N.6 2021 - Biblioteche oggi | Settembre 2021

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The invention of rare books: private interest and public memory, 1600-1840

Brunella Longo

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Abstract

Recensione di Brunella Longo al libro di David McKitterick, The invention of rare books: private interest and public memory, 1600-1840, Cambridge, Cambridge University Press 2018, xii, 450 p.

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Scritto a seguito di un seminario pubblico tenuto dall’autore, studioso e docente universitario, nel 2015 alla British Library (Panizzi Lecture), il libro non è affatto di interesse esclusivo per bibliofili, antiquari e specialisti di conservazione dei beni librari come si potrebbe supporre a prima vista. McKitterick si conferma qui divulgatore capace di attrarre un pubblico più vasto nella trama della sua opera e suggerire con discrezione riflessioni di grande portata su temi di attualità bibliotecaria come lo sviluppo di collezioni librarie, la creazione di repositories digitali e le politiche di conservazione. 

Lo stile è piano, ampiamente accessibile. Le oltre quattrocento pagine del volume sono ricche di riferimenti a commerci, storie di librai, ricercatori, mercanti e ai loro clienti bibliofili.
Il prologo del volume prepara la scena invitando il lettore a diffidare del sipario specialistico che spesso cala sulla materia: di libri rari si parla, dice McKitterick, quando vengono rubati o venduti all’asta, eppure le definizioni di che cosa si possa considerare una rarità, a partire dal XVII secolo, sono innumerevoli e in continua revisione, influenzate dalle caratteristiche dei libri o, per meglio dire, delle loro edizioni in quanto oggetti fisici (dal materiale – carta o pergamena – ai formati, alle legature, fino alla presenza di dediche o annotazioni a margine di un certo esemplare), così come dal valore culturale e simbolico dell’edizione di una certa opera in un certo contesto. L’obiettivo dichiarato fin dal titolo è dunque quello di documentare la nascita e la storia del concetto di libro raro e di pregio e tracciarne il perimetro, definendo così indirettamente i criteri della sua mutabilità nel tempo e nello spazio. La ricerca può risultare appassionante per chi si occupa di conservazione nel mondo delle biblioteche o di bibliofilia e commercio antiquario, ma è anche molto significativa, a mio modo di vedere, per altri campi disciplinari, come la storia sociale e dei media. Chi si sofferma a pensare che c’è stato un tempo in cui la Bibbia delle 42 linee non era affatto considerata una rarità? 

La ricognizione di McKitterick potrebbe ispirare (perché no?) spunti di riflessione anche agli economisti che studiano le dinamiche dei prezzi in relazione a criteri di rarità di mercato e ai cambiamenti culturali che influiscono sul concetto di valore nel tempo. 

Strutturata in venti capitoli che non richiedono una lettura sequenziale, l’opera sostanzia con sorprendente ricchezza fattuale l’idea che la memoria pubblica che impatta il concetto di rarità di un artefatto culturale dipenda dalla citazione bibliografica, sia essa frutto di autorevoli selezioni mercantili e scelte individuali di studiosi e ricercatori, oppure esito di precise policies di sviluppo delle collezioni e investimenti pubblici oppure, ancora, risultato di dinamiche sociali che includono il passaparola nei circoli specializzati e tramite i media e i social media del momento. Vediamo così tracciare l’influenza del collezionismo e della bibliofilia sulle pratiche biblioteconomiche moderne: senza i lasciti materiali delle rispettive biblioteche reali, la British Library o la Bibliothéque Nationale francese e le rispettive bibliografie nazionali forse non esisterebbero, e l’idea e la storia della biblioteca moderna come istituzione carica di responsabilità pubbliche, ben aldilà delle iniziali funzioni museali per oggetti di pregio, sarebbero state totalmente diverse. Anche l’idea dello specialismo professionale necessario al settore si sviluppò grazie a un intero universo di interessi concreti e pratiche catalografiche iniziate e coltivate da privati imprenditori nel settore del libro come bene antiquario. Non solo enlightenment, dunque, ma anche e forse soprattutto commerci e finalità pratiche portarono alla gestazione dei primi manuali di bibliologia e biblioteconomia nel XIX secolo, come il supercitato Manuel du librarie et de l’amateur des libres di Charles Brunet pubblicato nel 1810, che dominò la letteratura professionale per circa un secolo, con una profonda influenza sulla categoria.
Con un livello di dettaglio the tende all’enciclopedismo nel citare evidenze, studi, fonti per ogni capitolo e una ricca bibliografia selettiva finale molto aggiornata, lo studio rientra a fatica nella definizione di monografia. Numerosi gli esempi storici e gli autori e ricercatori internazionali citati, inclusi gli italiani. Senz’altro The invention of rare books è un esempio riuscito non solo di bibliografia storica, materia che l’autore ha insegnato a lungo, ma anche della nozione di bibliografia intesa come sociologia dei testi tipicamente britannica, un’opera di reference per gli addetti ai lavori, un testo di studio per il ricercatore e lo studente, e una deliziosa fonte di infinite curiosità per appassionati bibliofili e amanti della storia del libro antico.