Nuovi mondi narrativi
Formatrice ed esperta di educazione alla lettura, francesca.mignemi@gmail.com
Abstract
La dimensione della narrazione sta subendo profondi e radicali cambiamenti, come ogni settore della nostra realtà, che sta attraversando una fase di ridefinizione e ripensamento. L'idea di fondo del mio lavoro è quella di ascoltare i bisogni dei giovani lettori, fruitori di storie, per offrire loro narrazioni letterarie e visive che tengano conto dei nuovi paradigmi, attingendo alla migliore letteratura per l'infanzia. Quello che mi interessa come educatore alla lettura è capire se certe trasposizioni, frammentazioni, tradimenti o polverizzazioni di fiabe e classici della letteratura per l'infanzia in altri media possano innescare letture aggiuntive. L'obiettivo è individuare gli ingredienti che innescano un patto di complicità con queste nuove narrazioni per ritrovarli nei classici moderni e contemporanei e costruire mappe crossmediali.
English abstract
The dimension of storytelling is undergoing profound and radical changes, like every sector of our reality, which is going through a phase of redefinition and rethinking. The basic idea behind my work is to listen to the needs of young readers, users of stories, in order to offer them literary and visual narratives that take account of new paradigms, drawing on the best children’s literature. What interests me as a reading educator is to understand whether certain transpositions, fragmentations, betrayals or pulverisations of fairy tales and classics of children’s literature in other media can trigger additional readings. The aim is to identify the ingredients that trigger a pact of complicity with these new narratives in order to find them in modern and contemporary classics and build cross-media maps.
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Storie andata e ritorno
Premesse
Educare alla lettura significa crescere bambini e ragazzi lettori. Per innestare questo bisogno culturale occorre rifornire la propria cassetta degli attrezzi con costante studio e aggiornamento, ma non si può prescindere dall’ascolto attivo e sincero delle istanze dei giovani lettori.
Al fine di costruire buone pratiche, non può bastare amare la lettura, la letteratura per ragazzi, non può bastare neanche studiarla e conoscerla se non si contestualizza il momento storico nel quale operiamo.
È in questa prospettiva che due anni fa ho iniziato insieme alla mia socia di penna e progettazione, Anna Di Paola, un percorso di studio e approfondimento sui mondi narrativi nei quali oggi sono immersi i nostri ragazzi.
Ci colpiva la continua richiesta di attività per la fascia dell’infanzia e della primaria sia in termini di laboratori con i bambini che di aggiornamento professionale di insegnanti e bibliotecari, a fronte di un vuoto desolante per preadolescenti e adolescenti. Alle nostre sollecitazioni insegnanti, educatori e bibliotecari rispondevano con sfiducia, rassegnati nella convinzione che i ragazzi di quella fascia non avessero interesse nella lettura perché dispersi nel buco nero dei device a perder tempo con social, videogiochi e serie tv. Eppure quando i ragazzi sono chini su smartphone, tablet, switch sono immersi in mondi narrativi. Com’era possibile che ciò sfuggisse all’occhio dell’adulto mediatore?
Non ci convinceva, per esperienza personale e professionale, questa sfiducia nei lettori preadolescenti e adolescenti. Se è vero che sono poche le esperienze luminose che si occupano dei lettori di quella specifica fascia, è anche vero che riscontrano grande successo. Penso al festival Mare di Libri e ai gruppi di lettura di Alice Bigli, penso all’esperienza di Matteo Biagi e i ragazzi di Qualcunoconcuicorrere o al progetto Xanadu curato dall’associazione Hamelin.
Da queste esperienze e dalla nostra fiducia nei ragazzi è partito un percorso di studio e di ricerca sul campo che è ancora in divenire.
Abbiamo subito scoperto che quei mondi narrativi sono spesso avvincenti, costruiti benissimo, addirittura ricchi di citazioni colte, con apparati iconografici non di rado straordinari. Allora ci siamo chieste: se una delle funzioni della letteratura, cioè quella di narrare storie e permettere ai bambini e ragazzi di vivere esperienze liminari in ambiente protetto ha trovato degni sostituti, come facciamo noi adulti mediatori a “riportare il lettore a casa”?
Dobbiamo trovare il modo di accostare e far convivere questi mondi narrativi e i loro supporti: in fondo ogni novità tecnologica che ha investito l’ambito culturale ha trovato nel suo cammino apocalittici e integrati. Il punto è che come comunità educante diffusa, se usiamo la strategia della crociata e dell’opposizione, argomentando con le melense derive sulla lettura e la sacralità del libro, abbiamo fallito. Abbiamo fallito due volte perché anche noi adulti presi alla sprovvista da questa valanga tecnologica ci siamo lasciati sedurre e non abbiamo usato lo spirito critico necessario, per poi urlare allarmi all’invasore e nel frattempo quello indisturbato si accampava nel nostro salotto e in camera dei nostri figli, nipoti e studenti. Fondamentale è stato il contributo dei ragazzi intervistati: Vincenzo, Federico, Luca, Leonardo, Teresa. Prezioso anche il laboratorio che abbiamo tenuto con i ragazzi della scuola secondaria di primo grado Dante Alighieri di Catania con il supporto illuminato dei docenti e della dirigente.
Da queste esperienze sono derivati due corsi di formazione: uno in collaborazione con il CIDI e Dudi Libreria per ragazzi di Palermo, il secondo con bibliotecari e educatori a cura di AIB Campania e Sicilia. Come già anticipato, lo studio e il confronto con i diversi attori, primi fra tutti i ragazzi, è ancora in essere e divenire, quindi questo scritto non pretende in alcun modo di essere esaustivo dell’argomento.
Contestualizzare
Già il sociologo Zygmunt Bauman in Modernità liquida aveva individuato che a una libertà senza precedenti faceva da contraltare un desiderio infinito e un’aspirazione di felicità che si spostava man mano che si ampliava l’orizzonte.
Dunque cambiamento e incertezza sembravano essere le due direttive che occupavano la vita dell’essere umano. Qualche anno dopo, il filosofo Byung-Chul Han la definisce società della trasparenza. Una società che esige l’eliminazione del negativo, la simmetria, la piacevolezza dell’aspetto, la velocità e la prestazione. Tutto diviene levigato e trasparente: se pensiamo ad esempio a Facebook ci accorgiamo che il dislike non esiste, perché la negatività rallenterebbe la comunicazione. Il valore di quest’ultima è dato dalla quantità e dalla velocità dello scambio di informazioni che corrisponde anche al valore economico.
La massa di informazioni che ci si pone davanti atrofizza lo spirito critico e, paradossalmente, si assiste al contraddittorio fenomeno che più informazioni assorbiamo, minore diviene la nostra capacità di comprendere il mondo che ci circonda. Oggi non si consumano le informazioni solo in modo passivo, ma si possono produrre attivamente. Si diviene consumatori-produttori. Siamo di fronte a una de-medializzazione della comunicazione. Così la lingua e la cultura si appiattiscono. Le immagini diventano trasparenti quando – liberate da ogni drammaturgia, coreografia e scenografia, da qualsiasi profondità ermeneutica, in definitiva da ogni senso – sono rese pornografiche.
È in atto una tirannia della visibilità come costrizione iconica a diventare immagine.
Una delle conseguenze di questa società della trasparenza è il tentativo di rimuovere inciampi e dolori legati alle esperienze umane.
È davvero questo tipo di narrazioni che vogliamo offrire ai nostri ragazzi? Storie epurate, come le fiabe epurate dagli orrori? Come faranno a riconoscere il dolore, l’orrore, a fronteggiare il fallimento se togliamo alle narrazioni il suo ruolo fondamentale di ambito privilegiato e protetto nel quale esperire la vita? La glassa dai social si sta pericolosamente travasando nell’editoria per ragazzi.
Transmedialità e crossmedialità al centro di una galassia semantica
Viviamo in una “condizione transmediale”, in un mondo in cui l’informazione è frammentata in una miriade di schegge testuali, più o meno coordinate, distribuite su piattaforme mediali diverse.
Il termine transmedialità è al centro di una galassia semantica, che spesso induce a confonderlo con multimedialità, ipermedialità, intermedialità, crossmedialità, multipiattaforma.
Per Henry Jenkins è un processo dove elementi integrati di una narrazione vengono dispersi sistematicamente attraverso molteplici canali, con lo scopo di creare un’esperienza di intrattenimento coordinata e unificata e in cui ogni testo offre un contributo peculiare all’intero complesso narrativo.
Transmedialità è oggi un termine alla moda usato spesso impropriamente, una sorta di termine ombrello. È importante ricordare che il termine, che poi avrà grande diffusione con Jenkins, è stato coniato per la prima volta nel 1991 nel testo Playing with Power in Movies, Televison, and Video Games. From Muppet Babies to Teenage Mutant Ninja Turtles di Marsha Kinder, psicologa e analista culturale.
Il libro nasceva da due progetti che, sebbene lontani nel tempo, a oggi risultano di straordinario interesse: uno era lo studio su come la televisione aveva influenzato l’approccio con la narrazione nel figlio; il secondo nasceva dall’esplorazione dell’intertestualità come strumento di formazione. Nel volume sono studiati personaggi quali le Tartarughe Ninja, i Muppet e Mario di Super Mario Bros., in relazione alle competenze che i giovani destinatari dovevano sviluppare per seguire le loro avventure attraverso i diversi formati mediali in cui essi apparivano. La Kinder utilizza il termine per parlare di una intertestualità transmediale quale forma di transtestualità estesa a diverse piattaforme mediali come supersistema di intrattenimento in perenne espansione. In questo libro si focalizza principalmente sulla relazione intertestuale tra i diversi media narrativi.
L’intertestualità, termine introdotto da Bachtin e diffuso nel mondo culturale da Julia Kristeva, indica il rapporto che un testo stabilisce con un altro testo. All’interno degli studi sui media contemporanei, ci avverte la Kinder, questo termine assume un nuovo significato, indicando che ogni singolo testo è una parte di un più ampio discorso culturale e che deve essere letto nella sua relazione con gli altri testi e le loro diverse strategie testuali, tutto ciò anche se autore e lettore sono inconsapevoli della connessione.
I bambini e i ragazzi hanno imparato che l’intertestualità transmediale si rivela una potente strategia di sopravvivenza in questo nuovo ordine mondiale dove le reti, la connettività e la collezionabilità sono in continua espansione.
In un altro suo libro, Kid’s media culture, l’autrice si poneva l’eterna domanda degli adulti in presenza di nuovi media: i bambini sono vittime innocenti o agenti attivi? E suddivideva gli adulti mediatori in due categorie: allarmisti e ottimisti.
Gli allarmisti demonizzano i nuovi media come nuove aberrazioni che in qualche modo trasformano i bambini in zombie instupiditi e assassini, in un eterno confronto con i vecchi tempi dorati quando i bambini erano ancora innocenti e pervasi da vibrante attività creativa.
Gli ottimisti sono coloro che considerano i bambini giocatori resilienti che si sentono fortificati quando diventano popolari per gli obiettivi raggiunti, inoltre possono esprimere le loro individualità, gusti e capacità di resistenza, nonché dimostrare la loro abilità di navigare consapevolmente producendo significati e immagini alternative.
Studiosi come Henry Jenkins e Sherry Turkle affermano, sin dal 1995, che il web è il luogo nel quale i giovani sperimentano i molteplici aspetti della loro identità postmoderna.
Nel 1999 ci si chiedeva tra gli addetti ai lavori: premesso che nessuno afferma che bambini e ragazzi hanno il potere necessario per governare totalmente le loro scelte, il punto è: che tipo di guida è più efficace? Nel 2021 la domanda è sempre valida.
Posizioni formali tendono a progettare interventi protettivi e misure di censura che preservino l’innocenza dei ragazzi negando loro l’accesso a un materiale ritenuto offensivo o pericoloso. Altri studiosi si concentrano sul fornire un accesso equo a tutti i ragazzi e osservano come questi imparano a far fronte con la loro cultura a negoziare i significati.
Di sicuro non è corretto e onesto intellettualmente assumere solo uno dei punti di vista nell’analizzare la relazione tra i ragazzi e i nuovi media; così come nessuno può ignorare il complesso mix di opportunità e rischi forniti ai giovani dalla rete.
Dobbiamo evitare il pregiudizio a priori sui media che i ragazzi utilizzano, ma aiutarli a usarli sviluppando senso critico rispetto ai contenuti, quindi fornire loro strumenti adeguati.
Ci mette in guardia Henry Jenkins dalla tentazione di focalizzarci su quello che fanno i media ai nostri ragazzi, ma ci invita a preoccuparci di quello che fanno i nostri ragazzi con i media per evitare giudizi semplicistici.
Nuovissimi adolescenti
Ma chi sono i fruitori di questi nuovi mondi narrativi? Chi sono i nostri preadolescenti e adolescenti oggi? Quali realtà, pressioni, aspettative vivono? Solo rispondendo a queste domande senza cercare capri espiatori nella rete, nei social, nei videogame, solo se saremo onesti, saremo poi in grado di offrire strumenti per orientarli e aiutarli a scegliere narrazioni adeguate che nutrano il loro immaginario.
Vorrei partire dall’assunto che l’adolescenza non è una malattia, ma una stagione della vita. È un fenomeno a molte dimensioni che si configura come il passaggio della soglia. Non ci sono fasi da superare, ma elementi interni che maturano in sequenza, in continua interazione tra loro.
È il tempo del corpo e delle sue trasformazioni, si modifica la percezione di sé e il percorso per accettare e riappropriarsi della propria identità è complesso.
Lo spazio degli adolescenti, che lasciano il giardino – luogo deputato all’infanzia metaforicamente e fisicamente –, diventa la camera, l’ambiente privato, che oggi assume diverse connotazioni e diventa anche lo spazio virtuale.
Altro elemento caratterizzante di questa fase è il gruppo nel quale l’adolescente trova una forma di difesa da un mondo ostile, da un futuro pieno di incognite. Il gruppo diventa famiglia. L’amicizia è un valore dominante laddove viene meno la funzione vicaria dell’adulto; si avvia a una dislocazione del proprio campo esperienziale dalla giurisdizione familiare verso un’area più autonoma.
Questo cambio di paradigma investe anche le esperienze artistico letterarie, ambito nel quale l’adulto è stato intermediario sino al giorno prima.
I testi letterari rispecchiano la teoria per cui i gruppi di coetanei costituiscono il contesto primario del periodo adolescenziale e ciò che si impara dai coetanei supera di gran lunga l’importanza di qualsiasi altra influenza. È ancora così oggi, sia online che offline. Non è nostra intenzione assurgere a ruolo di terapeuti e consulenti, non ne abbiamo le competenze, perlomeno non le ha chi scrive, ma tutte le tematiche sin qui accennate sono quelle che i ragazzi hanno bisogno di incontrare nelle storie per avere un confronto e riconoscersi.
Un’altra domanda è quella che Matteo Lancini pone già nel titolo del suo saggio Cosa serve ai nostri ragazzi, dalla quale ne consegue una ulteriore e urgente: chi ascolta gli adolescenti? Bisogna seguirli e ascoltarli senza invadere i loro spazi meglio ancora, parafrasando le parole di Domenico Barillà: osservarli e non spiarli.
Spesso l’incontro con l’adulto è fonte di delusione e frustrazione per l’adolescente perché vi è una diffusa tendenza “pedagogica” a svalutare l’esperienza giovanile invece di valorizzarla. È necessario tenere a mente che dobbiamo riconquistare la loro fiducia nell’adulto che in quella fase della vita naturalmente viene meno e che per essere presi sul serio dovremmo prenderli sul serio.
Nell’osservare gli adolescenti, in qualità di adulti, dobbiamo essere pronti a non avere risposte.
La letteratura, come molte narrazioni su altri supporti, si alimenta di vissuti, pesca nel profondo consentendo di ritornare alla realtà ripensandola in un gioco di rimandi continui.
Cosa possiamo fare noi che facciamo parte di una comunità educante e ci occupiamo di educazione alla lettura?
Offrire loro narrazioni di vario genere, su vari media: libri, serie tv, film e videogiochi, che lascino loro il diritto alla metafora.
Non possiamo certamente sostituire acriticamente i libri con la tecnologia e altre narrazioni, o meglio altri supporti narrativi, ma di sicuro dobbiamo capire come farli convivere per offrire un’esperienza artistico-letteraria di qualità. In quest’ottica la sfida delle agenzie educative è triplice: educare i nostri ragazzi all’uso critico di questi strumenti, formare i docenti, individuare strumenti e pratiche in grado di rispondere meglio alle necessità educative.
Visual literacy
In un’epoca di tirannia del visibile, se giustamente l’enfasi degli educatori è sulla letteratura per ragazzi, tutti i tipi di studi che si occupano di radio, film, televisione, arte per bambini devono essere inclusi in un tentativo di coglierne l’estetica.
In questo caso affronteremo il tema specifico della visual literacy in relazione ai videogame quali forme d’arte, esplorandone l’estetica, le risonanze e affinità con gli albi illustrati, quindi come un medium d’arte visiva. Occorre fare un passo indietro e definire cosa intendiamo per visual literacy.
Il termine visual literacy, o alfabetizzazione visiva, è stato coniato per la prima volta da John Debes nel 1960, che la definisce come un gruppo di competenze che permette agli esseri umani di discriminare e interpretare i dati visibili che incontrano nel loro ambiente, oggetti, simboli e utilizzarli nella comunicazione con gli altri.
Seppure non c’è unanimità sul significato e non c’è una definizione univoca, ciò non ne ha impedito l’uso crescente e tutte le definizioni convergono su due aspetti fondamentali:
- considerare le immagini come oggetti e atti culturali che possono essere creati, fruiti, veicolati e riutilizzati in ambiti diversi;
- ritenere centrale l’esperienza del soggetto-spettatore.
A ben riflettere, nella civiltà occidentale la parola ha sempre goduto di un primato sul visivo, soprattutto nella mediazione educativa. Secondo alcuni, d’altronde, l’immagine distrae: un pregiudizio che vanta millenarie radici, se si considera che le immagini e la fruizione del bello erano considerate anche causa di un rilassamento morale.
Le bambine e i bambini nella società attuale dell’homo videns crescono interagendo con immagini e schermi visivi, ancora prima di imparare a leggere: ne consegue che l’alfabetizzazione visiva precede quella verbale. È tempo di una maggiore consapevolezza educativa in questa direzione per lo sviluppo di competenze critico-visive ed estetico-artistiche in grado di rendere bambini e ragazzi osservatori attenti e fruitori critici. L’albo illustrato ci viene incontro perché la sua lettura permette di sviluppare tali competenze. Guardare e leggere le figure è, dunque, pratica educativa che andrebbe sollecitata quotidianamente.
Non esiste un vero e proprio protocollo metodologico, ma questa pratica si può schematizzare in cinque tappe: sensibilità, abitudine culturale a leggere immagini diverse, sviluppo della conoscenza critica, apertura estetica, eloquenza visiva.
Ciò premesso, noi dobbiamo focalizzarci su quel fenomeno culturale che studiosi internazionali definiscono crossover picture books, ossia libri che si rivolgono a un pubblico trasversale.
Per noi è particolarmente importante in questa sede perché i destinatari del nostro percorso sono già pre-adolescenti e di norma non si pensa di offrire loro letture di albi illustrati, cosa in verità incomprensibile se pensiamo che vivono immersi in mondi narrativi perlopiù visivi. Come è stato puntualizzato da molti studiosi e critici i ragazzi e i bambini, oltre a essere più abili a leggere i dettagli grafici, sono spesso più ricettivi alle narrazioni visive e verbali non tradizionali rispetto agli adulti.
Il libro illustrato non solo è stato la fonte di esperimenti innovativi di meticciamenti di genere, ma ha contribuito alla creazione di nuovi generi e sottogeneri.
I confini tra il libro illustrato e il romanzo sfumano con particolare evidenza nel campo della graphic novel. Pensiamo a L’Approdo di Shaun Tan, che alterna piccoli fotogrammi a pagine piene e doppie in toni seppia, una miscela di illustrazioni e fumetti, ma anche una citazione cinematografica. L’opera di fama internazionale è stata definita un graphic novel, un silent book e un fumetto senza parole per tutte le età.
Il libro illustrato si appropria di altri media proprio come fa da altri generi letterari. Ad esempio le opere di David Wiesner, autore pluripremiato, sono ispirate ai cartoni animati, alla letteratura sui supereroi, così come ai film muti.
La natura interattiva di questi libri ci dovrebbe far riflettere sulle potenzialità di altri media narrativi. Inoltre, un numero crescente di illustratori genera immagini sul computer e sempre più picture books sono commercializzati contemporaneamente come versioni di stampa e app.
L’ibridazione di forme, generi, stili e contenuti è solo uno degli aspetti, apparentemente il più evidente, del cambiamento del picture book contemporaneo.
La cultura convergente lascia il segno sugli odierni picture books, che mostrano sempre maggiore presenza e traccia dei codici specifici, direi della grammatica degli altri linguaggi: film, videogame, ipertesti.
Non è un mistero, soprattutto per noi addetti ai lavori, che il cinema sia saltato sul carro del libro.
Un certo numero di libri crossover hanno ispirato lungometraggi per un pubblico generale per lanciare film animati e live action e attirare bambini e ragazzi. Pensiamo alle trasposizioni dei libri di Raymond Briggs con il suo Pupazzo di neve, Shrek di William Steig o i libri di Chris Van Allsburg: The Polar Express e Jumanji adattati per il grande schermo.
I tre briganti di Tomi Ungerer diretto da Hayo Freitag nel 2008, Il paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak diretto da Spike Jonz nel 2009 su sceneggiatura di Dave Eggers e, più vicino nel tempo, il film tratto da The Lost Things di Shaun Tan diretto dall’artista in collaborazione con Andrew Ruhemann, che rilasciato nel 2010 ha vinto un Oscar come miglior corto animato del 2011.
Il crescente interesse per i manga da parte di bambini e adolescenti ha indotto o stimolato gli artisti a creare manga di classici per ragazzi, versioni che in alcuni casi sono diventate anime e videogiochi.
E arriviamo ai videogame e alle affinità estetiche e narrative con l’albo illustrato. Innanzitutto anche questo medium è polisemico perché usa diversi codici. L’applicazione delle nuove tecnologie all’arte ha aperto infinite possibilità, creando una pratica interattiva che ridefinisce i tradizionali concetti di artista, opera d’arte e osservatore o fruitore. L’artista tecnologico si trasforma in attivatore di processi di comunicazione estetica.
Spostare il valore estetico dall’oggetto all’esperienza potrebbe rappresentare una buona via per l’educatore di attraversare quegli interstizi di transizione nella fruizione dell’arte da un medium all’altro.
Se l’albo illustrato per la sua natura plurale è considerato un genere letterario innovativo ed emozionante, perché non dovrebbero esserlo alcuni videogame nei casi più felici?
Diversi videogame hanno molto in comune con gli albi illustrati: hanno contenuti controversi, strategie narrative complesse, sono generi ibridi, ricorrono alla parodia e all’ironia attirano un pubblico trasversale per età e non solo.
Il videogioco è ormai riconosciuto come un potente medium artistico, protagonista infatti di prestigiose mostre al MOMA, allo Smithsonian e non solo. Herny Jenkins lo considera il ritorno dell’arte contemporanea alla vita di tutti i giorni, anche se ovviamente non tutti lo sono. Ve ne sono di banali e prevedibili, ma, come per i libri, tutto ciò non deve renderci ottusi e precluderci alle potenzialità artistiche di molti altri. Il videogame è fortemente influenzato negli esiti felici dal cinema muto dall’espressionismo astratto e contribuisce a una nuova estetica figurativa.
Il connubio fumetto-videogioco ha radici lontane. Il mondo del fumetto con i suoi temi – mondi sconosciuti, misteri, viaggi spazio-temporali – offre spunti formidabili per l’immaginario di autori di videogame. In qualità di educatori abbiamo bisogno di nuove lenti che supportino la transizione dei lettori dalla stampa ai nuovi mondi narrativi e quindi tenere in considerazione tutte le possibilità e le sfide che conseguono dall’uso di tutti questi supporti.
Letteratura, crossmedialità, videogiochi, serie tv
Attraverso le storie diamo un senso al mondo per condividerlo con gli altri, le storie sono segnali chiari che emergono dal rumore di fondo.
Indubbiamente l’inarrestabile avanzata della tecnologia ha apportato profondi cambiamenti nel modo di narrare le storie. Più che mai in quelle rivolte a bambini e ragazzi, da sempre territorio di sperimentazione. Occorre lasciare andare l’assunto secondo cui la tecnologia appiattisce la narrazione e banalizza i contenuti, per cogliere il potenziale di tante opere che si avvalgono consapevolmente delle contaminazioni di linguaggi, strumenti e media.
Per comprendere l’anatomia del giovane lettore è utile calarsi come speleologi negli abissi di questa nuova dimensione narrativa per riemergere con strumenti che ci mettano in contatto con i ragazzi. Non si intende qui offrire alcuna ricetta, ma una prospettiva diversa che ci offre nuove opportunità di educare alla lettura.
La rivoluzione cui facciamo riferimento si può fare risalire agli anni Settanta con l’apparizione delle prime console nelle nostre case, ma la sua esplosione si ha negli anni Ottanta con la diffusione dei personal computer.
È sempre negli anni Ottanta che irrompono nelle nostre case le serie animate giapponesi con i robot: Gundam, Mazinga, Goldrake e, fondamentale nella costruzione di un nuovo immaginario, Star Wars al cinema.
Questa onda d’urto investe anche l’editoria per ragazzi e molti autori cominciano a interessarsi delle nuove tecnologie per rinnovare il loro modo di narrare le storie.
Assistiamo a due ordini di cambiamento: da un lato si modifica la struttura del racconto per adeguarsi alle nuove configurazioni, dall’altra si modificano i soggetti e le metafore di riferimento.
Si assiste a una vera e propria contaminazione, ma le contaminazioni fanno parte dei processi creativi delle produzioni culturali da sempre. Contaminazioni e crossmedialità sono due aspetti complementari, se non addirittura sovrapponibili, nel campo della letteratura per ragazzi.
Uno dei primi e più importanti fenomeni che testimonia questo cambiamento è stato il librogame, la cui struttura si rifà a quella dei videogiochi, dove il lettore diventa parte integrante della narrazione. Qualcosa che oggi potrebbe sembrare quasi ingenuo e più simile ai giochi di ruolo, ma a quel tempo anche la struttura del videogame era embrionale e si trattava di adventure-games che servivano a creare un ponte tra l’uomo e la macchina.
Non erano certamente capolavori della letteratura per ragazzi, ma la rottura dello schema narrativo permetteva al lettore, che era anche giocatore, un’identificazione immediata con il protagonista e un forte coinvolgimento con la trama.
In quegli anni si è cominciato a riflettere su nuovi temi, sul rapporto dell’uomo con le macchine, sulla realtà virtuale. Nacque inoltre il movimento cyberpunk e gli scrittori attingevano a piene mani da questo materiale per nuove metafore.
La tecnologia in queste narrazioni diventa frequentemente occasione di riscatto e liberazione, trasformazione e crescita, metafora della necessità di riaffermare l’umano sulle ceneri di una società occidentale decadente.
Ecco allora fare capolino sugli scaffali saghe distopiche di grande successo, oggetto di operazioni transmediali e crossmediali come Beauty, Hunger games, Divergent, saghe nelle quali la tecnologia è pervasiva, non viene quasi menzionata. L’elemento di rottura diviene la necessità dei giovani di affrancarsi da una società che li vuole omologare.
È ormai evidente che i libri per ragazzi non soltanto sono terra di confine con mito, fiaba, romanzo, narrativa popolare, ma con l’evolvere delle tecnologie espatriano anche in nuovi territori dove i personaggi approdano per vivere una vita autonoma fuori dalle pagine. Rielaborazioni, ribaltamenti, polverizzazioni in videogiochi, film e serie tv hanno dato vita a un interessante contesto crossmediale. In definitiva assistiamo all’amplificarsi della figura del lector in fabula, che oltre a perdersi nel flusso della narrazione, sperimenta una profonda interconnessione tra i vari media.
D’altronde i bambini e i ragazzi si muovono con agilità da un medium all’altro essendo immersi in una cultura polimediale o convergente.
Se un tempo diversi media convivevano affiancandosi su stessi temi e metafore, ognuno con il suo specifico linguaggio, oggi i confini sono liquidi e siamo oltre le trasposizioni, oltre le contaminazioni. Assistiamo a un rimescolamento, a uno sconfinamento delle storie da un medium all’altro.
Tutto ciò ha dato vita a un nuovo immaginario contemporaneo ed è nostro dovere individuare i topoi e le grandi icone del fiabesco a esso connessi.
Per comprendere il rapporto immaginativo che intercorre tra letteratura per ragazzi e crossmedialità occorre seguire le tracce di alcune categorie pedagogiche: la metafora e lo sguardo.
Il lettore completa il testo, non è soggetto passivo in quanto costruttore di senso con il suo portato culturale. Inoltre legge con la propria sensibilità e le proprie inclinazioni, che gli permettono di entrare tra le righe e le pieghe delle storie e appropriarsene. Il lettore, come il cinefilo, il videogiocatore, l’appassionato di fumetti, si immerge nei mondi narrati e assume la sua personale prospettiva, sceglie percorsi, alleati e avversari: questa prospettiva empatica implica che è in qualche modo entrato nel testo e può arricchirlo, una possibilità che la crossmedialità rende totalmente esplicita.
Un fatto importante che non dobbiamo mai perdere di vista è che i protagonisti della letteratura per ragazzi sono apolidi rispetto a regole e confini, quindi sovvertono il mondo percettivo degli adulti e si muovono nella realtà con coordinate autonome sperimentando ogni possibilità: l’altrove, il multiverso, i mondi sotterranei, i passaggi segreti, le presenze misteriose... La dimensione dei mondi della letteratura per ragazzi è fluida, ma il digitale non è in antitesi con la scrittura, piuttosto ne amplia i contorni.
Non possiamo essere intellettualmente pigri, bisogna invece guardarsi intorno e collegare fra loro tutti i temi che premono sulla fantasia, ricordandoci sempre che la letteratura per ragazzi non è avulsa dal contesto storico, filosofico, sociale e culturale che la produce.
Occorre una riflessione di metodo, che si traduce nell’urgenza di offrire scritture che valorizzino sia i gusti dei ragazzi che le abilità che stanno sviluppando nell’uso delle tecnologie, allo scopo di potenziare il loro coinvolgimento nella lettura.
Naturalmente bisogna sempre ricorrere allo spirito critico e chiedersi se la nuova industria culturale si è impadronita del tempo sospeso della lettura trasformandolo in tempo ancorato al consumo. Ad esempio, cinema e serie tv hanno vampirizzato l’editoria giovanile restituendoci una vera overdose di trasposizioni. Come valutarle? Dobbiamo difenderci oppure possiamo ipotizzare che siano capaci di generare letture aggiuntive?
In definitiva occorre prendere atto che parlare di letteratura giovanile solo nel senso ristretto di racconti, poesie e libri illustrati, ignorando l’universo digitale del quale i bambini fanno esperienza precoce, non può giovare all’innesco del piacere alla lettura. Pensiamo a fenomeni mondiali come Il Diario di una schiappa. Il diario è nato in un sito di editoria online in cui l’autore, giorno dopo giorno, ha scritto pagine di blog che hanno conquistato i ragazzi con sguardo ironico sul mondo adulto e una buona dose di autoironia.
Pensiamo al cinema, linguaggio privilegiato per sviluppare prolungamenti, ribaltamenti, qualche volta “tradimenti” e “polverizzazioni” delle fiabe e delle migliori narrazioni per ragazzi. Un linguaggio, questo, che con la sua grammatica influenza a sua volta le narrazioni tradizionali. Esempio magistrale è La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznic. Un tributo al cinema, alla tematica degli automi. Un testo strategicamente sincretico, graphic novel per ragazzi, thriller, mystery, cine-romanzo d’appendice, ma soprattutto ibridato dalla logica narrativa del cinema, nel sapiente montaggio di inquadrature, campi medi e lunghi, primi piani, dettagli, panoramiche, zoomate, flashback e flashforward, dissolvenze. Come affermava Eliza T. Dresang, studiosa e professoressa di Library science, bisogna tener presenti tre concetti che permeano i cambiamenti strutturali, tematici e fruitivi cui la narrativa per ragazzi è sotto- posta dagli anni Novanta: connettività, interattività, accesso.
I videogame narrativi hanno assunto un ruolo fondamentale in questo percorso. Il videogioco narrativo prevede che un giocatore entri nella storia e dopo aver individuata la trama, ne sveli i misteri, risolva enigmi e sconfigga gli antagonisti. In queste narrazioni il labirinto è struttura fondante, che permette di accedere a quel territorio magico e altamente simbolico che consente di osservare il reale con filtri potenti e consolidati quali il mito e la fabula, intesa nel senso più ampio del termine, con il suo portato di riti di passaggio e iniziazione. Caverna, labirinto, castelli, prigioni sono luoghi di disgregazione ed erranza. In questi luoghi i protagonisti vengono catturati, estraniati dal loro mondo per subire una prova.
Questo è un tema letterario atemporale e transculturale, si replica e si traduce da un’epoca all’altra, da una cultura all’altra e da un medium all’altro, ovviamente adattandosi alle contingenze. Il labirinto è il luogo della confusione, dell’enigma, delle paure. Una metafora molto cara ai giovani lettori e videogiocatori come metafora del passaggio dall’età d’oro all’età adulta.
Come sempre, l’adulto mediatore ha il compito di aiutare bambini e ragazzi a scoprire e percorrere la dimensioni positiva. Esiste un solo modo a mio avviso per gli adulti di accertarsi che vivano la dimensione positiva ed è l’accompagnamento che prevede conoscenza e ascolto. La condivisione di queste esperienze attenua il salto generazionale. Dovremmo imparare vicendevolmente i diversi alfabeti.
D’altronde, nell’epoca dello storytelling bisogna conoscere tutti gli accessi alle storie.
Un altro accesso molto frequentato dagli adolescenti è quello delle serie tv. Un articolo titolava: le serie tv sono la nuova letteratura? E continuava chiedendo: prenderanno il posto dei libri? A ben guardare la televisione è diventate più letteraria e cinematografica. Anche le serie tv hanno e vivono di elementi paratestuali, blog e forum che ne parlano e anticipano le puntate, si cercano le colonne sonore su Spotify, si compra il videogioco, si scrive fanfiction. In alcuni casi può dare vita a letture aggiuntive, perché se il soggetto è tratto da un libro, lo spettatore avrà voglia di estendere l’esperienza leggendo il libro. Più controversa l’esperienza inversa: molti lettori puristi dichiarano di non volere vedere le trasposizioni dei libri che hanno amato.
I lettori forti possono non essere fruitori di serie tv, i fruitori delle serie tv sono spesso lettori. Gli autori attingono a piene mani dalla letteratura, per esempio in Dark, serie molto amata dai ragazzi, un dramma adolescenziale distopico, si parla spesso di un libro, Viaggio nel tempo, di un certo H.G. Tannaus, ovviamente il rimando a La macchina del tempo di H.G. Wells è evidente. Si è riscontrato che a ogni rilascio di serie tv distopica di successo c’è stata un’impennata di vendite di Orwell. Strangers Things ha fatto riscoprire Lovecraft e King. Una serie tv come Black sails potrebbe aver indotto a leggere L’isola del tesoro e La vera storia del pirata Long John Silver (un esempio straordinario di transmedialità ed espansione, perché La vera storia del pirata Long John Silver nasce da L’isola del tesoro). Tutte queste narrazioni hanno in comune la catalogazione in generi: avventura, azione, drammatico, fantascienza, ucronia, distopia, fantasy, giallo, spy story, mistery all’inglese, poliziesco, guerra, horror, storico, supereroi, teen drama.
Quello di maggiore successo di pubblico è la distopia insieme all’horror. La distopia è una forma simbolica per capire il presente, poiché rappresenta, teatralizzando ed estremizzando, le paure collettive. Non inventa nulla, sposta nel tempo gli incubi riferiti al proprio tempo e al proprio mondo.
Creando quei mondi altri, un’idea archetipica, si crea una cartina tornasole della nostra società. Andando alle origini, il romanzo distopico fantascientifico ha radici lontane: già a partire da Frankestein della Shelley del 1816.
I progressi scientifici e tecnologici che hanno pervaso in maniera prepotente la storia dell’umanità sono stati accompagnati da svolte nell’immaginario e quindi dalla creazione di nuovi generi, tra i quali la fantascienza, madre della distopia.
Se nella distopia si problematizzano le paure per il futuro, nella fantascienza si problematizza il progresso tecnologico al fine di conoscerlo, interiorizzarlo e qualche volta esorcizzarlo.
1984, Fahrenheit 451 sono i progenitori di tutte le moderne distopie. Narrano il senso di impotenza nei confronti del progresso e dei centri di potere, tutte condizioni che ancora oggi investono il presente e il futuro dei ragazzi. Allora quale la differenza con le distopie di oggi? Se ancora in Golding gli adulti erano in grado, seppur negativi e distruttivi, di rappresentare un approdo sicuro, oggi è ai ragazzi che è affidato il compito di una nuova progettualità.
La condizione dell’adolescente è sovrapponibile alle suddette narrazioni, poiché questi si percepiscono ai bordi dell’esistenza, nel tentativo di sopravvivere alla catastrofe adulta. Ogni epoca offre le sue possibilità immaginative e narrative per salvarsi dal mondo corrotto: negli anni Ottanta e Novanta l’horror e Stephen King, poi il fantasy con fuga in un mondo altro per arrivare alle distopie e all’urban fantasy. Oggi sono i ragazzi che devono ristabilire l’ordine, invertendo una visione adultocentrica. Questi i punti di partenza di serie tv, videogiochi e romanzi di grande successo. Tra i romanzi, Hunger games, The Maze Runner, Divergent, Leviathan, Berlin. In questi libri, in questi mondi, il bagaglio è sempre quello archetipico: fiaba, mito e leggenda. Molte distopie, anche tra le serie tv, hanno a che fare con la fiaba, che offre una pluralità di prospettive: fame, guerra, carestie tra i punti di contatto a creare il contesto nel quale si consuma l’abbandono dei giovani protagonisti e quindi Pollicino, Hansel e Gretel, labirinti mentali, foreste e distruzione.
Le storie di orrore piacciono per la loro natura allegorica e simbolica, permettono di esprimere quello di cui si ha paura. Le storie di orrore preparano agli orrori della vita, aiutano a tirare fuori i mostri, è il fascino del perturbante.
Tematiche e ambientazioni ricorrenti anche nei videogiochi, nelle anime, nei manga.
Per approfondire
Ann Antoniazzi, Contaminazioni. Letteratura per ragazzi e crossmedialità, Milano, Apogeo, 2012.
Letteratura per l’infanzia. Forme, temi e simboli, a cura di Susanna Barsotti e Lorenzo Cantatore, Roma, Carocci, 2019.
Rose Frank, Immersi nelle storie. Il mestiere di raccontare nell’era di internet, Torino, Codice, 2013.
Paolo Bertetti, Che cos’è la transmedialità, Roma, Carocci, 2020.
Francesco Muzzioli, Scritture della catastrofe. Istruzione e ragguagli per un viaggio nelle distopie, Milano, Meltemi, 2021. Byung-ChulhAn, Nello sciame. Visioni del digitale, Milano, Nottetempo, 2015.
Id., La società della trasparenza, Milano, Nottetempo, 2014.
Marcella Terrusi, Albi illustrati. Leggere, guardare, nominare il mondo nei libri per l’infanzia, Roma, Carocci, 2012.
Aidan Chambers, L’età sospesa. Dalla letteratura Young Adult alla Youth Fiction: riflessioni sulla letteratura giovanile, Modena, Equilibri, 2020.
Matteo Iancini, Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti, Torino, Utet, 2020.