Il catalogo invisibile
Università degli studi di Milano; danilo.deana@unimi.it
La disposizione e la cura dei libri nelle biblioteche
Abstract
L'articolo esamina le pratiche di sistemazione e conservazione dei libri nelle biblioteche, considerando il loro impatto sull'accessibilità, la gestione delle collezioni e la conservazione a lungo termine. Attingendo ad esempi tratti da biblioteche private accademiche e dai loro sistemi di classificazione personalizzati, li contrappone agli approcci standardizzati adottati nelle biblioteche accademiche e pubbliche, in particolare l'uso della classificazione decimale Dewey. Particolare attenzione è riservata al ruolo dell'ordine di collocazione sugli scaffali, della manutenzione fisica e delle condizioni ambientali nella salvaguardia delle collezioni. L'argomentazione sottolinea che un ordine visibile e una cura adeguata non solo facilitano l'accesso degli utenti, ma prevengono anche il deterioramento, in linea con i principi più generali della conservazione preventiva.
English abstract
The article examines practices of book arrangement and preservation in libraries, considering their impact on accessibility, collection management, and long-term conservation. Drawing on examples from private scholarly libraries and their individualized classification systems, it contrasts these with the standardized approaches adopted in academic and public libraries, particularly the use of the Dewey Decimal Classification. Attention is given to the role of shelving order, physical maintenance, and environmental conditions in safeguarding collections. The argument emphasizes that visible order and care not only facilitate user access but also prevent deterioration, aligning with broader principles of preventive conservation.
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La prima biblioteca che ho conosciuto a fondo non è stata una biblioteca pubblica o accademica, ma una biblioteca personale. Era la biblioteca di Mario Unter- steiner (1899-1981), uno studioso di storia della filosofia antica al quale si devono molte edizioni critiche e il fondamentale Manuale di filologia filosofica.
Untersteiner dedicava molte ore ogni giorno allo stu- dio e aveva la necessità di consultare frequentemente i testi degli autori di cui si occupava, insieme agli studi loro dedicati. Non a caso, dietro la sua scrivania erano allineati su diverse file i volumi della Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, che per uno studioso del suo tempo era l’equivalente di ciò che oggi è per noi Wikipedia.
Non solo. Con il tempo aveva raccolto tutti i testi che gli erano necessari e li aveva disposti in scaffali fatti costruire appositamente. Aveva scelto di raggruppare in- sieme i testi e gli studi su un autore e di dedicare alcune sezioni alle opere generali suddivise per periodo. Anche senza un catalogo, era sempre in grado di trovare il volume di cui aveva bisogno in quel momento e di cui appuntava brevi passi su schede dello stesso formato di quelle che si usavano una volta nelle biblioteche. Le schede, disposte su una scrivania, lo aiutavano a costruire una mappa concettuale dell’articolo o del volume che intendeva scrivere e venivano poi riposte in scatole etichettate e conservate l’una accanto all’altra.
Diversi anni dopo ho avuto modo di frequentare la casa di Giovanni Orlandi (1938-2007), uno studioso di letteratura latina medievale a cui si devono contributi fondamentali sul tema. Orlandi si dedicava allo studio soprattutto di notte. Aveva quindi necessità di disporre dei volumi che gli erano necessari a casa. Quello che rendeva particolare la sua biblioteca era il modo in cui disponeva i volumi. I testi e gli studi su un determinato autore erano sì raggruppati insieme, ma l’ordine in cui erano disposti i vari blocchi era molto particolare: la data di nascita dell’autore stesso. Ad ogni nuova attribuzione, i volumi venivano spostati. L’amore per questo tipo di ordinamento era confermato da una stam- pa ancora appesa nel suo studio, dove lungo una linea orizzontale del tempo sono disposti i nomi degli autori latini.
Questo ordinamento non è certo per tutti. Persino la moglie, Isabella Gualandri, si lamentava del fatto che spesso era costretta perdere del tempo per ritrovare un volume che le interessava al cui autore nel frattempo era stata attribuita una nuova data di nascita. Gualandri – vale la pena ricordarlo – è una delle maggiori studiose italiane di letteratura latina.
Non tutti hanno la possibilità di disporre di raccolte così vaste e ben organizzate come quelle di Untersteiner e Orlandi. Le biblioteche pubbliche o accademiche hanno l’obiettivo di permettere a tutti di avere accesso a risorse che altrimenti non sarebbero in grado di procurarsi.
Quando il pubblico colto era una ristretta minoranza, le biblioteche potevano permettersi di essere organizzate in modo che a prima vista poteva risultare poco comprensibile. In molti casi i volumi non erano direttamente accessibili ai lettori, ma dovevano essere richiesti ai bibliotecari che andavano a prelevarli nei magazzini. Lo scaffale aperto si è diffuso ed è diventato quasi la regola. È stato quindi necessario organizzare i volumi secondo criteri che potessero essere facilmente compresi non solo dagli studiosi, ma anche da un pubblico più vasto, sul modello di quanto fatto nelle librerie. Il metodo scelto è di solito la Classificazione decimale Dewey. Utilizzare le classi CDD per ordinare i volumi sugli scaffali rappresenta una sorta di ritorno alle origini: il titolo del primo volume di Melville Dewey dedicato alla CDD era infatti A Classification and Subject Index for Cataloguing and Arranging the Books and Pamphlets of a Library.
Per molte biblioteche accademiche, nate dalla fusione o dall’accorpamento di più biblioteche, questo si è però rivelato impossibile, con conseguenze anche sulla gestione delle collezioni. Attraverso la gestione delle collezioni si dovrebbe arrivare a dotare la biblioteca di risorse che soddisfino le esigenze della sua popolazione di riferimento entro i limiti dei fondi e del personale di cui la biblioteca stessa dispone. Per raggiungere questo obiettivo, ogni segmento della collezione deve essere sviluppato utilizzando una percentuale delle risorse disponibili coerente con la sua importanza rispetto agli altri settori, alla missione della biblioteca e alle esigenze dei suoi utenti. Se non è possibile individuare chiaramente i vari settori, la gestione diventa molto più complicata.
Un altro aspetto al quale le biblioteche dovrebbe prestare attenzione è la pulizia degli scaffali e la disposizione dei volumi al loro interno. Durante la mia prima visita alla biblioteca dell’Università Bocconi, Marisa Santarsiero, che allora dirigeva il sistema bibliotecario dell’Ateneo, mi raccontava che aveva imposto una pulizia e un riordino quindicinale degli scaffali e i risultati erano evidenti.
L’ultimo punto cui sarebbe necessario concentrarsi per fare in modo che le biblioteche pubbliche o accademi- che non abbiano nulla da invidiare a quelle private è la cura dei volumi. Per prima cosa si dovrebbero evitare pratiche ormai obsolete, come quelle di applicare un timbro alle pagine che terminano con 11. La pratica aveva lo scopo di evitare che un libro potesse essere rivenduto dopo essere stato sottratto alla biblioteca. Essa però non ha più molto senso, data l’introduzione di sistemi antitaccheggio sempre più efficienti. Andrebbero anche evitati i timbri a inchiostro, sostituendoli con un unico timbro a secco sul frontespizio. Le etichette RFID, ormai molto diffuse, registrano l’identificativo del volume, che di solito compare anche stampato sull’etichetta stessa. L’identificativo consente, attraverso il sistema di automazione, di risalire a tutti gli altri dati amministrativi: numero di inventario e segnatura di collocazione. Chi dovesse prendere in mano un volume così trattato, non noterebbe quasi la differenza rispetto a quelli che possiede, fatta eccezione per l’etichetta sul dorso esterno.
Un aspetto sotto il quale le biblioteche pubbliche o accademiche potrebbero addirittura superare quelle private è la cura del volume. I libri dotati di una sovracoperta andrebbero protetti con pellicole trasparenti e gli eventuali cofanetti andrebbero immediatamente ripa- rati in caso di danneggiamento.
Sovracoperte e cofanetti non solo contengono spesso informazioni importanti per chi cataloga, ma servono a proteggere il volume e, come tali, andrebbero a loro volta protetti.
Quando stavo scrivendo Esercizi di catalogazione insieme a Paola Arrigoni, ho consultato spesso i volumi della Storia d’Italia pubblicata da Einaudi negli anni ’70 del secolo scorso conservati in una delle biblioteche del nostro Sistema bibliotecario. I volumi erano tuti privi di sovracoperta e dei magnifici cofanetti che li proteggevano al momento della loro pubblicazione. Chi conosce la storia della casa editrice, sa quanta attenzione venisse allora dedicata alla scelta delle illustrazioni delle sovracoperte e dei cofanetti. Posseggo la prima edizione di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II pubblicata nella “Biblioteca di cultura storica” sul cui cofanetto è riprodotto un magnifico arazzo, che fa bella mostra di sé anche sulle sovracoperte.
La disposizione e la cura dei volumi non hanno solo lo scopo di permettere al lettore di muoversi tra gli scaffali come se sfogliasse un catalogo e di proteggere i volumi, ma servono anche a evitare che i lettori stessi danneggino i volumi che consultano o prendono in prestito. Come hanno affermato George L. Kelling e James Q. Wilson, due illustri criminologi, i piccoli segni di disordine e incuria in un ambiente urbano, come una finestra rotta o i graffiti, possono incoraggiare il vandalismo e il crimine più grave, portando a un deterioramento sociale e a un aumento della criminalità. Lo stesso vale per i libri: trovarli polverosi, disposti male e in cattivo stato, fa sì che ce ne si prenda meno cura, con il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione.
La protezione e la cura devono essere assicurati anche ai best seller e ai libri di testo, la cui condizione deve essere valutata a ogni restituzione. Se un volume risulta danneggiato, deve essere immediatamente ritirato. Il lettore successivo, con molta probabilità, lo tratterà ancora peggio, con il risultato di renderlo definitivamente inutilizzabile.
Oltre all’ordine sugli scaffali e alla cura esterna dei volumi, la conservazione dipende anche dalle condizioni ambientali in cui i libri sono collocati. Luce, umidità e temperatura rappresentano i principali fattori di deterioramento: l’esposizione diretta al sole ingiallisce la carta e scolorisce le copertine, mentre un tasso di umidità troppo elevato favorisce muffe e deformazioni. Per questo motivo molte biblioteche hanno adottato sistemi di climatizzazione e monitoraggio costante, con igrometri e deumidificatori, ma anche pratiche semplici e quotidiane come l’aerazione regolare degli ambienti o la collocazione degli scaffali a distanza dalle pareti per evitare ristagni di umidità. Nelle collezioni più delicate si ricorre a materiali neutri e privi di acidi per scatole e cartoncini protettivi, o a buste in polipropilene per documenti e sovraccoperte fragili.
Le biblioteche storiche devono spesso affrontare vincoli architettonici che rendono complesso intervenire sugli impianti, mentre quelle di più recente costruzione possono integrare tecnologie avanzate di controllo climatico. La prevenzione, in ogni caso, resta la strategia più efficace: un ambiente stabile e pulito prolunga la vita dei libri ben più di interventi successivi di restauro, e assicura che la disposizione e la cura di cui godono oggi possano essere trasmesse alle generazioni future.