Introduzione all’information literacy, Maurizio Lana
lucaferrieri@gmail.com
Milano, Editrice Bibliografica, 2020, 372 p.
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Sull’information literacy, come su altri “termini ombrello” (la definizione è del bibliotecario argentino Edgardo Civallero, che, ad esempio, fa rientrare in questa definizione il termine “biblioteconomia sociale”), pesano i rischi, direttamente proporzionali, di genericità e di usura, soprattutto negli usi comuni e divulgativi del termine. Questo libro di Maurizio Lana, ricercatore presso l’Università del Piemonte Orientale e da tempo impegnato sul fronte delle digital humanities, è un buon antidoto a entrambi. Ha infatti il grande merito di compiere un percorso approfondito tra le fonti e un continuo richiamo alle radici, epistemologiche e politiche, che sostanziano le dispute, sempre a rischio di nominalismo, sui termini, sulle definizioni, sulle nomenclature disciplinari. Si tratta quindi di un testo che entra prepotentemente nelle opere di riferimento per quanto riguarda l’information literacy in biblioteca, anche per il suo carattere sistematico, affiancando contributi già presenti in ambito italiano come quelli di Laura Ballestra, Piero Cavaleri, Laura Testoni, Patrizia Lucchini, Sara Chiessi, Sandra Migliore, del Gruppo di studio sull’information literacy dell’AIB (GLIT).
Nel libro di Lana l’attenzione alla pluralità delle literacies è presente a ogni pagina così come il tentativo di far chiarezza nella giungla definitoria per capire ciò che le unisce e ciò che le differenzia, ciò che è essenziale e ciò che è pleonastico. L’autore realizza un lavoro comparatistico, insieme sincronico e diacronico, muovendosi in un corpo a corpo di citazioni e rimandi, analizzando non solo i testi teorici e scientifici, ma anche la ricorrenza delle espressioni linguistiche nei documenti ufficiali e in quelli professionali, nonché le diverse traduzioni italiane della terminologia anglosassone, a volte “mancanti di consapevolezza”. È singolare, per esempio, vedere come la definizione e la traduzione di information literacy cambino non solo nel corso degli anni (che ormai sono parecchi, se la prima apparizione del termine risale al rapporto del 1974 di Paul Zurkowski), ma anche all’interno di opere e di documenti coevi.
Il disordine definitorio è una malattia infantile delle grandi scoperte, specie di quelle sconfinanti, e a volte anche un indicatore di vitalità. Tuttavia sarebbe miope abbeverarsene acriticamente, e infatti questo libro è il teatro di un notevole lavoro intertestuale di orientamento e di chiarimento all’interno di galassie semantiche in rapido movimento. L’altro grande asse trasversale del libro è rappresentato dalla convinzione che il senso vero dell’information literacy stia nella sua postura radicale (si veda per esempio a p. 140 e seguenti). Questa è la declinazione che il tema assume soprattutto nella seconda parte del libro e che offre moltissimi spunti ma li lascia anche aperti, a disposizione del lettore, come parte della sua cassetta degli attrezzi. Accenno ad alcuni punti che, a mio avviso, sono significativi per questo percorso, nello spazio consentito da una recensione puramente introduttiva. Il primo è la necessità di superamento della visione dominante dell’information literacy, quella di carattere prevalentemente quantitativo o diffusivo, caratterizzata dal contrasto della quantità attraverso la quantità. Benché questa dimensione sia ovviamente presente anche nel libro di Lana (il tema del rumore, dell’eccedenza informativa, della promozione), in più passi ci viene consegnata l’urgenza di fare un ulteriore tratto di cammino e di considerare gli aspetti qualitativi della materia. Di passare, in sostanza, dalla visione dell’informazione come somma di innumerevoli particelle (gli infoni di Devlin) all’informazione come “differenza che crea una differenza” di Bateson. Da una concezione atomistica e corpuscolare a una olistica ed energetica (nonché ecologica: un punto sfiorato più volte e che fa capolino anche nelle ultime righe del libro, giusto per lasciar aperte altre piste). Quella scientifico-quantitativa è una linea che da Zurkowski attraversa la storia e le cesure dell’information literacy, in particolare della sua versione “cibernetica”, ma alimenta anche la riflessione di Nunberg o di Luciano Floridi, per accennare ad alcuni autori presi in considerazione. Il tentativo di prendere le distanze da una visione di stampo neopositivistico è percepibile in diverse pagine del libro, anche se la genesi del concetto e delle pratiche di information literacy preme a volte in senso opposto.
In un certo senso la tematica delle “fake news”, che recentemente affolla, anche se non esaurisce, la discussione sull’information literacy, si colloca a metà del guado: da un lato sgorga nativamente dall’assunto dell’abnorme (?) crescita delle informazioni circolanti e incontrollate, dall’altro origina anche da una serie di riflessioni etiche e aletiche che Lana affronta specialmente nella parte finale del libro, quando prende in considerazione le proposte della filosofa Franca D’Agostini. Ed è qui che la percezione della quantità si rovescia in discussione sulla qualità. Come dice Lana, “l’informazione è molto differente dalle informazioni” (p. 114) e questa constatazione facilita lo slittamento tra la sfera quantitativa e quella qualitativa, ma anche il cambio di paradigma dalla prima alla seconda.
Un altro punto di riflessione “radicale” suggerito dal libro di Maurizio Lana, anche se in modo probabilmente ancora liminare, riguarda il rapporto tra l’information literacy e l’alfabetizzazione “basica” da cui essa prende le mosse, che è un rapporto di filiazione ma anche di liberazione. Anche di questo in fondo parla l’autore quando sottolinea la complessità del rapporto tra information literacy e digital literacy e manifesta la sua contrarietà alla riduzione della prima alla seconda. Ma lo stesso discorso vale per i rapporti tra information literacy e information seeking (p. 113). Si potrebbe dire che qualunque tendenza a ridurre l’information literacy a una delle literacies nate nel suo seno come funghi (fatti salvi, forse, i casi della transliteracy e della metaliteracy che rappresentano il tentativo opposto, quello di farne emergere l’essenza) corre il rischio di ogni riduzionismo, e, nella ambizione di ampliare precisando, di fatto restringe il raggio. Si veda su questo tema anche un recente articolo di Maurizio Lana sul numero di dicembre 2019 di questa rivista (p. 5-12), intitolato significativamente La danza delle literacy.
Quello che però si vorrebbe evitare all’information literacy è il cammino percorso nel campo della lettura, in cui l’enfasi sull’alfabetizzazione primaria ha portato gradualmente alla compromissione dell’obiettivo finale. Lana fa un riferimento esplicito, a p. 144 (ma anche a p. 108), all’analogia tra i due campi, anche se rovesciata: paragona la lotta contro l’analfabetismo dell’Ottocento e Novecento all’attuale lotta contro l’information illiteracy. Non è questo il luogo per sviluppare quella che può apparire come una digressione, ma può essere utile osservare come in molte parti del libro riaffiori la somiglianza tra i nodi problematici dell’information literacy e quelli che hanno contrassegnato la storia della lettura e della sua promozione. Per chi pensasse che tra informazione e lettura esista poco più che un rapporto di occasionale coabitazione (magari nella struttura bibliotecaria), questa è una salutare smentita. Un altro punto in cui appare questa convergenza è quello in cui Lana sottolinea la rottura del vincolo di luogo (p. 139), ossia la tendenza dell’informazione a diffondersi e a migrare da luoghi specifici e deputati, come potevano essere le biblioteche o altre agenzie, ad ogni punto connesso della rete, con il contemporaneo abbattimento della distinzione tra tempo di lavoro e tempo di vita.
Questa mutazione è un tratto tipico della radicalità dell’information literacy, è la base materiale (una delle basi materiali) della rivoluzione informativa (Floridi). Tuttavia proprio il paragone con la lettura mostra come la perdita del vincolo di luogo (con l’ubiquità e la nomadicità che comporta) non significa necessariamente perdita del luogo in senso augettiano ma invenzione di una nuova toponomastica; un modo di sentirsi a casa anche in luoghi stranieri. Il processo, quindi, porta con sé un allargamento della base di massa dell’information literacy (come fu della lettura e dell’alfabetizzazione), non più ristretta a un cenacolo di specialisti o professionisti, ma parallelamente anche un rischio di annacquamento della radicalità.
Anche sotto questa luce, quindi, occorrerebbe ribadire che ogni allargamento democratico non è mai un processo soltanto quantitativo, ma parte da una riconsiderazione complessiva e una mutazione qualitativa di ciò che si redistribuisce. Il corrispondente professionale di questo cammino è ben individuato da Lana nel passaggio dalle Tesi di Viareggio dell’AIB (1987, quando ancora in Italia non si parlava di information literacy) al Manifesto per l’information literacy dell’AIB, rilasciato nel 2016, e nel libro ripubblicato in appendice. Due testi molto alti, che fanno onore alla tradizione biblioteconomica e alla associazione professionale italiana. La condivisibile linea che Lana sostiene è quella della continuità tra di essi, nonostante i quasi trent’anni che li separano, o meglio della prosecuzione con altri mezzi. La centralità dei servizi informativi nelle Tesi di Viareggio, che nasce anche da una polemica contro ogni concezione puramente “culturale” della biblioteca, trova pane per i suoi denti nella visione della biblioteca e dei bibliotecari come “comunità di specialisti dell’informazione aperta, inclusiva e accogliente”, presente nel Manifesto. Se mai si potrebbe aggiungere che forse è proprio quest’ultimo che tenta un recupero, in chiave MAB (Musei, archivi, biblioteche), della biblioteca come istituzione culturale. Ma questo è davvero un altro discorso, e c’è da essere grati a Maurizio Lana per la quantità di approfondimenti e di digressioni che stimola.