Da Vienna a Firenze, una complessa vicenda di solidarietà internazionale
Museo Galileo di Firenze e.direnzo@museogalileo.it
Abstract
L'articolo ripercorre il viaggio da Vienna a Firenze della copia del Museo Galileo dell'Instrumentarium chirurgicum, un libro sugli strumenti chirurgici di Giovanni Alessandro Brambilla (1782). Sostituisce la copia lorenese conservata dall'Istituto e Museo di Storia della Scienza (oggi Museo Galileo), gravemente danneggiata dall'alluvione del 4 novembre 1966. Fu un dono dell'Institut für Geschichte der Medizin e faceva parte delle donazioni internazionali giunte da tutto il mondo per aiutare la città di Firenze in generale e il museo in particolare a rialzarsi dopo il disastro.
English abstract
The article traces the journey from Wien to Florence made by the Museo Galileo copy of the Instrumentarium chirurgicum, a book on surgical instruments by Giovanni Alessandro Brambilla (1782). It replaced the Lorraine copy preserved by the Institute and Museum of the History of Science (now Museo Galileo) that was severely damaged by the flood that took place on the 4th of November 1966. It was a gift by the Institut für Geschichte der Medizin and it was part of the international donations that came from all over the world to help the city of Florence in general and the museum in particular to get up after the disaster.
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Il viaggio di una settecentina per salvare una collezione di strumenti chirurgici alluvionati presso l’Istituto e museo di storia della scienza
Aprendo l’esemplare dell’Instrumentarium chirurgicum militare Austriacum di Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) conservato dalla biblioteca del Museo Galileo si incontra subito un timbro inconsueto, apposto più volte nelle pagine anteriori, che recita: “Biblioth. der K.K. Med. Chir. Josephs. Acad.”. Sul verso del frontespizio se ne incontra un altro, dove si legge: “Institut für Geschichte der Medizin, Wien”. Sono provenienze assolutamente inusuali, che non hanno eguali in nessun altro volume delle collezioni antiche della biblioteca. Ricostruendo la loro storia è possibile raccontare una complessa vicenda di solidarietà internazionale in un momento di crisi dei beni culturali fiorentini: i difficili lavori di recupero che seguirono l’alluvione del 4 novembre del 1966 (Figura 1).
L’autore del volume, nato nella provincia pavese e formatosi presso le università di Pavia e di Vienna, fece carriera come chirurgo nell’esercito imperiale austriaco, fino a diventare chirurgo personale dell’arciduca Pietro Leopoldo. In seguito, dopo la partenza di quest’ultimo per la Toscana dove si apprestava a ricoprire la carica di granduca, passò al servizio del fratello, l’imperatore Giuseppe II, di cui divenne anche consigliere per i problemi di sanità pubblica. Impegnato nella promozione degli studi chirurgici, Brambilla compilò l’Instrumentarium chirugicum a fini didattici: il volume contiene infatti 67 tavole incise su rame che illustrano, con immagini a dimensione naturale, gli strumenti considerati utili o necessari per l’esecuzione delle operazioni chirurgiche, ciascuno accompagnato da un testo che lo descrive accuratamente e che ne spiega l’utilizzo. Il volume fu stampato a Vienna in tedesco una prima volta nel 1780, con 65 tavole, e successivamente, per garantirgli una maggiore diffusione, in latino nel 1782. È di quest’ultima edizione che fa parte l’esemplare che si trova presso il Museo Galileo: legato in piena pelle marmorizzata, con i nervi rilevati sul dorso e le controguardie in carta anch’essa marmorizzata, si mantiene in ottime condizioni di conservazione (Figura 2).
L’impegno di Brambilla era proseguito con l’istituzione, a partire dal 1781, della scuola medico-chirurgica militare annessa all’ospedale di Gumpendorf, poi trasformata nel 1785 in accademia destinata all’insegnamento della chirurgia a livello universitario, con il nome di Josephs Akademie in onore dell’imperatore.
Tre set di strumenti furono commissionati da Brambilla – ancora una volta scopo didattico – al coltellinaio austriaco Joseph Malliard (1784-1814) sul modello di quelli rappresentati nell’Instrumentarium chirurgicum e uno di questi fu acquistato nel 1785 da Pietro Leopoldo per destinarlo all’Arcispedale di Santa Maria Nuova, dove lui stesso aveva da poco riorganizzato la scuola di chirurgia. Lo strumentario era formato da cassette a due piani, rivestite internamente di velluto verde ed esternamente in pelle, in cui erano contenuti gli strumenti, disposti per lo più così come raffigurati nelle immagini (Figure 3 e 4).
Figura 1 - I timbri viennesi della Joseph Akademie e dell’Institut für Geschichte der Medizin apposti sulle pagine preliminari dell’esemplare del Museo Galileo dell’Instrumentarium chirurgicum di Brambilla del 1782.
Figura 2 - Il frontespizio dell’edizione latina dell’Instrumentarium chirurgicum di Brambilla del 1782.
La raccolta rimase presso l’Arcispedale fino al 1925, quando fu ceduta in deposito all’Istituto e museo di Storia della scienza (oggi Museo Galileo), perché venisse esposta e valorizzata insieme alle collezioni di strumentaria scientifica mediceo-lorenese.
Nel nuovo allestimento, che a novembre 1966 era da poco concluso, lo strumentario era esposto a piano terra, in una delle due sale destinate alla storia della medicina: una dedicata appunto a Brambilla e una a Paolo Mascagni (1755-1815). Le scatole erano visibili, aperte, all’interno di teche di vetro sovrastate dai ritratti a olio dei protagonisti, mentre in una vetrina sotto la finestra si poteva osservare un esemplare dell’Instrumentarium chirurgicum aperto al frontespizio (Figura 5).
Nel settembre del 1964 erano state inaugurate, infatti, le nuove sale del seminterrato, che avevano permesso la creazione di nuovi percorsi espositivi e la riorganizzazione delle collezioni esposte al piano terreno, fra cui quelle di medicina.
L’onda di piena che sommerse Firenze all’alba di venerdì 4 novembre 1966 si abbatté con particolare forza nelle sale del museo. Palazzo Castellani, che ospita l’istituto, sorge infatti sui lungarni, in Piazza dei Giudici, e si apre leggermente in discesa rispetto al corso del fiume. È situato inoltre a poche centinaia di metri dal centro romano della città, posto a un livello più alto rispetto alle vie circostanti, e dal Ponte Vecchio, che a lungo – prima di essere scavalcato – impedì il passaggio alla furia del fiume, opponendo un ostacolo che forzò le acque a riversarsi con violenza sulle strade immediatamente a monte.
Aprendosi una via dal portone del palazzo e dalle finestre del seminterrato che si affacciano nella parte alta della piazza e sui lungarni, le acque raggiunsero un’altezza di circa 4,20 m sul livello stradale, portando al cedimento i pavimenti di ben quattro sale. Il museo venne però sconvolto anche e soprattutto dal rapido ritirarsi del fiume, con gorghi e mulinelli, nel corso della notte successiva. La violenza del risucchio fu tale da aprire una voragine che interessò la spalletta del fiume e parte della pavimentazione del lungarno proprio sul fianco di Palazzo Castellani prospiciente il fiume. Le finestre dei locali del seminerrato si trovarono così a fare da collettore del materiale proveniente dalle sale sconvolte, trattenuto dalle grate (Figura 6).
La direttrice Maria Luisa Righini Bonelli (1917-1981), sola nel suo appartamento collocato al piano terreno del palazzo, si rese protagonista di una eroica opera di salvataggio di alcuni dei pezzi più preziosi delle collezioni medicee, trasportandoli agli Uffizi, ma non poté evitare il disastro: il fiume, defluendo, lasciò le collezioni del museo sfregiate non solo dall’umidità, ma anche dal fango e dalla nafta trasportate dalle acque nella loro folle corsa. Gli strumenti, anche quelli più pesanti, rimasero a terra, a pezzi, confusi, trascinati con violenza da una sala all’altra.
Quando la direttrice riuscì a raggiungere il piano terra, la mattina del 5 novembre, lo trovò coperto da almeno un metro di melma, nella quale erano confusi spezzoni di strumenti ormai irriconoscibili. Per questo nei primi giorni, in vista di un lavoro di restauro che si preannunciava lungo e dispendioso, si rese necessario setacciare il fango alla ricerca dei più minuti frammenti (Figura 7).
Figura 3 - L’interno di una delle cassette dello strumentario Brambilla.
Figura 4 - Una delle 67 tavole dell’Instrumentarium chirurgicum del 1782.
Figura 5 - La sala di medicina dedicata ad Alessandro Brambilla nell’allestimento pre-alluvione. Si riconoscono le scatole esposte nelle teche al centro e lungo le pareti della sala, nonché il volume aperto al frontespizio di fronte alla finestra.
Figura 6 - Le grate delle finestre del seminterrato trattengono le storte, che erano esposte nella sezione di chimica del nuovo allestimento del seminterrato e che sono state trascinate via dalle acque alluvionali.
Figura 7 - La direttrice Maria Luisa Righini Bonelli lavora al recupero dei pezzi un tempo esposti nelle sale di medicina nei giorni immediatamente successivi al 4 novembre 1966. A terra si riconoscono alcune scatole alluvionate dello strumentario Brambilla, in parte aperte e in parte chiuse.
Da questa lunga “pesca nel fango”, come la definisce spesso la direttrice nella corrispondenza, risultò che fra i pezzi del museo gravemente danneggiati, ma non perduti, era possibile annoverare lo strumentario chirurgico di Giovanni Alessandro Brambilla.
La rete di contatti sapientemente costruita da Righini Bonelli negli anni della sua direzione si attivò fin dai giorni immediatamente successivi all’alluvione, ma è in particolare a due donne, appartenenti come Righini Bonelli a una nuova generazione di storiche della scienza ormai in grado di occupare posti di responsabilità, che si deve il primo salvataggio dello strumentario Brambilla: Maria Rooseboom (1909- 1978), l’instancabile direttrice del Rijksmuseum voor de Geschiedenis der Natuurwetenschappen di Leida, che fino ad allora si era occupata in modo particolare di microscopi, ed Erna Lesky (1911-1986), docente di storia della medicina presso l’Institut für Geschichte der Medizin dell’Università di Vienna, l’istituto che aveva ereditato le collezioni della Josephs Akademie. Il sostegno destinato da quest’ultima in modo specifico al recupero della collezione di strumenti chirurgici, che tanto profondamente legava l’istituto da lei diretto al museo fiorentino, si incrociò infatti con gli sforzi che da Leida si indirizzavano a una raccolta fondi destinata al restauro delle raccolte museali nella loro interezza.
Già il 18 novembre Rooseboom scrisse alla direttrice fiorentina chiedendo come muoversi per venire in aiuto al museo alluvionato, visto che le campagne di raccolta fondi destinate al restauro dei beni danneggiati, già avviate in Olanda, erano indirizzate esclusivamente ai tesori dell’arte, trascurando quelli della scienza.
Erano molti infatti i paesi in cui, fin dai primissimi giorni di novembre, erano nati comitati diretti a raccogliere aiuti in favore della popolazione e dei beni culturali così gravemente colpiti, ma i beni artistici, archivistici e librari erano in genere i destinatari preferiti, perché più noti e conosciuti e perché forse più adatti a catturare l’attenzione di chi, frastornato, seguiva le notizie dall’estero. Le immagini delle opere d’arte danneggiate, dei libri della Biblioteca nazionale coperti di fango passati di mano in mano da quelli che furono poi definiti “angeli del fango” riempivano infatti i giornali e le televisioni di tutto il mondo, assieme ai volti di storici dell’arte, intellettuali, ma anche attori famosi come Richard Burton ed Elizabeth Taylor, che si appellavano perché ognuno donasse “anche solo un dollaro” per la città che tutto il mondo amava, che veniva identificata con i suoi monumenti e le sue opere d’arte.
Alcuni di questi comitati, organizzati per lo più su base nazionale, decisero di destinare i propri fondi a uno o più specifici enti, in modo da seguire da vicino i lavori e ottimizzare le proprie energie. La più munifica fra queste organizzazioni fu senz’altro lo statunitense “Committee to rescue Italian art”, più noto con l’acronimo CRIA, che si fece carico dei lavori di restauro, fra gli altri, del Museo di storia della scienza, e che poteva contare sul fatto che le donazioni fossero, per il fisco statunitense, deducibili dalle tasse.
In un primo momento, il 26 novembre, Righini Bonelli si limitò a rispondere a Rooseboom informandola dei danni subiti e chiedendole una copia del volume Microscopium per la propria biblioteca personale, andata perduta perché conservata al piano terreno di Palazzo Castellani, negli appartamenti riservati al direttore. Un mese dopo, il 20 dicembre, anche Lesky offrì il proprio aiuto per il recupero, l’identificazione e il riordinamento dello strumentario Brambilla, suggerendo la possibilità di inviare le foto su microfilm di quello conservato presso l’istituto austriaco. Purtroppo però, avvertiva Lesky, l’esemplare viennese dello strumentario era molto lacunoso perché, se pure si erano conservati tutti gli astucci, molti strumenti erano andati dispersi: “Unfortunately all caskets of our collection of instruments exist but not their contents. Several caskets have even been looted”.
Il 25 gennaio del 1967 fu lo storico della medicina e amico personale della direttrice, il milanese Luigi Belloni (1914-1989), a scrivere a Righini Bonelli per chiederle di inviare a Lesky un resoconto in lingua inglese sul disastro, che potesse essere utilizzato per la raccolta fondi che la storica austriaca si preparava ad affrontare. Belloni aveva infatti ricevuto lettere da Vienna e da Leida che sollecitavano un suo coinvolgimento nelle iniziative di aiuto che le due storiche stavano avviando.
Il 28 febbraio Rooseboom informò Righini Bonelli di aver promosso un appello in favore del museo fiorentino, con l’invio di una lettera circolare, in lingua inglese e tedesca, per sollecitare aiuti e donazioni. Il documento, raggiungendo una settantina fra istituzioni, società, enti e musei legati alla storia della scienza in tutto il mondo, sarebbe stato fondamentale per rendere note le necessità del museo e per far prendere coscienza della possibilità per ognuno di contribuire. La direttrice olandese affermava di non essere in grado di valutare quale potesse essere il risultato di tale impegno, ma poteva già assicurare che Lesky avrebbe inviato un esemplare della versione latina del volume di Brambilla, di cui l’istituto viennese aveva più di una copia.
L’appello di Rooseboom ottenne un primo risultato il 10 marzo, quando Owsei Temkin (1902-2002), all’epoca curatore del “Bulletin of the History of Medicine”, scrisse a Millard Meiss (1904-1975), storico dell’arte statunitense, presidente dell’advisory committee del CRIA e acting director di Villa I Tatti, di aver pianificato un appello in favore del museo, adattando al proprio pubblico quello già pubblicato dalla rivista “Isis”, organo della History of Science Society, ma che negli stessi giorni usciva anche presso “Technology and Culture”, il periodico della Society for the History of Technology. Tutti invitavano a fare donazioni al CRIA, precisando che dovevano essere “earmarked for the Museum of the History of Science”.
Grazie all’iniziativa partita da Leida, ad aprile arrivarono nuovi fondi e si attivarono nuovi contatti, alcuni dei quali diretti specificamente alle collezioni di storia della medicina: il 17 aprile Peter O. Williams (1925-2014), direttore del Wellcome Trust e del Wellcome Institute for the History of Medicine di Londra, chiese che gli venissero indicati strumenti o sezioni del museo da restaurare, quantificando la somma necessaria al loro recupero, in modo che la richiesta potesse essere sottoposta ai Trustees. I finanziamenti del Wellcome Institute dovevano essere infatti vincolati a specifici progetti e non potevano essere destinati a un generico recupero delle collezioni mediche alluvionate.
Il 26 dello stesso mese Rooseboom inviò a Righini Bonelli 275.000 lire ricevute da studiosi e storici della scienza tedeschi, olandesi, inglesi e statunitensi, frutto del suo appello a colleghi e istituti. La somma non era particolarmente ingente, ma è anche grazie allo sforzo della direttrice olandese che anche il Well- come Trust, le ditte Ciba e Philips e il britannico Italian Art and Archive Rescue Fund (IAARF) decisero di contattare il museo fiorentino per offrire un proprio contributo.
Il 4 gennaio del 1968 Rooseboom inviò una seconda tranche di finanziamenti, ottenuti dalla Société des amis du Palais de la découverte di Parigi, dalla sezione di storia della medicina della Svenska Läkarsällskapets di Stoccolma, dall’History of Science Department dell’Università del Winsconsin e dal farmacista e storico della chimica tedesco Günther Kerstein (1904-1979).
Grazie a questa grande mobilitazione, che insieme ad altre fonti di finanziamento rese possibile il salvataggio delle raccolte del Museo di storia della scienza quasi nella loro interezza, anche il restauro dello strumentario chirurgico ebbe successo: l’arrivo della copia dell’edizione latina dell’Instrumentarium chirurgicum del Brambilla fatta pervenire in dono al museo fiorentino contribuì in maniera determinante all’identificazione e riordino degli strumenti, mentre il CRIA rese possibile il finanziamento del loro restauro. Tramite quest’ultimo, che fece da collettore delle donazioni che provenivano dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo per un ammontare complessivo di 955.000 dollari, vennero infatti pagate le relative fatture, inoltrate a Villa I Tatti dalla direttrice a partire da marzo 1967 fino a ottobre 1970.
Il lavoro di identificazione e riordino degli strumenti fu affidato a quello stesso Belloni che aveva contribuito al suo recupero e che nel 1971 pubblicò Lo strumentario chirurgico di Giovanni Alessandro Brambilla dopo il ripristino dai danni dell’alluvione del 4 novembre 1966, che contiene un inventario fotografico della collezione.
Nell’occhietto di quest’ultimo volume, assieme ai ringraziamenti al CRIA, a Pietro Franceschini (1900- 1978) – che aveva collaborato con Belloni – e all’Azienda autonoma del turismo – che aveva finanziato la pubblicazione – la direzione del Museo ringrazia l’istituto diretto da Lesky per il dono di un esemplare dell’Instrumentarium chirurgicum “in sostituzione di quello distrutto dall’alluvione del 4 novembre 1966”.