Materiali per lo studio della produzione a stampa nella Ferrara del XVIII secolo
Biblioteca Apostolica Vaticana
Abstract
Recensione di Laura Lalli al libro di Ranieri Varese, Materiali per lo studio della produzione a stampa nella Ferrara del XVIII secolo, Bologna, Pendragon, 2022, xx p.
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Nel suo ultimo saggio dal titolo Materiali per lo studio della produzione a stampa nella Ferrara del XVIII secolo, Ranieri Varese offre al lettore una sintesi sapiente dell’esercizio della stampa, nella città di Ferrara, tra Sette e Ottocento. Come ricorda l’autore, nell’avviso al benevolo lettore, l’abbrivio alla stesura del lavoro ebbe luogo al tempo della reclusione causata dalla pandemia Covid-19 negli anni 2020-2021. La condizione di clausura – così come il tempo lento – favorì un riordinamento di appunti fino ad allora riposti in qualche cassetto ma, per fortuna degli specialisti, non abbandonati. Il risultato di tale sintesi è stata la pubblicazione di un vero e proprio manuale preliminare allo studio della storia della stampa ferrarese, tra Sette e Ottocento, da tenere sulla scrivania, così come uno strumento base di ricerca. É un saggio che invita il lettore ad approfondire il tema a partire dalla mole di documenti, forniti dall’autore, atti a favorire un’immersione nelle linee intense e nei momenti che hanno segnato la cultura ferrarese.
Appare subito evidente, a una prima lettura, che questi materiali sono il frutto di uno studio consolidatosi lungo gli anni presso svariati istituti di cultura, tra cui la Biblioteca comunale ariostea, l’Archivio di Stato, l’Archivio storico comunale e altri istituti attentamente indicati sia nelle quindici appendici documentali, sia nella postfazione a cura di Maria Gioia Tavoni. La mancanza degli annali di stampatori ferraresi, e l’impossibilità di leggere de visu le carte dell’antico archivio notarile ancora oggi non agibile per via del terremoto del 2012, hanno fatto sì che l’autore abbia cambiato il punto di vista, e il metodo di ricerca, rispetto al consueto impiego delle fonti storiografiche. Egli delinea un profilo storico delle botteghe non a partire dagli annali, dai testamenti e dai documenti d’archivio, ma piuttosto dall’analisi del prodotto finale; monografie, opuscoli, giornali, bandi, editti, chirografi e processi relativi all’esercizio della tipografia a Ferrara. L’autore attribuisce un valore aggiunto alla produzione editoriale perché, studiando le dediche, gli avvisi al lettore, le prefazioni e le altre sezioni paratestuali, egli riesce a scattare una fotografia del complicato contesto storico che ha consentito lo sviluppo della tipografia a Ferrara. Il prodotto editoriale diventa, quindi, la fonte principale da cui attingere le tracce per risalire alla storia relativa ai legami tra stampatori, letterati e governatori attivi nella città estense.
Il saggio si divide, sostanzialmente, in tre parti. Nella prima parte emerge un tema già trattato dall’autore in precedenza: l’importanza della presenza in loco dei Cardinali Legati. Una disamina della produzione dei titoli, riguardanti principalmente la letteratura celebrativa ma anche storica, poetica e scientifica, accompagnata da documenti inediti relativi all’operato strategico degli ecclesiastici e, soprattutto, dei Cardinali Legati come Alessandro Aldobrandini, testimonia come da un lato costoro segnarono un arresto nei costumi e nelle lettere, ma dall’altro posero la città al centro di un dibattito europeo di cui la retorica e la tradizione classica ne portano segni evidenti. Si pensi, ad esempio, al saggio sulla Galleria di pitture dell’eminentissimo, e reverendissimo principe signor cardinale Tommaso Ruffo vescovo di Palestrina, e di Ferrara, ecc. Rime, e prose del dott. Jacopo Agnelli ferrarese stampato nel 1734 oppure il volume De monetis Italiae medii aevi hactenus non evulgatis quae in suo musaeo servantur una cum earundem iconibus dissertatio del sacerdote Vincenzo Bellini stampato nel 1755. L’autore non tralascia considerazioni interessanti sul peso dell’imprimatur imposto dell’autorità ecclesiastica per verificare la mancanza di criticità con i dettami della religione cattolica. Si pensi al caso dei due sposi ebrei celebrato nell’opuscolo Componimenti poetici in occasione delle felicissime nozze del molt’illustre signor Moisé Vita Coen di Ferrara, e della molt’illustre signora Consola Coen di Mantova, presentati al merito singolare de’ rispettivi loro signori genitori stampato nel 1744 sine loco, sine nomine.
Al contempo la borghesia cittadina, grazie alla crescita dei commerci, sostenne con forza una emergente operosità artigiana; si manifestarono segni di una sprovincializzazione espressa, plasticamente, nell’ambito urbanistico con la rimodulazione degli spazi, tra cui ad esempio gli interventi edilizi sulla Cattedrale, in ambito sanitario e in ambito culturale con la fondazione di numerose accademie ove prendevano forma vivaci dibattiti sulla letteratura, la scienza e la classicità. La partecipazione al dibattito pubblico, da parte esclusiva della borghesia, dell’aristocrazia e degli ecclesiastici, diede l’abbrivio all’apertura di numerose librerie e botteghe di stampatori che, il più delle volte, ricoprivano anche la funzione di editori. Si fa riferimento al catalogo di SBN per rilevare l’uscita, a Ferrara, di almeno duemila titoli nel Secolo dei Lumi. La Legazione e il Maestrato si servirono di uno stampatore camerale, mentre la Diocesi di uno stampatore episcopale. I temi erano per lo più di interesse locale ma non solo. L’autore elenca gli istituti, fornendo brevi cenni sulla loro attività, proprio a partire dalle pubblicazioni testimoni del fermento letterario: l’Accademia degli Intrepidi “…ove si forma la nuova classe dirigente” (p. 22); la colonia Arcade fondata nel 1699; l’Accademia della Selva dal motto virgiliano nec erubuit sylvas habitare Thalia; i Vignaiuoli dell’Accademia della Vigna istituita dal celebre Girolamo Baruffaldi; l’Accademia degli Argonauti radunata in casa del marchese Zavaglia. La congerie di pubblicazioni degli accademici fu possibile grazie ai finanziamenti elargiti dai mecenati elogiati, il più delle volte dagli editori, nelle dediche lusinghiere, alcune delle quali, riportate nel saggio. Volendo delineare un quadro complessivo dell’editoria ferrarese, il numero considerevole di pubblicazioni, e quindi anche delle dediche, fa emergere un tratto marcato di provincialismo non sottovalutato dall’autore che si sofferma sul mancato tentativo, da parte degli addetti ai lavori, di partecipare anche al mercato editoriale nazionale rappresentato da Venezia e Roma. Oltre alle dediche, l’autore non tralascia il tema delle pubblicazioni licenziate grazie alle sottoscrizioni. Tra gli esempi spicca la Raccolta di opuscoli scientifici, e letterari di Ch. autori italiani di Antonio Meloni. Grazie al pagamento di piccole quote, gli associati si fregiavano di essere citati negli elenchi apposti nelle pagine, iniziali o finali, delle opere.
Seguendo la lettura del saggio, si incontra l’aspetto tecnico-artigianale della tipografia. L’autore pone attenzione al dominio grafico delle edizioni in cui si palesa l’intreccio tra autori, editori e tipografi che si scambiano i corredi lignei dei sontuosi frontespizi, delle figure e delle iniziali, figurate e non, di cui si fornisce anche una sorta di censimento preliminare per le singole botteghe; tra le tante, appaiono raffinate le iniziali di Giuseppe Rinaldi che raffigurano il Castello estense, Palazzo Paradiso (oggi Biblioteca comunale ariostea), la piazza e la Colonna estense. Si nota la mancanza di una fonderia comunale dovuta, principalmente, alla difficoltà che comporta l’allestimento come documentato, ad esempio, nel caso similare della proposta di Gasparo Gozzi, inviata ai Riformatori dello Studio di Padova nel 1766, con il fine di istituire una stamperia presso l’Università. Si indugia sui capitoli, le delibere, gli editti e i chirografi curiali relativi all’Arte della carta ove emerge palese il problema dell’approvvigionamento degli stracci, necessari alla produzione, superato dalla figura del “Libraio del Pubblico” anello di congiunzione tra stampatori e cartai fuori porta. Un altro aspetto grafico-formale, e di contenuto, riguarda il tema delle insegne tipografiche. L’emblema posto sulle botteghe, e ripetuto sui frontespizi, diventa signum: non un mero logo pubblicitario ma un segno, una traccia, dell’importanza della produzione di cui l’editore-tipografo va fiero. La scelta dell’insegna, quasi mai casuale, era indotta seguendo soprattutto l’elemento di riconoscibilità da parte di un pubblico, principalmente locale, di lettori partecipi di cultura e conoscenza. Si prenda, tra gli esempi, il caso della melagranata voluta dai Pomatelli di cui l’autore fornisce il corposo catalogo dei titoli, fino al 1732, nella quattordicesima appendice. Il frutto del melograno assume varie forme, e significati, nel lungo periodo di attività della bottega.
Le stamperie corrispondono, verosimilmente, ai “laboratori dell’ingegno umano” (p. 89). La seconda parte si concentra sui tecnici di questi laboratori: una decina di schede sintetizza l’attività degli Editori in Ferrara. Si tratta di ritratti puntuali dei maestri ferraresi Bernardino Barbieri libraro della Parrocchia di S. Stefano; Giuseppe Barbieri all’insegna della colomba; Bolzoni Giglio e il suo motto Semper condescat; la piccola stamperia di Giovanni Antonio e Carlo Coatti; Girolamo Filoni e i suoi opuscoli sugli eventi naturali; Tommaso Fornari con i libretti d’occasione; Francesco Gardi all’insegna del Sansone; Bernardino Pomatelli “stampatore episcopale” e Francesco Pomatelli Biblioforo “stampatore del governo”, rappresentanti dell’arte tipografica per quasi un secolo; Giuseppe Rinaldi al servizio delle accademie e non solo. Questi tipografi, grazie alla loro consistente produzione, hanno vissuto da protagonisti lo sviluppo della cultura ferrarese e hanno lasciato testimonianza della vivacità intellettuale che pervadeva Ferrara al Secolo dei Lumi fino all’occupazione da parte delle truppe repubblicane francesi.
Il saggio si apre con la poesia Epitaffio per un tipografo scritta da Giorgio Bassani nel 1945… i “fogli aperti come abissi” parlano ancora.