Due monografie per la ridefinizione della figura dell'archivista
Funzionario archivista presso l’Archivio di Stato di Mantova, cecilia.tamagnini@gmail.com
Per consultare l'articolo completo in formato pdf visita la sezione "Risorse" oppure clicca qui.
Dal mese di settembre 2020 il catalogo di Editrice Bibliografica si è arricchito di una nuova collana denominata “In Archivio”. Per i tipi della stessa casa editrice erano già usciti negli anni diverse monografie di argomento archivistico, di natura generale o particolare, ma con la nuova collana si è voluto creare un filo rosso evidente tra libri, riflessioni e autori che si muovono in campo archivistico.
La prima monografia è firmata da Paola Ciandrini e ha titolo: Records management. Iso 15489: progettare sistemi documentali.
La prefazione, a cura di Stefano Pigliapoco, lascia spazio alla trattazione vera e propria, articolata in otto capitoli. I primi passi vengono mossi dalle nozioni all’apparenza di base e dalle definizioni; segue poi la genesi dello standard e il disegno dello stemma codicum, svolto con metodo filologico, e la descrizione della struttura dello standard. Si passa in seguito alla storia dello standard, con le sue evoluzioni, dal 2001 fino all’ultima versione del 2016, e all’edizione italiana dello standard, approvata da UNI (Ente italiano di normazione) e tradotta perché possa essere adottata all’interno del contesto italiano. A proposito di contesto, il quinto capitolo apre a una serie di riflessioni importanti che puntano a dare valore allo standard a seconda di punti di vista diversi: del prosumer (colui che è contemporaneamente produttore e consumatore di risorse e informazioni); di chi progetta e comunica i sistemi documentali; degli attori chiamati ad agire all’interno dell’applicazione dello standard, ma anche in relazione alla complessità dell’intera gestione documentale che vede un circolo virtuoso tra funzioni-sistemi, operazioni-procedure e strategie-politiche, elementi rappresentati e coincidenti ognuno con un diverso standard. Chiudono il volume due capitoli dedicati alla comparazione tra le diverse edizioni dello standard nelle sue versioni internazionali e la versione italiana e una bibliografia ampia e non solo tecnica e archivistica.
Il rischio di raccontare, narrare e descrivere uno standard è quello di creare un testo altrettanto freddo e meccanico, quasi un manuale di istruzioni. Paola Ciandrini però riesce fin dall’introduzione a non intraprendere questa strada. Nella sua introduzione afferma, parafrasando Massimo D’Azeglio, che “Ridisegnata l’archivistica, bisogna ridisegnare gli archivisti” e lei per prima spiega ed esemplifica come. Gli archivisti che attualmente operano e che si sono formati a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento hanno avuto l’opportunità di confrontarsi (ma anche scontrarsi) con l’avvento delle tecnologie dell’informazione, con la fioritura a volte eccessiva di standard, norme e leggi e con il passaggio anche obbligato dal documento analogico al documento digitale. La chiave di lettura di questo mondo è data probabilmente dalla norma: fredda, spesso scostante, ma portatrice di modalità corrette di azione e di pensiero. Un dato oggettivo, fornito dagli standard in particolare, è il necessario confronto tra archivisti e altre professionalità. Paola Ciandrini lo fa fin dall’introduzione, applicando lei stessa quanto sostiene: in modo sorprendente, racconta uno standard cercando di farlo camminare accanto alle riflessioni e ai testi di Italo Calvino. E già nelle prime righe mette l’accento sul nuovo aspetto modernissimo e attuale della professione archivistica: “Evocando Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino, il destino dell’archivista non può che confrontarsi e incrociarsi con altre professioni”. Quindi ben vengano anche i punti di vista differenti proposti nel capitolo 5, che esemplificano il mondo variegato e multiforme nel quale lo standard si applica.
Il successo di un sistema documentale è dato, nella pratica, dalla “soddisfazione per l’uso interno e per il rispetto delle regole esterne”: non può non confrontarsi con il contesto nel quale opera e nel quale deve comunque essere in grado di applicare norme, regole e standard senza sconti perché possa “ottenere record autorevoli e autorevoli record systems, con caratteristiche di affidabilità, autenticità, accessibilità, integrità e usabilità”.
Nello stesso capitolo le fasi di progettazione e realizzazione di un sistema documentale sono descritte, anche con esempi pratici, con un accento marcato sull’insieme delle figure e delle competenze che sono chiamate a operare in sinergia, con il coinvolgimento di tutte le esperienze anche non aggiornate presenti all’interno del contesto di applicazione.
L’archivista specialista di sistemi documentali non è però solo uno degli attori in questo processo, ma è figura che deve portare competenze diverse e dialoganti. Nel caso di Paola Ciandrini è lettore e conoscitore di Italo Calvino, ma è anche filologo quando propone lo stemma codicum dello standard ISO 15489. Non è un esercizio di stile, privo di significato, ma è l’applicazione di uno dei capisaldi dell’archivistica: conoscere il contesto di produzione di un documento, capirne la struttura, renderlo dialogante in senso prima amministrativo poi storico con l’attualità. Conosce la biologia, o comunque, citando l’evoluzione della specie, è in grado di capire perché è stato necessario tradurre, ma anche modificare, il testo della prima versione ISO dello standard nel passaggio a UNI. è poi competente in materia giuridica, quindi vede in che modo il testo dello standard parla con la legislazione italiana vigente. Paola Ciandrini, con la sua monografia, invita tutti gli archivisti a diventare anche progettisti, con la capacità di vedere in profondità la realtà nei quali si è chiamati a operare, per poterla interpretare e gestire nella sua complessità in chiave virtuosa. La seconda monografia uscita è quella di Alessandro Alfier, Il sistema di documentazione digitale.
La prefazione di Francesca Santoni chiarisce immediatamente su quale terreno la monografia si muove: la “Diplomatica 2.0”, ovvero una riflessione “[di un professionista esperto] insoddisfatto dell’impalcatura teorica posta a sostegno della sua attività […] e alla ricerca di risposte “diverse” o forse solo di un modo diverso di porsi le domande”. La struttura della monografia si articola in tre capitoli: il primo mette in evidenza il necessario rinnovamento della disciplina diplomatica di fronte alla presenza obbligatoria e sempre più ricorrente del documento digitale. Il secondo capitolo offre una disamina completa e affascinante sul sistema di documentazione contemporaneo nel quale si ha sempre più l’impressione che ci sia una vera e propria pulsione, quasi una proliferazione, a documentare: in questa parte gli elementi della diplomatica “classica” vengono ripresi e messi in relazione con le caratteristiche tipiche della documentazione digitale, obbligate anche dal Codice dell’Amministrazione digitale attualmente vigente. Nel terzo capitolo le riflessioni portate fino a quel momento sono applicate e collegate al contesto archivistico, cercando di coglierne le ricadute nei temi della gestione documentale e della conservazione digitale.
Per citare l’introduzione di Francesca Santoni: “Un documento digitale non dovrebbe apparire tanto estraneo a chi studia la storia della documentazione”. Eppure il documento digitale è un oggetto sconosciuto per tanti archivisti che si sono limitati a una formazione tradizionale e scolastica data per lo più dai corsi di laurea attuali e dalle scuole di Archivistica, paleografia e diplomatica presenti in diciassette Archivi di Stato. Sembra, questa, una critica ai tanti colleghi che hanno intrapreso questi percorsi; in realtà è un dato di fatto, nulla più: non c’è nulla di male a non saperne molto di firme digitali o di formati nella quotidianità di un archivista che molto probabilmente ancora per molti anni avrà a che fare solo con archivi cartacei. La situazione diventa molto più complicata quando si incontrano contesti che per forza, perché si deve, portano diretto contatto con il mondo digitale. Non è un caso che questa sia anche l’esperienza pluriennale di Alessandro Alfier: il suo ruolo all’interno di una pubblica amministrazione lo ha portato a cercare nuovi requisiti professionali, nuovi strumenti, che vanno oltre le solidissime e fondate basi fornite dai corsi tradizionali.
Francesca Santoni parla di “fame di diplomatica”, ma anche di “assonanze e coincidenze”. Questi sono i due fili conduttori presenti ed evidenti in tutta la monografia: la capacità di muoversi all’interno delle competenze che già si hanno e, grazie a esse, unite a una riflessione densissima su tutte le discipline e le abilità che l’archivista è chiamato ad avere, il tentativo di andare oltre per vivere e comprendere il presente.
Due sono i passaggi che viene spontaneo sottolineare ed entrambi partono dalle riflessioni della diplomatista Giovanna Nicolai.
La diplomatica deve uscire dal contesto medievale nel quale pare essersi rinchiusa, per andare oltre i periodi storici e le aree geografiche nei quali sembra agire, per superare il nozionismo che spesso appiattisce la disciplina. è una richiesta che spesso viene anche dagli studenti delle scuole presso gli Archivi di Stato e che hanno alle spalle percorsi legati alla storia moderna e contemporanea: perché non si parla di documenti relativamente più recenti? La risposta non è tanto nei contenuti, ma nei metodi: la diplomatica che Giovanna Nicolai propone è fatta di metodo di indagine e solo in seconda battuta di concetti specifici, perché “ogni stadio della formazione ed emissione del documento diventa metodo di indagine”. Il documento, poi, deve uscire dal paradigma che ha caratterizzato le sue funzioni giuridiche: è necessario andare oltre le classiche funzioni ad probationem e ad substantiam, per estenderle invece a molte altre che Giovanna Nicolai elenca e che Alessandro Alfier spiega e rende attuali nel secondo capitolo della sua monografia. Solo ampliando le riflessioni sul profilo funzionale del documento può fare ambire a una nuova analisi (e quindi alla piena comprensione) del documento anche digitale, alimentando anche con nuovi elementi il contesto archivistico. Diventa necessario andare oltre il riduzionismo funzionale della diplomatica classica per avere un censimento delle funzioni giuridiche del documento che si ampliano in numero anche in funzione del cambiamento del diritto. Ampliandosi il diritto, diventando le norme più complesse e articolate, si ampliano le forme del documento e i concetti tipici della diplomatica, fino a influenzare non solo la produzione, ma anche il ciclo di vita del documento.
Di nuovo, ma sotto un nuovo punto di vista, si parla di cambiamento di prospettiva, di nuove competenze che l’archivista oggi deve avere. Il professionista che si affaccia nel mondo della gestione documentale e della conservazione digitale è una sintesi dei profili che Paola Ciandrini e Alessandro Alfier hanno tracciato.
L’archivista “classico”, che viene da una formazione tradizionale, non è più autosufficiente se si vuole confrontare con la realtà attuale della documentazione: o, virtuosamente, si appoggia ad altre professionalità, o cerca nuove competenze. La figura di archivista che esce dalle due monografie è quella di un esperto in documentazione, in sistemi complessi, in giurisprudenza; è in grado di progettare e comunicare i sistemi che deve definire, governare, custodire. Deve essere in grado di ripercorrere strade già definite, rendendosi disponibile a cambiarne il tracciato. Ha inoltre competenze tecniche e informatiche. Dove manca di questi elementi deve essere in grado di lavorare con altre figure specialiste, aprendo la mente o il suo campo di azione e andando oltre. Ma in che direzione?
Alla base rimangono però le fondamenta classiche, quelle che possono anche essere scolastiche, ma che forniscono pietre angolari sulle quali costruire in sicurezza. Figure nuove e complesse come quelle descritte non lasciano indifferenti e possono generare sentimenti contrastanti di stupore ammirato o di rifiuto. Con questa seconda reazione nasce l’esigenza di un’ultima caratteristica, quella di riuscire a essere prima insegnanti, poi maieuti per riuscire, unitamente a impegno e dedizione, a far uscire dalle proprie sicurezze e ad allargare la mente verso comprensioni più profonde.