le relazioni (e le implicazioni linguistiche) in termini di “valutazione della sostenibilità” e “sostenibilità della valutazione”. Una domanda importante chiude la riflessione: può la sostenibilità diventare un nuovo paradigma e un’opportunità strategica per le biblioteche e la biblioteconomia italiana, anche in termini di valutazione, nell’odierna società dell’informazione?

English abstract

The paper starts with a brief historical overview of measurement and assessment activities that characterized Italian libraries in the last thirty years, to understand if these are still effectively sustainable. In particular, the paper focuses on terms “assessment” and “sustainability”, analyzing their relationships (and linguistic implications) in terms of “assessment of sustainability” and “sustainability of assessment”. An important question closes the reflection: can sustainability become a new paradigm and a strategic opportunity for Italian libraries and librarianship, also in terms of assessment, in today’s information society?

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Misurazione e valutazione: un breve inquadramento storico

Studi ed esperienze di misurazione e valutazione hanno caratterizzato la riflessione biblioteconomica e la vita delle biblioteche italiane almeno nell’ultimo trentennio. Nel linguaggio corrente per misurazione intendiamo “l’operazione del misurare, consistente nel confrontare una determinata grandezza fisica con la sua unità di misura, allo scopo di determinare il valore (o misura) della grandezza stessa” e per valutazione la “determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria”. In entrambi i casi si vuole determinare il valore di qualcosa, ma nel caso della valutazione c’è un obiettivo in più: il prendere in considerazione questo valore nell’espressione di un giudizio e/o nell’assunzione di decisioni.

In ambito biblioteconomico Giovanni Di Domenico (in parte riprendendo le definizioni che ne danno i principali standard ISO in materia, di cui si dirà tra poco) intende per misurazione la “raccolta di dati, elaborazione di indicatori e indagini aventi lo scopo di determinare quantitativamente il valore di input, output e outcome di una o più biblioteche” e per valutazione “un processo con il quale si stimano l’efficacia, l’efficienza, l’utilità e la rilevanza di un servizio o di una struttura”.

La misurazione, intesa come individuazione di dati numerici, che quindi trova compimento nella realizzazione di statistiche (relative, ad esempio, a spazi e postazioni, patrimonio posseduto, numero di utenti e di prestiti, personale, budget), ha caratterizzato, in particolare, la prima fase di una valutazione che possiamo definire oggettiva e quantitativa delle biblioteche. Questa ha trovato una sua sistematizzazione a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, grazie a una serie di scritti sull’argomento, fino alla pubblicazione di due documenti fondamentali: le Linee guida per la valutazione delle biblioteche universitarie e le Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche.  Negli anni (anche per la mancanza di aggiornamenti) le linee guida hanno continuato a rappresentare un punto di riferimento per la misurazione dei servizi, sia per la solidità dei riferimenti teorici che per l’impianto metodologico caratterizzato in entrambi i casi dall’individuazione di una serie di indicatori che, incrociando i dati raccolti, misurano le prestazioni delle biblioteche in termini di efficacia ed efficienza.

Un approccio di questo tipo sottintende, principalmente, l’impiego di indagini e questionari che, insieme alle interviste, si sono confermati buone tecniche anche quando la misurazione e la valutazione hanno iniziato a riguardare non soltanto l’offerta e l’uso dei servizi ma anche la soddisfazione degli utenti, in relazione sia ad aspetti tangibili che intangibili, nell’ottica del miglioramento del servizio. Le cosiddette indagini di user o di customer satisfaction permettono, così, di analizzare bisogni, desideri e opinioni degli utenti, di acquisire suggerimenti e di colmare il divario che può formarsi tra punti di vista interni (dei bibliotecari) ed esterni (degli utenti appunto).

Nel tempo, ai metodi e alle tecniche di tipo quantitativo se ne sono affiancati altri di tipo qualitativo volti a raccogliere dati più complessi ma anche più ricchi, per indagare le percezioni e le aspettative delle persone (non esclusivamente degli utenti), i benefici potenziali da queste riconosciuti alle biblioteche, l’impatto delle biblioteche sulle persone e sulla società.

In ambito internazionale sono stati prodotti (e aggiornati) negli anni diversi standard in materia di misurazione e valutazione in biblioteca che vanno sotto l’etichetta Information and documentation: ISO 2789:2013(E) International library statistics; ISO 11620:2014(E) Library performance indicators; ISO 16439:2014(E) Methods and procedures for assessing the impact of libraries.  Se i primi due fanno riferimento rispettivamente alle modalità di raccolta di dati statistici e all’incrocio di questi dati per costruire indicatori di performance, l’ultimo è quello propriamente dedicato ai metodi e alle procedure per la valutazione di impatto, laddove per impatto si intende la differenza o il cambiamento in un individuo o in un gruppo derivante dal contatto con i servizi della biblioteca. Si tratta di cambiamenti (valutabili a breve o a lungo termine) nei singoli individui in termini, ad esempio, di miglioramento delle competenze, di cambiamenti nei modi di pensare e nel comportamento, di successo nello studio e nella professione, di benessere individuale, ma anche di maggiore visibilità, prestigio e capacità di attrarre risorse economiche e umane per le istituzioni a cui le biblioteche appartengono, e più in generale, di impatto sociale cioè di accesso libero all’informazione, apprendimento permanente, inclusione e coesione sociale, diversità culturale, benessere collettivo. Data l’oggettiva difficoltà di misurazione di questi numerosi impatti, lo standard propone di raccogliere e di combinare tre tipi di evidenze: l’evidenza dedotta per l’appunto con dati statistici, indicatori e con la misurazione dei livelli di soddisfazione degli utenti; l’evidenza sollecitata con questionari, interviste e focus group; l’evidenza osservata attraverso l’osservazione dei comportamenti degli utenti, i diari e i test delle competenze. Lo standard stesso sottolinea i vantaggi di un approccio misto, laddove i metodi qualitativi aggiungono consistenza e significato ai dati quantitativi, divenendo insieme strumenti potenti per l’analisi e la comprensione delle interazioni delle persone con le biblioteche.

In sintesi, per dirla con Chiara Faggiolani, nel nostro paese misurazione e valutazione delle biblioteche sembrerebbero aver attraversato tre fasi: una fase prevalentemente statistica per la valutazione di efficienza ed efficacia; una fase sempre quantitativa ma in cui l’attenzione si sposta dal servizio alla soddisfazione degli utenti; e infine la valutazione dell’impatto sociale e del radicamento delle biblioteche nelle comunità con un approccio che si fa anche qualitativo e narrativo. Si tratta di una divisione senz’altro utile per inquadrare le evoluzioni del tema nel tempo ma nella pratica i confini tra i diversi approcci sono naturalmente più sfumati e, anzi, questi spesso tendono a integrarsi tra loro. La biblioteca, come ci ricorda Di Domenico, “è sia un’organizzazione che interpreta/agisce sia una realtà interpretata/‘agìta’ dagli utenti, dai cittadini, dalla comunità e da altri attori pubblici e privati”. Se, quindi, resta un centro di decisione, gestione e valutazione è anche un prodotto delle persone, di esigenze, abitudini e cambiamenti. Ciò si traduce nelle due finalità principali che sempre Di Domenico riconosce al filone della misurazione e della valutazione, una gestionale, relativa all’assumere decisioni organizzative, al miglioramento di processi e servizi e alla comunicazione pubblica e politica delle biblioteche, e una interpretativa che riguarda i comportamenti soggettivi d’uso e non uso, le attese, le percezioni, i giudizi relativi alla funzione e all’impatto delle biblioteche nella vita delle persone, delle comunità e della società. In letteratura si osserverebbe un graduale spostamento verso la seconda funzione, testimoniato, come si accennava, anche da un approccio metodologico più qualitativo, o comunque misto.

Il ricorso a un approccio misto consiste, molto spesso, nell’impiego di tecniche e strumenti in maniera sostanzialmente lineare raccogliendo, ad esempio, una grande quantità di dati che una volta analizzati permettono di individuare alcuni temi da approfondire con la raccolta di evidenze qualitative, o, viceversa, partendo da un numero limitato di storie e di esperienze per costruire indagini più ampie e dai risultati più facilmente generalizzabili. Una prospettiva nuova potrebbe essere, invece, quella che legge e interpreta i diversi tipi di evidenze in maniera più integrata e relazionale.

È quello che io ho provato a fare, ad esempio, in una ricerca che ha avuto come obiettivo quello di analizzare alcuni dei principali modelli di biblioteca pubblica sviluppatisi nel panorama europeo (public library, médiathèque, dreigeteilte Bibliothek, Idea Store, Four-spaces model) e, contestualmente, individuare le peculiarità della biblioteca italiana contemporanea mediante la valutazione di progetti, funzioni, servizi, risultati e impatto sociale di alcune biblioteche italiane ormai riconosciute come buone pratiche. Sotto il profilo metodologico questa ricerca (che ha avuto come punti di riferimento anche gli standard, i documenti e gli studi citati in questo contributo) si è avvalsa di dati strutturali, di servizio e funzionamento (che sono stati richiesti direttamente alle biblioteche coinvolte), di indicatori di performance, di evidenze ricavate dai siti web e dagli account attivati dalle biblioteche nei social network (queste ultime nella forma di like, follower, post, commenti e recensioni), di opinioni, storie ed esperienze raccolte mediante interviste a direttori, bibliotecari e utenti. Questo insieme di evidenze quantitative e qualitative è stato analizzato e commentato nella maniera più classica ma anche mediante strumenti di analisi automatica dei testi (non ancora molto frequentati nel nostro settore ma che pure possono offrirci nuovi e importanti elementi di riflessione). I risultati della ricerca non sono stati restituiti per singolo modello o singola biblioteca ma mediante un approccio metodologico comparato che, mettendo a confronto i casi di studio, ha permesso di determinarne le peculiarità, le somiglianze e le differenze, la rete di relazioni e le cause e gli effetti di queste stesse relazioni. Al di là dei risultati specifici, in questa ricerca credo emerga la necessità di combinare misurazione e valutazione di tipo quantitativo e qualitativo se si vuole giungere a una comprensione davvero profonda dell’impatto delle biblioteche in tutte le sue numerose declinazioni; un secondo aspetto è la necessità, altrettanto forte, per le biblioteche e per la biblioteconomia di esplorare strade nuove o poco battute, e da questo punto di vista credo che la comparazione possa avere risvolti valutativi decisamente interessanti.

La misurazione è sostenibile?

A distanza di oltre trent’anni dalle prime esperienze valutative, è possibile farne un bilancio? È innegabile che di studi e di ricerche sul tema (più o meno ampi, locali o nazionali, quantitativi e/o qualitativi) ne sono stati fatti tanti ma, arrivati a questo punto, sarebbe interessante valutare “l’impatto dell’impatto”, cioè capire che impatto misurazione e valutazione hanno avuto nella quotidianità delle biblioteche. Senz’altro vi sono singole biblioteche (e sistemi bibliotecari) che hanno fatto di misurazione e valutazione una loro strategia e vi si dedicano con costanza, ma sembra ancora mancare una visione complessiva. Non abbiamo, ad esempio, rilevazioni nazionali periodiche. Certamente dati interessanti li possiamo ricavare da più fonti, come l’Anagrafe delle biblioteche italiane curata dall’ICCU, le indagini Istat, le ricerche che pure vengono fatte sia in ambito professionale che accademico, ma lo sguardo resta parziale.

Questo è lo stato dell’arte. Rispetto, poi, alle tendenze, che futuro possiamo immaginare per la biblioteconomia cosiddetta valutativa, soprattutto oggi che l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19 ha determinato una generale riorganizzazione (per non dire rivoluzione) dei servizi di biblioteca? La valutazione aveva iniziato ad assumere una connotazione davvero qualitativa, una nuova narrative librarianship si stava facendo spazio e avevamo imparato a dare la giusta importanza anche alle evidenze narrative, alle opinioni e alle storie che le persone (gli utenti, i non utenti, i bibliotecari stessi) ci raccontano in relazione all’esperienza (o alla non esperienza) di biblioteca, questo anche grazie al forte investimento delle biblioteche sui loro spazi fisici, concepiti come spazi di produzione e di condivisione del sapere, spazi di socialità e di relazione. Ecco che la pandemia ha messo in crisi tutto questo, costringendo le biblioteche dapprima alla chiusura totale di questi spazi, poi, con le prime riaperture, all’adeguamento degli spazi alle restrizioni e alle procedure di sicurezza prevedendo ingressi contingentati, sistemi di controllo, riduzioni del numero di posti. Sono in parte venute a mancare opportunità di raccogliere e di analizzare evidenze in presenza, soprattutto qualitative.

Cosa diversa sembrerebbe, invece, per la misurazione. Le biblioteche che sono riuscite a reagire all’emergenza hanno garantito in remoto i servizi di prestito e di accesso ai contenuti (anche attraverso piattaforme come Media Library Online e Rete Indaco), il servizio di reference, i corsi e i laboratori trasformati in webinar, gli incontri virtuali con gli autori, i gruppi di lettura, le bibliografie tematiche, le mostre virtuali. E su queste biblioteche, sin dai primissimi mesi della pandemia, sono stati raccolti dati interessanti. Il Gruppo AIB per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ad esempio, ha messo a confronto i primi quattro mesi del 2019 e del 2020 e, tra le altre cose, ha evidenziato come Media Library Online e Rete Indaco abbiano visto un notevole aumento negli accessi, nelle consultazioni, nei prestiti e nei download di risorse digitali. Altri dati utili sono stati raccolti dall’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche che ha inviato un questionario a bibliotecari e biblioteche aderenti a SBN per fotografarne lo stato durante i mesi di marzo e aprile 2020. Questa ricerca ha evidenziato il massiccio ricorso allo smart working, l’erogazione piuttosto regolare di servizi come il reference a distanza, il prestito digitale, il document delivery e le attività di formazione, e l’utilizzo integrato di mezzi di comunicazione quali e-mail, siti web, social network e telefono. A prescindere dalle biblioteche va detto che, da due anni e mezzo a questa parte, la misurazione è (ri)entrata prepotentemente nelle nostre vite e i numeri, nella loro perentorietà, sono diventati protagonisti; è evidente, infatti, quanto le nostre giornate siano scandite dai bollettini (a carattere nazionale, regionale e perfino cittadino) dei tamponi effettuati, del numero di contagiati, dei guariti, dei ricoverati e, purtroppo, dei deceduti. In questo preciso momento storico se ci limitassimo a chiederci se la misurazione squisitamente statistica abbia ancora senso, anche per le biblioteche, probabilmente la risposta sarebbe sì. Si tratterebbe di convertire, integrare, adattare o sostituire gli ormai classici indicatori che misurano le performance delle biblioteche esattamente come molte biblioteche hanno convertito, integrato, adattato o sostituito alcuni servizi e attività che svolgevano prima dello scoppio della pandemia. Possiamo sommare al numero dei prestiti fisici quello dei prestiti digitali e dei download di risorse elettroniche, possiamo continuare a contare gli ingressi fisici ma aggiungendovi il dato relativo alle prenotazioni dei posti a sedere (soluzione diventata necessaria per gestire i flussi durante la pandemia che ci permette di ragionare anche per variabili, quali le fasce orarie più gettonate, l’età degli utenti prenotati, i loro tempi di permanenza ecc.). Possiamo misurare gli accessi al sito web della biblioteca o al portale del sistema bibliotecario di appartenenza, il numero di ricerche nell’OPAC, gli accessi alla biblioteca digitale, ma anche i follower, il numero di like e di interazioni delle persone sulle pagine social delle biblioteche.

Un altro elemento su cui riflettere riguarda il cosiddetto utente attivo che, secondo i già citati standard internazionali sulla misurazione e la valutazione, si definisce come colui che nell’anno considerato ha effettuato almeno un prestito. Se, a mio avviso, si trattava di una fotografia parziale degli utenti in biblioteca già prima della pandemia, ciò vale a maggior ragione oggi. Quello appena definito dovrebbe essere piuttosto considerato un utente iscritto al prestito, altrimenti il rischio è di tenere fuori dalla misurazione tutti coloro che negli ambienti fisici e digitali della biblioteca fanno molte altre cose (consultazione delle risorse, utilizzo di internet, lettura del giornale, partecipazione a eventi culturali, gruppi di lettura, corsi di formazione) ma che se non fanno almeno un prestito all’anno rischiano di ricadere nella “casella” dei non utenti. Pensiamo a quanto potenzialmente si è allargato il bacino di utenza di una biblioteca dal momento in cui, anche a causa del Covid-19, le presentazioni dei libri, i reading, le conferenze, le letture per bambini sono stati trasferiti online. In teoria potrei non mettere mai fisicamente piede in una determinata biblioteca (che potrebbe essere collocata anche a centinaia di chilometri da casa mia), ma essere comunque un utente di specifici servizi e attività che questa offre nei suoi ambienti digitali.

Detto questo, mi sembra che la misurazione possa essere considerata sostenibile e che possa continuare a caratterizzare l’esperienza delle biblioteche, allargando la platea dei dati, che tutto sommato sono già abituate a raccogliere, ad altri dati, forse anche più semplici da misurare perché prodotti in ambiente digitale e di per sé già tracciati. Inoltre, rispetto a pochi anni fa, oggi abbiamo qualche nuovo strumento. Da tempo l’Istat raccoglie dati (anche relativi alle biblioteche) nelle sue indagini multiscopo sugli aspetti della vita quotidiana e dal 2013 elabora il Rapporto BES – Benessere equo e sostenibile per valutare il progresso della società italiana dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Fino al 2019 all’interno del rapporto c’era un solo indicatore che riguardava le biblioteche nel dominio “Paesaggio e patrimonio culturale” che si limitava a misurare la spesa pubblica comunale pro capite destinata alla cultura. Nell’edizione 2020 è stato inserito il primo indicatore dedicato denominato “Fruizione delle biblioteche” nel dominio “Istruzione e formazione” e definito come “la percentuale di persone di 3 anni e più che sono andate in biblioteca almeno una volta nei 12 mesi precedenti l’intervista sul totale delle persone”. Si tratta di un primo e importante segnale e dell’opportunità per le biblioteche per affermare e vedere riconosciuto il loro ruolo non soltanto nell’ambito del patrimonio culturale ma come strumento per l’istruzione e la formazione delle persone. Dal rapporto relativo al 2020 risultava che il 12,2% della popolazione era stata in biblioteca almeno una volta nell’anno, con una diminuzione rispetto al 2019 di circa 3 punti percentuali (sulla quale avrà inciso senz’altro anche la pandemia). Nel 2021 la percentuale si è ulteriormente e drasticamente ridotta arrivando al 7,4%, a dimostrazione di una tenuta sociale piuttosto scarsa delle biblioteche. Non c’è qui lo spazio per approfondire le motivazioni che hanno portato a un calo così drastico di numeri che erano già molto bassi, ma credo che questo sia un esempio evidente di quanto la misurazione possa essere importante non soltanto per prendere atto di una difficoltà ma anche per agire di conseguenza, contribuendo, così, a una vera e piena valutazione.

Valutazione della sostenibilità

Si accennava a come l’impatto della valutazione sulla vita delle biblioteche sembrerebbe essere stato piuttosto modesto. Nel primo Rapporto BES del 2013 le biblioteche, come si diceva, erano quasi assenti, eppure erano gli stessi anni in cui la letteratura biblioteconomica produceva riflessioni e studi significativi e in cui le esperienze di valutazione erano ben diffuse nelle biblioteche. A differenza della misurazione, qui non si tratta di rivedere soltanto un set di indicatori o di cambiare strumentazione, ma di ragionare sull’identità stessa della biblioteca, sul suo ruolo nella società, su un possibile cambio di paradigma.

Ma procediamo per gradi. Il primo aspetto, più semplice, di questo discorso ha a che vedere con la valutazione della sostenibilità delle biblioteche, in termini di spazi, servizi, attività, stili di comportamento e, in particolare, con il contributo delle biblioteche al raggiungimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals o SDGs), approvata dalle Nazioni unite e divenuta operativa il 1° gennaio 2016 per porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare prosperità a tutti entro il 2030. A questo proposito va citato il contributo di EBLIDA e, in particolare, del gruppo di lavoro ELSIA (European Libraries and Sustainable Development Implementation and Assessment), che ha tra i suoi obiettivi quello di stabilire metodologie adeguate per la valutazione delle performance delle biblioteche in campo sociale ed economico (in termini di pianificazione urbana, inclusione sociale, partecipazione democratica) e sostenerle misurandone l’impatto sulla società nel suo insieme, collegando questo impatto a indicatori socioeconomici di natura più generale (come gli indicatori Eurostat). Il gruppo ha preso in particolare considerazione gli studi che valutano l’impatto delle biblioteche in termini di return on investment e di contingent valuation, provando ad allineare i target e gli obiettivi dell’Agenda 2030 e dell’Unione europea con indicatori specifici per le biblioteche prodotti in ambito nazionale e locale. A questo si aggiunge l’EBLIDA Matrix che si propone alle biblioteche europee come una bussola, per inquadrare le politiche bibliotecarie nazionali e/o regionali nel quadro più ampio delle politiche europee per lo sviluppo sostenibile, per individuare partner locali e uscire dall’isolamento; come una calcolatrice, per valutare in che misura i risultati delle biblioteche si allineano con gli indicatori Eurostat e altri indicatori costruiti ad hoc; come una bandiera, per aumentare la visibilità delle biblioteche e dimostrare come possano contribuire a migliorare la qualità della vita delle persone. La matrice descrive per ciascuno dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 i programmi UE rilevanti per le biblioteche, le politiche bibliotecarie e le best practices in corso in Europa, le opportunità di finanziamento per le biblioteche nell’ambito dei Fondi strutturali e di investimento europei, i principali indicatori Eurostat correlati e una sezione (in fase di costruzione) dedicata a veri e propri library indicators per la valutazione delle performance delle biblioteche che si abbinano agli indicatori dell’Agenda 2030.

Qualche studio interessante in termini di misurazione e valutazione del contributo concreto delle biblioteche alla causa della sostenibilità non manca nella letteratura internazionale. In particolare, si deve a Paula Ochôa e a Leonor Gaspar Pinto l’aver messo a punto un sustainability assessment framework il cui presupposto è l’integrazione delle strategie della sostenibilità con quelle di gestione della qualità della biblioteca e che, quindi, concepisce la valutazione della sostenibilità non come un qualcosa a sé stante ma come parte integrante della più generale valutazione delle performance e dell’impatto (non a caso con espliciti riferimenti agli standard ISO 11620 e 16439).

La stessa International Organization for Standardization ha associato a ciascuno dei 17 obiettivi gli standard che apportano il contributo più significativo, per mostrare alle organizzazioni e alle aziende che li adottano cosa possono fare concretamente per lo sviluppo sostenibile. Gli SDGs a cui l’ISO ha finora collegato il maggior numero di standard sono il 9, relativo a imprese, innovazione e infrastrutture (con ben 13.224 standard), il 3, relativo a salute e benessere (3.098 standard), e il 12, relativo a consumo e produzione responsabili (2.780 standard). Per quanto riguarda la misurazione e la valutazione delle biblioteche, tutti e tre gli standard 2789, 11620 e 16439 contribuiscono all’obiettivo 4 relativo all’istruzione di qualità. Non stupisce affatto se consideriamo che, anche in letteratura, si tratta dell’obiettivo più frequentemente associato alle biblioteche, che viene declinato nei temi dell’alfabetizzazione universale, dell’accesso alle risorse documentarie, dello sviluppo di competenze e abilità, dell’educazione ambientale e sostenibile. In realtà, come vedremo tra poco, si tratta di aspetti che hanno a che fare con il core business delle biblioteche a prescindere dallo sviluppo sostenibile e da uno specifico SDG.

In sintesi, per quanto le biblioteche trovino ancora una posizione marginale nel moltiplicarsi di indicatori prodotti per monitorare, in generale, i progressi delle società rispetto agli obiettivi dell’Agenda e manchi al momento un approccio veramente organico alla questione, qualcosa pure si sta facendo in materia di valutazione della sostenibilità delle biblioteche.

Sostenibilità della valutazione

L’aspetto più complesso su cui si vuole portare l’attenzione, invece, è la sostenibilità della valutazione. Il concetto di sostenibilità non è certamente estraneo alle biblioteche; il loro ruolo strategico è confermato anche dal contributo attivo dell’IFLA per la creazione dell’Agenda 2030. Proprio all’IFLA va riconosciuto il merito di aver fatto includere nel testo definitivo dell’Agenda la visione di un mondo con un’alfabetizzazione universale (universal literacy) e con un accesso equo e universale all’istruzione di qualità a tutti i livelli. L’accesso all’informazione e alla conoscenza e l’alfabetizzazione universale, infatti, non sono un obiettivo ma sono considerati pilastri essenziali, prerequisiti per raggiungere i 17 obiettivi. Questioni, come si accennava sopra, che riguardano da sempre la missione delle biblioteche indipendentemente dalla sostenibilità, e più che mai importanti alla luce dell’impatto che la pandemia ha avuto (e avrà) sulle nostre vite.

Soprattutto nella prima fase dell’emergenza sanitaria siamo stati costretti a mantenere il distanziamento fisico e a utilizzare la rete per informarci, comunicare, studiare, lavorare, occupare il tempo libero. Il ricorso alle modalità a distanza ha palesato, anche in Italia, problemi di alfabetizzazione digitale e di digital divide, in termini di disponibilità di tecnologie e di connessioni e soprattutto di capacità e competenze nell’usare queste risorse. Nel caso specifico delle biblioteche l’emergenza pandemica si è sommata all’annosa crisi di identità e di legittimità e sembra aver accelerato alcuni processi e criticità già in atto. Chi offriva già servizi online spesso ha risposto all’emergenza trasferendo in rete contenuti, servizi, attività di formazione e costruendone di nuovi. Al di là, però, di questa reazione legata alla contingenza, sembra necessario riaffermare che le biblioteche sono per loro natura strumenti di accesso all’informazione e alla conoscenza, ambienti di apprendimento e di information literacy. Non a caso proprio nel 2020 la parola “infodemia” (dall’inglese infodemic, composta da information ed epidemic) è entrata a far parte dei neologismi dell’italiano con il significato di “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”, termine utilizzato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. Non abbiamo fatto in tempo a fare ordine nella sovrabbondanza di buona e cattiva informazione relativa al Covid-19, alle cure e ai vaccini che un altro evento di portata mondiale, quale la guerra in Ucraina, è esploso con il suo carico altrettanto pesante di teorie complottiste, bufale, post-verità, distorsioni, omissioni e manipolazioni delle notizie.

La giornata di studi che ha dato origine a questo contributo è nata da un interrogativo preciso: “A quale interesse collettivo rispondono le biblioteche nel XXI secolo?”. Ecco che in un contesto così complesso anche dal punto di vista informativo, le biblioteche possono avere un ruolo strategico nel supportare e rendere autonome le persone nella ricerca di informazioni vere e affidabili provenienti da fonti autorevoli e verificate, nel contrastare le fake news e le informazioni manipolate e distorte, nel formare cittadini in grado di riutilizzare le informazioni in maniera eticamente e legalmente corretta e di costruire e condividere nuova conoscenza. Viene naturale chiedersi, se l’accesso all’informazione e alla conoscenza, l’alfabetizzazione universale, il contrasto alle disuguaglianze e al digital divide sono pilastri della sostenibilità e sono, al tempo stesso, connaturati alle biblioteche, perché queste ultime non ne sono davvero protagoniste? Forse proprio perché non siamo ancora in grado di valutare e quindi di comunicare e valorizzare questo contributo delle biblioteche. Non si tratta di quantificare i prestiti, il numero di partecipanti a un corso di formazione o gli accessi a internet, ma di dimostrare davvero quanto vale il contributo delle biblioteche alla causa della sostenibilità. Se l’unico mondo possibile dovrà essere necessariamente sostenibile e non potrà esserlo senza accesso alla conoscenza (e quindi anche senza le biblioteche), non ci rimane che acquisire la sostenibilità come un’opportunità, come nuovo paradigma per le biblioteche, anche in termini di valutazione.

Il paradigma della biblioteca sostenibile

Il termine “paradigma” dà il titolo a una recente pubblicazione, curata da Giovanni Di Domenico, il cui ambizioso obiettivo è “capire in che misura e in che modo l’idea di sostenibilità stia invogliando la biblioteconomia ad arricchire i propri interessi disciplinari e di ricerca, i propri cimenti valutativi e interpretativi, il proprio dialogo con le altre discipline”:

Il termine “paradigma” nel titolo intende, così, segnalare l’urgenza di un ragionamento che ci porti oltre l’adesione (ideologica, empirica, in qualche modo ‘implicita’) delle biblioteche allo sviluppo sostenibile e ci consenta di farne una scelta ‘strategica’. Si tratterebbe, allora, di investire di nuove responsabilità ora l’elaborazione teorico-metodologica della biblioteconomia gestionale e sociale ora la missione, l’organizzazione e l’azione delle biblioteche ora l’esercizio della professione bibliotecaria.

La sostenibilità diventa, quindi, un’opportunità strategica della biblioteca e la biblioteca può dirsi davvero sostenibile:

  1. se punta a determinare effetti durevoli nelle tre aree della sostenibilità (ambientale, sociale, economica), di cui possano giovarsi la comunità di appartenenza e tutta la collettività; 
  2. se è capace di tradurre tale missione e tali priorità in sustainable policies e in programmi, progetti e azioni di medio e lungo periodo e se tutto ciò è parte di un sistema di rendicontazione sociale (e quindi, ancora una volta, di valutazione); 
  3. se organizza e gestisce in ottica sostenibile offerta documentaria, accessi, servizi, spazi fisici, ambienti digitali e la gestione sostenibile si configura come stadio avanzato della gestione consapevole e responsabile; 
  4. se sa costruire cooperazione, alleanze, partecipazione di utenti e comunità, reti di relazioni intorno al proprio impegno per la sostenibilità; 
  5. se si propone come nodo di rete per l’educazione sostenibile e per la condivisione di valori, competenze e comportamenti sostenibili; 
  6. se sa diventare presidio di sostenibilità culturale in un triplice senso: se tutela l’ecosistema culturale e della conoscenza registrata, se rafforza la centralità della cultura nei processi di cambiamento orientati allo sviluppo sostenibile, se negli ambienti digitali si fa guidare da intenti ecologici ed etici (controllo delle fonti, contrasto della post-verità, uso di dati aperti); 
  7. se le sue relazioni (anche in questo caso sottoposte a verifiche e interventi valutativi) sono resilienti e in grado di durare nel tempo; 
  8. se (come mondo delle biblioteche) interpella l’etica pubblica, il sistema politico e la decisione politica sullo sviluppo sostenibile; 
  9. se la sostenibilità è parte costitutiva della sua identità, (auto)narrazione, immagine sociale; 
  10. se la sostenibilità diviene riferimento deontologico e abito professionale per i bibliotecari.

I dieci punti individuati da Di Domenico confermano quanto si tratti di aspetti ben noti alle biblioteche, ma essi, nel delineare questo paradigma, collocano inevitabilmente le biblioteche in uno scenario nuovo, complesso e anche fortemente condizionato dalla pandemia, che ne ha senz’altro modificato l’agenda costringendole a un ripensamento sostanziale di spazi e servizi negli ambienti fisici e digitali. La sostenibilità suggerisce alle biblioteche “anche di rimodulare i propri indirizzi valutativi, per maggiormente orientarli verso gli outcome, l’impatto e il valore delle biblioteche nella sfera pubblica e nella più ampia dimensione della nostra vita, in parte analogica e in parte digitale”. Se la cultura della sostenibilità diventa parte integrante dell’identità delle biblioteche essa ricade, quindi, anche sugli aspetti della valutazione (gli stessi dieci punti potrebbero essere considerati altrettanti oggetti di valutazione). La valutazione non può limitarsi a considerare l’offerta, l’uso, la percezione o i benefici delle biblioteche nelle loro mura, ma deve guardare a tutti questi aspetti in maniera integrata e soprattutto deve leggerli alla luce dei cambiamenti sociali, giacché è chiaro che tutte le persone che per qualche motivo si relazionano alla biblioteca e su cui la biblioteca ambisce ad avere un impatto sono prima di tutto cittadini e “animali sociali”. Ecco che a questo punto non parliamo più di valutazione della sostenibilità o di sostenibilità della valutazione, con uno dei due sostantivi che specifica l’altro, ma consideriamo i due sostantivi in maniera congiunta, sostenibilità e valutazione, ciascuno con un suo portato e una sua dignità e che nella relazione con l’altro trovano reciproco arricchimento.

Dire che la sostenibilità può rappresentare una nuova cornice di riferimento per la valutazione in biblioteca non significa, naturalmente, cancellare decenni di riflessioni e ricerche valutative. Piuttosto la sostenibilità può essere considerata un approdo a cui le biblioteche dovrebbero arrivare forti di un bagaglio consistente di esperienze e di strumenti, consapevoli dell’importanza e della solidità di funzioni connaturate, che potremmo definire antiche, da calare, però, in una società decisamente più complessa rispetto a trent’anni fa, in una società matura dell’informazione. Si tratta di una società, per dirla con Luciano Floridi, che deve

investire su una formazione che insegni non solo a “leggere” – cioè a saper usare, manipolare, consultare, sfruttare il digitale – ma soprattutto a “scrivere”, cioè a saperlo lavorare, trasformare, disegnare, migliorare. […] Bisogna sapere leggere e scrivere digitale per essere protagonisti nella creazione e cura del mondo che ci circonda, in modo critico, informato e rispettoso.

Ciò è possibile, continua Floridi, soltanto unendo politiche verdi, che riguardano l’economia ambientalista (ambiente naturale e sociale) e l’economia della cultura (ambiente mentale), e politiche blu, che riguardano l’economia digitale e dell’informazione, “a supporto di una politica (ed economia) dell’esperienza e non del consumo, cioè imperniata sulla qualità delle relazioni e dei processi e non sulle cose e le loro proprietà”. In questa concezione la cultura va valorizzata:

si dovrebbe trasformare la mentalità di esclusiva tutela e cura dei beni ambientali e culturali – l’ambiente e la cultura come peso e costo per la società – in una strategia di promozione e valorizzazione anche economica – l’ambiente e la cultura come capitali da mettere a frutto, a vantaggio di tutta la società che la esprime, anche grazie al digitale.

Ma capitalizzazione, promozione, valorizzazione della cultura, e nello specifico delle biblioteche, passano anche per la valutazione. Sarebbe prematuro per questo contributo capire quali possano essere concretamente i prossimi sviluppi della sostenibilità e della valutazione delle biblioteche nel nostro paese. Come si poteva intuire già dal titolo, sono più numerose le domande rispetto alle risposte. E anche per questo sembra opportuno chiudere questa riflessione con un ulteriore interrogativo:

Tentare di costruire un paradigma della biblioteca sostenibile significa chiedersi se questa avventura dell’umano, questo progetto, questo sviluppo (solo potenziali, non scontati) possano fare a meno delle biblioteche e se esse ambiscano a esserne protagoniste.