N.1 2023 - Biblioteche oggi | Gennaio-febbraio 2023

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Le biblioteche durante la guerra

Rossana Morriello

Il progetto Library War Service e l’American Library di Parigi

Abstract

Il progetto Library War Service e l’American Library di Parigi

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La Biblioteca di Parigi è un romanzo che non dovrebbe mancare nelle librerie di tutti i bibliotecari e sugli scaffali delle biblioteche. L’autrice è Janet Skeslien Charles, scrittrice d’origine americana che vive tra gli Stati Uniti e Parigi dove ha lavorato come responsabile degli eventi culturali dell’American Library, che è la biblioteca protagonista del romanzo. Uso il termine “protagonista” e non “ambientazione” non per caso, in quanto l’American Library è il fulcro del romanzo, come topos che si fa spazio, tempo, personaggio della narrazione. L’autrice spiega la genesi del romanzo in una postfazione intitolata Con i libri si abbattono le barriere, nella quale racconta che l’idea è nata perché è “rimasta affascinata dalla storia dei bibliotecari che, contro tutto e tutti, hanno deciso di tener aperta l’American Library durante la guerra”.

L’American Library di Parigi è stata fondata nel 1920 sotto gli auspici dell’American Library Association e della Library of Congress con una collezione di volumi appositamente inviati dalle biblioteche americane e destinati al personale delle forze armate durante la Prima guerra mondiale, nel corso di un progetto chiamato Library War Service. Il progetto è stato realizzato tra il 1917 e il 1920, anni durante i quali l’ALA ha raccolto donazioni per 5 milioni di dollari, aperto 36 biblioteche nei campi militari e distribuito circa 10 milioni di libri e riviste, contribuendo a costruire le raccolte bibliotecarie in oltre cinquemila siti. Il progetto è nato come sviluppo dell’iniziativa dell’ALA di costituire una commissione per i servizi di guerra ed è stato subito supportato e istituzionalizzato dalla Commission on Training Camp Activities (CTCA), l’agenzia federale istituita dal ministero della guerra statunitense per fornire servizi ricreativi e educativi ai soldati. L’American Library di Parigi è una delle poche biblioteche sopravvissute fino ai giorni nostri, poiché le altre collezioni del progetto Library War Service sono andare in gran parte disperse. La biblioteca parigina offre oggi una collezione di oltre centomila volumi, cento testate di periodici e numerose risorse digitali, specializzata in opere di autori americani e anglofoni, e alcune collezioni archivistiche, tra cui una raccolta di fotografie in parte digitalizzata e liberamente accessibile su Tumblr. È stata tra le prime biblioteche di Parigi ad aprire l’accesso diretto agli scaffali per il pubblico e può vantare utenti illustri come Edith Wharton, Ernest Hemingway, Gertrude Stein, Thornton Wilder.

Figura 1 Sala di lettura dell’American Library di Parigi, 1927 circa
Figura 2 Una donna trasporta i libri nell’ufficio spedizioni di Newport, 1919 circa

Il conflitto durante il quale si svolgono le vicende narrate in La biblioteca di Parigi è invece la Seconda guerra mondiale, quando la capitale francese cadde sotto l’occupazione nazista. La storia è naturalmente romanzata ma si basa su fatti veri, come risultato delle approfondite ricerche compiute dall’autrice negli archivi della biblioteca e dell’American Library Association, e della consultazione di molte altre fonti documentarie, incluse le testimonianze dei bibliotecari e dei parenti dei protagonisti delle vicende narrate nel libro. I personaggi, infatti, sono ispirati a persone reali. Dorothy Reeder è stata realmente la direttrice della biblioteca americana durante il conflitto, Boris Netchaeff era il capo-bibliotecario di origini russe che fu ucciso dalla Gestapo, la Contessa Clara de Chambrun prese effettivamente il posto della signorina Reeder quando quest’ultima fu rimpatriata per ragioni di sicurezza nel 1941 e dormì in biblioteca per assicurarsi che le collezioni non venissero saccheggiate, e soprattutto l’American Library rimase davvero sempre operativa e aperta negli anni della guerra. Come accade nel romanzo, i bibliotecari durante l’occupazione nascosero le collezioni di pregio e continuarono a prestare i libri a tutti, e di nascosto anche agli utenti ebrei, ai quali, in seguito alle leggi razziali emanate in Francia nel 1940, era proibito, tra le molte altre cose, recarsi in biblioteca.

La protagonista principale è Odile Souchet, sulla quale si apre il romanzo con un incipit che immediatamente ci dà la chiave di lettura di tutta l’opera: la Classificazione decimale Dewey. Odile, infatti, interpreta gli eventi della vita attraverso le classi Dewey, come esplicitazione concreta, per quanto romanzata, di quello che è una classificazione bibliografica: una struttura ontologica per rappresentare il mondo e la conoscenza. Racconta Odile:

I numeri mi fluttuavano nella testa come stelle. 823. I numeri erano la chiave per una nuova vita. 822. Costellazioni di speranza. 841. In camera mia a notte fonda, la mattina mentre andavo a comprare i croissant, mi si formavano davanti agli occhi, una serie dopo l’altra: 810, 840, 89. Rappresentavano la libertà, il futuro. Insieme ai numeri, avevo studiato la storia delle biblioteche, a partire dagli inizi del Cinquecento.

Odile ha una laurea in biblioteconomia e si appresta a fare un colloquio per l’assunzione all’American Library e, neanche a dirlo, confessa che:

La materia che preferivo alla scuola di biblioteconomia era la classificazione decimale Dewey. Ideata nel 1873 dal bibliotecario statunitense Melvil Dewey, suddivideva i libri in dieci classi in modo da organizzare la loro disposizione sugli scaffali delle biblioteche per aree tematiche. C’era un numero per tutto, così da permettere a ogni lettore di reperire qualsiasi libro in qualsiasi biblioteca. Per esempio, la mamma si vantava del suo 648 (governo della casa). Papà non lo avrebbe ammesso, ma a lui piaceva molto il 785 (musica da camera). Mio fratello gemello era più un tipo da 636.8, mentre io preferivo il 636.7 (gatti e cani, rispettivamente).

L’intero romanzo è costellato di numeri Dewey tramite i quali Odile classifica le vicende della vita e tutto ciò che la circonda, come per esempio l’estate (CDD 813), gli uccelli visti ai giardini del Lussemburgo (CDD 598), fino ai diversi eventi tragici della guerra e dell’occupazione nazista.

Odile desidera intensamente il lavoro all’American Library e ne spiega le ragioni in una lettera indirizzata alla signorina Reeder, la direttrice della biblioteca, poiché non è riuscita a farlo a voce durante il colloquio:

Cara signorina Reeder,

grazie per aver discusso del lavoro con me. Ero emozionata al pensiero del colloquio. Questa biblioteca significa molto per me, più di qualsiasi luogo a Parigi. Quando ero piccola, mia zia Carolina mi accompagnava all’Ora della fiaba. È grazie a lei che ho studiato inglese e mi sono innamorata dell’American Library. Anche se mia zia non è più con noi, continuo a cercarla all’ALP. Apro i libri e vado alla taschina nel risguardo, sperando di vedere il suo nome sulla scheda. Leggere gli stessi romanzi che ha letto lei mi dà la sensazione che siamo ancora vicine.

Il colloquio va come sperato e Odile viene assunta all’American Library per occuparsi dei periodici, della bacheca, del bollettino d’informazioni e di una rubrica che la biblioteca tiene su un giornale. Tornata a casa, annuncia con gioia “sono una bibliotecaria!”, e definisce tale gioia attraverso l’equazione LIBRI-indipendenza-felicità, nella quale la parola LIBRI in tutto maiuscolo suggerisce che è proprio da loro che nascono l’indipendenza e la felicità.

Il primo giorno di lavoro la direttrice le presenta i colleghi, tra i quali Boris Netchaeff, il capo-bibliotecario franco-russo famoso per la sua biblioterapia: “Sapeva quali libri avrebbero consolato un cuore infranto, cosa leggere in una giornata d’estate e quale romanzo scegliere per un’evasione avventurosa” e Muriel Joubert, detta Bitsi, la bibliotecaria dei bambini, che scoprirà essere sua “gemella di libri” per le affinità nelle scelte di lettura. E poi ci sono gli utenti abituali che diventano amicizie. Per Odile le giornate all’American Library scorrono serene, tra libri, classi Dewey, bibliotecari e utenti, con le nuove amicizie e un amore nascente con Paul, fino a quando cominciano a girare delle voci sull’imminente scoppio della guerra e le preoccupazioni sul rischio per il patrimonio bibliografico e documentario divengono concrete:

La direttrice aveva un’espressione torva. “Ho ricevuto una lettera dalla biblioteca universitaria di Strasburgo. Monsieur Wickersham ha scritto che lui e madame Kuhlmann hanno imballato ed evacuato duecento casse di libri.”

“La guerra è imminente.” Nel dirlo, la voce della contessa s’incrinò.

Strasburgo era pericolosamente vicina alla Germania. I bibliotecari avevano trasferito i libri per metterli in salvo e invece i politici non avevano nemmeno accennato alla possibilità di evacuare le persone?

Le casse sono state spedite nella regione di Puy-de-Dôme”, disse la signorina Reeder. “Anche noi dobbiamo organizzarci per tempo.”

Poi, a partire dal 1° settembre 1939, i giovani dai diciotto ai trentacinque anni vengono richiamati alle armi nell’esercito, e gli amici e gli utenti sono costretti a partire: “Boris, un ragazzo del quartiere insieme al quale ero cresciuta, i pallidi dottorandi che praticamente vivevano nella sala di consultazione, il panettiere che bruciava le baguette: tutti precettati”. Infine, anche il fratello di Odile parte per il fronte. Ma la biblioteca non chiude, rimane inamovibile nel suo ruolo di “ponte di libri tra le culture”, per fornire libri a tutti, e ai soldati che ne facessero richiesta in tutta la Francia, in primo luogo. Ricorda Odile che “quell’autunno spedimmo ventimila volumi alle truppe francesi, inglesi e cecoslovacche, come pure alla Legione straniera. Al pari della signorina Reeder, mi sentivo particolarmente fiera del servizio per i singoli soldati.” Spesso i libri sono destinati ai soldati ricoverati negli ospedali, per i quali “la lettura offriva un’evasione, qualcos’altro a cui pensare, un’intimità della mente.” L’American Library continua anche il suo servizio per gli utenti in città, nonostante i ripetuti inviti da vari fronti e dalle autorità a chiudere la biblioteca per ragioni di sicurezza, e nonostante la cessazione dei finanziamenti. Ma la signorina Reeder è irremovibile: “Credo nel potere dei libri: noi svolgiamo un lavoro importante, assicurandoci che la conoscenza sia fruibile e creando una comunità.” E aggiunge che “le biblioteche sono polmoni” e

i libri sono aria fresca inalata per continuare a far battere il cuore, a far immaginare il cervello, a tenere viva la speranza. Gli utenti dipendono da noi per le notizie, oltre che per sentirsi parte di una comunità. I soldati hanno bisogno di libri, hanno bisogno di sapere che i loro amici dell’American Library tengono a loro. Il nostro lavoro è troppo importante per interromperlo adesso.

Infatti, proprio per il loro ruolo i libri e le biblioteche sono spesso oggetto di sequestro e distruzione durante le guerre, tutte le guerre. La distruzione delle biblioteche ha avuto storicamente diverse ragioni ma la più frequente è l’annullamento di una cultura. Le motivazioni religiose o di altro genere sono di norma un pretesto per annientare una comunità che viene unita e tenuta insieme proprio dalla cultura, e si indentifica come una comunità proprio grazie alla cultura, alla memoria registrata che ne rappresenta l’identità. Le biblioteche sono un collante fondamentale delle comunità culturali e sociali. Ecco perché le raccolte bibliotecarie finiscono da sempre nelle mire degli aggressori, come testimoniano purtroppo ancora oggi le notizie delle decine di biblioteche distrutte in Ucraina insieme a numerosi altri siti culturali, in aperta violazione della Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Ma anche i bibliotecari e le biblioteche ucraine resistono, ritenendo la loro missione cruciale non solo per la salvaguardia della cultura ucraina sotto attacco ma per documentare la guerra, quella guerra che stanno vivendo in prima persona, a beneficio delle generazioni future. Nelle dichiarazioni dei bibliotecari ucraini ritornano le parole del romanzo di Janet Skeslien Charles: la biblioteca è una comunità. Come nel romanzo viene rappresentato un contesto storico in cui i bibliotecari portano di nascosto i libri a casa degli utenti ebrei cui è impedito l’accesso alla biblioteca, così nella realtà odierna i bibliotecari ucraini portano i libri nella metropolitana di Kharkiv dove vivono ormai molte persone per sfuggire ai bombardamenti russi. In entrambi i casi sfidando le minacce della guerra e rischiando la vita.

Figura 3 Marinai nella sala di lettura della nave, 1919 circa
Figura 4 Personale che processa i libri in un campo militare in Francia, 1919 circa

Nel romanzo è la Bibliotheksschutz, la Gestapo dei libri, a controllare le biblioteche. Una polizia che non era composta da brutali analfabeti, ci avvisa la scrittrice, ma da esperti in grado di riconoscere i volumi ritenuti pericolosi per il regime, ma anche quelli di valore. Sempre nel romanzo il Bibliotheksschützer è infatti un bibliotecario della più prestigiosa biblioteca di Berlino, che non esita a far arrestare diversi bibliotecari, incluso il direttore della Bibliothèque Nationale, e a far sparare ad altri bibliotecari. “Sparare a un bibliotecario? Non era come uccidere un dottore?” si chiede l’autrice. Nella realtà, spiega Janet Skeslien Charles nella postfazione, fu davvero un bibliotecario tedesco insieme a dei bibliotecari francesi a organizzare il saccheggio di molte biblioteche, grazie anche alle centinaia di migliaia di “lettere dei corvi” che venivano inviate anonimamente agli ufficiali tedeschi per denunciare i vicini, gli amici e perfino i familiari, e che sono conservate negli archivi, in particolare nel Mémorial de la Shoah, il museo francese dell’Olocausto. Ecco, anche a questo servono le biblioteche e gli archivi, come i bibliotecari ucraini ci ricordano, a conservare la memoria, come rito collettivo condiviso fondamentale per mantenere viva l’identità di una comunità e dunque salvaguardare la sua stessa esistenza. Una missione che non bisognerebbe mai dimenticare.