N.7 2021 - Biblioteche oggi | Ottobre 2021

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Del green pass in biblioteca e di altre spinose amenità

Claudia Bocciardi

Ve l’aspettate – dite la verità – qualche bonaria e pigra riflessione sulle conseguenze dell’introduzione dell’obbligo di green pass in biblioteca.

E io, come sempre, sono pronta a non deludervi. Debbo dire, a onor del vero, che questi ormai nove anni di rubrica su questa augusta rivista hanno fatto crescere il mio ego a dismisura. Per la serie: “Toglietele il microfono, per favore”.

Ma torniamo a bomba: intanto il nome: green pass. In italiano “certificazione verde” (e qui corre l’obbligo di riflettere ancora una volta su quanto la lingua inglese sia coincisa, rispetto alla locuzione italiana). Sarebbe stato forse meglio chiamarlo “semaforo verde”: “certificazione” evoca d’acchito qualcosa di burocratico, già fastidioso e respingente di per sé.

Ma, insomma, la sostanza non cambia.

Sarebbe vieppiù interessante fare un censimento, magari tramite questionario (Aiuto! Un altro! L’ultimo obbligo dell’ISTAT ci ha fiaccati!), per conoscere le reazioni, le più varie, dei nostri utenti alla richiesta fatidica.

A monte, è necessario ricordarlo, c’è stata la faticosa corsa a reperire uno smartphone sul quale scaricare la app di verifica. E va anche rilevato come la stessa funzioni abbastanza bene se il famigerato QRCode da controllare è scaricato sul telefono, meno bene nella versione cartacea: saranno le piegoline del foglio… insomma bisogna armarsi di pazienza. Ma queste sono quisquilie, rispetto alle reazioni della varia umanità.

Talvolta accade infatti che il front-office si trasformi, simbolicamente, in un avamposto da trincea. Insomma, tra questo e il portico, ci vorrebbe il fossato con il ponte levatoio, oppure prevedere, tra i vari DPI del personale, l’integrazione con un essenziale equipaggiamento antisommossa. Un casco?

Sulla base della mia modesta esperienza potrei dire che c’è ampia materia di riflessione.

Dunque: intanto ci sono i cittadini che non si sognerebbero mai di mettere in dubbio le misure decise e messe in atto dal Governo. Hanno compreso, magari hanno avuto i loro dubbi, ciononostante ha prevalso la fiducia nella scienza e in una democrazia che mette in atto strategie per proteggerli.

Questi non fanno un fiato: in biblioteca ci sono sempre entrati e ora mostrano orgogliosi il lasciapassare.

Tra questi ci sono anche i giovani, gli studenti svagati che vengono quotidianamente a popolare le sale e che mai rinuncerebbero a una sigaretta in compagnia sotto il portico, a due chiacchiere con gli amici, a una vita di relazione che per loro è come l’ossigeno.

Si sono vaccinati tutti, senza obiettare, fosse anche soltanto per riprendere la movida ed entrano sorridendo con la loro certificazione verde.

E fin qui. Tutto bene.

Fino a quando, occasionalmente, ci si imbatte nei cosiddetti “no green pass” che, a monte, solitamente – ma non è scontato – sono “no vax”. Per ovvi motivi non esprimo giudizi, mi limito a raccontare ciò che succede, registrando i fatti. Si apre così un ventaglio di situazioni e accadimenti che vanno oltre ogni immaginazione.

Quiete signore over sessanta, forti lettrici, appassionate frequentatrici di queste sale e di queste meravigliose vetrine cariche di novità librarie (grazie MIC, grazie MIC, grazie MIC) che rivelano d’improvviso aspetti inattesi e inquietanti, una metamorfosi, degna di Ovidio, in attempate Erinni che si ergono a paladine della libertà (!). E badate che non sto scherzando.

Ci sono anche quelli che provano a intortarti con false autocertificazioni, palesemente prese da qualche sito web anti-complotto. E sotto il portico, di fronte all’ingresso, capita che volino insulti gratuiti.

Proprio così. Non ci si può credere, vero?

Alla cortese richiesta di mostrare il fatidico pass, fanno capolino appellativi indegni persino d’essere pensati.

È così, con formidabile incredulità, che cerchiamo di non perdere le staffe ed evitiamo di metterci a discutere.

Siamo pubblici ufficiali, dopotutto, rappresentiamo la P.A.

Ma tant’è. Un po’ di voglia di litigare s’affaccia impertinente anche nei colleghi più pacifici. Ed è qui che, per fortuna, entrano in gioco le formidabili “competenze informali del bibliotecario”. Quelle meravigliose skills che predispongono alla pazienza e alla proverbiale accoglienza bibliotecaria. Quella dote, frutto di lungo studio, che ci rende unici nell’adottare l’espressione facciale di un Moai dell’isola di Pasqua.

I più ignorano, in realtà – confessiamolo una buona volta – che i bibliotecari, con tutta la loro scienza, tengono segretamente le fila del Big Reset.