N.7 2021 - Biblioteche oggi | Ottobre 2021

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Un’inquadratura: la biblioteca e l’universo femminile

Michela Donatelli

Università Roma Tre; Dottoranda in Teoria e ricerca educativa e sociale, Curriculum in Ricerca sociale teorica e applicata; michela.donatelli@uniroma3.it

Dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 ai presupposti sociali e culturali del multidimensionale concetto di uguaglianza di genere

Abstract

L’articolo fa parte di un’ampia ricerca, ancora in corso. È stato ispirato dall’interesse preminente dell’universo bibliotecario per la sostenibilità e l’Agenda 2030. Chi scrive si è concentrato su un unico obiettivo, l’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030 “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze”. Cerca di comprendere il ruolo della biblioteca pubblica e gli aspetti sociali e culturali all'interno del concetto multidimensionale di uguaglianza di genere. Il presente contributo si propone di compiere una ricognizione parziale attraverso l’elaborazione di studi teorici ed empirici che hanno indagato la biblioteca con riguardo all’“universo femminile” e alla quotidianità delle donne e delle ragazze.

English abstract

The article is part of a broad research, still in progress. It was inspired by the preeminent interest of the library universe in sustainability and the 2030 Agenda. The writer focused on a single goal, Goal 5 of the 2030 Agenda “achieving gender equality and empowering all women and girls”. It seeks to understand the role of the public library as well as social and cultural aspects within the multidimensional concept of gender equality. This contribution aims to do a partial reconnaissance by processing theoretical and empirical studies that have investigated the library with regard to the “female universe” and the everyday life of women and girls.

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Premessa

“Una donna sola [...] ripete in pochi metri il tragitto dei pianeti” e il poeta l’ha incontrata “all’ingresso dell’edicola”. Non sarebbe stato inimmaginabile, però, inserendosi tra le maglie della trama poetica e lavorando sui “luoghi di indeterminazione”, incrociarla anche all’entrata di una biblioteca e conoscerla “per un soffio”.

L’affondo poetico, di natura un po’ oltraggiosa, è utile per entrare in materia e circoscrivere un discorso il quale, in senso foucaultiano, stabilisce sempre un certo ordine: posizionarsi in tale ordine sancisce una prospettiva, tra quel che si vuole dire e ciò che resta interdetto, da esplicitare e da convertire nella giusta distanza, citando lo storico Ginzburg. Per tale epistemologica ragione, in un moto di legittimazione, è necessario tracciare una piccola e parziale mappa di intenti del contributo che segue.

L’articolo prende le mosse da una ricerca più ampia, tuttora in corso e ispirata dal preminente interesse da parte dell’universo bibliotecario sulle tematiche della sostenibilità e dell’Agenda 2030, portando a focalizzare chi scrive su un singolo obiettivo, il goal 5, “raggiungere la parità di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” con il conseguente proposito di comprendere l’azione della biblioteca pubblica, cercando di indagarne le categorie di giudizio implicite ed esplicite, rispetto ai presupposti sociali e culturali del multidimensionale concetto di uguaglianza di genere. Il quesito non è solo legato ai, pur imprescindibili, temi dello sviluppo sostenibile: basti pensare che l’utenza delle biblioteche pubbliche è prevalentemente femminile, come emerso anche dalla recente indagine “La biblioteca per te” e il tentativo di comprensione dell’utilizzo del servizio in ottica gender oriented può porre domande che interrogano la dimensione della vita quotidiana della donna, gli interstizi del suo vivere e i tempi sociali da gestire tra produzione e riproduzione sociale.

Il dato che può apparire scontato, ai fini del lavoro di ricerca è prezioso e va inquisito con piglio interlocutorio, partendo da un quadro teorico composito e interdisciplinare che tenga conto della complessità delle dimensioni poste dal problema di indagine: l’ineludibile soglia di partenza è stata la consapevolezza che la biblioteca pubblica chiama in causa processi di socializzazione, istituzionalizzazione, educazione, praticando al con tempo meccanismi di inclusione ed esclusione siti nelle interazioni quotidiane. Tenuto conto dell’impegno assunto dall’istituzione culturale nel perimetro del paradigma della sostenibilità, secondo una prospettiva di genere e a livello generale, l’intento è cogliere come la biblioteca pubblica si pone, nella sua funzione culturale, educativa e sociale, nelle pratiche e nei discorsi che pone in campo nel suo agire professionale, rispetto a una socializzazione di genere più egualitaria e come si configura la relazione tra questo agire e la sua utenza nella sfera della vita quotidiana. Il contributo qui esposto persegue il tentativo di effettuare una parziale ricognizione, in fieri e situata attraverso uno sguardo di ricerca posizionato secondo i propri interessi scientifici, di alcuni temi emersi in ambito internazionale. Senza pretesa di esaustività, si sono privilegiati gli studi a carattere sociologico e che è possibile ritenere indicativi anche dei diversi punti di vista con cui trattare l’oggetto di indagine per costruire una cornice cognitiva entro cui contestualizzare le implicazioni riguardanti lo studio della biblioteca pubblica e l’“inquadratura” qui proposta, selezionando alcuni studi teorici ed empirici che abbiano in qualche misura indagato la biblioteca in relazione all’universo femminile di cui la donna del poeta evocata in apertura è stata sineddoche e che, giocando ancora sulla scena tracciata, si può vedere “tra le date dei giornali” o, appunto, aggirarsi tra gli scaffali di una biblioteca.

La biblioteca e l’universo femminile

Gli studi selezionati hanno l’intento di comporre una cartografia entro cui collocare un rapporto oramai di lunga durata, prendendo in prestito una celebre espressione mutuata dalla tradizione annalistica, tra i loci della biblioteca – fisici, interpretativi, metaforici – e le pratiche femminili. Queste ultime possono essere relazionate con alcune dimensioni proprie della biblioteca – lo spazio, l’utenza e le collezioni – e ognuna di esse offre una possibilità interpretativa per comprendere la reciprocità che può instaurarsi tra pratiche e istituzioni secondo un’ottica di ricerca che intende programmaticamente privilegiare l’universo femminile.

La scelta non è peregrina: la professione bibliotecaria, nata profondamente erudita e maschile, si è progressivamente modellata secondo valori considerati tipicamente femminili (disponibilità di tempo, propensione alla cura, dolcezza e mansuetudine) assimilando il mestiere a funzioni materne. Tendenza che è intrinsecamente connessa a “quell’aspirazione all’empowerment dell’individuo attraverso processi di acculturazione ed emancipazione personale di cui la cultura [...] fornisce una chiave preziosa” e alla finalità riconosciuta dalla comunità professionale della biblioteca: quell’attuare il fervore dell’enciclopedismo, nella convinzione che la conoscenza sia indiscutibilmente una base irrinunciabile per il progresso umano e che sia da offrire senza nessuna discriminazione, come argomentava la sociologa Bernadette Seibel nella sua analisi sociale della professione. L’incorporazione da parte dell’organizzazione bibliotecaria della dimensione femminile è talmente tanto innervata da poter costituire addirittura una forza motrice che opera come meccanismo invisibile sulla linea di demarcazione che passa tra l’utenza e la non utenza ergendo una forte barriera simbolica che, giocando su una relazione quasi metonimica tra l’oggetto libro e la bibliotecaria, scatena la cosiddetta “ansia della soglia” come alcuni studi di area nordamericana tendono a confermare. Oltreoceano la bibliotecaria è percepita meno materna, più austera e sorvegliante figura assimilata a una funzione pedagogica restrittiva e autoritaria, che getta una luce indesiderabile sulle pratiche di lettura. Generando un effetto di segmentazione e divisione spaziale, riscontrato in alcune ricerche etnografiche, che “rispetta scrupolosamente l’ordine sessuale attraverso la frontiera del dentro/fuori che racchiude simbolicamente la frontiera tra rapporto al testo/rapporto al mondo (le donne nell’oikos [...] e in contatto con la realtà ma attraverso il canale di mediazione che è lo scritto, mentre gli uomini rimangono fuori, in presa diretta col mondo)”. D’altra parte, alcune interpretazioni sullo stereotipo della bibliotecaria suggeriscono come possa essere connesso a sentimenti di disagio suscitati dallo spazio della biblioteca divenendo solo la “parte per il tutto” che nasconde lo spettro di una razionalità – affiliata al potere – troppo ingombrante da gestire e che non ammette la vulnerabilità senziente del corpo. Inoltre lo stereotipo può assolvere a un’ulteriore funzione: mediare le ansie epistemiche generate dallo stretto nesso potere-conoscenza, incarnato peraltro dalle donne, che modella l’esperienza della biblioteca e che, riflettendo con Foucault, produce discorsi così che “this fear is not a fear of libraries or librarians per se [...], but a more fundamental fear of discourse and the dangers that uncontrolled discourse may give rise to”. In questo modo, l’immagine stereotipata della bibliotecaria, liberata da tutti i riferimenti valutati tendenzialmente come positivi alla sua femminilità, media e rassicura tali timori, scardinando il legame potere-conoscenza e divenendo al contempo simbolo di sottomissione a una ragione universale e totalmente disincarnata.

Sul tracciato di queste considerazioni, la biblioteca diviene quindi non solo una porta privilegiata d’accesso al sapere, ma anche un luogo mediatore e creatore di conoscenza a pieno titolo che opera secondo una propria sintassi, articolata prima di tutto in spazi (anche digitali) e collezioni, per attrarre (o mancando nell’intento) la propria utenza di riferimento. E dove, tenendo presente le implicazioni rievocate in apertura del paragrafo, è possibile assistere tanto a pratiche di genere – attività culturalmente, discorsivamente e fisicamente disponibili per essere attuate in contesti sociali – quanto a pratiche del genere ossia le diverse forme assunte dalla mascolinità e dalla femminilità, come le implicazioni a cui si è appena fatto cenno testimoniano. Con tali premesse di sfondo si sono selezionate molteplici ricerche emerse dalla revisione della letteratura, le quali affrontano con obiettivi conoscitivi specifici, visuali teoriche e metodologie diverse alcune derivazioni del rapporto che si intende indagare.

Un riferimento imprescindibile da cui partire è indubbiamente il supporto ai temi della sostenibilità: come già ricordato, nell’Agenda 2030 l’obiettivo 5 è dedicato precisamente alla parità di genere e secondo le associazioni di settore la biblioteca può concorrere, a vario titolo e attraverso diverse strategie, al raggiungimento dei 17 obiettivi messi in Agenda e la peculiarità del goal, strettamente interconnesso e trasversale a tutti gli altri, pone l’accento anche sulla dimensione dell’empowerment femminile, il quale si rivela un baluardo necessario affinché tutti i target possano essere conseguiti. Proprio tenendo come specifico orizzonte tale dimensione, si sono riscontrati in letteratura alcuni studi che avevano l’obiettivo di constatare quale fosse l’apporto dell’azione bibliotecaria.

Considerando la biblioteca come un servizio per l’apprendimento permanente, il ricercatore giapponese Yuko Yoshida, utilizzando tecniche qualitative, ha mostrato come le utenti la considerassero strumento per la propria autorealizzazione e la risposta ai propri bisogni intellettuali mettendo in evidenza come le biblioteche del territorio agissero da dispositivo in netta opposizione alle derive neoliberiste, promuovendo impegno e responsabilità civica. Sottolineandone la funzione educativa, il ricercatore afferma che questa si esprima pienamente quando legata all’empowerment femminile: mettendo in relazione l’impegno delle donne per la nascita delle biblioteche pubbliche giapponesi nel decennio 1970-1980 e il successivo protratto utilizzo da parte di esse, l’autore colloca le biblioteche nel telaio concettuale della pedagogia critica, alludendo in particolar modo a quel processo di “coscientizzazione” di cui parlava Paulo Freire, rimarcando come le attività di apprendimento offerte lavorino congiuntamente per l’empowermentma anche per un’affermazione più profonda dell’identità femminile. In questa direzione si inseriscono diversi studi volti a valutare i benefici apportati dalle biblioteche nello sviluppo educativo delle donne in paesi molto distanti dalla tradizione occidentale, non solo dal punto vista biblioteconomico, rimarcando l’importanza di tale presidio culturale anche per attuare, informare e diffondere politiche di sostegno di più ampia portata.

In linea con le ricerche appena segnalate, è possibile asserire che l’istruzione si sia rivelata nel tempo una risorsa indispensabile per l’inclusione sociale delle donne, anche in Italia, andando a impattare in maniera significativa sulla loro stessa identità. I risultati degli studi vagliati inducono a pensare che anche la biblioteca pubblica potrebbe – o ha potuto – giocare un ruolo in questa partita. Non solo perché, come le indagini a cui si è accennato riportano, la biblioteca pubblica è dotata di un learning space, ma perché può disporre di aree altre che permettono l’intrecciarsi di pratiche di coinvolgimento e incoraggianti l’empowerment con attività esperienziali e ludiche, come suggerisce il “modello dei quattro spazi”. Così che è possibile studiare fenomeni sociali legati alla spazialità, alle interazioni, in ultima analisi alle corporeità e alle soggettività femminili e si inseriscono in questa riflessione ricerche di area anglo-americana che evidenziano la natura polimorfa dello spazio della biblioteca. Impiegando come mappa cognitiva le riflessioni della sociologa Lyn Lofland, un team di ricercatrici coordinato da Pamela McKenzie ha potuto osservare come quello che tradizionalmente può essere riconosciuto come lo spazio pubblico della biblioteca, diventa, da parte delle utilizzatrici, un “parochial and private women’s realm” che permette condivisione e creazione di relazioni sociali, ospitando pratiche che diventano l’occasione per ricevere supporto e incrementare la propria autonomia.

Così come i “codici sociali vengono trasformati da chi li usa in metafore ed ellissi”, gli spazi pubblici della biblioteca si piegano a una certa domesticità degli utilizzi, ospitando attività manuali che permettono di affiancare alla dolce solitudine artigiana legami e condivisioni sociali. Così attività percepite come innocue e ordinarie diventano, nell’ambiente bibliotecario percepito come sicuro, il pretesto per vivere un place-sharing in cui si possono instaurare “forms of reciprocity and mutual recognition between ethnically different individuals”, come rilevato in una biblioteca londinese dove, “prendendo sul serio” il lavorare a maglia insieme, è stato possibile osservare tra le donne riunite un multiculturalismo ordinario, non altisonante e orientato allo scambio, in cui l’autrice della ricerca etnografica Katherine Robinson ha avuto modo di constatare un intimate cosmopolitanism tessuto all’interno dello spazio bibliotecario e ritmato secondo il tempo lento dell’operare manuale. E il ritmo è una parola chiave per un altro studio inglese che aggiunge un tassello importante alla comprensione del fenomeno in oggetto: la biblioteca pubblica non solo è uno spazio che può rivelarsi interessante per osservare “quello che succede quando non succede nulla” – per dirlo con una rinomata espressione di uno scrittore, documentalista e sociologo di formazione – tra soggettività femminili, ma anche perché offre loro un tempo inoperoso per se stesse, ritmando il quotidiano, secondo la prospettiva della ritmanalisi di Lefebvre. Le relazioni sociali assecondano anche i ritmi prescritti dalle istituzioni, combinandosi con i tempi della sfera privata a livello individuale e collettivo. Da questo punto di vista è interessante ricordare alcune ricerche che hanno definito la biblioteca pubblica come luogo di riproduzione sociale – che se soggetto a tagli finanziari e a politiche di austerità andrà a penalizzare le fasce della popolazione femminile economicamente più svantaggiate – e di resistenza alla commercializzazione degli spazi urbani. In particolare, Lia Frederiksen, analizzando una controversia circa le sorti di una biblioteca pubblica di Toronto avvenuta tra il 2011 e il 2012, pone l’accento sul ruolo occupato dalla biblioteca pubblica come spazio per la riproduzione sociale, in quanto mediatrice di disuguaglianze attraverso il libero accesso alle risorse informative che intercetta nel suo operato bisogni la cui risposta è sottratta dalla privatizzazione di altri servizi sulla scena e che colpiscono in particolar modo le madri, una larga fetta dell’utenza, che incoraggiano la lettura nei propri figli.

La lettura è indubbiamente un’altra dimensione degna di essere sociologicamente indagata, nativamente collocata nell’ambiente della biblioteca. Diverse ricerche affrontano da una prospettiva di genere e marcatamente intersezionale l’organizzazione delle collezioni, portando alla luce come l’agire bibliotecario non veicoli un sapere neutro ma che è talvolta posizionato entro i confini del sapere egemonico, partecipando a quella “volontà di verità” che costruisce il discorso dominante così come illustrato da Foucault  e che si esplica in biblioteca trascurando i bisogni informativi dei gruppi minoritari  o pedinando le “ontogenesi dei soggetti” con cui la pratica bibliotecaria classifica e organizza la conoscenza rivelando un operare ideologicamente orientato. Da questo punto di vista non è azzardato annoverare la biblioteca pubblica anche nei “mondi dell’arte”,  perché, come il lavoro editoriale di editing, contribuisce al carattere processuale di produzione artistica, intesa non come azione solitaria del singolo artista, ma come impresa collettiva nella quale agiscono tutti coloro i quali possono avere un impatto sull’opera, legittimando un intero universo valoriale della “realtà trasformata nella sua rappresentazione” che, al pari di altre cristallizzazioni sociali, aiuta a definire le categorie di giudizio con cui si costruisce la realtà sociale.

Ulteriori studi, introducendo la variabile strutturale del genere, si concentrano invece sulla differenza d’uso del servizio, portando alla luce un territorializzare le pratiche in maniera diversa anche in base alle responsabilità familiari e di cura filiale. Oltretutto, è importante rammentare quanto la lettura sia un’attività svolta maggiormente da donne e ragazze, come alcune fotografie statistiche confermano: una predilezione che va affrontata con atteggiamento sondante e che probabilmente è da ricondurre a diversi fattori di natura sociale, legati al capitale educativo posseduto, la divisione sessuale del lavoro e della cura domestica, connessi intrinsecamente a disposizioni di habitus di genere tali da produrre una “fabrique sexuée des goûts culturels”. Inoltre, leggere richiede un corpo disciplinato a farlo, soggetto a specifiche modalità di socializzazione che rivendicano pratiche acquisite storicamente, in un lungo lavoro di trasferimento culturale. Così anche un’attività esemplarmente cognitiva mostra il risvolto visibile appartenente alla grammatica di un corpo. Innestata nella vita quotidiana, la lettura delle donne assume significato all’interno della propria condizione, non oltre i suoi confini, perché anche il solo reggere un libro tra le mani assurge a segno di indisponibilità nel flusso delle interazioni quotidiane, dando luogo a raffigurazioni sessualmente diversificate: è un corpo a riposo, mentalmente in fuga, a tratti sensuale, al contrario della rappresentazione dell’uomo in lettura, fiero ed eretto, controllato e sempre presente a se stesso.

Note conclusive

Alla luce delle ricerche richiamate è possibile ricavare con più precisione l’orizzonte di senso in cui è concepibile collocare la biblioteca pubblica rispetto all’universo delle pratiche femminili. Le dimensioni chiamate in causa sono molteplici e vedono la biblioteca, pubblica in particolare, contribuire non solo a riconfigurare le forme della vita quotidiana ma anche ad assolvere a funzioni specifiche, connesse alla produzione e riproduzione di significati di tipo espressivo, strumentale e normativo. Come i “contesti istituzionali sono mondi culturali nei quali sono in gioco [...] una componente cognitiva e una componente normativa” senza tralasciare “la sfera dell’esperienza sensoriale, da cui scaturiscono altri criteri di giudizio [...] che appartengono al dominio dell’estetica”, anche la biblioteca pubblica chiama in causa tali dimensioni. E, a parere di chi scrive, queste ultime, intrinsecamente connesse, possono essere indagate anche da una prospettiva di genere considerando che i confini bibliotecari vengono oltrepassati, come si è detto, principalmente da donne e ragazze. Suggerendo in tal senso l’esigenza di un interrogarsi sulle istanze che questo attraversare femminile comporta non solo per quanto riguarda le ragioni sociali di segmentazione dei pubblici, ma anche e soprattutto in termini di identità, azioni e valori in relazione specifica con il polisemico agire della biblioteca pubblica.