La trasformazione digitale della cultura. Principi, processi e pratiche
Abstract
Recensione di Fabio Mercanti al libro di Claudio Calveri, Pier Luigi Sacco, La trasformazione digitale della cultura. Principi, processi e pratiche, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, 200 p.
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La trasformazione digitale della cultura è frutto del lavoro di Claudio Calveri (digital strategist) e Pier Luigi Sacco (docente di Economia della cultura presso l’Università IULM di Milano e senior advisor presso l’OCSE) e rappresenta un importante capitolo all’interno di “Geografie culturali”, la collana diretta da Luca Dal Pozzolo nata dalla collaborazione tra Editrice Bibliografica e Fondazione Fitzcarraldo. Si tratta di una pubblicazione necessaria nell’attuale panorama editoriale italiano, di un libro in grado di stimolare riflessioni sul ruolo della cultura come “ingrediente essenziale della trama della vita quotidiana” (p. 179) in un contesto in cui il digitale è inteso come “il nostro ambiente” (p. 9) e come “la nostra mutazione” (p. 10).
I due autori propongono un percorso teorico arricchito da vari casi concreti (ad esempio Google Arts & Culture, la cosiddetta “Guerra di musei” londinesi, il videogioco Father and son prodotto dal MANN ecc.), mantenendo sempre uno sguardo allargato che coinvolge studiosi dai diversi approcci (come Alec Ross, Kevin Kelly, Seth Godin ecc.), enti e organizzazioni internazionali e i rispettivi documenti, rivolgendosi soprattutto all’Europa e all’Italia.
Proprio il nostro paese presenta un basso tasso di partecipazione culturale rispetto al resto d’Europa, con una persona su due che non partecipa alla vita culturale. La stessa Unione europea sembra però sottovalutare “il ruolo e il potenziale della cultura nelle strategie di competitività a lungo termine” e, nonostante siamo in una economia basata sulla conoscenza, nell’agenda politica europea non è centrale l’idea di una cultura che sia “motore della crescita economica” (p. 171). In generale sembra esserci una visione parziale della cultura, intesa unicamente come prodotto delle industrie culturali o come patrimonio materiale o immateriale da conservare e valorizzare.
Soprattutto nell’attuale contesto, la cultura dovrebbe invece essere considerata come “dimensione trasversale della società in tutte le sue componenti” (p. 14), sia dal punto di vista economico che sociale. Essa infatti riguarda il welfare culturale, l’inclusione, lo scambio e il dialogo interculturale, il lifelong learning, l’educazione, l’imprenditorialità, l’innovazione, la sostenibilità (e quindi i principi e gli obiettivi dell’Agenda 2030), il turismo ecc.
In quest’ottica, la cultura è la “pre-condizione abilitante” per comprendere la realtà e partecipare a essa e “per orientare processi complessi di trasformazione” (p. 15). Essa può avere un impatto positivo sul benessere delle persone e della società poiché è qualcosa che va oltre la fruizione del bello o il ricavo ottenuto dalla vendita di un prodotto culturale.
Il volume è diviso in sette capitoli più le conclusioni. Nei primi quattro capitoli vengono approfonditi principi, strumenti e usi del digitale in ambito culturale. Un tema centrale è il valore dei dati e quindi le potenzialità e le criticità legate alla loro gestione. Il quinto capitolo è dedicato al rapporto tra utenti, piattaforme e istituzioni; il sesto al design digitale per la cultura e lo storytelling.
Alcuni di questi temi saranno ripresi nelle prossime righe, ma prima di tutto è necessario approfondire la periodizzazione proposta dai due autori nel settimo capitolo. Questa è basata su tre paradigmi presentati come altrettante “versioni” evolutive della concezione di cultura. È bene precisare che questi paradigmi non si escludono l’un l’altro. La prima versione è la Cultura 1.0, in cui la cultura è accessibile a una élite ristretta. Questo regime, definito mecenatistico, è proprio della Grecia classica e della Roma imperiale e dura, seppur in forme diverse, fino al XIX secolo, ovvero quando le rivoluzioni borghesi e la rivoluzione industriale aprono nuove possibilità di produzione e diffusione del prodotto culturale. Inizia quindi la fase definita Cultura 2.0. In questo contesto l’industria culturale – su tutte la stampa, la radio e poi il cinema – presenta prodotti accessibili cercando di coinvolgere il maggior numero di persone, ma resta evidente la distanza tra chi produce e chi fruisce (ad esempio autori/editori e lettori). Con la Cultura 3.0, ovvero il periodo oggi appena iniziato, la cultura si diffonde attraverso ambienti digitali, come le piattaforme, in cui si incontrano contenuti e persone. In questo paradigma è centrale l’abbattimento delle barriere tra creatori e pubblico, tra produzione e fruizione. Questa orizzontalità – approfondita nel libro di Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini La cultura orizzontale (Roma-Bari, Laterza, 2020) – non è certo priva di rischi, ma presenta notevoli potenzialità per lo sviluppo di nuove forme di accesso alla conoscenza e di partecipazione culturale. In questo scenario l’accesso e la partecipazione vanno oltre la sfera del tempo libero e dell’intrattenimento e la cultura può essere intesa come un pilastro delle pratiche quotidiane in tutti i settori della vita umana.
Il digitale ha certamente un ruolo centrale nella Cultura 3.0, in quanto ha ridisegnato molte dinamiche della produzione e della partecipazione culturale e continuerà a farlo. Non deve però essere inteso soltanto come uno strumento, ma come qualcosa di organico alle diverse dimensioni e ai diversi attori della cultura (istituti, enti, persone ecc.). Il digitale non è fondamentale solo per produrre, distribuire e fruire nuovi prodotti, ma anche per partecipare, condividere, cooperare, connettendo persone, risorse, istituzioni e piattaforme.
Dopo aver affrontato le dimensioni del rapporto tra digitale e cultura in una prospettiva ibrida tra analogico e digitale, gli autori approfondiscono alcuni strumenti fondamentali anche per la cultura avendo come guida il documento del World Economic Forum Creative Disruption: The impact of emerging technologies on the creative economy (2018). Questi strumenti sono l’Intelligenza artificiale (ad esempio per attività di personalizzazione dell’offerta e raccomandazione), la realtà aumentata (una tecnologia immersiva che punta alla contestualizzazione arricchendo di informazioni l’ambiente fisico circostante), la blockchain, i social media (riguardo i quali è necessaria la consapevolezza dei meccanismi alla base delle varie piattaforme e non solo una competenza d’uso), i videogame.
Il rapporto tra digitale e cultura è inoltre affrontato tenendo conto del documento europeo Guide to Eurostat culture statistics del 2018. Quindi si propone un’analisi che tenga conto delle aree di impatto del digitale in ambito culturale come la creazione e la produzione – e quindi anche la disintermediazione, ad esempio delle diverse forme di autopubblicazione –, la distribuzione – sempre di più basata sull’incontro tra contenuti e persone e quindi su sistemi di filtraggio e personalizzazione –, l’educazione – ovvero il pilastro della partecipazione culturale –, la conservazione – e quindi i pericoli legati alla perdita delle risorse digitali per obsolescenza dei formati –, e le questioni legate alla gestione dei diritti. Altri temi che percorrono tutto il volume sono l’importanza di fare advocacy per la cultura e gli istituti culturali, il valore di una ricerca interdisciplinare che si traduca in “pianificazione organica e armonica a tutti gli effetti” (p. 197) e la necessità di un processo di gestione dei dati. Nell’attuale contesto e in un’ottica di trasformazione digitale questi temi sono importanti per tutte le istituzioni culturali, anche per le biblioteche.
Nonostante nel libro non sia presente uno specifico focus sulle biblioteche, ogni tema trattato e questione affrontata stimolano riflessioni che riguardano la missione delle biblioteche stesse in un’ottica di trasformazione digitale.
Nel contesto in cui ci troviamo le biblioteche possono avere il ruolo di piattaforme della conoscenza, in base anche alla vision proposta dal Convegno Stelline 2021. Esse possono essere spazi abilitanti per una learning society, ambienti senza barriere, inclusivi, sia fisici che digitali. In quest’ottica i bibliotecari e le bibliotecarie dovrebbero stimolare la partecipazione culturale anche grazie a occasioni di condivisione e discussione e promuovere le molteplici forme di lettura, perché tutti possano coltivare le competenze trasversali necessarie per comprendere la complessità del nostro tempo. Diventa quindi fondamentale l’attenzione verso i bisogni di individui, gruppi e comunità al fine di progettare e realizzare un impatto positivo che riguardi le diverse dimensioni del benessere individuale e collettivo, sia culturale che economico e sociale. Non dimentichiamo infatti che solo nell’ultimo Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) è stato inserito un indicatore dedicato alle biblioteche all’interno del dominio “Istruzione e formazione”, mentre in precedenza si posizionavano solo nel dominio “Paesaggio e patrimonio culturale” con un indicatore relativo alla spesa.
Per approfondire ulteriormente i temi affrontati nel libro si può seguire la conversazione tra i due autori e Luca De Biase disponibile sul canale YouTube della Fondazione Fitzcarraldo al link https://www. youtube.com/watch?v=PDUC4jM_ Yoc&ab_channel=FondFitzcarraldo.