La stampa a Napoli nell’Ottocento. Una storia per generi editoriali
Bibliotecario; anbor@libero.it
Abstract
Recensione di Antonio Borrelli al libro di Vincenzo Trombetta, La stampa a Napoli nell’Ottocento. Una storia per generi editoriali, Firenze, Olschki, 2022, 250 p.
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Negli ultimi due decenni l’editoria napoletana dell’Ottocento è stata indagata, come non era mai successo prima per quantità di dati raccolti e qualità di analisi offerte, da Vincenzo Trombetta, docente di Storia del libro e dell’editoria all’Università di Salerno. Dopo numerosi articoli e i volumi L’editoria napoletana dell’Ottocento. Produzione circolazione consumo e L’editoria a Napoli nel Decennio francese. Produzione libraria e stampa periodica tra Stato e imprenditoria privata (1806-1815), pubblicati rispettivamente nel 2008 e nel 2011 nella collana “Studi e ricerche di storia dell’editoria” di Franco Angeli, Trombetta ha pubblicato nel 2022, nella collana “Biblioteca di Bibliografia” di Leo Olschki, La stampa a Napoli nell’Ottocento. Una storia per generi editoriali, che raccoglie, eccetto uno, saggi già editi, ma completamente rielaborati nel testo e aggiornati nelle note bibliografiche.
In quest’ultimo volume, che arricchisce e completa i due precedenti, l’autore studia le vicende dell’editoria napoletana dell’Ottocento dall’angolazione, complessa e difficile, dei generi editoriali: complessa per la mole impressionante di opere da consultare, difficile per l’individuazione, non sempre agevole, dei generi, la cui fortuna muta nel tempo. Si tratta di un metodo di ricerca non molto praticato, che richiede la conoscenza capillare, microscopica, della produzione libraria di un determinato periodo storico e la dimestichezza con strumenti di indagine diversificati, di tipo storico, sociologico, economico e culturale. In Italia un buon esempio di questo metodo di ricerca è dato dal volume Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, curato da Lodovica Braida e Mario Infelise e pubblicato dalla Utet nel 2010, che contiene gli atti del convegno svoltosi a Milano dal 24 al 26 settembre 2008 presso l’Università Statale, in collaborazione con la Fondazione “Arnoldo e Alberto Mondadori”.
Per le sue caratteristiche, il volume di Trombetta appartiene non solo alla storia dell’editoria, ma anche a quella della cultura, intesa nel senso più ampio dell’espressione, una storia che per essere ricostruita presuppone lo studio dei numerosi fattori, come, per esempio, la politica culturale delle istituzioni pubbliche, i programmi editoriali, il sistema dell’informazione, il commercio librario, i luoghi della lettura, i livelli di istruzione della popolazione, la lotta fra i gruppi sociali per l’egemonia intellettuale nella società, e così via. Trombetta scandaglia l’editoria napoletana dell’Ottocento, in una delle maggiori città italiane ed europee, capitale di un vasto Regno fino al 1860, rileggendo il variegato materiale rintracciato nel corso degli anni, costituito soprattutto da “opere ritenute minori, come pubblicazioni ufficiali […], fogli religiosi e manuali scolastici”, ma avendo anche cura di registrare “permessi di stampa, dediche, avvertimenti, prefazioni, apparati illustrativi, sottoscrizioni, prezzi di vendita […], segnalazioni e recensioni” (p. VII). Si tratta di un materiale eterogeneo e per sua stessa natura per lo più di scarso pregio tipografico, che trova “positivo riscontro nella circolazione alimentata dalla sempre più estesa platea dei lettori: dunque monografie, trattati, opuscoli, memorie accademiche, testate periodiche che, restituiti alla centralità della storia editoriale, rispecchiano il lavoro di autori, curatori, traduttori, editori, stampatori e librai partecipi del progresso civile e intellettuale del Paese” (p. VII). Come si vede, l’autore analizza non solo testi per le élites, ma soprattutto testi di largo consumo, destinati a un pubblico “popolare”, e ricostruisce, nello stesso tempo, il lavoro quotidiano di coloro che erano impegnati, a vario titolo, nel mondo dell’editoria.
Trombetta scandisce la storia che racconta in tre epoche ben distinte: il Decennio francese, l’Età borbonica e il Periodo postunitario. Al primo dedica due capitoli: I generi editoriali nel “Corriere di Napoli” e L’editoria musicale; al secondo, il più ampio, quattro capitoli: L’editoria scientifica, L’editoria di viaggio, L’editoria antiquaria e L’Editoria di Stato; al terzo due capitoli: L’editoria cattolica e L’editoria scolastica.
Nell’economia del lavoro, il Decennio francese è certamente quello centrale, perché centrale fu quel periodo per la modernizzazione di Napoli, incidendo in modo determinante sul successivo sviluppo della città. Una centralità dimostrata anche dal fatto che Trombetta ha già dedicato, come si è detto, uno specifico volume a quel periodo, durante il quale tutto il comparto editoriale “assunse un’inusitata rilevanza strategica” (p. 3). Appena giunti al potere, i Napoleonidi diedero un forte impulso alle attività culturali, rinnovando le istituzioni esistenti e creandone delle nuove, sia in campo umanistico sia in quello scientifico. Lo stesso fecero con l’Università, con le scuole di ogni ordine e grado e, per l’appunto, con l’editoria, un settore in cui furono migliorate le tecniche di stampa e i metodi di distribuzione e fu rivitalizzata l’intera filiera del libro, dalle industrie tipografiche e calcografiche alle librerie alle associazioni per l’acquisto dei libri nuovi.
Per illustrare queste novità Trombetta utilizza due specifici punti di osservazione: le rubriche dei libri del più importante giornale del Decennio, il “Corriere di Napoli”, diretto da Vincenzo Cuoco, e l’editoria musicale, che proseguì la tendenza positiva emersa nel Settecento. Attraverso l’analisi minuziosa delle rubriche dei libri del “Corriere di Napoli”, che iniziò le pubblicazioni il 16 agosto 1806, dimostra come, patrocinando giornali e fogli di informazione politica, incentivando la traduzione di codici e testi giuridici, soprattutto transalpini, e promuovendo la cultura scientifica, lo Stato diventò un “moderno mecenate”, che si propose di creare non solo una nuova classe dirigente, ma anche di rispondere alle richieste di un pubblico sempre più vasto e diversificato, che andava dagli intellettuali di professione ai funzionari pubblici ai vari tipi di tecnici. I libri di cui Cuoco discusse sul “Corriere di Napoli” avevano una caratteristica comune, erano tutti, in un modo o nell’altro, libri “utili”, che servivano a costruire la “nuova Nazione” e migliorare le condizioni di vita della popolazione. Attraverso l’analisi dell’editoria musicale, sicuramente incentivata dalla presenza a Napoli di quattro conservatori e otto teatri, Trombetta presenta un materiale che, a differenza di quello appena descritto, rientra nella categoria dei libri di consumo, legati agli spettacoli in scena nella capitale. Si tratta di “commedie, melodrammi, opere buffe, azioni sceniche, drammi giocosi e pastorali e cantate”, libretti prodotti in una veste tipografica dimessa, talvolta perfino scadente, per ridurne al massimo i costi di copertina.
Le basi poste nel Decennio francese contribuirono a stabilizzare la produzione libraria dal ritorno dei Borbone alla fine del Regno. L’editoria napoletana di questo periodo fu funzionale, per produzione e consumo, al sistema-Napoli, cioè a una città in cui vi erano l’unica grande Università del Regno, numerose istituzioni culturali e scientifiche, diversi tipi di scuole e un pubblico di lettori che cresceva, seppure lentamente, di anno in anno. A Napoli operavano editori piccoli e medi, protetti dai dazi doganali e dalla mancata applicazione della legge sul diritto d’autore, che si rivolgevano essenzialmente al mercato regnicolo. Per questo, nessuno di essi poteva reggere il confronto, per capacità aziendale e fatturato, con gli editori di Firenze, Torino, Bologna e soprattutto Milano, che si avviava a diventare la capitale dell’editoria italiana.
I libri che prosperavano di più a Napoli nel quarantennio prima dell’Unità d’Italia furono quelli scientifici, per studenti e ricercatori; quelli che descrivevano la città, per turisti e viaggiatori; quelli di antiquaria, per studiosi e curiosi di cose antiche, e quelli religiosi, per un pubblico ancora più ampio e socialmente eterogeneo. Un’impennata nella produzione di libri scientifici e guide della città si registra in occasione del VII Congresso degli scienziati italiani, che si tenne a Napoli nel 1845. A questi libri si affiancavano, con un ruolo non marginale, i libri e i diversi materiali stampati dallo Stato, come “editti, prammatiche, decreti, codici, regolamenti, indulti, mappe geografiche, atlanti, rilievi topografici, portolani, fino alla modulistica per licenze, passaporti e permessi di soggiorno” (p. 145).
La situazione dell’editoria a Napoli appena descritta non poteva reggere e non resse all’impatto con l’unificazione nazionale, in particolare nel primo decennio, quando, rispetto ai 400 titoli pubblicati negli anni 1850-1859, furono pubblicati 220 titoli. Scrive Trombetta:
L’abrogazione dei dazi doganali, la legittimazione dei diritti intellettuali, l’interdizione delle privative, il blocco delle commesse pubbliche, la fine della politica dell’assistenzialismo, che aveva generato un’artificiale editoria assistita, determinarono un sensibile decremento dei livelli produttivi (p. 205).
Gli editori napoletani dovevano misurarsi ormai con il mercato nazionale e competere con gli editori del Centro-Nord che erano, sotto tutti gli aspetti, molto più attrezzati di loro. Tanto è vero che per accaparrarsi subito nuove fette di mercato aprirono agenzie, filiali e succursali nelle principali città del Mezzogiorno. Eppure, come scrisse Benedetto Croce, l’editore moderno nacque a Napoli proprio nel pieno della crisi postunitaria, ed ebbe, com’è noto, la sua figura più emblematica in Antonio Morano, senza dimenticare gli intraprendenti Alberto Detken, Giuseppe Marghieri, Vincenzo Pasquale, Giovanni e Nicola Jovene e Agostino, Benedetto ed Emio Pellerano.
Trombetta prende in esame per questo periodo due generi, l’editoria cattolica e quella scolastica, e lo fa sulla base di due dati incontrovertibili: l’enorme produzione di libri e riviste che le gerarchie ecclesiastiche misero in circolazione per fronteggiare lo spirito anticlericale dei nuovi governati, che per tutto il Risorgimento polemizzarono contro il potere temporale e culturale della Chiesa; e la buona tenuta della produzione dei libri per la scuola e l’Università, che continuò, grazie ai costi bassi delle materie prime e del lavoro, una tendenza che si era manifestata già nel secolo e più che va dalla seconda metà del Settecento all’Unità d’Italia. Ciò che colpisce dell’editoria cattolica è, come sempre, la sua enorme capacità di raggiungere, attraverso la fitta ramificazione delle parrocchie, chiunque sapesse leggere, dal raffinato intellettuale all’umile contadino, mettendo a disposizione “testi teologici e liturgici, esposizioni dottrinali, opere ascetiche e spirituali, orazioni sacre, istituzioni pastorali, ma soprattutto catechismi, libri di preghiere, raccolte di prediche, opuscoli devozionali, esercizi di pietà, sermoni agiografici, letture cattoliche, insegnamenti per il buon cristiano” (p. 175). L’editoria scolastica fu il vero “motore della ripartenza editoriale” dopo la grave crisi del primo decennio postunitario. Da questa editoria, che diventò “il fattore determinante per la democratizzazione del sapere e la rigenerazione morale del Paese” e costituì un pezzo significativo dei libri pubblicati in Italia, uscì nel 1870-1871, stampato in due tomi da Morano, quel capolavoro, quel “romanzo” dell’identità nazionale, che fu la Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis.