Biblioteconomia e digital humanities - Open Access
Università degli studi di Salerno; abilotta@unisa.it
Appunti per una ricerca comparata
Abstract
Il contributo analizza innanzitutto cos'è il metodo comparativo e come si applica alla Biblioteca e studi scientifici informatici. Nella seconda parte, le note ed i suggerimenti proposti rappresentano il punto di inizio per un futuro percorso di ricerca il cui obiettivo è quello di confrontare biblioteconomia e scienza dell'informazione e digital humanities nel contesto italiano, per far emergere e sistematizzare punti di contatto e similitudini tra questi ambiti disciplinari grazie al supporto metodologico del confronto.
English abstract
The paper analyzes first what is the comparative method and how it applies to Library and information science studies. In the second part, the proposed notes and suggestions represent the starting point for a future research track whose goal is to compare Library and information science and Digital humanities in the Italian context, to bring out and systematize contact points and similarities between these disciplinary fields thanks to the methodological support of comparison.
Per consultare l'articolo completo in formato pdf clicca qui
La comparazione nelle scienze sociali
Gli esseri umani, sin dalle primissime forme di vita sociale organizzata, hanno sviluppato la tendenza a comparare, cioè a valutare e a spiegare somiglianze e differenze tra oggetti, fenomeni, sistemi, società.
Il metodo comparato, ormai entrato nel novero della tradizione delle scienze sociali (insieme al metodo sperimentale, al metodo statistico e al metodo etnografico), trae origine dal fatto che ogni fenomeno sociale può assumere forme diverse in contesti diversi e ha l’obiettivo di spiegare in modo sistematico queste varianti. La comparazione, ci insegna il sociologo Alberto Marradi, è una “operazione mentale di confronto di due o più stati distinti di uno o più oggetti su una stessa proprietà”. Ciò significa che non si comparano gli oggetti in sé o le loro proprietà ma che si comparano gli stati sulla stessa o sulle stesse proprietà, cioè il giudizio di maggiore o minore, di uguale o diverso, di presenza o assenza rispetto a una data proprietà.
Tra i più importanti sociologi che hanno sottolineato i vantaggi del metodo comparato vanno ricordati Émile Durkheim e Max Weber, esponenti, rispettivamente, dei due principali paradigmi di riferimento nella storia delle scienze sociali: il positivismo e l’interpretativismo. Si rimanda ad altre letture per approfondire il ruolo fondamentale che questi studiosi hanno avuto per la definizione degli approcci e delle forme assunti nel tempo dal metodo comparato. In questa sede ci si limiterà a dire che si fanno risalire alla tradizione durkheimiana e alla tradizione weberiana i due approcci alla comparazione maggiormente diffusi nelle scienze sociali: l’approccio statistico o per variabili e l’approccio storico o per studi di caso. L’approccio statistico non usa necessariamente tecniche statistiche di trattamento dei dati e l’aggettivo si riferisce alla logica che è alla base di questo tipo di ricerca in cui i fenomeni sociali osservati sono scomposti in variabili, quantitativamente misurate, che fungono da indicatori per determinare le relazioni tra i fenomeni. Il secondo approccio tende ad analizzare le caratteristiche di un fenomeno nel suo complesso in diversi contesti nazionali, sociali o culturali e a verificarne l’andamento, negando, nelle sue punte estreme, l’esistenza di modelli teorici di riferimento generalizzabili. L’utilizzo di variabili sembrerebbe conferire maggiore scientificità e possibilità di generalizzazione e allontanare dal rischio di cadere in ipotesi particolaristiche; lo studio di caso, d’altra parte, si configura come tentativo di comprensione profonda e non preconcetta della realtà, un modo di avvicinarsi ai fatti senza ricercarvi tendenze generali. Comparazione statistica e comparazione storica non si escludono a vicenda ma possono essere opportunamente combinate, è anzi auspicabile che ciò accada per provare a superare limiti e criticità dei singoli approcci.
Cos’è la biblioteconomia comparata
Il metodo comparato trova le sue prime applicazioni già a partire dall’ultimo decennio del Settecento in discipline quali l’anatomia e la biologia. Esso si svilupperà in maniera crescente durante tutto l’Ottocento e i primi decenni del Novecento nei campi più disparati investendo letteratura, filologia, linguistica, storia, diritto, politica, religione, antropologia, sociologia, educazione. Proprio gli studi di educazione comparata (intesa come un’area interdisciplinare che si propone di studiare e comprendere i sistemi educativi di diverse aree geografiche in relazione ai fattori economici, politici, sociali, culturali) hanno costituito, come vedremo più avanti, un punto di riferimento per l’utilizzo del metodo comparato in biblioteconomia.
Se l’interesse per le pratiche messe a punto in altri paesi contraddistingue da sempre il lavoro bibliotecario, le prime manifestazioni in biblioteconomia di studi comparati veri e propri risalgono agli anni Cinquanta del Novecento; è datata 1954 la prima apparizione a stampa del termine comparative librarianship. Questi studi trovano una più matura sistematizzazione nella letteratura professionale degli anni Settanta e Ottanta, gli anni in cui i paesi africani e asiatici decolonizzati si affacciano sulla scena mondiale, in cui gli studi biblioteconomici e i programmi di sostegno dei governi privilegiano i sistemi bibliotecari dei paesi in via di sviluppo e in cui le scienze umane e sociali sono interessate da una generale spinta comparativa, riconosciuta utile a soddisfare curiosità ed esigenze di ricerca, soprattutto verso nuove società e culture. I primi studi sono stati promossi da organismi internazionali come Unesco, Commissione europea, IFLA, ed è anche per questa ragione se la biblioteconomia comparata è stata spesso considerata sinonimo di biblioteconomia internazionale. Se in comune c’è la ricerca di somiglianze e differenze tra i fenomeni bibliotecari in diversi contesti, culture, nazioni, società, a differenza della biblioteconomia internazionale che spesso si limita a presentare e a giustapporre questi fenomeni nelle singole nazioni, la biblioteconomia comparata ricerca una spiegazione causale tra i fenomeni osservati in contesti differenti (non necessariamente in nazioni differenti). Nel tempo sono state date numerose e diverse definizioni. In sintesi, la biblioteconomia comparata esamina strutture, servizi, pratiche e funzioni delle biblioteche per evidenziarne aspetti e peculiarità sviluppatisi all’interno di un contesto di riferimento (storico, sociale, culturale, politico, economico) ben definito, mettendo in relazione realtà diverse, con l’obiettivo di analizzare cause ed effetti delle specificità emerse e di valutare come contesti e politiche bibliotecarie ne abbiano influenzato e ne influenzino lo sviluppo.
Come fare comparazione in biblioteca
La comparazione in biblioteca ha finalità perlopiù pratiche: può contribuire ad analizzare i problemi occorsi nei diversi contesti e a individuare soluzioni, può favorire l’esportazione e l’adattamento (misurato e consapevole, non indiscriminato) di servizi, processi e buone pratiche da un contesto all’altro, può aiutare a pianificare e a monitorare l’introduzione di innovazioni, può potenziare la formazione dei bibliotecari e la conoscenza di altri contesti, può facilitare il confronto internazionale e la cooperazione.
Il primo passo di uno studio comparato è la definizione delle entità da comparare cioè cosa si vuole descrivere e confrontare. Si potrà trattare di singoli aspetti di gestione e di servizio, di una o più tipologie di biblioteca, di singole biblioteche o di sistemi bibliotecari, purché ci sia equivalenza concettuale e linguistica tra ciò che decidiamo di comparare; se, ad esempio, decidessimo di confrontare i sistemi bibliotecari accademici di diversi paesi dovremmo innanzitutto definire che cosa intendiamo esattamente per sistema bibliotecario e per biblioteca accademica. La scelta delle entità potrà riguardare casi molto diversi tra loro (purché abbiano proprietà e variabili in comune su cui operare la comparazione) o casi simili (in questo caso alcune variabili comuni saranno considerate costanti e il confronto sarà operato su altre variabili).
Dal punto di vista temporale la comparazione può essere sostanzialmente di due tipi: sincronica, quando si sceglie di comparare entità diverse nello stesso periodo di tempo, o diacronica, quando si analizzano la stessa entità o entità diverse in momenti storici diversi.
La raccolta dei dati sui quali condurre la comparazione può essere il frutto di osservazioni dirette del ricercatore, della somministrazione di questionari e interviste, dell’analisi di progetti e report prodotti dalle biblioteche ma anche delle statistiche (demografiche, economiche, culturali ecc.) prodotte a livello nazionale o internazionale (ferma restando, naturalmente, l’utilità di studiare la produzione scientifica di altri ricercatori che si sono occupati delle stesse entità).
La scelta delle entità da comparare influenza l’approccio impiegato; basti qui riprendere quanto si accennava prima a proposito di approccio statistico e approccio storico. Il primo scompone le entità in variabili (quantitative o qualitative) che fungono da indicatori per determinare le relazioni tra le entità stesse; il secondo analizza in profondità le caratteristiche di un’entità nel suo complesso in diversi contesti e ne verifica l’andamento. L’approccio per variabili è spesso utilizzato nelle ricerche in cui si raccoglie una quantità di dati tale da poter generalizzare i risultati, come negli studi europei e statunitensi sulla percezione del ruolo delle biblioteche e sulla valutazione d’impatto. Gli studi di caso si rendono necessari quando non si dispone di una quantità di dati sufficiente per porre i casi studiati in una determinata prospettiva teorica o quando un caso si allontana dalle teorie e dai modelli di riferimento costituendo un unicum. Come si accennava, i due approcci possono esserecombinati in un approccio misto.
La biblioteconomia comparata è fortemente interdisciplinare e attinge con profitto dagli strumenti e dalle tecniche perfezionate dalle scienze sociali e da altre discipline comparate. È il caso dell’educazione comparata a cui la biblioteconomia è stata spesso associata, anche a causa della relazione tra sistemi scolastici e sistemi bibliotecari e per gli scopi comuni a entrambe della formazione e dell’alfabetizzazione. In particolare, dall’educazione comparata la biblioteconomia importa la definizione delle quattro fasi della comparazione: la fase della descrizione consiste nella raccolta dei dati e delle informazioni sulle variabili individuate in una o più entità bibliotecarie; nella fase dell’interpretazione i dati sono analizzati per spiegare le relazioni tra variabili e fattori esterni e interni al mondo delle biblioteche; la fase della giustapposizione consiste nel classificare e confrontare in maniera simultanea ma ancora superficiale i dati raccolti in contesti diversi per individuare somiglianze e differenze e formulare ipotesi; infine, nella fase della comparazione vera e propria le entità bibliotecarie sono analizzate simultaneamente e nel dettaglio per giungere alla piena comprensione delle relazioni tra esse. A questo proposito va detto che difficilmente gli studi comparati, anche se condotti su larga scala e con un approccio per variabili, possono condurre a generalizzazioni senza scontrarsi con l’empirismo delle situazioni concrete; ma è anche vero che quanto si apprende in un contesto locale può fungere da buona pratica e da esempio per altri contesti. Lo scopo ultimo della comparazione, infatti, può essere visto proprionell’esaltazione della tensione tra teorie e soluzioni operative, attraverso l’analisi del modo in cui le pratiche altrui si conciliano con le specificità locali.
Lo stato dell’arte in Italia
In Italia la biblioteconomia comparata ha avuto finora scarsa fortuna. In termini applicativi citiamo il pioneristico approccio di Emanuele Casamassima in alcuni scritti datati tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento in cui metteva a confronto la situazione bibliotecaria tedesca e quella italiana. Sugli aspetti teorici ed epistemologici della biblioteconomia comparata va ricordato il fondamentale contributo di Giuseppe Vitiello che ne ha definito i principi, anche attingendo alla più nota letteratura internazionale (soprattutto anglosassone).
Se facciamo una ricerca in WorldCat inserendo comparative librarianship nel campo titolo, nel campo soggetto e nel campo parole chiave otteniamo, rispettivamente, 437, 283 e 7.810 risultati tra libri, capitoli di libri e articoli di riviste. Se impostiamo la lingua italiana e cerchiamo ‘biblioteconomia comparata’ nel campo titolo e nel campo parole chiave otteniamo in entrambi i casi tre risultati: il citato volume di Vitiello, un saggio in volume che mette a confronto le caratteristiche degli OPAC dei sistemi bibliotecari di università italiane e straniere e il citato Principi, approcci e applicazioni della biblioteconomia comparata. Se cerchiamo ‘biblioteconomia comparata’ nel campo soggetto otteniamo solo il volume di Vitiello. Sempre in WorldCat se combiniamo nel campo titolo o nel campo parole chiave ‘bibliotec*’ e ‘comparazione’ otteniamo come unico risultato pertinente il citato. La biblioteca pubblica contemporanea e il suo futuro. Se facciamo la stessa ricerca nel campo soggetto non abbiamo risultati.
Spostandoci in OPAC SBN e cercando ‘biblioteconomia comparata’ nel campo titolo o nel campo parola chiave otteniamo due risultati: il volume Principi, approcci e applicazioni della biblioteconomia comparata e lo spoglio di un articolo di chi scrive. Effettuando la stessa ricerca nel campo soggetto non otteniamo risultati in lingua italiana. Combinando ‘bibliotec*’ e ‘comparazione’ nel campo titolo otteniamo soltanto La biblioteca pubblica contemporanea e il suo futuro; replicando la ricerca nel campo soggetto o nel campo parola chiave non otteniamo risultati.
Provando a fare la ricerca nelle principali riviste scientifiche italiane di ambito biblioteconomico i risultati sono ugualmente scarsi. In questo caso i termini ‘bibliotec*’ e ‘biblioteconomia’ sarebbero ridondanti trattandosi di riviste specializzate, per cui la ricerca si è limitata al sostantivo ‘comparazione’ e all’aggettivo ‘comparat*’ sia nel campo titolo che nel campo soggetto. Nelle annate del “Bollettino AIB” (dal 1992 al 2011) si ottengono due risultati pertinenti: due recensioni rispettivamente a uno studio francese e a una raccolta di saggi.
In “AIB studi” la ricerca produce tre risultati: un articolo di chi scrive e due studi di Sara Dinotola in cui l’autrice ha messo a confronto le collezioni bibliotecarie di diversi sistemi bibliotecari italiani con l’offerta editoriale.
Per quanto riguarda i “Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari” non esiste un archivio della rivista in cui poter fare una ricerca. Dall’analisi degli indici disponibili online dal 2007 al 2022 si ottiene come solo risultato pertinente un altro studio di Dinotola sull’evoluzione delle teorie e delle pratiche per lo sviluppo delle collezioni bibliotecarie in area angloamericana, in Germania e in Italia.
In “Biblioteche oggi” otteniamo come unico risultato una recensione al citato volume di Vitiello. In “Biblioteche oggi Trends” l’unico risultato è un articolo di chi scrive.
Nessun risultato in “JLIS.it” e in “Bibliothecae.it.”
Come si è visto, nel nostro Paese riflessioni e studi comparati sono ancora pochi, probabilmente anche per la difficoltà di uscire dall’autoreferenzialità e di guardare in maniera obiettiva a quello che accade fuori dai propri confini (geografici, culturali, disciplinari):
La riflessione biblioteconomica italiana ha sempre interagito assai poco col dibattito disciplinare internazionale e, quando lo ha fatto, è spesso prevalso un atteggiamento molto provinciale, per cui finivamo con l’innamorarci di una realizzazione vista all’estero e proponevamo astratte modellizzazioni.
Forse perché non abbiamo mai avuto il solido retroterraconoscitivo indispensabile per comprendere e valutare gli insegnamenti che potevano scaturire da un’osservazione consapevole. In un’epoca di crisi e di profonde trasformazioni, in cui le biblioteche sono chiamate a ripensare il loro futuro, è fondamentale che i bibliotecari dispongano di utensili adeguati allo scopo.19
Appunti per una ricerca comparata
Come si accennava, le entità oggetto di comparazione in biblioteconomia possono essere le più varie. Da un servizio a un’attività, da una tipologia di biblioteca a un sistema bibliotecario. Ma se l’oggetto della comparazione diventasse la nostra stessa disciplina?
Nelle pagine che seguono si proverà a immaginare una traccia di ricerca, che chi scrive intende sviluppare in un futuro prossimo, nella quale comparare la biblioteconomia e le digital humanities in Italia.
Se questa è la domanda di ricerca la prima criticità consiste nel definire le due entità. Come scrive Mauro Guerrini:
La biblioteconomia è la disciplina che riflette sulla costruzione, l’organizzazione, la gestione e l’uso, nonché sui linguaggi e sui servizi al pubblico della biblioteca, in quanto spazio fisico e virtuale e in quanto sistema che seleziona, conserva, tutela, descrive e trasmette, tramite bibliotecari professionali, quella porzione di universo bibliografico che possiede e a cui dà accesso per la lettura, la ricerca e lo svago: manoscritti, libri e periodici a stampa e digitali, carte geografiche, musica, fotografie, film e altre risorse.
Nell’ambito accademico italiano la biblioteconomia è una disciplina inserita nel settore scientifico-disciplinare M-STO/08 – Archivistica, bibliografia e biblioteconomia che a sua volta è parte del settore concorsuale 11/A4 – Scienze del libro e del documento e scienze storico religiose (nell’Area 11 relativa alle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche). Come si legge nella declaratoria attualmente in vigore per il settore M-STO/08:
Le competenze del subsettore bibliografia e biblioteconomia riguardano la storia della tradizione dei testi scritti, elaborati o tramandati su qualunque supporto, del loro ordinamento e messa in uso; riguardano altresì la realtà semantica dei documenti e lo studio della progettazione, fabbricazione, diffusione, informazione, conservazione libraria intesa come elemento costituente la storia della cultura. Il settore ha una caratterizzazione scientifica e teorica riscontrabile anche nella peculiarità metodologica di ricerche che tengono conto del triplice livello degli oggetti di studio: la realtà fisica dei documenti, quella letteraria (testuale, autorale, editoriale) e quella concettuale ricorrendo a una logica propria, servendosi tra l’altro dei linguaggi e delle tecniche informatiche.
Nel quadro della riforma delle classi di laurea prevista dalla missione 4 “Istruzione e ricerca” del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Consiglio universitario nazionale ha presentato al Ministero dell’università e della ricerca in data 23 marzo 2023 un parere avente ad oggetto “Decreto-legge n. 36/2022, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 – Adozione del decreto recante la definizione dei Gruppi scientifico-disciplinari nonché razionalizzazione e aggiornamento dei settori scientifico-disciplinari e riconduzione ai gruppi scientifico-disciplinari”. Parte integrante del documento è l’allegato contenente le proposte relative alle denominazioni e alle declaratorie dei gruppi scientifico-disciplinari e dei settori scientifico-disciplinari riconducibili ai singoli gruppi, le corrispondenze con la classificazione vigente e le relative note esplicative. Nell’allegato, il SSD M-STO/08 diventerebbe il SSD 11/04/03 – Archivistica, bibliografia e biblioteconomia. Il SSD sarebbe a sua volta parte del gruppo scientifico disciplinare (GSD) 11/04 – Scienze del libro, del documento e storico-religiose (sempre nell’Area 11 relativa alle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche). In termini di denominazioni, quindi, non osserviamo particolari differenze. Per quanto riguarda la declaratoria relativa ad Archivistica, bibliografia e biblioteconomia un ruolo fondamentale è stato svolto dalla Società italiana di Scienze bibliografiche e biblioteconomiche, il cui direttivo ha discusso il testo e lo ha presentato ai soci durante il 1° convegno SISBB, svoltosi a Cagliari tra il 22 e il 24 settembre 2022. Il testo della declaratoria comunicato in occasione del convegno è il seguente:
Bibliografia e biblioteconomia analizzano gli aspetti storici e materiali del libro, dei documenti e degli oggetti digitali d’interesse bibliografico, i relativi processi di produzione e diffusione e la loro descrizione e catalogazione; studiano l’organizzazione dei contenuti e delle informazioni, la progettazione e la gestione delle biblioteche nelle loro diverse tipologie, considerandone la funzione sociale e lo sviluppo storico; adottano, nei loro specifici campi di ricerca, una pluralità di metodi, valorizzando la propria dimensione meta e interdisciplinare.
Il testo presentato al convegno SISBB è stato approvato dal CUN senza modifiche e così è riportato nel già citato allegato al parere del 23 marzo 2023. Tra le principali differenze con la declaratoria precedente vanno sottolineati senz’altro l’esplicito riferimento al digitale e la dimensione interdisciplinare.
Più difficile definire cosa sono le digital humanities che ancora non godono dello status ufficiale di disciplina scientifica. In estrema sintesi potremmo definirle un campo di studi nel quale gli strumenti informatici e le tecniche computazionali sono applicati alle discipline umanistiche.
In ambito internazionale non mancano riflessioni sulla natura delle digital humanities (spesso abbreviate con la sigla DH) e sulla loro collocazione nel panorama accademico. Oggetto di analisi sono stati, ad esempio, gli articoli pubblicati nelle principali riviste scientifiche di riferimento delle digital humanities e nelle riviste di discipline accademicamente riconosciute, quali informatica, matematica, statistica, linguistica, filologia, letteratura, arte, storia, musicologia, filosofia, scienze politiche, scienze dell’informazione, sociologia. Ricerche di questo tipo vogliono rispondere a una domanda precisa: le digital humanities costituiscono una disciplina a sé stante o rappresentano piuttosto lo sforzo interdisciplinare di utilizzare le tecnologie nelle discipline umanistiche già esistenti? Le affermazioni sembrerebbero essere entrambe valide perché, da una parte, le digital humanities hanno i loro specifici topic (tra i quali scholarly collaboration, text corpora, text editions, text analysis, authorship and stylometry, dictionaries, text encoding, computing), dall’altra, se distribuiamo le discipline più sopra citate in una mappa, le digital humanities occupano una posizione centrale che conferma la loro natura fortemente interdisciplinare. Tuttavia, non è un caso che le relazioni più strette e le maggiori sovrapposizioni in termini di contenuti e di metodi impiegati si evidenzino proprio con la linguistica e con le scienze dell’informazione; in parte si registrano somiglianze anche con informatica applicata, letteratura e arte. Va detto anche che ricerche di questo tipo, basate esclusivamente sull’analisi degli articoli di riviste scientifiche, riflettono soltanto una parte della comunicazione scientifica delle discipline, e ciò vale a maggior ragione per le digital humanities, se si pensa che una ricca parte del dibattito DH si svolge in occasione di conferenze e convegni le cui relazioni e i cui contributi possono seguire canali di pubblicazione diversi da quelli delle riviste, così come parte degli articoli su argomenti propri delle digital humanities potrebbe essere pubblicata su riviste scientifiche non squisitamente ed esclusivamente di ambito DH.
Tornando al contesto accademico italiano, sappiamo che nelle declaratorie attualmente in vigore il termine digital humanities non è mai citato (ricordiamo che si tratta di un documento datato 2000). Nelle nuove proposte del CUN il termine compare più volte in declaratorie di GSD e SSD diversi. Ad esempio, nel SSD Storia dell’architettura si legge: “La disciplina, che si fonda sull’interpretazione delle fonti, utilizzando metodologie di ricerca tradizionali e innovative che includono l’ambito delle digital humanities, investe orizzonti cronologicamente ampi (dalla preistoria all’età contemporanea) e diversificati per ambiti tematici e per scale di intervento […]”. Anche i SSD Storia greca e Storia romana comprendono l’ideazione e la messa a punto di edizioni e repertori in ambiente digitale e l’elaborazione di nuovi metodi di ricerca su fonti storiche del mondo greco/romano all’interno delle digital humanities. Nel GSD Lingua e letteratura greca si fa riferimento a “studi sulle metodologie per la didattica del greco relative a lingua, letteratura e cultura, con estensione al campo delle digital humanities”. Nel GSD Comparatistica e teoria della letteratura si legge che “negli ultimi anni alle tradizionali prospettive critiche (stilistica, retorica, tematologia, Translation Studies) e dei Cultural Studies si sono aggiunte le Digital Humanities”; nel SSD di Letteratura inglese che gli “studi di questo ambito possono essere condotti con le metodologie della ricerca filologica, critico-letteraria, storica, culturalista e di ambito postcoloniale, degli studi di genere, dell’ecocritica, dei media studies, delle digital humanities, come anche in prospettiva comparata”. Non manca il riferimento nel GSD Sistemi di elaborazione delle informazioni nella cui declaratoria si legge: “Il gruppo scientifico disciplinare copre l’attività scientifica e didattico-formativa nel campo dell’Ingegneria Informatica. Le competenze del gruppo riguardano modelli, metodologie, principi e tecniche propri dell’analisi, progettazione, sviluppo e conduzione dei sistemi informatici. Ciò vale anche con riferimento ad ambiti multidisciplinari quali digital humanities, smart mobility, cultural heritage, e-health, smart cities, e-government, informatica giuridica, smart manufacturing”.
Se, quindi, non esiste ancora nel nostro Paese una vera disciplina accademica che porti il nome di digital humanities tuttavia le digital humanities si fanno spazio, anche in settori molto diversi tra di loro. Va anche detto che l’esperienza italiana presenta notevoli differenze rispetto al profilo delle digital humanities sviluppatesi in ambito angloamericano, essendosi strutturata principalmente intorno allo studio dei testi, prima a stampa e poi digitali. Tradizionalmente proprio a un italiano, il gesuita Padre Busa, e ai suoi studi di linguistica computazionale condotti alla fine degli anni Quaranta del Novecento sulle opere di San Tommaso d’Aquino si fa risalire il momento fondativo di un campo disciplinare che in italiano si è identificato principalmente con l’informatica umanistica, la linguistica computazionale, l’umanistica digitale e la cultura digitale, e che in inglese, nel tempo, è stato variamente denominato computers and humanities, humanities computing, literary computing, fino ad arrivare alle più affermate e recenti digital humanities.
Oggi nel contesto angloamericano le digital humanities sono concepite come una big tent, espressione coniata per la prima volta nel 2011 durante la conferenza annuale dell’Alliance of Digital Humanities Organizations (ADHO). Pur mantenendo l’attenzione sui temi del data mining e della text analysis, la conferenza si apriva a arti digitali, architettura, musica, cinema, teatro, nuovi media, “a simboleggiare le DH come un grande spazio, coperto, che possa ospitare una vasta e variegata comunità di studiosi accomunati da una determinata visione della ‘dimensione digitale’”. In Italia il concetto di big tent non si è particolarmente diffuso probabilmente perché le digital humanities italiane, pur essendo multidisciplinari, restano fortemente legate ai testi e fanno della testualità e del testo il “tessuto connettivo di un’amplissima varietà di discipline, anche di quelle che si potrebbero reputare lontane come ingegneria e informatica”. In definitiva le digital humanities possono essere definite come “la capacità di rappresentare criticamente le fonti, e l’informazione complessa e multiforme da queste veicolata, attraverso metodi formali, ovvero è l’abilità di usare regole, schemi, strutture e modelli per fare dei dati, naturale espressione del contenuto degli artefatti culturali, risorse computabili”.
Al netto delle difficoltà di delineare i confini di biblioteconomia e digital humanities come discipline o campi disciplinari, possiamo affermare che c’è sufficiente equivalenza concettuale tra i due oggetti da confrontare e che quindi sono comparabili rispetto a una serie di aspetti fondamentali tra i quali, ad esempio, lo statuto disciplinare e il posizionamento nei settori scientifici, l’offerta formativa delle università, le riviste scientifiche di riferimento, il ruolo delle società scientifiche e delleassociazioni.
Per quanto riguarda le dimensioni della ricerca, la dimensione spaziale della comparazione in questione è l’Italia; ben più complesso sarebbe, infatti, operare il confronto in ambito internazionale dove già soltanto sul piano linguistico, in inglese per esempio, avremmo due denominazioni da dover prendere in considerazione per la sola biblioteconomia, Library and information science e Librarianship, per non parlare, come si accennava, della diversa natura delle digital humanities all’italiana rispetto al contesto angloamericano. Per quanto riguarda la dimensione temporale immaginiamo una comparazione in parte anche diacronica (per gli aspetti di ricostruzione storica dei campi disciplinari), ma prevalentemente sincronica, per analizzare punti di contatto e divergenze nella contemporaneità.
In questo caso lo scopo della comparazione è indagare il rapporto della biblioteconomia con altre discipline affini e confinanti come le digital humanities, con le quali in parte condivide gli stessi oggetti di ricerca ma adotta prospettive e metodologie differenti, anche per capire se l’interesse delle digital humanities si limita alle biblioteche come ‘istituti conservatori’ e ‘fonti di testi’ da cui ricavare edizioni digitali o si allarga davvero alla biblioteconomia come disciplina.
L’approccio sarà sostanzialmente storico in quanto analizzerà in profondità gli oggetti della ricerca, ma in parte anche statistico per gli aspetti più quantitativi (rispetto, ad esempio, alla possibilità di quantificare gli articoli scientifici pubblicati nelle riviste di settore o i docenti incardinati e i corsi universitari dedicati).
Quali saranno le fonti della ricerca? Innanzitutto la letteratura scientifica in lingua italiana e non solo; i documenti ministeriali (come le declaratorie ad esempio); i documenti prodotti dalle società scientifiche e dalle associazioni di riferimento, in primis la SISBB e l’Associazione per l’Informatica umanistica e la Cultura digitale (AIUCD) e potrebbe essere molto interessante anche coinvolgere i membri dei rispettivi direttivi mediante, ad esempio, la somministrazione di interviste; i siti delle università con le relative offerte formative; gli archivi delle riviste scientifiche italiane di settore (per capire quali sono i temi e gli ambiti di ricerca specifici e in comune, tra questi ultimi si pensi alle biblioteche digitali, alla bibliometria, all’architettura dell’informazione, alla gestione della conoscenza ecc.).
In conclusione
In sintesi, la comparazione sembra soddisfare bene i due significati tradizionalmente attribuiti al nomos della biblioteconomia: da una parte le “norme” e le “leggi”, dall’altra le “usanze”, i “costumi”, le “consuetudini”. Oltre al metodo e al risultato, la comparazione può offrire anche un contributo teorico alla disciplina perché nel confronto tra casi, contesti, problemi diversi ci permette di riflettere anche sui fondamenti e sulle teorie biblioteconomiche. Ciò è evidente se, come nella traccia di lavoro immaginata più sopra, è la disciplina stessa a diventare oggetto di confronto con altre discipline. Del resto parliamo di un campo disciplinare per sua natura “interstiziale”, fatto di materie storiche e di materie tecniche, di basi teoriche e di attività pratiche.
Come ha osservato Maurizio Vivarelli nel confronto tra le digital humanities e quelle che definisce in senso più ampio le culture documentarie (la biblioteconomia ma anche la bibliografia e la documentazione),
Valutare comparativamente due campi così fluidi, eterogenei e complessi non può che produrre, come esito, giudizi frammentari e parziali, inevitabili vista la pluralità dei punti di vista utilizzati, inclusi quelli riferiti alla provenienza geografica degli autori. […] La difficoltà nella comparazione dei dati, se desiderassimo andare oltre un approccio fondato su uno specifico e spesso personale atteggiamento interpretativo, dipende evidentemente da molti fattori, tra i quali possono essere ricordati la differente estensione temporale dei due campi disciplinari, rispetto ai quali la periodizzazione è tutt’altro che unanimemente condivisa; le differenti condizioni delle diverse aree geo-culturali; il profilo e la forza delle dinamiche accademiche, delle associazioni, delle reti di relazioni personali ed istituzionali. Questa oggettiva indeterminatezza non impedisce tuttavia che possano essere individuati argomenti e sottocampi tematici tra i quali si intravedono wittgensteiniane ‘somiglianze di famiglia’, che lasciano ipotizzare che proprio perché si lavora con gli stessi oggetti, e con approcci epistemologici e metodologici talvolta simili, si potrebbero rafforzare, pragmaticamente, i rapporti di collaborazione esistenti.
Nella sua analisi Vivarelli fa riferimento a numerosi temi di contatto: dalla gestione dei dati alla digitalizzazione, dalla conservazione alla ricerca documentaria, dai metadati alle ontologie, dai linked data all’open access, dal data mining alla bibliometria. Ecco che l’integrazione tra digital humanities e culture documentarie può essere favorita
rafforzando l’abitudine a lavorare insieme, in prospettiva tendenzialmente transdisciplinare, anche sui temi emergenti come l’intelligenza artificiale, in modalità dialogica, collaborativa, aperta, assegnando un ruolo preminente all’agire progettuale e, contestualmente, lavorando per definire competenze fluide e trasversali nei giovani che in questo contesto saranno destinati ad operare.
Nonostante le difficoltà e le criticità in cui certamente ci si imbatterà nel mettere a confronto biblioteconomia e digital humanities, vale la pena provarci. Perché ciò sia proficuo sarà necessario, però, andare ben oltre la pura e semplice affermazione dell’esistenza di affinità, analizzando questi punti di contatto in maniera approfondita, per farli emergere e sistematizzarli anche grazie al supporto metodologico della comparazione.