N.2 2021 - Biblioteche oggi | Marzo 2021

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Luciano De Vita: il percorso tra libri e incisioni di un tormentato artista del Novecento

Silvia Scaravaggi

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Una mostra antologica, dal 22 gennaio al 21 febbraio 2020, ha reso omaggio all’attività di Luciano De Vita e riassunto, nello spazio della Pinacoteca nazionale di Bologna, i diversi interessi che animavano l’artista. Nel catalogo Luciano De Vita. Antologica, a cura di Silvia Evangelisti (Bologna, Pendragon, 2020), il testo di approfondimento di Maria Gioia Tavoni, con particolare riferimento al campo del libro d’artista, esplicita l’universo delle relazioni che De Vita strinse con l’Accademia e i rapporti di amicizia e collaborazione che arricchirono la sua parabola umana e creativa. Quest’ultimo termine è utilizzato con una certa inclinazione all’eterogeneità poiché certamente centrale è l’arte grafica nella carriera di De Vita ma l’esposizione ne mostra la sua poliedricità: pittura, scultura e scenografie teatrali emergono a tutto tondo, accanto alla calcografia. Tavoni, nel suo scritto, pone l’artista “vicino a Depero per i balli plastici che sono rievocati dai suoi personaggi soprattutto di teatro” ma si sofferma, da esperta studiosa e critica del libro, ad analizzare i quattro libri d’artista: L’inverno del signor d’Aubigné del 1960, per la traduzione di Giuseppe Guglielmi con tre acqueforti di De Vita; I Provenzali del 1962, con quattro acqueforti a corredo del testo tradotto sempre da Gugliemi; il Combestiario del 1975, con quattro acqueforti e un testo di Guglielmi; infine, Cantata de Bomarzo, del 1981, pièce teatrale tratta dal romanzo Bomarzo di Manuel Mujica Láinez, con sette acqueforti a più colori. Nel contributo sono prese in considerazione alcune chiavi di lettura: contrappunto tra testi e incisioni; ricorrenza di temi – tra cui la amata e ossessionante ostrica – e apporto cruciale, nella angosciosa linea esistenziale dell’artista, degli amici e colleghi che seppero renderlo più sereno.
Se si vuole però approfondire con cura e dettaglio, il libro di Maria Gioia Tavoni, Le angosce di Luciano De Vita ricomposte nei suoi libri d’artista (Bologna, Pendragon, 2019), rappresenta una stella polare. Impaginato dal tratto inconfondibile di Lucio Passerini, il quale rielabora un collage dell’artista per la Turandot incorniciandolo nel suo lettering dove tradizione e modernità si intrecciano sempre con grande sinergia, il volume offre un’articolata rassegna dei momenti che segnarono la fortuna critica ed espositiva dell’artista, e degli studiosi e storici dell’arte che ne scrissero. Restituisce un elenco di utili fonti con il pregio di contribuire a mettere ordine nelle date e nelle occasioni che compongono la biografia di De Vita, del quale ancora non esiste un profilo biografico completo.
Fondamentale per l’accesso di De Vita ai libri d’artista è l’incontro con “Guglielmi il letterato-traduttore, e lo scrittore, poeta, libraio Roberto Roversi, con i quali nel primo libro d’artista con sue incisioni originali, si formò una equipe” che Tavoni non esita a definire come amicizia molto coesa. Si noti che l’unione tra Guglielmi e De Vita portò alla nascita del primo libro d’artista per entrambi, con i testi delle poesie di Aubigné che erano da poco apparse sul numero di agosto della rivista “Il Verri”, al suo secondo anno, celebrando una riconsiderazione del barocco, qualità propria del francese che Guglielmi ha contribuito a far conoscere in Italia, e che ben si accosta al tratto contorto e carico dell’artista De Vita, il quale sapeva unire forme scomposte a una tecnica incisoria strabiliante.
Per quel che riguarda la pubblicazione e la commercializzazione dei libri prodotti fu certamente figura principale l’intellettuale Roberto Roversi che, con la sua libreria antiquaria Palmaverde, divenuta presto casa editrice, distribuiva testi stampati in ciclostile su scala nazionale. Tutti i libri d’artista dell’editore Palmaverde “furono stampati da tipografi bolognesi che componevano in lynotipe e utilizzavano carte pregiate”; non diversamente l’amico editore procedette con De Vita facendo stampare i testi principalmente da Tamari e dalle Officine grafiche Calderini, laboratorio che smise di essere attivo solo nel 2010. Straordinaria è, infine, l’accoppiata con i due tipografi veronesi, Alessandro Zanella e Gabriel Rummonds, italiano d’adozione in quanto nato negli Stati Uniti, che pubblicarono sotto la marca Plain Wrapper Press nel 1981 la Cantata de Bomarzo con sette incisioni a colori impaginate dal consueto genio grafico di Zanella e dall’impeccabile tipografia dell’americano. Qui siamo “di fronte a una vera sinergia fra autore, traduttore, editore, tipografo al torchio, illustratore, legatore” che insieme raccolgono i frutti di un lavoro tra i più accurati tra quelli analizzati da Tavoni. Cantata de Bomarzo è l’ultimo libro d’artista in cui si sublima “la sintassi esuberante in tutta l’esperienza di De Vita […]. L’immagine di uno dei mostri di Bomarzo con occhi grandissimi e sporgenti può indurre a richiamare i grandi cerchi della valva superiore dell’ultima ostrica incisa da De Vita”. 
Forse il percorso di incisore dell’artista che, interiorizzato, ne ha accompagnato la carriera, ha trovato finalmente uno sfogo, una via d’uscita e un allontanamento dal dramma e, malgrado l’impossibilità di cancellare le ombre, una quiete ora profonda e composta.