N.5 2021 - Biblioteche oggi | Luglio-Agosto 2021

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Come garantire la privacy in biblioteca

Viviana Vitari

 

Abstract

Recensione di Viviana Vitari al libro di Marco Locatelli, Come garantire la privacy in biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, 68 p.

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Si garantisce la privacy solo dentro una discussione pubblica. È questa l’idea di fondo che attraversa il libro di Marco Locatelli e che lo mantiene attuale in un contesto di continue innovazioni. È con un garbato sorriso che l’autore ricorda come, prima del GDPR, il vocabolo “privacy” fosse entrato nell’uso comune più come deterrente al pettegolezzo, che non nella sua reale portata. Era il noto diritto a essere lasciati da soli, sostenuto da qualche vip che poco apprezzava i paparazzi nelle proprie feste mondane. Garantire la privacy è dapprima un elogio alla riservatezza, poi un passaggio giuridico. È dapprima la cartina tornasole del rispetto, poi una serie di obblighi e divieti. Privacy e tutela sono perciò interconnesse, perché proteggere i dati significa celebrare il “diritto a sviluppare liberamente relazioni umane senza controlli e interferenze esterne (Paissan)”. L’autore ci accompagna gradualmente nella comprensione del GDPR per il tramite dei diritti umani. Il primo passo esplicito del nostro Paese in questo senso non è propriamente nella Costituzione, ma nello Statuto dei lavoratori del 1970, quando all’art. 8 si vietava di effettuare indagini su opinioni e fatti del lavoratore ai fini dell’assunzione. Quindi, se impossessarsi dei dati personali può procurare solo qualche seccatura, impossessarsi di dati “particolari” o sensibili, per usare il precedente termine del Codice del 2003, è pari a un furto in casa che viola l’intimità. Il confine fra le due tipologie di dati non è immutabile. Cloud, motori di ricerca, reti sociali, internet delle cose, etichette intelligenti comprese e fenomeni virtuali ancora sconosciuti, hanno tutti insite delle potenzialità discriminatorie. Il General Data Protection Regulation UE ha perciò una sua originalità: “Non dà prescrizioni, ma responsabilizza chi tratta dati personali nel trovare soluzioni concrete” – commenta Locatelli – “perché il più potente antivirus siamo noi con il nostro senso etico. Il GDPR fornisce principi i cui parametri variano in base alla nostra analisi dei rischi. Quindi spinge alla responsabilizzazione, non al pedissequo adeguamento a obblighi da memorizzare. Chiede di ragionare su una privacy by design, cioè sull’ideazione e progettazione di un idoneo trattamento dei dati, distinta dalla privacy by default per impostare la richiesta di dati personali solo ‘nella misura necessaria e sufficiente per le finalità previste, e per il periodo strettamente necessario a tali fini’”. 

Da un manuale che tratta di privacy, ci si aspetterebbe quindi una serie di codicilli e di prescrizioni da replicare con precisione, esattamente come quando si cerca la ricetta per fare bella figura con gli ospiti. Non è così: il GDPR non va affrontato in modalità legalistica, ma attraverso quei principi guida che lo socializzano alle pratiche quotidiane. 

Le modalità del trattamento sono legittimate innanzitutto dalle finalità, da cui conseguono la minimizzazione dei dati, la loro esattezza, la conservazione, l’integrità e via via fino ad arrivare al diritto all’oblio o al diritto-coraggio di essere off line: tutti aspetti che l’autore considera rilevanti anche per il bibliotecario, fornendo degli esempi di quotidianità e di criticità, fra cui l’incontro-scontro con il “dovere della memoria”. Oltre all’efficace sintesi sul trattamento dei dati dei minori e le scuole di pensiero, l’autore ricorda la possibilità di ritrarre i partecipanti a un evento pubblico, a patto che sia “in campo lungo”. Niente primi piani senza consenso. Non si dimentichino poi tutte le applicazioni web based che espongono ai furti di identità, ma anche alle potenzialità delle postazioni self check. Nel chiudere il libro con alcuni suggerimenti di quotidiana “cybersecurity”, c’è un aspetto che non va dimenticato e cioè che “il piacere delle sorveglianza è connaturato con il potere” e che gli algoritmi rafforzano in realtà le nostre opinioni “indebolendo quell’etica del dubbio che è il presupposto necessario del rispetto della differenza e di ogni altra attitudine” (p. 60). Garantire la privacy, ci suggerisce l’autore, è un diritto umano ancora nuovo. Su questo non possiamo che concordare. Se nella prassi scopriamo le falle di sanzioni e prescrizioni, è invece l’educazione alla riservatezza che ci porta a raggiungere il difficile, ma sano equilibrio fra trasparenza e oblio